CULTURE

15 - 2001

Recensioni

Marco Restelli
 
MICHELGUGLIELMO TORRI, STORIA DELL'INDIA, ROMA-BARI, LATERZA, 2000
 
 
Delineare la straordinaria complessità dei processi evolutivi della società indiana, dal 7000 a.C. all'anno 2000 del nostro evo, analizzando tali processi anche nell'ambito delle relazioni economiche e culturali fra Oriente e Occidente: è questo l'ambizioso progetto perseguito con successo da Michelguglielmo Torri nella sua nuova Storia dell'India. L'Autore, docente di Storia moderna e contemporanea dell'Asia all'Università di Torino, si avvale a questo scopo dei più innovativi contributi della storiografia degli ultimi trent'anni, nello sforzo di demolire sia la tradizionale visione dell'India ereditata dalla storiografia d'epoca coloniale (o da questa influenzata), sia gli stereotipi ideologici affermatisi nell'ultimo decennio ad opera del fondamentalismo indù, oggi egemone in India tanto sul piano politico quanto su quello culturale.
Il piano complessivo dell'opera appare ispirato (a parere di chi scrive) da tre grandi linee-guida.
1) La prima è costituita dalla contestualizzazione della storia indiana nel quadro dei rapporti economici e culturali intercorrenti fra i popoli di quella parte del mondo definita come "Ecumene", che, nelle parole di Torri, giunse a "comprendere tutta l'area che si estende dal Mediterraneo orientale alla Cina meridionale" (p. 17). Il concetto di Ecumene, mutuato dallo storico canadese William McNeill (Plagues and People, New York 1976; The Rise of the West. A History of the Human Community, Chicago 1991, 1° ediz. 1963), definisce l'area geografica intercontinenale abitata dai popoli sedentari, caratterizzati da una civiltà agricola e poi urbana, visti in opposizione ai popoli nomadi. Abbandonando dunque la tradizionale visione occidentalizzante che indica l'origine della civiltà umana nei tre bacini culturali della Mesopotamia, dell'Egitto e del Mediterraneo, Torri si apre a una visione policentrica e globale ("ecumenica" appunto) che disegna i mutamenti della società indiana all'interno delle macro-tendenze socioeconomiche succedutesi nell'Ecumene, nella convinzione che "sostanzialmente fino al XVIII secolo della nostra era, una dinamica fondamentale della storia del mondo venne a essere costituita dall'interazione fra i popoli sedentari dell'Ecumene e i nomadi" (ibidem). Il "sistema India" viene dunque visto come autonomo, ma legato alle problematiche di un "sistema mondo" che è costituito dall'Ecumene. Alla luce di questa impostazione, Torri rilegge numerose tappe fondamentali della storia indiana, per esempio la crescita della civiltà vallinda (fiorita fra il III e il II millennio a.C.) in rapporto alle civiltà mesopotamiche; l'apice e la caduta dell'impero Gupta in India, ed il contemporaneo crollo dell'impero romano, in relazione al "sorgere di una potente confederazione tribale nella Mongolia esterna" e delle spinte di popolazioni nomadi, verso Ovest e verso Est, da essa causate (p. 110); il delinearsi del Medioevo indiano secondo "una serie di peculiarità politiche, culturali ma sopratutto socio-economiche analoghe a quelle che caratterizzano l'alto Medioevo in Europa" (p. 130), e il confronto fra i processi di centralizzazione statale in Europa e in India fra il 1000 e il 1400 (p. 168). Ma gli esempi potrebbero continuare numerosi, dal momento che l'Ecumene resta il quadro di riferimento dell'intera opera.
2) La seconda linea-guida del volume di Torri si può individuare nella costante reinterpretazione (e a tratti nell'aperta rivalutazione) del ruolo delle espressioni politiche dell'Islam in tutto il corso della storia indiana, in base alla convinzione che l'Islam stesso non sia mai stato "un corpo estraneo" alla civiltà indiana (come ripete certa odierna storiografia induizzante), e che non sia lecita una lettura della storia indiana basata su categorizzazioni religiose. Ne consegue, per esempio, che Torri, riferendosi all'egemonia esercitata dagli stati islamici in India dal XIII al XVIII secolo, con vis polemica definisce "irrilevante l'etichetta di 'età islamica' ", pur accettata da buona parte degli storici, poiché "il tentativo di unificazione (dell'India, ndr.) e di centralizzazione venne portato avanti dai sultani di Delhi non certo perché essi erano di religione islamica, ma per ragioni di Realpolitik" (p. 170). E più avanti sottolinea: "La stella polare che orientò l'azione di governo dei sultani di Delhi fu... la necessità di far funzionare lo Stato, piuttosto che quella di difendere e di glorificare l'Islam" (p. 213).
È questa un'impostazione senza dubbio stimolante (anche perché, ancora una volta, lega l'evoluzione delle dinamiche statuali indiane alle ben più ampie modificazioni strutturali nell'Ecumene), e tale da meritare grande attenzione; tuttavia rischia, a parere di chi scrive, di portare a sottovalutare l'importanza del fattore religioso come elemento identitario degli "attori" della storia politica indiana. Quest'opera di riconsiderazione delle ragioni della politica degli stati islamici indiani in quanto "entità statuali" e non in quanto "islamici" porta Torri, per esempio, a porre in secondo piano il senso religioso dello scontro (militare, politico, ma anche culturale) che oppose la dinastia islamica dei Mughal alla comunità Sikh lungo il XVII secolo fino agli inizi del XVIII (pp. 298-313). Su un piano più generale, si tratta di un'impostazione che sembra contenere in sé sia la negazione di qualsiasi carattere espansivo o "aggressivo" attribuibile all'Islam in quanto Islam, sia la negazione che l'Islam possa avere rappresentato, in alcuni momenti della storia indiana, non solo un elemento di grande ricchezza culturale per la società (ciò che indubbiamente è sempre stato) ma anche un elemento di contraddizione e, talora, di frattura. Arrivando al XX secolo, sono indicative in tal senso le pagine, peraltro documentatissime, che l'Autore dedica al sorgere dell'idea di Pakistan all'interno della Lega Musulmana, ove attribuisce scarsa importanza e influenza alle istanze separatistiche espresse da illustri membri della Lega, istanze destinate poi a sfociare, nel 1947, appunto nella nascita dello Stato pakistano (pp. 569-580).
3) La terza linea-guida dell'opera di Torri è individuabile in una costante e circostanziata critica della "spiritualizzazione della politica" (per usare un'espressione di Nehru citata da Torri stesso) e al contempo in una desacralizzazione dei "miti" della politica indiana, con particolare attenzione alla storia dell'età moderna e contemporanea, materia già affrontata dall'Autore in numerosi studi (fra i quali ricordiamo Dalla collaborazione alla rivoluzione non violenta, Torino 1975, e Regime coloniale, intellettuali e notabili in India, Milano 1996). Dopo avere considerato criticamente l'intreccio fra ispirazione religiosa e azione politica in figure centrali nella storia del subcontinente indiano, quali Jinnah e Gandhi (quest'ultimo in parte responsabile, secondo l'Autore, dell'innescarsi del processo di "spiritualizzazione della politica"), Torri dedica passi illuminanti (pp. 758-771) alla nascita della cultura del fondamentalismo indù, al suo progressivo affermarsi nella società indiana e poi al suo consolidarsi sul piano della formazioni politiche, destinate a conquistare la maggioranza e il governo dell'India negli anni Novanta del secolo scorso. E coerentemente con l'impianto dell' opera, termina augurandosi che "l'opera degli zeloti indù dell'anno 2000 non abbia miglior fortuna dell'opera dello zelota musulmano (l'imperatore mughal Aurangzeb, ndr.) del XVII secolo".

 
Sommario Culture 2001
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