Noi che guardiamo i tramonti

dalle finestre dei nostri palazzi

e abbiamo carezze per i nostri cani

e briciole di pane sui davanzali...

 

noi che sciogliamo catene di parole

per spiegare ciò che solo il silenzio

ci può dire

e abbiamo pensieri che qualcuno

per noi ha già pensato e rattrappite ali

per imitare il volo di chi, in verità,

mai ha volato...

 

noi che nel silenzio dei sacrari

ci inginocchiamo per non sapere

da quale altezza poter parlar con Dio

e guardiamo ostinatamente al di là del mare

senza sentire la marea dentro di noi

che intanto sale, sale… e lascia strascichi

di cose morte e disincanto

che mille giorni di sole non bastano

a scacciare...

 

noi siamo questo ed altro ancora

e come giullari nascondiamo la fatica

dietro una smorfia ebbra di dolore:

 

solo il pubblico pagante, ormai, ci muove,

solo il sogno svanito ci ridesta.

 

 

Tu non sei

l'onda di piena che travolge,

sradica sassi, supera le sponde

e va via schiumante

verso il finale abbraccio

della morte nel mare.

Tu persisti,

nel silenzio immoto di un canale

che si perde lontano,

occupando tutti gli interstizi.

La tua forza non è la gravità,

il fatale irresistibile imbuto,

ma l'ordinata amara strategia

di mille vasi comunicanti.

Sai rispecchiare il cielo

e inumidire di te chi ti sta intorno,

ma non possiedi mai,

non superi

la piccola sponda verso il prato,

non inarchi l'onda nell'arrischio.

Vai, per la chiusa aperta,

verso il nuovo fosso che ti accoglie.