Donatella Dolcini
 
 Francesco d'Orazi Flavoni, Storia dell'India.
Società e sistema dall'Indipendenza ad oggi,
Venezia, Marsilio, 2000
 
 
In un altro suo libro (I Rabari, Roma, Stampa Alternativa,1998), Francesco d'Orazi Flavoni (1946-2000) definisce se stesso come un
 
profano, che, nello sforzo di fissare immagini (l'opera contiene un ricco apparato fotografico), ha vissuto nell'animo, con crescente consapevolezza, quell'avventura segreta che era immergersi in una dimensione di vita così lontana e aliena, eppure così istintivamente da amare: e mai smettendo di tentare di vedere e di sapere di più (p. 15).
 
Frase che ben si adatta anche ad una dichiarazione programmatica più generale riguardo a tutti i suoi scritti sull'India, il fascinoso e stimolante Paese in cui per circa quindici anni (dal 1985) egli ha svolto varie funzioni diplomatiche di alto livello.
 
Tale suo doppio coinvolgimento e di ricercatore e di politico gli ha permesso di redigere questa panoramica della storia indiana dal 1947 all'ottobre del 1999 (nuovo governo Vajpayee dopo le tredicesime elezioni politiche generali), che ha ben pochi eguali nella saggistica italiana, quasi sempre, almeno fino agli ultimi venti-trent'anni, poco plasmata su una visione propria degli autori, spesso, invece, per lo più imitativa di quella anglosassone. Certamente il Nostro si è documentato su una cospicua serie di lavori altrui (indiani, inglesi, francesi, americani ed anche italiani), come dimostra la ricchezza della bibliografia riportata in coda al testo, ma si avverte in ogni pagina che sua è la testa pensante, suo il modo di presentare personaggi e situazioni, suoi l'interpretazione e il giudizio finale. A lui, insomma, non basta leggere la narrazione delle vicende e prendere atto della testimonianza dei documenti per essere pronto a stendere un'ennesima, forse scolastica versione di quanto ha movimentato la vita del subcontinente da quel fatidico 15 agosto 1947; a lui occorre anche, "con crescente consapevolezza", dare sfogo a quel suo "istinto di amare (...) una dimensione di vita così lontana e aliena". Eccolo, infatti, corredare sempre la descrizione di un avvenimento o del comportamento di un protagonista politico o dell'intreccio di trame locali e internazionali o della disposizione di forze e tendenze nello scacchiere mondiale, con un'analisi - corretta e puntuale - del retroterra culturale (ed in primis religioso), storico e sociale da cui quella precisa situazione ha tratto origine nel subcontinente. Fedele al suo impegno di trattare gli ultimi cinquant'anni di storia dell'India (e già ci sono volute quasi quattrocento pagine), il d'Orazi Flavoni non spreca così spazio nemmeno per fornire qualche breve cenno sul pur ricchissimo passato del Paese, ma, forse memore delle curiosità via via scoperte e soddisfatte per se stesso, mostra una rara capacità di cogliere il momento giusto per legare in una logica spiegazione la temperie presente a quella remota, evitando al lettore crisi improvvise di confusione o addirittura scoraggiamento davanti a sconfortanti intrichi di nomi, di luoghi, di costumi "distanti e alieni". Si veda, per esempio, come in poche frasi abbia saputo tratteggiare con la massima esattezza il filo conduttore di tutto il comportamento indiano nel corso della millenaria storia di quella cultura:
 
(...) il Congresso aveva colto i connotati fondamentali della società indiana e ne teneva conto nel gioco politico: la marginalità della "classe" in un contesto che rimaneva prevalentemente pre-moderno e contadino; la frammentazione in caste della maggioranza hindu; la decisiva importanza elettorale delle minoranze non-hindu.
Beninteso, non si perdeva occasione per ribadire la fedeltà ai grandi precetti del laicismo, della democrazia, dell'impegno per il progresso. Ma poi tutto sfumava in un'azione inesauribile di compromesso, di ricerca del consenso, di costruzione di "coalizioni di interessi", di adattamento alle diverse esigenze: un approccio, appunto, il meno dottrinario possibile, talora flessibile fino al cinismo, che, nel bene e nel male, tradiva una trasposizione impressionante della psicologia indiana (o, meglio, hindu) e della capacità di accettare e far coesistere le opinioni e le ideologie più diverse (p. 43).
 
Un pugno di righe e di parole chiave (contesto contadino, frammentazione in caste, compromesso, ricerca del consenso, coalizioni di interessi, capacità di accettare e far coesistere) ed ecco l'India intera balzare davanti agli occhi, dalle lontane vicende avvolte nel mistero di venti secoli prima di Cristo agli anni tra il 1947 ed il 1967, quelli dell'affermazione del "sistema del Congresso" nel Paese da poco indipendente.
 
E sono proprio questi passaggi che paiono sul punto di sconfiggere la buona volontà del lettore, ma che subito virano verso acque più tranquille, cioè verso l'illuminante richiamo ad un sostrato antico (o meno recente) che determina le caratteristiche del fatto in questione, sono proprio questi punti, dunque, a costituire il fascino maggiore della storia raccontata dal Nostro. Non pedanteria, insomma, né arido e schematico accademismo, ma un continuo rimando dall'attuale all'antico e viceversa, dalle sfere mondane a quella - imprescindibile e onnipervadente - della religiosità, con una tecnica che, a ben guardare, riproduce esattamente quei ritmi e modi fondamentali e peculiari proprio dell'estrinsecazione della civiltà indiana in ogni epoca, che si possono riassumere nei termini occidentali del "nulla si crea e nulla si distrugge".
 
Questa maniera di presentare l'assunto finisce per assolvere ad una doppia funzione: da una parte fa sì che, superata la solennità e la gravità del titolo, la lettura del testo si sveli sempre più piacevole e avvincente a mano a mano che si procede nell'affollato e movimentato palcoscenico della vita politica, sociale, economica dell'India odierna (ed alla riuscita dell'opera in questo senso concorre la brillantezza della lingua, ben lontana, nella ricca scelta di parole e costrutti, dalla banalità e dalla piatta sciatteria con cui l'imperante gergo dei mass media ci sta abbrutendo. Peccato il gran numero di refusi!); dall'altra - e con un'importanza senza dubbio maggiore, dato che di un lavoro storiografico si tratta - colma le lacune che la troppo ravvicinata prospettiva storica finirebbe per comportare. Infatti, quando l'esposizione di date e dati fa temere uno scadimento nel cronachistico, l'apertura di una finestra sul sempre vitale e vitalizzante passato del Paese fornisce una chiave interpretativa, forse a volte opinabile o passibile di smentite nel tempo, ma, nell'attuale stato delle cose, nel complesso accettabile e, soprattutto, chiarificatrice.
 
Un'India, dunque, quella del d'Orazi Flavoni, raccontata perché vista e vissuta dall'interno; diventata "sua", insomma, in un processo di appropriazione del tutto simile nel risultato a quello che conferisce consapevolezza, e perciò autorevolezza, alla penna dei già ricordati eredi di una lunga consuetudine di presenza colonialistica nel subcontinente.