Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

 

Virginia Rizzo
 
Alcuni racconti tratti dal libro "Racconti del cuore"
Vorrei del tempo anche per me:
uno spazio per vivere e sognare
senza l'angoscia di ritrovarmi esclusa
da quella parte di immenso
che tanto amo e continuamente cerco.
 
 
Il richiamo dell'arte...
 
Nutrivo da tempo il vivo desiderio di scrivere.
L'idea mi entusiasmava: fermare qualche soffio di vita su anonimi fogli di carta era una sensazione grande alla quale sentivo di non dover rinunciare.
Avrei finalmente creato qualcosa!
Creare: scrivendo.
Sarebbe stato un po' come evadere, raggiungere un'altra dimensione e non per schivare la realtà, bensì per prenderne coscienza, conquistarla e in silenzio gustarne ogni briciola.
La parola più banale e il più fugace degli attimi sarebbero passati attraverso la magica metamorfosi della fantasia: intima occasione per tuffarmi completamente nel gioco della vita!
Sì, il bisogno sentivo: di scrivere, di comunicare e... finalmente poter liberare ogni mio pensiero.
Era forse una sfida al tempo, lento roditore che senza pietà ingoia porzioni di vita che non gli spettano?
No, non era solo questo: qualcosa d'altro accendeva il mio slancio.
Da sempre avevo cullato una sommessa aspirazione che in varie circostanze mi aveva spinta a misurarmi con la mediocrità a me vicina.
Mi aveva spinta a convincermi di non appartenere a quella sfera di cui, nel parere di tanti, sarebbe stato un bene accontentarmi.
No, non potevo riscoprirmi in tale condizione di precarietà umana ed esistenziale.
Il solo pensiero mi spaventava: minacciava il mio attaccamento alla vita.
Un'esistenza all'ombra dello stesso vivere si sarebbe mutata in un misero vivere a metà.
Per chi scrivere e perché?
Forse per inventare all'infinito la mia stessa vita, tentando di varcare anche la soglia di quelle porte che altrimenti sarebbero rimaste per sempre chiuse in fondo al cuore.
Ciò che più mi affascinava del mondo poetico era la possibilità di mescolare luci ed ombre, chiarezza e mistero.
Realtà e fantasia si sarebbero rincorse sul foglio come onde nell'immensità di un oceano.
... e come, fissando quell'infinità, non si riesce a capire dove un'onda cominci e l'altra finisca, così nell'azzurro dell'inchiostro sarebbe stato difficile intuire il confine tra verità e menzogna.
Compivo diciassette anni il giorno in cui nel mio diario scrissi:
 
Volerò tra le nubi
da stille sempre
di luce dorate
per sentire sulla pelle
- di sole inebriata! -
del cielo
i suoi colori pastello.
 
... e nell'abbraccio
della brezza marina
sull'azzurro dell'acqua,
in dolcezza dall'onda baciata,
in coro i gabbiani
- le stelle aspettando! -
al mio anonimo canto
una voce uniranno.
 
Chi mai si sarebbe interessato alle mie fantasie?
Quei fogli avrebbero umilmente riempito un altro cassetto della mia scrivania.
Eppure non mi arresi dinanzi alla possibilità di intraprendere il mio viaggio: quel viaggio del cuore nell'incanto del sogno, ignorando che, a distanza di anni, sarebbe stata proprio quella passione, segreta e quasi inconscia, a permettermi di ritrovare il contatto con la mia stessa esistenza.

 
 
Segreti
 
Era molto amareggiata: aveva scoperto quanto fosse difficile vivere tra le indiscrezioni della gente, prigioniera dei giudizi altrui.
 
La forza delle parole
può liberare un cuore
o renderlo schiavo.
 
Tale pensiero compariva spesso tra i suoi appunti, un po' anche per rammentare a se stessa che l'arma più efficace da usare contro le devastanti e restrittive barriere imposte dall'esterno era la poesia.
Grazie alle illimitate possibilità che l'inchiostro della fantasia poetica le offriva, lei riusciva ad interpretare il mondo circostante e a difendersene.
La poesia rappresentava per lei uno spazio privato che nessuno poteva violare.
Lì, proprio come un bimbo ancora in grembo, si sentiva al sicuro, forte, protetta.
Lì, dimenticava di essere considerata pazza, emarginata da quella realtà che pure le apparteneva e, al riparo dalle ondate di incomprensione, nel silenzio del cuore tornava ad essere Francesca.
Le avversità riuscivano ad intaccare il suo corpo, ma non lo spirito.
Il suo pensiero volava troppo in alto per essere percosso dalla mano dell'ignoranza e della vile menzogna.
Un anno prima un gruppo di uomini si era appellato all'autorità del podestà per chiedere che "quella donna", Francesca, venisse allontanata perché di intralcio all'ordine di vita secolare che il tempo stesso aveva suggellato.
«È matta e pericolosa», si sentiva sussurrare alle spalle, perché solo una dissennata avrebbe potuto ribellarsi e respingere quel marito nobile e stimato che lei accusava di turpe adulterio.
... e lui, ignorando i suoi sentimenti, per salvare l'onore, aveva sepolto l'imbarazzante verità dietro le squallide e vuote parole di un certificato che attestava la demenza di Francesca.
Non vi era posto per lei: per una donna che pretendeva di vivere oltre che di esistere, una donna che osava protestare, denunciare e sognare.
La radio aveva intanto annunciato l'entrata in guerra dell'Italia: ancora morte, ancora sangue, ancora dolore!
Se il destino del mondo fosse stato affidato anche all'ingegno e alla creatività delle donne, sui sentieri della storia vi sarebbero state meno tombe e crisantemi e molte più rose profumate e bianche margherite.
Quante volte lo aveva pensato e quante volte, vedendo il sole sparire dietro le colline, Francesca si era detta: "Quel sole domani sorgerà anche per me".
... e il giorno seguente si era svegliata come sempre nel buio, inciampando e annaspando nel crepitio polveroso di una struggente realtà.
«Ma perché non torni da tuo marito?» chiese all'improvviso Marianna, sciogliendo quel funereo silenzio, «non hai sentito? Siamo in guerra e conviene ricorrere ai ripari finché si ha tempo. Accanto a lui non avrai alcun problema e tu lo sai bene. Chiedigli scusa e torna in quella casa».
Marianna, cresciuta tra le mura del silenzio, aveva una visione molto limitata di sé e della realtà.
Questo dispiaceva a Francesca, perché era convinta che quella donna, come tante altre, avesse invece delle qualità squisite: aveva solo bisogno di scoprirle, uscendo dal guscio in cui era stata relegata.
«E poi cerca di essere concreta» aggiunse ancora Marianna «a cosa serve ciò che scrivi? Se solo tua madre potesse leggere questi tuoi versi...».
«Ne sarebbe orgogliosa» proruppe Francesca «quando mi incitava a leggere, a studiare e ad ascoltare le mille voci del mondo, mi stava insegnando ad essere diversa dalle donne della sua generazione ed è questo il dono più grande che io abbia ricevuto da lei. Ed ogni giorno la sua energia torna a risplendere come gemma tra gli anfratti del mio stanco cuore. Non sono sempre gli uomini, ma le donne rassegnate e fragili come te ad aiutare la perpetuazione di un sistema che recide ogni aspirazione femminile, riducendo all'ubbidienza, alla sottomissione e poi alla guerra».
«Cosa c'entra con tutto ciò la guerra» esclamò Marianna «e poi, cosa dovrei fare? Sovvertire forse le regole di buon costume con il rischio di apparire una donna poco seria o... ».
«Una matta» avrebbe voluto aggiungere, ma le sembrò crudele farlo.
«Dovresti solo fermarti ogni tanto ad ascoltarti, imparando a gustare senza paura le sensazioni che nella vita il tuo cuore ti porge. Perché continui a schivarle invece di rincorrerle? Esci da quella gabbia e inébriati di tutto ciò che all'esterno puoi trovare. Impara ad amare un po' di più te stessa e ad apprezzare le tue potenzialità. Se vuoi anche tu una società libera, inizia a costruire la tua libertà!».
Marianna tacque, mentre dalla strada giungeva, intanto, un canto di bambini che continuavano il loro girotondo, ignari del buio che presto li avrebbe soffocati.
Non era la prima volta che Marianna ascoltava simili discorsi e, doveva ammetterlo, quelle parole la scuotevano.
Anche lei era stanca di subire, di tacere e poi dimenticare.
Francesca poteva aver ragione e forse anche lei valeva molto più di quanto gli altri le lasciassero immaginare.
Doveva solo crederci, crederci con tutta se stessa. Il segreto per vivere e per far sentire anche la propria voce era racchiuso in quella piccola e semplice verità.

Per leggere la prefazione 

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inserito il 5 Febbraio 1998