- Lorella
Fontana
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- CHRISTA
WOLF: MEDEA STIMMEN
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- La mia analisi del romanzo Medea.
Stimmen (Medea. Voci), l'ultima fatica letteraria di
Christa Wolf apparsa nel 1996, si incentra su una lettura
dell'opera vista essenzialmente come riflessione sul potere,
sull'origine della violenza colta nella fase di passaggio da un
mondo primitivo a una società più
avanzata.
- Accenno soltanto invece, senza
approfondirli, ai motivi che avvicinano il romanzo alle tesi
del femminismo teorico: il presupposto stesso del libro esclude
con forza che Medea, in quanto figura di spicco di un universo
socio-culturale segnato ancora dal matriarcato, possa essere
vittima di passioni distruttive, possa cioè essere
un'infanticida. In questo senso la vicenda di Medea
rappresenta, per dirla con le parole usate da Wolf in una
lettera a Heide Göttner-Abendroth, "l'addomesticamento e
lo sfatamento della donna in seguito alla conquista di
territori che avevano struttura matriarcale" (Wolf: 1999, 38) -
conquista maschile, naturalmente.
-
- Questa tematica è strettamente
legata però nel romanzo all'indagine sulle ragioni che
spingono interi gruppi di persone a demonizzarne altri e
sull'incapacità di coloro che rappresentano i valori
vincenti di prendere anche soltanto atto dell'esistenza di
obiettivi e ideali diversi dai loro. Del resto questa è
esperienza tedesca recente.
-
- Penso poi che con Medea Christa
Wolf abbia in parte cominciato a ripensare il proprio vissuto,
la propria storia personale e politica di cittadina della
Repubblica Democratica Tedesca, paese in cui si è
formata, alla cui importanza storica ha creduto, per poi
prendere, con sempre maggiore disincanto, le distanze dalla sua
cultura di potere e dai suoi governanti, senza con ciò
abbandonare l'idea di poter costruire una società
democratica improntata a valori socialisti.
-
- A volte può davvero giovare
andarsene a centinaia di chilometri di distanza, oppure
arretrare di secoli, in un passato che conosciamo solo
attraverso saghe e miti, per vedere cosa ci si può
trovare; senza illudersi sul fatto che avremo sempre con noi
un bagaglio di cui non ci potremo sbarazzare: noi stessi.
Qualunque cosa sia che afferriamo nel mercato apparentemente
'libero' dei temi e dei motivi, ci ritroveremo in testa,
nelle mani, solo ciò che riguarda la nostra testa,
solo ciò per cui la nostra mano è stata
formata (Wolf: 1999, 16),
-
- affermò Wolf nel suo intervento
al Convegno "Dalla parte di Medea. Incontro con Christa Wolf e
con la sua opera" organizzato nel maggio 1997
dall'Università di Vercelli.
-
- Così a più di un
decennio dalla pubblicazione di Cassandra, Wolf con
Medea mette nuovamente al centro della sua narrativa una
figura dell'antichità lasciando però affiorare
attraverso i gesti di un personaggio del mondo greco i problemi
del nostro tempo. È la stessa scrittrice a suggerire che
la vicenda di Medea non si risolve nel passato e che la sua
storia va letta anche come parabola della
contemporaneità; nella premessa alla lettura, infatti,
Medea appare come: "la figura dal nome magico nella quale i
tempi si incontrano, processo doloroso. Nella quale il nostro
tempo ci incontra" (Wolf: 1996, 9-10).
-
- La distanza temporale tra l'oggi della
scrittrice e il passato mitologico si annulla in una scrittura
che vuole mettere in luce come la nostra civiltà nei
momenti di crisi profonda e di grandi rivolgimenti ricorra a
modelli di comportamento sempre uguali: mandare in esilio,
emarginare l'estraneo - soprattutto se donna -, trasformare il
diverso in capro espiatorio; questo accade a Medea, a cui la
città di Corinto uccide i figli condannando poi la
"barbara della Colchide" all'esilio.
- Bandita dalla comunità dove
aveva trovato rifugio al seguito dell'argonauta Giasone dopo
aver abbandonato la sua terra d'origine, Medea verrà
trasformata nella tradizione letteraria greca che va da
Euripide in poi in portatrice di sventura e soprattutto in
assassina dei propri figli. Nelle fonti antecedenti il V secolo
a. C. la figlia del re della Colchide era invece rappresentata
soprattutto come dea, sacerdotessa e guaritrice, ruolo
suggerito anche dalla radice etimologica del suo nome, "colei
che sa consigliare".
-
- Il ribaltamento del personaggio da
figura positiva a donna malvagia avviene per opera del potere
politico di Corinto che, vivendo di mistificazioni, alimenta
immagini nemiche fino ad arrivare a un folle disconoscimento
della realtà; così Medea emarginata da una
società intollerante che distrugge i suoi affetti e
arriva all'estrema ferocia di lapidarne i figli, diventa nella
storiografia ufficiale di Corinto e nella successiva tradizione
letteraria (complice, si dice, la corruzione di Euripide,
sensibile ai talenti d'oro corinzi) una pazza incendiaria che
dà fuoco alla città, provoca la morte di Glauce,
la rivale che Giasone intende sposare per ottenere il trono di
Creonte, e infine uccide i suoi stessi figli pur di punire il
marito.
-
- La violenza delle istituzioni di
Corinto, l'incapacità dei suoi abitanti di accogliere e
integrare una cultura non incline alla violenza, la tendenza a
concentrare i segni negativi su una unica figura non sono
però una particolarità della città greca;
il regno del pavido Creonte assomiglia infatti molto ai sistemi
di potere del nostro tempo. Così Christa Wolf nel
recuperare la verità della fabula sfrattando la
mistificazione del poeta di Salamina, nel riaprire cioè
il "caso Medea", intende sì rendere giustizia alla
creatura del mito, ma vuole anche avviare una riflessione sulle
contraddizioni del suo tempo e in particolare del recente
passato tedesco. Il "caso Medea" non può infatti non
richiamare alla mente il "caso Wolf" e la campagna di
diffamazione promossa dalla stampa occidentale nei confronti
degli intellettuali tedesco-orientali dopo l'apertura degli
archivi della StaSi.
-
- Alle "Voci", ritmo e scansione della
narrazione, spetta l'opera di testimonianza e il ricordo dei
fatti di cui Medea è stata vittima; la rievocazione
riaccende le passioni, suscita dolore e partecipazione, fa
rivivere l'inganno, le trame di palazzo. Una lingua densa e
lucida dà forma alle visioni dei protagonisti (Medea,
Giasone e il coro che qui prende corpo nelle persone di
Agameda, un tempo allieva di Medea, Acamante, primo astronomo
di Creonte re di Corinto, Leuco, secondo astronomo, e Glauce,
figlia del re e nuova sposa di Giasone); nei loro racconti si
riflettono molteplici modi di percepire il mondo e se stessi in
rapporto agli altri; tra questi, come rimedio allo sfregio
della menzogna, emerge con forza la verità di Medea il
cui solo esistere al mondo costituisce una provocazione per il
palazzo, sede del potere.
-
- Con la "voce" di Medea si apre il
primo dei dieci monologhi; attraverso le parole indirizzate
alla madre lasciata nella Colchide, in un dialogo immaginario,
Medea descrive la società corinzia che appare agli occhi
del lettore molto simile alla società
tedesco-occidentale di oggi nel suo sfrenato desiderio di
ricchezza e nella corrispondenza tra censo e dignità
della persona (Wolf: 1996, 37).
-
- Se si utilizzano le società
primitive come modello di interpretazione del presente viene
infatti spontaneo leggere le vicende del romanzo sullo sfondo
del confronto Germania Ovest/Germania Est, e contrapporre
quindi all'avidità e alla mercificazione dominanti nella
potente Corinto, leggi Repubblica Federale, l'arretrata
società della Colchide, città-stato dell'est,
leggi RDT, in cui gli esseri umani sono ancora rispettati per
quello che sono e non per ciò che possiedono; nella
Colchide infatti si è conservato vivo il ricordo di una
precedente condizione felice di matriarcato, mentre a Corinto
già da tempo governa il patriarcato. Ma l'uccisione di
Apsirto, fratello di Medea, per mano del padre Eete, re della
Colchide, è un crimine che istituisce un parallelo tra
la violenza patriarcale della città-stato e quella di
Corinto, regno che si fonda a sua volta sulla ferocia maschile
e cioè l'assassinio da parte di re Creonte della figlia
primogenita Ifinoe. Entrambi i sovrani per timore di perdere il
loro potere si trasformano in criminali e come Merope, regina
di Corinto, anche Idia, madre di Medea, deve subire questa
inaudita violenza contro la propria carne. Il misfatto compiuto
da Eete getta quindi una luce sinistra anche su quella
società dell'est, terra di Medea, e indirettamente su
quella parte di Germania da cui proviene Christa Wolf. Medea
abbandona così la propria patria perché incapace
di condividere le ragioni di un sistema di potere che si fonda
sulla brutalità e sulla menzogna. Dopo aver scoperto la
complicità del re nell'assassinio del fratello, Medea
sente spezzarsi ogni vincolo di fedeltà verso il padre e
il suo modo di governare, non si riconosce nemmeno più
nei principi ispiratori di quella società; per questo
decide di aiutare Giasone a procurarsi il vello d'oro
ingannando la sua gente.
-
- Approdata a Corinto, deve però
scoprire che la fuga la introduce in una situazione speculare a
quella che si è lasciata alle spalle, anzi in una
realtà più degradata perché non conosce
rimorsi, né sussulti di coscienza; mentre Eete infatti
ha conservato un ultimo sentimento di vergogna per il gesto
compiuto e non osa guardare la figlia negli occhi durante i
funerali di Apsirto, Creonte non abbandona la sua insolente
aria di sfida. A Corinto si è persa finanche la
consapevolezza del gesto compiuto; la società greca
rispetto alla colca è più evoluta, ma anche la
menzogna ha raggiunto gradi di maggiore raffinatezza: "sono
maestri nel mentire, anche nel mentirsi" (Wolf: 1996, 111) -
afferma Medea. E allora in lei affiorano prepotenti i dubbi e
cresce la convinzione che il suo luogo non sia né la
primitiva Colchide, né il patinato mondo
greco:
-
- Non c'è più ragione a
cui la coscienza possa far riferimento (...) Siamo al punto
che per il mio modo di stare al mondo non c'è
più un modello, o non ne è ancora nato uno,
chissà (Wolf: 1996, p. 177).
-
- Difficile non pensare che queste siano
le parole con cui Christa Wolf scrittrice descrive la propria
situazione esistenziale dopo gli accadimenti seguiti alla
caduta del muro e ancora la "voce" dell'autrice sembra
sovrapporsi al personaggio fittizio di Medea nell'amara
constatazione che "su questo disco che chiamiamo terra non
esistono (...) altro che vincitori e vittime" (Wolf: 1996,
113). Il rimpianto per la terra dell'est è allora
travolto dai ricordi amari della vita nella Colchide: Medea
rievoca il proprio disagio, quello della madre e del fratello e
di molti altri concittadini per il modo di governare di Eete,
ripensa alle riunioni clandestine al tempio - inevitabili le
associazioni con la fase che ha preceduto la svolta del 1989
nella Repubblica Democratica Tedesca quando le chiese
diventarono punto di incontro per i cittadini su posizioni
critiche. Le richieste poi dei colchi che i tesori della
città venissero usati per migliorare l'esistenza dei
contadini, il loro desiderio di vivere in una società
fondata su equità e armonia, un modello da cui si erano
allontanati nel corso degli anni, richiamano alla mente la RDT
e gli ideali che ne avevano animato la fase iniziale, quella
della costruzione del "primo stato socialista su suolo
tedesco". È il senso della proprietà che i
concittadini di Medea, memori delle antiche tradizioni, sentono
ancora come estraneo e che marca la differenza sostanziale tra
il regno della Colchide e Corinto, società per il resto
molto simili anche se il regno dell'est segna il passo rispetto
allo sviluppo della città greca - e nuovamente nel
lettore incalza il paragone con la Germania di
oggi.
-
- Il pensiero corre poi con angoscia
all'assassinio del fratello e allora con estrema
sincerità Medea riconosce che il crimine contro Apsirto
è stato facilitato da un clima di collaborazione da cui
lei stessa non si chiama fuori; la donna sente il peso di una
complicità originata nel non essersi ribellata prima,
nell'avere in passato rimosso i segnali di sventura e nel non
avere capito che proprio nel tentativo di riportare la
società colca all'antico modello era insito il
deragliamento nella brutalità; Apsirto viene infatti
ucciso in ossequio agli antichi costumi che prescrivevano che
nello stesso regno non potessero convivere il sovrano e un suo
sostituto e Apsirto era stato astutamente nominato da Eete suo
vice. "E da allora mi è rimasto un ribrezzo per quei
tempi antichi e per le forze che liberano in noi e che poi non
sappiamo più padroneggiare" (Wolf: 1996, 103) - dice
Medea e anche questa suona come un'autocritica di Wolf circa la
sua storia personale, ma soprattutto politica. La scrittrice
stessa in un'intervista rilasciata al Tagesspiegel nel
1996 proprio a proposito del romanzo Medea rievoca le tappe
fondamentali del suo impegno politico ricordando come la sua
fede nel sistema della RDT si spezzò definitivamente nel
1965 all'XI plenum del partito, ma anche come la speranza di
una sua modificabilità continuò ad accompagnare
la scelta di Wolf di rimanere a Est fino alla fine.
-
- Dal dolore per la perdita del fratello
Medea trae quindi una dura lezione, e cioè che non si
possono rimuovere liberamente i tasselli della propria
esperienza per ricostruirsi una biografia accettabile; questa
disinvoltura nel procedere con la memoria della propria storia
personale verrà rimproverata a Medea da Agameda, la sua
ex-allieva che l'ha seguita fino a Corinto dove, sentendosi
tradita, vive ora piena di livore contro la sua antica maestra
e con l'unico scopo di arrecarle danno perché: "che
voglia o non voglia sentirselo dire, si concede troppi vuoti di
memoria" (Wolf: 1996, 73). Anche in questo caso il riferimento
alla crisi vissuta da Wolf dopo la caduta del muro appare
evidente; sembra che la scrittrice stia parlando della propria
difficoltà a ricordare i contatti con la StaSi
degli anni '50, una rimozione svelata ora in forma letteraria.
Credo che si possa dire che Wolf con questo romanzo abbia
tenuto fede a una sua dichiarazione del 1993:
-
- Quando potrò, se mai
potrò scrivere ancora una volta un libro, su un
personaggio distante, d'invenzione; la protagonista sono io
stessa, in altro modo non va, sono esposta, mi sono esposta
(Wolf: 1995, 80).
-
- Il disincanto raggiunto da Medea dopo
l'atroce esperienza dell'assassinio del fratello la accomuna
invece ad Acamante, primo astronomo e consigliere del re di
Corinto, ma mentre la vigile Medea si interessa continuamente
di ciò che accade intorno a lei e il suo è un
agire nella polis in virtù del buon senso, della
forza positiva delle donne in nome del rispetto dell'umano
sentire e della vita ed è quindi anche un agire politico
critico, Acamante soffre di una indifferenza esistenziale che
lo rende soggetto ideale per servire il potere e al contempo
essere usato da esso, egli è l'intellettuale
perfettamente organico al sistema.
-
- Per Acamante la misura di ogni azione
è data dall'utilità, ciò che è
utile coincide con ciò che è giusto, non
c'è scollamento tra ciò che serve e ciò
che è intrinsecamente buono; Medea contesta invece
questa visione strumentale del mondo e vi contrappone un modo
di essere, estraneo ai corinzi, ma anche alla sua stessa gente,
o per lo meno ai suoi governanti, fondato su una stretta
alleanza tra azione e pensiero, non piegato all'ossequio e
all'obbedienza, un modo di essere ricco e pieno che rappresenta
una forma di resistenza di fronte all'ambiguità e alle
manipolazioni del potere.
-
- La straniera selvaggia e coraggiosa,
dotata di una passionalità lucida e sincera, mantiene
una vitalità nutrita di una conoscenza del mondo che
è anche istinto, capacità di vedere oltre il velo
della menzogna, espressione di un sapere del corpo ereditato
dall'ordine materno che in Colchide ha ancora diritto di
cittadinanza e che il primo astronomo del re trova inquietante
nonostante il suo tentativo di ridicolizzarlo.
-
- Acamante riconosce comunque che il suo
ruolo lo spinge a un totale azzeramento di se stesso e della
propria individualità; egli esercita una funzione
opposta a quella di Medea che rifiuta invece la separazione tra
pubblico e privato. L'agire politico di Acamante è
ispirato dalla necessità oggettiva a cui egli subordina
ogni considerazione o sentimento personale:
-
- Non sempre ciò che è
necessario ci piace, ma mi ha segnato in modo indelebile il
fatto che, in ottemperanza agli obblighi del mio ufficio, io
abbia dovuto decidere non in base al mio piacere ma in base
a un superiore punto di vista (Wolf: 1996,133).
-
- In questa figura di spicco
dell'intellighenzia di Corinto è rappresentato al meglio
il rapporto tra il potere politico e i suoi mediatori culturali
che funzionano qui da mistificatori della realtà. A
Corinto questo accade con l'assassinio di Ifinoe taciuto alla
popolazione e noto solo alla famiglia reale e a una stretta
cerchia di collaboratori, tra cui Acamante, ma individuato da
Medea grazie al suo sguardo capace di scrutare oltre l'inganno.
Di fronte a Medea che sostiene l'indispensabilità della
verità, Acamante difende la menzogna, il crimine e il
suo occultamento che ha permesso al popolo di Corinto, una
massa dagli istinti incontrollabili che l'intellettuale
disprezza profondamente, di vivere ignaro e felice - e
manipolato.
-
- Questo stravolgimento della
realtà piegata dal sistema ai propri fini trova il suo
compimento nella trasformazione di Medea in donna malvagia;
l'operazione riesce grazie all'appoggio dei giovani
intellettuali della città: il calcolatore Turone,
allievo di Acamante, Agameda, l'antica amica di Medea e Presbo,
anch'egli originario della Colchide, tenuto in grande onore a
Corinto per la sua capacità di organizzare giochi e
feste per dei in cui non crede - una generazione di giovani
ambiziosi e opportunisti, servi del potere politico, con
l'unico traguardo della carriera e del successo personale e la
cui mancanza di scrupoli non può nemmeno più
addurre a scusante la necessità oggettiva, come era
accaduto per la generazione di Acamante: "certe volte mi
sembrano giovani animali selvatici che vagano per la giungla
fiutando la preda a froge dilatate" (Wolf: 1996, 133-34),
così Acamante confida le sue perplessità a Leuco,
secondo astronomo del re Creonte, della stessa generazione di
Acamante, ma che ha compiuto una diversa scelta di
vita.
-
- In lui Christa Wolf tratteggia
un'altra figura di intellettuale, diffusa soprattutto a Ovest,
ma conosciuta anche ad Est: colui che ha deciso di sottrarsi ai
giochi di potere e alle strumentalizzazioni politiche e che
volutamente si astiene da ogni interpretazione della
realtà; Leuco è lo scienziato puro il cui compito
si esaurisce nell'osservazione degli astri e nella compilazione
di mappe astronomiche. La sua decisione di non essere complice
non lo porta però su posizioni apertamente critiche, la
sua lucidità e autonomia di giudizio non lo spingono
alla ribellione contro il palazzo, ma lo condannano
all'impotenza.
-
- Dovrò assistere a tutto.
Questa è la mia sorte, dover assistere a tutto,
capire tutto e non potere far nulla, come se non avessi le
mani. Chi usa le mani, deve sporcarsele di sangue, che lo
voglia o no (Wolf: 1996, 163).
-
- Per paura delle "mani insanguinate"
decide di non muoversi dalla terrazza della sua torre, ma la
sua non partecipazione è una forma di complicità
indiretta, poiché egli non fa nulla per risparmiare a
Medea il suo destino, pur avendo perfettamente inteso cosa si
sta preparando; così come non si oppone alle false
interpretazioni della volta celeste confezionate a bella posta
da Acamante per compiacere il sovrano di Corinto; e non
interviene nemmeno per impedire il sacrificio di Ifinoe di cui
aveva avuto sentore; anzi di fronte a Medea cercherà
nella sua posizione marginale e nel processo di rimozione
subentrato dopo l'assassinio della giovane figlia del re una
debole giustificazione per il suo non-agire - un tentativo di
chiarimento che ricorda le spiegazioni fornite da molti
intellettuali della ex-RDT quando furono messi sotto accusa dai
colleghi occidentali e dalla pubblica opinione:
-
- io cerco di spiegarle che
c'è una scala progressiva nella consapevolezza, ero
al corrente sì, ma fino a un certo grado, nessun
dettaglio. E poi di nuovo ho dimenticato. Che altro avremmo
potuto fare, le chiedo (Wolf: 1996, 163).
-
- a questo interrogativo Medea non sa,
significativamente, trovare risposta.
-
- Leuco, ancor più che Acamante,
diffida dei giovani; lui, che a parere di Acamante si considera
la coscienza critica del paese per il fatto di essersi
sottratto alla collaborazione, sente che tra la sua generazione
e la loro si è scavato un solco di incomprensione. Wolf
che, non si accontenta però delle soluzioni facili,
spinge oltre la riflessione sulla condizione dell'intellettuale
rendendo plausibili perfino i comportamenti della giovane
generazione; così Turone appare schietto quando davanti
ad Acamante sostiene la necessità di adeguarsi alla
legge della giungla che vige a Corinto essendo impossibile per
un giovane di talento, quale lui si considera, arrivare in alto
onestamente, rispettando regole e imperativi morali sconosciuti
nella città greca. E come non capire Agameda che,
perfettamente integratasi a Corinto, non riesce a condividere i
sentimenti di quei vecchi profughi, addolorati e irrigiditi,
che si consumano nel rimpianto per la loro
Colchide:
-
- questi colchi della vecchia
generazione, quando seggono assieme. Quando confabulano
sulla piazza del loro quartiere, che hanno organizzato come
una Piccola Colchide impermeabile a ogni cambiamento, e con
le storie che si sussurrano fanno sorgere una Colchide
meravigliosa che su questa terra non c'è stata mai e
in nessun luogo (Wolf: 1996, 76).
-
- Questi rifugiati intristiti richiamano
alla mente quei cittadini della ex-RDT affetti da Ostalgie
che provano cioè nostalgia per lo stato che non
c'è più che aveva garantito loro
un'identità forte e un'appartenenza; sono cittadini dei
nuovi Länder che rimpiangono il passato di cui
hanno idealizzato alcuni aspetti perché nel presente
della Germania unita non riescono a trovare una collocazione. I
vecchi colchi, ma in fondo anche Agameda e Presbo, per quanto
apparentemente diversi dagli anziani, tradiscono lo stesso
atteggiamento di fondo verso la nuova patria e i suoi abitanti,
si comportano cioè da "colonizzati", per usare
un'espressione con cui Christa Wolf ha definito la condizione
dei suoi concittadini nella nuova Germania:
-
- D'altronde il dato di fatto della
colonizzazione si realizza solo quando 'i locali' si
comportano da colonizzati: tra resa incondizionata ai nuovi
portavoce e orgoglio infantile (Wolf: 1995,
101).
-
- I colchi, privi della sicurezza delle
radici, sono fragili ed esposti all'insensibilità che la
società corinzia riserva loro. Del resto anche la fiera
Medea che cammina per Corinto a testa alta si sente ferita
quando per la prima volta sente chiamare i colchi "profughi":
"fu un colpo" - dice - "Di certa suscettibilità poi mi
sono tolta il vizio" (Wolf: 1996, 36).
-
- L'iniziale indifferenza dei corinzi
verso gli stranieri, anzi un certo compiacimento per lo stupore
con cui i colchi guardano al loro benessere, ricorda
l'atteggiamento assunto dai cittadini tedesco-occidentali nei
confronti dei cugini orientali nei primi momenti seguiti alla
caduta del muro. Solo in un secondo tempo, quando la situazione
economica cambia e Corinto si trova in difficoltà, i
suoi cittadini, così come i tedesco-occidentali di
fronte al conto della riunificazione, diventano ostili verso i
nuovi venuti. La luminosa città greca mostra allora la
sua faccia terrificante e rovescia la sua rabbia sorda contro
gli ultimi arrivati.
-
- Corinto non è il riparo dalla
violenza in cui i colchi confidavano e Medea avverte con grande
sofferenza di non essere parte né della realtà
colca, né di quella greca; sa di non avere alternativa,
di essere in trappola, capisce che non verrà
risparmiata; a dire il vero una via di uscita ci sarebbe,
vivere ai margini, quasi in clandestinità come Oistros,
lo scultore nuovo compagno di Medea il cui amore dona alla
donna una rinascita dalla disperazione e come Aretusa, l'amica
di Medea, nativa di Creta e quindi anch'essa straniera a
Corinto; Oistros e Aretusa coltivano un'esistenza creativa,
interiormente libera, fondata sulla solidarietà e
sincerità dei rapporti umani, lontana dal palazzo e dai
suoi giochi di potere. Il loro stile di vita ricorda quello del
"sottosuolo" tedesco-orientale e tedesco-occidentale che cresce
senza essere influenzato dal potere economico
tedesco-occidentale, cioè dal "Grande Mago" per usare
una definizione di Wolf.
-
- Medea però, come Christa Wolf,
non accetta la soluzione dell'invisibilità, lei vuole
esserci e non può sottrarsi al mondo a cui sa guardare
con quella "seconda vista" che le permette di sondare l'animo
umano oltre le finzioni. In lei non c'è contraddizione o
disarmonia, il suo animo è in pace, la sua mente
è tutt'uno con il suo corpo perché, come osserva
Leuco,
-
- la frattura non passava attraverso
di lei, ma si spalancava tra lei e quelli che l'avevano
calunniata, condannata, che la sospingevano attraverso la
città, che la insultavano e la coprivano di sputi
(Wolf: 1996, 224).
-
- Così la "barbara della
Colchide" non viene a patti con il palazzo, non si assoggetta
alle sue regole, ma sceglie la visibilità, la pienezza e
la totalità dell'essere; il suo stare al mondo
testimonia ai corinzi e ai suoi governanti la loro viltà
e inettitudine; Medea fa affiorare le contraddizioni che loro
tentano di seppellire assumendo su di sé lo stesso
compito che Christa Wolf crede, negli anni '90, di dover
assegnare alla letteratura e cioè non più la
capacità di cambiare il mondo o modificarne un aspetto,
come spesso era accaduto nell'universo letterario chiuso della
RDT, ma la forza per aprire gli occhi al singolo, per agire
sulle coscienze e spingere alla riflessione. Le società
in crisi, antiche o moderne che siano, però non
tollerano chi non si integra e in Medea viene
smascherato proprio il meccanismo che spinge alla emarginazione
del diverso, dello straniero; e alla fine gli abitanti di
Corinto si mostrano per quello che sono,
-
- un popolo di miseri traviati che
sapevano liberarsi della paura della peste e della minaccia
dei moti celesti e della fame e dei soprusi del palazzo solo
scaricando ogni responsabilità su quella donna (Wolf:
1996, 225).
-
- al punto che per Medea, come anche per
Christa Wolf oggi, è lecita e naturale la domanda con
cui si chiude l'opera:
-
- In quale luogo, io? È
pensabile un mondo, un tempo, in cui io possa star bene? Qui
non c'è nessuno a cui lo possa chiedere (Wolf: 1996,
236).