Paul Kroker
 
LA LETTERATURA DOPO LA CADUTA DEL MURO 1
 
 
 
Chi si ricorda ancora di quel leggendario 9 novembre quando, verso le sette di sera, un certo Günther Schabowski, responsabile dell'ufficio stampa della SED, dichiarò che nel Muro di Berlino si era aperta una breccia? Era il 1989, e con sorpresa di tutti il quarto stato tedesco del Novecento crollò, e con esso crollò non solo una formazione statale come la Repubblica di Weimar oppure lo spaventoso Terzo Reich, bensì un grande progetto politico che per tanti era sembrato la realizzazione sociale dell'Utopie Hoffnung del filosofo marxista Ernst Bloch. Un progetto peraltro con buone prospettive anche nel campo letterario-culturale, la cosidetta DDR-Literatur.
 
Sono passati più di dieci anni da allora ed è nata una nuova Germania; ciò si riflette naturalmente nella letteratura e non soltanto in quella degli autori provenienti dalla vecchia RDT, bensì anche in quella dei loro colleghi nei vecchi Länder, tra cui Günther Grass (Ein weites Feld, 1995), Rolf Hochhuth (Wessis in Weimar, 1992), F. C. Delius (Die Birnen von Ribbeck, 1991), Peter Schneider (Eduards Heimkehr, 1999) e H. J. Ortheil (Blauer Weg, 1996). Però, per quantità e qualità sono stati soprattutto le scrittrici e gli scrittori che avevano subìto il socialismo reale sia come artefici sia come vittime, a elaborare narrativamente un passato di oltre quarant'anni e un decennio di vita e società nell'odierna Germania.
 
Autori come Wolfgang Hilbig (Ich, 1993), Thomas Brussig (Helden wie wir, 1996), Manfred Jendryschik (Die Reise des Jona, 1995) e Christa Wolf (Medea. Stimmen, 1996) esprimono con il massimo rigore etico ed estetico la situazione letteraria postsocialista, ponendo al centro dell'attenzione la questione cruciale di una dittatura mascheratasi dietro l'aggettivo 'proletaria': il rapporto tra intellighenzia e potere socialista e, specialmente, con i servizi segreti della Stasi 2. Hilbig presenta una personalità lacerata tra le aspettative letterarie di un operaio poeta e la sua attività come collaboratore non ufficiale; Brussig racconta l'autobiografia grottesca di un ventenne agente dei servizi segreti che tra megalomania e ansie trova la sua identità come eroe storico, mentre il ritorno alla mitologia di Wolf e alla parabola biblica di Jendryschik permette una riflessione approfondita sul tragico ruolo dell'intellettuale che vede andare in frantumi il suo sincero impegno indipendentemente da quale società scelga.
 
Il crollo della RDT è stato causato da una molteplicità di fattori di politica interna ed estera; fu un collasso piuttosto che una rivoluzione, per quanto pacifica o di "velluto", come si soleva definirla allora. Perché le rivoluzioni hanno sempre un soggetto: quella francese una classe borghese, quella sovietica in verità nessuna classe nuova - questa fu la sua particolare mistificazione - ma un partito politico forte e presto onnipotente; al contrario quella della Repubblica Democratica Tedesca dell'89, che può essere definita una rivolta, non ebbe un vero soggetto: il popolo, che in parte si era creduto rivoluzionario, si dissolse presto in una popolazione formatasi da decenni sui modelli culturali dell'Occidente e che, alle prime libere elezioni, emulò prontamente il comportamento elettorale della Germania occidentale. Ciò nondimeno, questo collasso politico-sociale ebbe ovviamente ampie ripercussioni sulla letteratura e sugli scrittori.
 
Come molti connazionali dell'Est, essi si videro improvvisamente licenziati, abbandonati, liquidati, addirittura su un duplice fronte: da un lato non c'era più la strumentalizzazione per cui li si considerava avanguardia pedagogica del sistema in cui la letteratura si sostituiva ai mass media per compensarne il deficit, dal momento che il libro monopolizzava in un certo senso i mezzi di comunicazione. Dall'altra parte l'autore perdeva il proprio privilegio come educatore derivante dal suo specifico status all'interno del sistema e, al tempo stesso, come coscienza critica della nazione socialista. Nel lontano 1968 Christa Wolf poteva ancora scrivere: "L'autore, dunque, è una persona importante".
 
Gli autori scacciati dal piedistallo - in primo luogo il gruppo critico-socialista che nel 1989 apparteneva alla generazione dei sessantenni e comprendeva Christa e Gerhard Wolf, Heiner Müller, Volker Braun, Irmgard Morgner, Helga Königsdorf, Fritz Rudolf Fries, nonché i più anziani Stephan Hermlin e Stefan Heym - dovette all'improvviso fare i conti con una nuova situazione caratterizzata da una duplice perdita per quanto riguardava i destinatari delle opere dei suoi componenti: sia la popolazione, formata in buona parte da accaniti lettori che - come osservò Heym adirato - si era rivelata, una volta caduto il Muro, solo interessata al consumo; sia il grande patriarca, lo stato censore, il "destinatario segreto" (come ironizzava Christa Wolf) a cui ci si rivolgeva con la Fürstenerziehung, e cioè con un intento di educare i reggenti comunisti perché diventassero più illuminati. In concomitanza con la repentina perdita di una visione comunista, negli anni della svolta si propagò un senso di tracollo, desolazione e vuoto che si rafforzò ancor più quando l'Occidente iniziò la commercializzazione del mercato librario.
 
Gli scrittori e le scrittrici, che per decenni e fino alla metà degli anni Ottanta erano stati i rappresentanti più considerati tra le forze d'opposizione di un'alternativa sociale, dopo il 9 novembre 1989 si trovarono in una situazione paradossale poiché il socialismo, fonte di dubbi ma anche di speranze, era parte integrante della loro vita, come ha espresso in maniera impareggiabile e pregnante Volker Braun nella poesia Das Eigentum (1990):
 
Da bin ich noch: mein Land geht in den Westen.
Krieg den Hütten Friede den Palästen.
Ich selber habe ihm den Tritt versetzt.
Es wirft sich weg und seine magre Zierde.
Dem Winter folgt der Sommer der Begierde.
Und ich kann bleiben wo der Pfeffer wächst.
Und unverständlich wird mein ganzer Text.
Was ich niemals besaß, wird mir entrissen.
Was ich nicht lebte, werd ich ewig missen.
Die Hoffnung lag im Weg wie eine Falle.
Mein Eigentum, jetzt habt ihrs auf der Kralle.
Wann sag ich wieder mein und meine alle. 3
 
 
L'io poetico di questi dodici versi constata la fuga dei suoi connazionali nell'estate dell'89 e, nel verso che inverte il motto di Büchner tratto da Il messaggero dell'Assia, riconosce la vittoria del capitalismo consumistico, di cui l'autore, in quanto fermo critico del regime, è in parte colpevole, come ammette egli stesso (verso 3). Si fa strada la consapevolezza che il popolo della RDT, paragonato a una donna magra ma bella, si getta via nella sua voluttà ma allo stesso tempo continua a mistificarsi in un vanto mai concretizzato. Esistenza e utopia ora sono senza patria; perciò non solo le opere del poeta ma tutta la sua vita diventa "incomprensibile". Ciò nonostante la speranza, questa trappola del mito di una società solidale, non viene abbandonata, l'illusione dell'epoca è ancora viva e può trasformarsi nella peggiore delle ipotesi in una vera e propria psicosi del desiderio. D'altra parte Braun è uno scrittore che mai si era abbassato a fare della propaganda e che appartiene al gruppo dei grandi autori della letteratura tedesco-orientale che non sarà dimenticato; non a caso nella primavera 2000 ha ottenuto il prestigioso Premio Büchner, il più importante riconoscimento letterario tedesco.
 
Già nel 1976, in seguito alla privazione della cittadinanza di cui fu vittima Wolf Biermann, si sarebbe dovuto ammettere che quel Dio in cui si credeva e in cui si voleva credere non era mai esistito. Poi fu la volta di Gorbacëv, della protesta crescente e della svolta e con questa di un nuovo, seppur breve, infiammarsi delle illusioni su un popolo finalmente rivoluzionario; ma alla fine giunse, come il mercoledì delle ceneri, l'ora del commiato.
 
Sul piano letterario, l'unificazione delle due Germanie è accompagnata da una polemica sulle questioni fondamentali ma spesso, come nel caso dei giornalisti Frank Schirrmacher (FAZ) e Ulrich Greiner (Die Zeit), si esprime sotto forma di una rude e generalizzata resa dei conti con la letteratura della RDT. E questo poiché la posta in gioco è alta quando si tratta di una questione di egemonia culturale e cioè di attestare a qualcuno il monopolio di stabilire che cos'è la letteratura, specialmente quella dell'Est.
 
La controversia, durata quasi tre anni, si svolge in tre tappe. Suscitato nel 1990 dalla pubblicazione del racconto Was bleibt 4 di Christa Wolf, la quale viene accusata dai critici più influenti di essere un'opportunista e di presentarsi come eroica vittima della Stasi, il dibattito è pienamente legittimato perché apre la riflessione sulla condizione e deformazione dell'intellighenzia nel socialismo reale. Così Wolf e la sua opera diventano bersagli concreti ma in verità "non si tratta di Christa Wolf", come afferma lo stesso Schirrmacher, o meglio non solamente. "Si tratta di una esemplare resa dei conti con vite esemplari" (Uwe Wittstock), si tratta di stabilire a chi dare il potere per definire se la letteratura della RDT (e in seguito l'intera letteratura di lingua tedesca del dopoguerra) possieda un valore estetico o se debba essere bollata come letteratura nettamente dominata dall'ideologia della sinistra. L'accusa di fare della Gesinnungsästhetik, cioè un'estetica ideologica, dilaga e non coinvolge più soltanto Christa Wolf e i suoi colleghi della RDT, ma anche Günter Grass, Heinrich Böll e tutto il gruppo 47 a causa del loro impegno politico e letterario; inoltre agli autori dell'Est sarà rimproverato di non aver criticato in maniera più coraggiosa e aperta la dittatura comunista. Paradossalmente i critici conservatori che rappresentano la posizione della littérature pure, pretendono ora una ripulitura ideologica, una letteratura maggiormente impegnata nella critica al sistema stalinista. Oppure si chiedono retoricamente a voce alta perché questi autori non abbiano voltato prima le spalle al regime andandosene per tempo nell'altra Germania. Sono esagerazioni a caldo che si riscontrano anche dall'altra parte quando, di fronte a una critica veemente, si vestono i panni dei perseguitati del regime nazista come fa la stessa Wolf.
 
La distanza storica permette di riconoscere a tale dibattito il merito di aver puntato il dito sulla legittimità morale ed estetica delle opere e degli autori, come quando nell'ottobre 1991 Wolf Biermann rese noto che il poeta avanguardista del Prenzlauer Berg, Sascha Anderson, aveva fatto per anni il collaboratore della Stasi o quando nel 1993 si discusse il coinvolgimento da parte di altri scrittori. E non si dimentichi: soltanto tra i diciannove membri della Direzione centrale dell'Unione degli Scrittori i collaboratori dei servizi segreti furono dodici e tra i sei membri della Presidenza addirittura cinque! 5
 
Nella sua lungimirante analisi della storia della letteratura tedesco-orientale, Wolfgang Emmerich arriva alla conclusione che l'accusa mossa agli autori di essere stati tout court dei complici ideologici, non è del tutto giustificata. C'è stata sì una letteratura influenzata ideologicamente, e in molti casi si può parlare di mera propaganda. Parallelamente a ciò si sviluppò, soprattutto dalla metà degli anni '60 in poi, una letteratura che cercava di dare un senso alla vita nell'incubo della dittatura e ne criticava molto concretamente la quotidianità coatta. Una letteratura a cui può essere attribuito lo stato dell'emigrazione interna durante il socialismo reale, una letteratura che avvisa e allo stesso tempo invita alla sopportazione, che mette in guardia e allo stesso tempo consola, che è sovversiva e allo stesso tempo calligrafica.
 
Se si analizza il decennio successivo alla svolta, è evidente che la fase dell'inizio della fine e quella subito dopo non sono caratterizzate da opere di grandi qualità letterarie - gli autori e le autrici erano troppo coinvolti e scossi dalla crisi del sistema e dal suo decadimento, sempre vissuto anche come una catastrofe -, bensì da una molteplicità di testi documentaristici e autobiografici che - nonostante rimuovessero e ignorassero ancora gran parte di un passato fatto di repressione e censura - rivelavano per la prima volta sul territorio dello stato socialista aspetti della prassi repressiva nell'Unione Sovietica e nella RDT. Di tale fenomeno i più rappresentativi sono i testi delle vittime del comunismo quali Walter Janka, che ha fatto seguire a Schwierigkeiten mit der Wahrheit (1989) la più dettagliata autobiografia Spuren eines Lebens (1991), e di gerarchi comunisti quali Markus Wolf, fino al 1986 viceministro per la Sicurezza, che racconta la sua e la vita di altri parlando dall'interno, dalle viscere del potere (Die Troika, 1989).
 
Questi libri mostrano solo raramente una particolare qualità estetica o una revisione particolarmente profonda della propria storia. Di tutt'altro calibro invece sono testi come Das Eigentum di Braun o la poesia Selbstkritik di Heiner Müller che nell'autunno dell'89 fu recitata pubblicamente in un teatro di Berlino Est.
 
Meine Herausgeber wühlen in alten Texten
Manchmal wenn ich sie lese überläuft es mich kalt. Das
Habe ich geschrieben IM BESITZ DER WAHRHEIT
Sechzig Jahre vor meinem mutmaßlichen Tod
Auf dem Bildschirm sehe ich meine Landsleute
Mit Händen und Füßen abstimmen gegen die Wahrheit
Die vor vierzig Jahren mein Besitz war
Welches Grab schützt mich vor meiner Jugend6.
 
 
Comunque, la letteratura interessante per argomenti e strategie narratologiche non si fa attendere a lungo. Non stupisce il fatto che tratti sempre della RDT, della sua decadenza e del periodo successivo nella nuova Germania, poiché di tutti i temi possibili quello della RDT è "quello più caro alla DDR-Literatur" (W. Emmerich). E questo, seppur in maniera ridotta, è valido ancora oggi, nonostante siano trascorsi più di dieci anni.
 
Occorre però distinguere due generi di opere, da un lato opere che ripensano a posteriori all'ormai scomparso stato tedesco degli "operai" e dei "contadini" con tristezza, malinconia e mistificazione o che per lo meno ne favoriscono tale chiave di lettura, in cui si riscontra uno sguardo nostalgico verso il passato di un Paese che molti ancora oggi vedono come "patria derubata" (come osservò in modo appropriato Günter Kunert). È il caso dell'Heimatroman, il 'romanzo della propria terra', come Der Laden 3 (1992) di Erwin Strittmatter che nei nuovi Länder raggiunse tirature da bestseller, e di Ein weites Feld (1995) di Günter Grass: "Vogliamo esserci e viverci, vogliamo essere descritti in modo caloroso e dettagliatamente esatto", scrive a proposito con sarcasmo l'ex-Ossi Christoph Dieckmann. Nello stesso stile troviamo anche Im Schatten des Regenbogens (1993) di Helga Königsdorf, narrato dal punto di vista di un gruppo di anziani, prepensionati nella nuova Germania, addirittura scacciati dal rifugio della casa comune loro.
 
Dall'altro lato vi sono opere come Der Zimmerspringbrunnen (1995) di Jens Sparschuh, il cui sottotitolo è anche Heimatroman, ma descrive in modo sarcastico la Ostalgie. Si tratta di un romanzo tragicomico su un ex-dirigente dell'amministrazione per gli alloggi, anch'egli licenziato, che però si rifà una nuova carriera a Berlino Est come rappresentante di una ditta che fornisce fontane per il salotto, e che termina con un finale simile ad Ansichten eines Clowns di Böll.
 
Come vedremo, l'argomento della repubblica orientale, intesa come punto di riferimento reale oppure come dreamland, può essere trattato in modo assai diverso. Per avere una visione d'insieme più precisa è utile adottare una suddivisione di tipo storico:
 
1. Letteratura del ricordo sui quaranta anni di vita della RDT: un look back in anger, un flash-back carico di rabbia come in Spiegelland (1992) di Kurt Drawert, un romanzo-saggio sulla ricerca di una vita perduta e la descrizione spietata dei modelli imposti nell'infanzia. Oppure una descrizione della RDT come scenario mortale dove regnano odio, violenza e cattiveria, come in Abschied von den Feinden (1995) o Die atlantische Mauer (2000) di Reinhard Jirgl. Oppure la visione della vita a Est (e a Ovest) come purgatorio dell'impotenza umana e poetica nel libro di Wolfgang Hilbig Das Provisorium (2000). Adolf Endler, invece, sempre inconfondibile giocoliere di parole, rimane coerente con se stesso e getta uno sguardo tra l'ironico e il crudele sulla realtà grottesca della RDT in Tarzan am Prenzlauer Berg (1994). Stille Zeile Sechs (1991) di Monika Maron tratta il complesso legame tra intellighenzia e potere, mentre la giovane Katrin Asken, nata nel 1966 a Berlino Est, nel suo terzo romanzo Aus dem Schneider (2000) descrive le ultime tre ore e mezzo che una giovane donna trascorre a Berlino Est prima della sua fuga in Occidente nel 1986, un flash-back sulla vita della sua famiglia negli ultimi 50 anni. Gert Neumann affronta in Anschlag (1999), un'opera dal linguaggio molto complesso, il problema di "come fa il passato a parlare di sé?", fra tematiche difficili quali il linguaggio dello stalinismo, dittatura e sottomissione, miserie del socialismo reale e gioia di vivere, poesia e censura. Il romanzo di Helga Schütz Grenze zum gestrigen Tag, pubblicato nel 2000, focalizza la storia di una famiglia nella RDT che vive sotto la minaccia della morte nella striscia di fuoco al confine con la Germania occidentale e dimostra in modo evidente come il riferimento alla esistenza della RDT sia sempre attuale nonostante molti autori si allontanino da questo tema. Il successivo abbandono di tale soggetto si manifesta nelle ultime tre opere di Monika Maron, uscite tra il 1991 e il 1998, e anche nell'ultimo romanzo di Brigitte Burmeister Pollok und die Attentäterin (1999), dove la RDT appare solo come un pallido riflesso. Lo stesso vale per Napoleonspiel, romanzo del 1992 di Christoph Hein, dove essa, proprio, non ha più alcun valore, e per la scrittrice emergente Jenny Erpenbeck e il suo brano in prosa Geschichte vom alten Kind (1999), storia di una specie di Kaspar Hauser al femminile inframmezzata di elementi che ricordano l'Oskar Matzerath di Grass. Sul versante opposto troviamo Am Ende der Sonnenallee (1999), dove Ingo Schulze torna a trattare appieno la vita della RDT dimostrando che quest'esperienza rimane una fonte inesauribile per la letteratura di lingua tedesca, come altrimenti non potrebbe essere.
 
2. Durante tutto l'ultimo decennio letterario sono stati pubblicati testi il cui tema centrale è il periodo della svolta stessa. Oltre all'Helden-Roman di Thomas Brussig ci sono altri libri degni di nota anche se per ragioni diverse. Ad esempio Die verkauften Pflastersteine (1990) di Thomas Rosenlöcher, un Dresdner Tagebuch, come rivela il sottotitolo, e cioè il diario del poeta oggi cinquanatreenne dall'8.9.89 fino al 19.3.90, in cui descrive i mesi decisivi della svolta fino alle prime elezioni libere nella RDT, una breve autobiografia schietta, ferma e autoironica di un eterno perdente di sinistra. Di tono completamente diverso è la raccolta Die Zickzackbrücke (1992) di Volker Braun, una miscellanea del periodo 1988-91 di generi diversi, che spaziano dalla poesia (v. per esempio Das Eigentum) alla prosa letteraria e giornalistica e che esprimono il Furor melancholicus (W. Emmerich), il disorientamento, la delusione e la lacerazione dell'autore. Il romanzo di Erich Loest Nikolaikirche (1995) racconta una cronaca familiare a Lipsia nella seconda metà degli anni Ottanta, in cui è rappresentata in maniera precisa e dettagliata la vita dalla parte del potere nonché della resistenza. Al contrario, in Trivialroman (1998) Hans Joachim Schädlich raffigura la fine e la svolta descrivendo le ultime ore di una banda di criminali abituali o mafiosi politici, narrate dall'intellettuale opportunista del gruppo. Il racconto si chiude con un lieto fine che corrisponde sia alla realtà di tanti ex-funzionari della SED, sia al genere di letteratura cui allude il titolo.
 
3. Infine la letteratura sulla nuova Germania, un tema che non si esaurirà molto presto e che scrittrici e scrittori anche dei vecchi Länder continuano a trattare. A riprova di tale fenomeno ricordiamo già nel 1991 Die Birnen von Ribbeck di F.C. Delius e nel 1992 Wessis in Weimar di Rolf Hochhuth. Mentre Delius, in un monologo lungo quasi 80 pagine, fa riflettere un contadino tedesco-orientale sulla storia del suo villaggio nel Novecento e critica in modo equilibrato la vita sotto il feudalesimo, il socialismo e il (neo)capitalismo, Hochhuth nelle sue Szenen aus einem besetzten Land, così recita il sottotitolo, si schiera in maniera polemica contro il "colonialismo" del governo Kohl nei confronti dell'ex RDT. Tra le opere che rispecchiano la nuova Germania ritroviamo naturalmente il Regenbogen-Roman di Königsdorf e Zimmerspringbrunnen di Sparschuh, così come il complesso psicogramma di Volker Braun sui primi anni successivi alla svolta (Wendehals, 1995) e la "commedia" di Christoph Hein Randow (1994), che focalizza l'attenzione sul problema del cambiamento dei rapporti di proprietà nei nuovi Länder, come peraltro fa Peter Schneider in Eduards Heimkehr (1999). Paradies (1997) di Bernd Wagner, invece, narra di una fuga ritardataria nel 1992 dal paradiso degli operai e contadini, nel frattempo ormai perduto, verso un occidente ritenuto celestiale, fino a raggiungere poi il vero paradiso in Grecia. Un romanzo on the road al femminile che ricalca con grande partecipazione il tono femminista tipico della Repubblica Democratica. Nel suo racconto Landschaft mit Dornen (1993), tratto dalla sceneggiatura del film per la TV, Uwe Saeger fa un secco inventario della vita nella provincia della nuova Germania orientale. Protagonisti sono quattro giovani sbandati, pieni di odio e disperati, che per noia intraprendono un gioco mortale che alla fine divorerà, oltre alla vittima, anche tutti loro. Anche Ingo Schulze in Simple Stories (1998) 7 prende di mira una cittadina tedesco-orientale della Turingia e racconta in modo laconico e distaccato, come nella tradizione della tipica short story nordamericana, brevi, semplici e all'apparenza quotidiane storie degli abitanti, comuni cittadini con i loro pregi e difetti. Grazie all'ingegnosità strutturale, per la quale si potrebbero trovare analogie con il film Short Cuts di Altman, la storia contemporanea si delinea attraverso i piccoli avvenimenti di ogni giorno o come dice lo stesso Schulze: "Per me la letteratura è il modo in cui osservare il mondo rinchiuso in una goccia d'acqua". In Unter dem Namen Norma (1994) di Brigitte Burmeister vengono sollevati, dal punto di vista di una traduttrice di Berlino Est nel 1992, oltre alla questione della Heimat come identità, biografia e luogo di residenza, problemi quali i significati della memoria storica, delle vittime e dei colpevoli, il tutto inasprito dall'esempio di un'autodenuncia come presunta informatrice della Stasi. Il rapporto tra finzione e realtà è evidenziato anche dalla scelta dello pseudonimo Norma, che può essere letto come l'anagramma della parola tedesca Roman. La decisione del marito di fare carriera nella Repubblica Federale e della moglie di non abbandonare il vecchio ambiente risolleva, dopo più di trent'anni, una costellazione che Christa Wolf aveva già elaborato in Der geteilte Himmel 8, anche se in circostanze storiche diverse.
 
Già all'inizio degli anni Novanta il Literaturstreit aveva fatto discutere sulle possibilità di una nuova definizione dello spinoso rapporto tra etica ed estetica, così come aveva sollevato nuove riflessioni sul superamento del passato dopo quarant'anni di dittatura socialista. Tutto ciò diventa ora di un'impellente priorità, considerata l'impossibilità di poter addurre come scusante l'ignoranza dei misfatti o l'obbligo di aver dovuto obbedire da bravi e ingenui sudditi postprussiani - com'era la prassi comune nella Germania del dopo '45 di fronte al nazismo e all'olocausto.
Certamente non si può strumentalizzare la critica di natura etica e morale degli autori e non va dimenticato il modo responsabile con cui buona parte di loro trattava la realtà e la storia, parte integrante di ogni fase della letteratura tedesco-orientale, che ovviamente ne ha determinato la peculiarità anche se non sempre nello stesso modo. Sia l'evoluzione estetica - che rientrava nella sovversione culturale del sistema da quando, con Heiner Müller e Christa Wolf, raggiunse alti riconoscimenti a livello mondiale - sia la quantità di opere e autori fanno capire come questa letteratura abbia sempre rivestito un ruolo completamente diverso da quello dell'emigrazione interna durante il nazifascismo. Fra questi va ricordato Uwe Johnson che notoriamente appartiene ai precursori della nuova letteratura in lingua tedesca del secondo dopoguerra. Entrambi i suoi primi due libri, scritti ancora nella RDT, così come la sua opera omnia, forniscono il paradigma di un rapporto felice, fecondo e dialettico tra arte e morale. Ma è necessario ricordare anche altri autori 'veri' della RDT come Volker Braun, Stefan Heym, Sarah Kirsch, Wolf Biermann, Franz Fühmann, Günter de Bruyn, Heiner Müller e la discussa Wolf, così come le opere sulla crisi d'identità degli anni '70/'80, la letteratura giovanile e femminile, nonché i testi rivoluzionari di Irmtraud Morgner o F.R.Fries, che a metà degli anni '60 hanno fatto sì che la letteratura della Repubblica Democratica entrasse nella sua fase moderna. Non a caso, allora, concetti quali "sconfinamento" e "rottura dei tabù" diventarono i preferiti dei critici e degli studiosi.
Tra tutti i nomi che costituiscono il panorama della letteratura tedesco-orientale ricordiamo solo quelli che sono riusciti a crearsi uno spazio come autori e a ottenere un certo riconoscimento anche a livello internazionale. Molti di loro hanno lasciato e dovuto lasciare la RDT per poter sopravvivere e scrivere: basti ricordare Christa Reinig, Helga Novak, Reiner Kunze e Jürgen Fuchs, quest'ultimo morto pochi anni fa di un tumore causato dalle radiazioni somministrategli di nascosto dalla Stasi.
 
Altri autori si videro costretti a denunciare una vita difficile e miserabile che non raramente finisce con la morte precoce: Susanne Kerckhoff, nata nel 1918, autrice dell'emigrazione interna, fu ridotta al silenzio e cancellata dalla storia letteraria della RDT a causa della sua mancanza di disponibilità ad adattarsi alle regole del regime. Si suicidò nel 1950. Eveline Kuffel, classe 1935, scultrice e poetessa di famiglia proletaria e comunista, si scontrò con le autorità in seguito alla fuga di suo padre in Occidente. Dopo aver vissuto esperienze traumatiche come la reclusione all'età di 15 anni e l'allontanamento del figlio di due anni dopo il divorzio, iniziò a scrivere - sotto osservazione della Stasi - e non ebbe mai alcuna possibilità di essere pubblicata. Svolgeva lavori occasionali, era alcolizzata e soffriva di cancro alla laringe. Nel 1978 morì nel suo letto in seguito a un incendio. Jutta Petzold, nata nel 1933, germanista e poetessa, cominciò a essere spiata dalla Stasi quando, all'inizio degli anni '60, alcuni suoi amici artisti abbandonarono la RDT. Nel 1965 iniziò a scrivere, ma finì per diventare paziente fissa della clinica psichiatrica della Charité di Berlino Est. Hannelore Becker, nata nel 1951, inizialmente conduce un'esistenza che sembra attenersi alle aspettative del regime. Giudicata un'autrice di talento, dopo la maturità viene assunta come collaboratrice della Stasi; uno dei suoi compiti era quello di fornire rapporti sulle conferenze di Franz Fühmann. Per poter lavorare come scrittrice nel 1974 si allontanò dalla Stasi e si mise a fare la commessa. Si suicidò nel 1976.
 
Il tragico bilancio della vita di queste quattro autrici 9 rappresenta solo una piccola parte di tutte quelle vite e opere d'arte 'buttate al macero' durante la dittatura stalinista. L'elenco delle vittime è lungo, troppo lungo per poterle commemorare tutte. Ma la letteratura permette un'attiva rielaborazione del lutto e anche quella dell'ultimo decennio non fa eccezione. Sono stati pubblicati libri sinceri e profondamente morali che trattano il dibattito sulla complessità del passato e, leggendoli, risulta evidente che nessuno che ha vissuto in quello stato o ha creduto nelle sue fondamenta ideologiche può credersi privo di colpa (dall'omonimo pezzo teatrale di Uwe Saeger, 1988), poiché il coinvolgimento e la complicità avevano raggiunto livelli troppo alti. O per dirla con le parole di Wolf Biermann, poeta di esemplare capacità autocritica: "Siamo stati troppo intrecciati, incastrati e imparentati con i nostri avversari. I profondi rapporti familiari con i nostri nemici mortali non si affievolirono mai perché noi tutti portavamo la contraddizione dentro di noi... E tutto l'odio, il veleno, il fiele scaturirono da questo legame familiare con i nostri oppressori".
 
Molti dei testi qui citati si sono occupati di questo tema con serietà e impegno; primi fra tutti ricordiamo un'altra volta: "Ich" (Wolfgang Hilbig), Die Reise des Jona (Manfred Jendryschik), Helden wie wir (Thomas Brussig), Medea (Christa Wolf), Spiegelland (Kurt Drawert), Von der Schwierigkeit, Westler zu werden (Klaus Schlesinger, 1998), Nikolaikirche (Erich Loest), Trivialroman (H.J. Schädlich), Unter dem Namen Norma (Brigitte Burmeister), Stille Zeile Sechs (Monika Maron), così come le autobiografie di Heiner Müller (Krieg ohne Schlacht, 1992), Günter de Bruyn (Vierzig Jahre, 1996), Erich Loest (Der Zorn des Schafes, 1990/ Durch die Erde geht ein Riss, 1991) e di Stefan Heym (Nachruf, 1988).
 
Siccome ci si è trovati coinvolti troppo a lungo e in maniera troppo profonda in "un caos difficile da intuire, causato da un popolo sconvolto che proteggeva in modo apprensivo la sua prole e le raccontava con voce tremante un sacco di fandonie sulla Nuova Vita in un Tempo Nuovo" (Martin Ahrends, Sonderbare Begegnungen), e vista la buona messe letteraria riscontrabile già alla fine del primo decennio dopo la svolta, si può ritenere con ottimismo che il processo di chiarimento storico e di rielaborazione poetica appena iniziato ci offrirà ancora altri testi di narrativa assai intensi nella loro duplice valenza etica ed estetica.