Annalisa Oboe PERCORSI GOTICI NELLA MASTER SERIES DI MUDROOROO - Lo scrittore australiano Mudrooroo è una figura d'intellettuale scomodo, controverso e contestato che da anni ormai contribuisce, con la vita e le opere, ad alimentare il dibattito contemporaneo su questioni quali la definizione dell'identità personale e culturale, il rapporto con la storia, le responsabilità e il peso dell'Occidente sul passato e il presente di gran parte del resto del mondo. Né bianco né nero, a un certo punto della sua esistenza travagliata Mudrooroo ha scelto l'aboriginalità come patria. L'affiliazione è culturale, giocata sulla scoperta personale dell'altro in se stesso e nella collettività, e si articola in un lungo lavoro di identificazione che produce testualmente la cultura stessa, in quanto lo scrittore è tra i primi autori aborigeni a pubblicare non solo romanzi, ma anche testi teorico-critici sull'aboriginalità. Dapprima osannato e poi aspramente condannato per questa presa di posizione, lo scrittore si è trovato, a metà anni '90, a sperimentare una profonda crisi d'identità che lo ha visto ancora una volta diventare altro a se stesso ed essere ostracizzato anche da quella comunità aborigena che aveva contribuito a rendere visibile. La sua vicenda può essere letta come emblema degli effetti ancora devastanti della colonizzazione ed è prova di quanto gli atteggiamenti di stampo essenzialista che sottendono alla formazione di identità etniche siano duri a morire non solo nella cultura australiana di derivazione europea ma anche in quella indigena, entrambe dimentiche del fatto che in un contesto (post)coloniale le identità sono inevitabilmente predicate sui margini fra culture e che, come ha sottolineato Homi Bhabha, sono spesso il prodotto di un atto (sociale ma anche narrativo/testuale) di sopravvivenza.
Le opere più recenti di Mudrooroo, in particolare i romanzi della cosiddetta Master series 1, intervengono con forza nel dibattito che si è creato attorno alla figura dell'autore: attraverso l'uso di immagini, situazioni e personaggi gotici offrono prospettive nuove - a volte raccapriccianti, più spesso stimolanti -, proprio sullo storico incontro fra europei e aborigeni su suolo australiano, offrendo così punti di vista alternativi sul rapporto fra cultura occidentale e culture altre, sulla questione dell'ibridismo e forse anche dell'identità densa, stratificata, di Mudrooroo quale indigeno ma anche non-indigeno in Australia. Spostandosi agevolmente da un romanzo all'altro, cerimonie occulte, animali magici, stregoni, spiriti, vampiri, atmosfere da brivido danno vita a un lungo discorso di orrore che fa riferimento esplicito alla tradizione culturale e letteraria occidentale, ma che è al contempo strumento efficace di revisione di posizioni ideologiche riguardanti la storia e l'identità che da quella matrice provengono.
- Il gotico viene preso in considerazione da Mudrooroo innanzitutto per il suo impiego nella costruzione occidentale dell'altro, cioè per l'uso che ne è stato fatto in rappresentazioni coloniali. Quando parlo di 'gotico' mi riferisco ai termini generali del discorso gotico piuttosto che a un genere letterario specifico, all'insieme di pratiche implicite nel genere 'horror', che contiene anche quelle immagini e quei discorsi di orrore applicati alla raffigurazione dell'altro nella colonizzazione, intrise com'erano di evocazioni del demoniaco, dell'innaturale, del selvaggio visto come negazione dell'umano - il gotico dunque come un insieme creativo e inconscio di immagini (Lloyd Smith: 1996, 6-19), legate all'idea del non-dicibile, dell'innominabile, a ciò che si teme ma che anche attrae e suscita stupore e incredulità, che hanno fornito storicamente una struttura-filtro per percepire il non conosciuto come un orrore da temere e da tenere sotto controllo (Hodge and Mishra: 1990). Il diverso, lo straordinario, l'insolito o il prodigioso sembrano essere il fattore che determina la natura duplice di repulsione e attrazione del discorso gotico, che è implicitamente ambiguo, in quanto gli atti e gli esseri innominabili che immagina risultano essere legati a desideri e fantasie segrete. Come ha spiegato Terrie Goldie, nel gotico coloniale "the pleasure of violence is kept without, in the bloodthirsty Aborigine, but flickering within, as the white text represents the blood to appease the almost-mastered thirst of the white reader" (Goldie: 1989, 89).
- Mudrooroo gioca con questa paradossale ambiguità del gotico - il ribrezzo e il desiderio, la paura e la tentazione - e non è un caso che per raccontare la sua versione della colonizzazione abbia pensato proprio a questa forma discorsiva che è già di per sé un contro-discorso, caratterizzato da una resistenza sovversiva al razionale e un'avvicinamento agli istinti più segreti. Si può dire che il suo progetto creativo condivida con il gotico la volontà di decostruire concetti di conoscenza scientifica e razionalità di derivazione illuministica, aprendo a realtà diverse che sono contigue al sogno, alla pulsione erotica, al sovrannaturale, all'inconscio.
- Ma se da un lato il gotico può essere usato come discorso oppositivo nei confronti della costruzione dell'europeo come superiore e razionale, dall'altro, come Mudrooroo segnala, è anche paradossalmente parte di questi discorsi di superiorità. Si pensi, per esempio, al Dracula (1897) di Bram Stoker, incentrato su un personaggio che attraversa il limite fra la vita e la morte, una figura che minaccia il confine, confonde le delimitazioni nazionali, sociali, sessuali, e viola ogni tabù. Ogni luogo protetto da barriere è aperto dal vampiro: stanze da letto, tombe, corpi vengono ripetutamente forati, penetrati, di solito nei posti sbagliati, da un essere nomade che può assumere qualsiasi forma, un agente difficilmente collocabile di dissoluzione della razionalità. Ma come è prevedibile, dopo aver fatto parlare l'orrore, il romanzo di Stoker celebra la vittoria della razionalità borghese sull'alterità in tutte le sue forme.
- Negli ultimi romanzi Mudrooroo articola questa duplicità discorsiva attraverso un interessante doppio uso del gotico, che si esplica in una critica del discorso in quanto strumento coloniale oppressivo e in uno sfruttamento dello stesso non solo al fine di destabilizzare realtà non-indigene, europee, mostrando le immagini di orrore e fantasia che contengono al loro interno, ma anche per erodere i confini fra discorsi e demolire il mito dell'identità personale e culturale come contenuta, definita, impermeabile.
- La Master series trasforma l'intero processo coloniale in una vera e propria epica gotica. Guerrieri indigeni, che sono tali sia dal punto di vista fisico che spirituale, combattono per mantenere la propria libertà e per sottrarsi alla consumazione/fagocitazione operata dagli emblemi del gotico, il vampiro e il were-bear, l'orso mannaro. Ciò viene tradotto in quelle che Mudrooroo chiama immagini maban, o figure sciamaniche che pertengono al mondo mitico e metafisico del Dreaming, che vengono affiancate e contrapposte a quelle gotiche. La realtà maban, magica e polimorfa, include la descrizione di figure e compagni totemici, come il goanna di Jangamuttuk, la manta di Ludjee, il corvo di Waai, il dingo di George, o il leopardo di Wadawaka, il personaggio africano che affianca gli indigeni australiani nella loro lotta per la sopravvivenza, e nel quale è possibile leggere la volontà dell'autore di stabilire un'analogia fra molteplici esperienze coloniali, oltre che un'affermazione obliqua sulle possibili origini della sua pelle olivastra. Mudrooroo ricolloca dunque la storia della colonizzazione in un racconto che si potrebbe intitolare "l'incubo gotico incontra il sogno", una narrazione che esplora attraverso la realtà maban la resistenza indigena nello scontro fra due rappresentazioni contrastanti dell'incontro coloniale, e dimostra come il colonialismo sia, per certi aspetti, una questione di narrazioni che si combattono per il diritto di significare.
- Figura centrale del gotico è il vampiro. L'autore ricorre alla violenza dissacrante di un mito che accomuna le più antiche civiltà del mondo, che è parte di credenze legate alla terra, alla paura della morte e ai poteri magici e vitali del sangue, per stabilire un'analogia con la consumazione 'letteraria' del colonizzato attraverso immagini che lo (de)scrivono come altro 'orrifico'. Nel selezionare il vampiro come immagine testuale, Mudrooroo mostra infatti che l'ascrizione del discorso vampirico all'indigeno, che nella sua versione coloniale può esser meglio identificato con il cannibalesco (cioè indigeno come cannibale), ha in realtà implicato una sua effettiva vampirizzazione/cannibalizzazione.
- Una deliberata riscrittura dei discorsi del cannibalismo coincide con l'introduzione nel tessuto narrativo di una copia riveduta e corretta del personaggio 'Eliza Fraser', centrale al mito di fondazione nazionale dell'Australia anglosassone e trasformata da Mudrooroo in vampiro. Patrick White è forse il più famoso degli autori australiani contemporanei che hanno ripreso la storia di Eliza Fraser, e nella Master series Mudrooroo sembra rivisitare proprio A Fringe of Leaves (1976) e le storie coloniali che contiene. A Fringe of Leaves mantiene l'episodio di cannibalismo suggerito nei primi resoconti della storia di questa donna inglese che a causa di un naufragio vive a lungo con gli aborigeni, ma non lo connota nel segno del gotico, bensì lo carica di valenze simboliche, presentandolo nel contesto di una trasformazione positiva della protagonista che avviene attraverso un viaggio nell'io più profondo. La consumazione di carne umana da parte di Ellen Roxburgh è vista come un'iniziazione quasi religiosa al lato oscuro di sé, che contrasta fortemente con l'esperienza della figura della donna vampiro di Mudrooroo.
- In The Undying lo sfruttamento vampiresco del servo aborigeno da parte del personaggio di Amelia non assume connotazioni metafisiche, ma toni psicologicamente macabri e politicamente critici: "Now I am sucking on you and my tongue is in you. Now I am tasting your blood and I shall be your mistress"(93). Qui il testo è infuso di dicotomie di dominio e subordinazione che ricollocano le radici del discorso nei desideri e nelle paure europee, e dà voce agli atti indicibili dell'appropriazione coloniale proprio mentre ricontestualizza l'uso simbolico del cannibalismo da parte di White (che è un modo di appropriazione dell'indigeno che legittima l'appartenenza bianca alla terra nera), facendo riferimento alle sue violente e non dette ripercussioni. Mostra come i salassi e la consumazione perpetrati dalle creature europee violentano non solo il corpo, ma anche la mente delle vittime, privandole di autonomia e libertà. Il personaggio di George, per esempio, è psichicamente legato ad Amelia attraverso incubi causati dal contatto 'vampirico' con l'Europa:
- My mind at times seemed to be thinking another's thoughts. I even dreamt of a woman, a ghost woman with flowing yellow hair, [...] of seeing in a dim darkness unspeakable acts in which the tart taste of blood filled my mouth and flowed down my throat (65).
- Mentre Patrick White riduce l'esperienza indigena a una strategia letteraria simbolica, un mezzo per la crescita psicologica di Ellen, nella riscrittura della stessa figura come vampiro Mudrooroo mostra che la testualizzazione dell'indigeno è un meccanismo oppressivo, come appare dalla riduzione in schiavitù di Renfie e dalla persecuzione di George. Ciò sottende una complicata manipolazione testuale del genere. Non si tratta di gotico per il gusto del gotico. Mudrooroo usa le icone dell'orrore e del tabù per dimostrare l'ironia implicita nell'attribuzione di questo discorso alle genti colonizzate, e per far vedere che parte del cannibalismo sull'altro è anche testualizzare l'incontro coloniale in modo inappropriato o distorto. Assorbire l'immagine e la parola dell'altro in una master narrative è analogo a succhiarne il sangue o mangiarne la carne.
- Per contro, si può cercare di vincere il vampiro con metodi vampireschi, come fanno i personaggi e i narratori del romanzo di Stoker (Mina, con le sue trascrizioni, e Van Helsing, con le trasfusioni, cercano di vincere il vampiro spostando parole o sangue da un contenitore a un altro). Tutta la series sembra tesa a superare la fase del contro-discorso, per mezzo non solo di strategie di ridefinizione del centro europeo, ma anche dell'idea che testi diversi possono far parte della stessa storia. Se da un lato i romanzi di Mudrooroo si prestano a letture postcoloniali in termini di inversione/ribaltamento e sincretismo, dall'altro mettono in gioco una incorporazione riduttiva, vampirica, di master narratives, cioè dei grandi racconti che hanno partecipato alla costruzione del sé occidentale, di cui il gotico è un esempio, per mezzo di un processo di rincorniciamento dell'interazione fra europei e aborigeni. È un processo che si presta al discorso gotico, e che può permettersi di usare strategicamente il vampirismo come metafora dell'appropriazione di generi letterari e della contaminazione che ne consegue: vampirismo non tanto come icona di parassitismo universale, ma come immagine di un atto di appropriazione resistente che dà autorevolezza e forza, e produce commistione nel senso di un riconoscimento della potente presenza interna (dell'immanenza) dell'altro.
- Questa intertestualità incorporativa richiede una messa in discussione dello spazio semantico che potrebbe far pensare a un ibridismo produttivo nel senso proposto da Homi Bhabha, ma mi sembra che Mudrooroo voglia staccarsi da queste formulazioni teoriche. Se si considera che i suoi incontri testuali fra il sé e l'altro sono sempre contenuti in una struttura indigena e non avvengono mai su un territorio neutro, appare chiaro che ciò che viene enfatizzato è la forza dello spazio (mitico/discorsivo) in cui avviene l'incontro. Tutta la series è coinvolta in un processo di incorniciamento, piuttosto che di fusione, che crea una nuova storia contenuta nella cornice di emblemi indigeni. In questo racconto più grande, l'ovest viene incorporato, ricontestualizzato, mentre le master narratives diventano parte di un'altra storia, che comunque non può non registrare l'alterità al suo interno. Si tratta di un atto narrativo che espande il concetto di realtà, una realtà che si muove su più piani - sulla terra, in cielo e sottoterra - e, soprattutto, si muove, diviene, si trasforma: è nomade come i protagonisti del racconto e la cornice che li contiene, e invita anche a un atto di lettura nomadico, non permanente, né fisso, che richiede mobilità di prospettiva, di ideologia, di strategie di approccio testuale.
- Nel riscrivere la colonizzazione della Tasmania e dell'Australia, Mudrooroo crea dunque una storia gotica di 'fantasmi' che viene giocata nel contrasto con le storie del sogno dei personaggi indigeni. Ma quella che Mudrooroo mette in scena non è mai una lotta ad armi pari. Jangamuttuk, in Master of the Ghost Dreaming, è ritratto come master del sogno degli spiriti bianchi, cioè come uno sciamano che sa insinuarsi nelle realtà spirituali degli invasori oltre che della sua gente. George, il figlio di Jangamuttuk nei due libri che seguono, sa abitare e controllare le metanarrazioni sia indigene che non-indigene, e sa trasformarsi nell'animale mitico che è suo compagno di sogno, il dingo, restando al tempo stesso legato ai pensieri e ai desideri del vampiro Amelia, con cui ha condiviso il sangue. Questo doppio sguardo è strutturato da un punto di vista e da un controllo narrativo 'locale', perché George è sempre più Dingo che vampiro, e non riuscirà mai a spillare sangue a nessuno, nonostante ne abbia forte desiderio. La cornice narrativa è importantissima. In tutte le opere di Mudrooroo, fatta eccezione per The Kwinkan, la narrazione è contenuta e controllata da un personaggio indigeno, e viene continuamente data come un atto di consapevole racconto indigeno, anche se nel contesto di un'ampia arena narrativa dove vengono continuamente evocate presenze 'altre'.
- Anche i titoli dei romanzi partecipano di questa riduzione del gotico all'interno di una struttura che suggerisce un rafforzamento di potere. Si è appena accennato a Master of the Ghost Dreaming, per la sua connotazione di controllo sciamanico. Anche il titolo The Undying evoca immagini di vampiri, mummie, o creature innaturali quanto il mostro di Frankenstein, ma a ben guardare è una correzione di Un-dead, il termine usato per descrivere chi, come il vampiro, è clinicamente morto ma non riposa in pace e ritorna a perseguitare i vivi. Mudrooroo parla invece di gente che non muore, che è immortale, e che quindi non assume i tratti e le abitudini raccapriccianti degli Un-dead. In termini di riadattamento testuale della storia coloniale della Tasmania, inoltre, undying assume connotazioni importanti. Trugerninni, che tradizione vuole essere stata l'ultima rappresentante dei nativi di Van Diemen's Land, viene riscritta come Ludjee, moglie di Jangamuttuk e madre di George, che prende il mare e fugge su un vascello assieme alla sua famiglia, piuttosto che essere cimentata per sempre nel destino tragico di ultima della sua razza. Il titolo del romanzo è dunque una potente confutazione del 'mito della razza che muore'; disconosce le iscrizioni gotiche dell'indigeno come innaturale e orrifico al momento della colonizzazione (come Undead), mentre proclama la resistenza ai miti nostalgici dell'auto-genocidio.
- Il titolo Underground assolve una funzione simile. È associato a immagini cristiane di inferno, cimitero, luogo dei morti, e al mito greco-romano dell'oltretomba che vede Ade, signore degli inferi, rapire Persefone, figlia di Giove e Demetra, e costringere quindi la dea della terra e dell'agricoltura a cercare disperatamente la figlia e a trascurare la terra, impedendole di produrre frutti. La prigionia di Wadawaka nel sottosuolo, che coincide con l'occupazione dell'Australia, viene paragonata a questo momento di sterilità nel mito classico. Ma il termine 'underground' implica anche resistenza politica, movimenti clandestini, e rimanda alla relazione fra Australia e Europa, perché l'Australia è geograficamente posizionata sotto il centro dell'impero, agli antipodi. Bisogna inoltre tener presente che la storia è raccontata da George a un gruppo di minatori che vedono il sottosuolo come fonte di ricchezza; e che il regno sotterraneo di Amelia è un sito indigeno sacro e potente. Per cui l'oppressione e lo sfruttamento, e i discorsi e i miti che li accompagnano e sostengono, vengono esibiti e rivelati, ma sempre all'interno della cornice che riattiva resistenza e differenza.
- In tutti e tre i romanzi il conflitto discorsivo per il controllo della narrazione è circondato e letteralmente consumato/vampirizzato dai racconti del Sogno. L'incorporazione testuale mantiene il Sogno attorno all'incubo, un confine indigeno attorno all'interazione fra colonizzatore e colonizzato. È importante sottolineare che questa soluzione non coincide con un essenzialismo di ritorno, perché la costruzione della cornice (come pure dell'identità e della storia) è complessa e volutamente problematizzata. Mudrooroo è performativo (piuttosto che prescrittivo) nell'offrire l'indigeneità come confine fantastico che incornicia immagini e vicende gotiche o di altra provenienza (il mito e l'epica classica, i diari e le cronache coloniali, il romanzo occidentale, americano, australiano, ecc.). Tutti i racconti presenti nei tre romanzi vengono per così dire inglobati e fatti interagire nella rappresentazione spettacolare/performativa dell'atto (provvisorio) del racconto.
- Se è lecito il passaggio dai testi letterari alla persona del loro autore, sembra di poter individuare qui le tracce di un'identità eclettica, polimorfa, mobile, sempre giocata nel contrasto e in continua trasformazione, nella cornice di un io che solo apparentemente resta sempre lo stesso, mentre percorre uno spazio e un tempo in cui l'instabilità e l'irrequietezza hanno più valore (e forza sovversiva) della sicurezza.