LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Virginia Rizzo
Ha pubblicato il libro
Virginia Rizzo - Cercarsi


Collana Le schegge d'oro
(i libri dei premi)

14x20,5 - pp. 60

Euro 8,50

ISBN 978-88-6037-5858
 

In copertinae all'interno
dipinti di Virginia Rizzo


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l'autore è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2007


Note dell'autrice
Incipit


Ora sapeva che quella
felicità, bramata e
sfuggente, non era una torta da divorare in un solo
giorno nella speranza di
custodirne il gusto per
sempre. Quella felicità
l'avrebbe trovata
frammentata in tanti piccoli attimi sparsi qua e là
nell'arco della vita.
Toccava a lei cercarli giorno per giorno e viverli
intensamente.

da «Carpe diem»

 



"Niente può divorare la
fetta di tempo che a ognuno
di noi viene assegnata," si
era detta. "Sono gli attimi
sprecati ad andare persi.
Quelli segnati dalla
banalità, dalla noia.
Ogni istante a cui si dà un
senso rimane eterno."
 

da «Neve sull'ebano»

 

Note dell'autrice
 
 
Con Cercarsi propongo due racconti che si prestano a una duplice fruizione: come lavori distinti, ciascuno completo in sé, o come compagine narrativa costruita intorno alle figure di Marta e Silvia, attraverso un gioco di rimandi e di incastri. L'intreccio si compone sull'alternarsi di pensieri e di punti di vista - spesso contrastanti - e intanto la fabula si mostra e si racconta da sé.
Nel racconto "Carpe diem", Silvia sta scrivendo un romanzo che ha come protagonista Marta, personaggio che compare anche in "Neve sull'ebano".
Nei due racconti, come spesso nella vita, i personaggi si trovano improvvisamente a fare i conti con una realtà che sembra negare quanto faticosamente costruito.
Le certezze si sgretolano, lasciando il posto a smarrimento e confusione.
Le difficoltà spaventano, spingono alla pigrizia esistenziale, alla rottura con il proprio mondo interiore, al distacco dagli altri, in un crescendo di ansie e di sfiducia.
Per sopravvivere si cercano risposte fuori, lontano, nel frastuono del mondo. Occorrerebbe, invece, indietreggiare di qualche passo, tornare a guardarsi dentro come audaci esploratori, scorrendo le pagine dell'anima... e da lì ripartire per non sciupare i giorni e la vita.
In un'ottica di ricerca, il momento di crisi si offre come occasione di avanzamento, e se vissuto con dignitoso coraggio, restituisce più di quanto si credeva perso.
La vita si propone allora come ricerca responsabile: di sé, per conoscere i propri talenti, per scoprire la propria unicità, e dell'altro, per non restare come isole in un oceano di egoismo e di orgoglio.
La vita si presenta come possibilità di rinnovamento continuo, nella suggestione dell'attimo gustato intensamente con spirito di meraviglia, che contrasta ripetitività e noia.
Cercarsi è un duplice invito a intraprendere un viaggio tra i silenziosi passaggi dell'anima e ad aprirsi verso l'altro, nella consapevolezza che per comprendere è necessario ascoltare.
Cercarsi per ritrovarsi, abbracciando il mistero della vita.

Virginia Rizzo

 


CERCARSI


Carpe diem


1.

Vi è chi, annaspando nel groviglio dei giorni, si accontenta di briciole, attimi, di quanto basta per non essere ingoiati dal nulla... e il destino - burlone! - nega anche quel poco.
Vi è poi chi osa spingersi oltre, ed ecco che la vita premia, offrendo persino di più.
È fortuna o ricerca? Fatalità o dono?
Marta si inoltrava spesso in tali abissi, senza mai riuscire a rasentarne il fondo.
E ora, seduta di fronte ad Anita, cercava una risposta.
Voleva capire perché quel matrimonio, proprio il suo, fosse finito.
"Come posso rinunciare a Davide?" disse d'un tratto.
Anita posò lo sguardo su quella smorfia di dolore, ma rimase in silenzio.
Lei era sempre stata innamorata della vita, mai di un uomo, ma capiva l'angoscia di Marta, perché sapeva quanto tenesse a Davide, che ora la respingeva come un cane ormai stanco del suo osso.
Marta gli aveva dedicato anni preziosi, prima di scoprire che la soddisfazione di vedere realizzati i sogni di oggi non sempre assicura la felicità di domani. E dietro il traguardo di una corsa vinta, ora percepiva il vuoto di una vana conquista.
Anita e Marta si conoscevano sin dai tempi del liceo, quando il futuro era ancora una magica scatola traboccante di sorprese.
Marta aveva abbandonato una potenziale carriera da giornalista. Lo aveva fatto per sentirsi più vicina a Davide e per anni era stata fiera di tale scelta, sino al giorno in cui lui aveva iniziato a estraniarsi e ora le chiedeva di lasciarlo andare.
Anita aveva preferito sottrarsi a tale rischio, scegliendo di vivere per sé, solo per sé, con l'animo semplice di chi nella vita si ritaglia uno spazio e vi costruisce un guscio, con tante finestre protese verso l'esterno, ma con nessuna porta per un uomo da varcare senza prima aver chiesto 'permesso'.
"Mi dispiacerebbe," disse Anita, "se insieme al tuo matrimonio ti spegnessi anche tu, non lo sopporterei! Certo non meriti la fine di un legame a cui hai dedicato tanto, ma non puoi neanche disperarti. C'è sempre una riserva di coraggio a cui attingere nei momenti difficili."
"Ma perché, dimmi almeno perché dovrei aver voglia di agire, di vivere!"
"Per recuperare il tempo che hai lasciato marcire. Hai trascurato tutto di te. Cosa è stato dei tuoi ideali? Li hai abbandonati, fingendo che non fossero poi così importanti. Hai tradito il tuo spirito e la tua intelligenza. Proprio tu! È triste ammetterlo, ma gli uomini che si allontanano lo fanno perché inconsciamente si convincono che la donna che hanno sposato possa essere solo moglie, madre o compagna su cui scaricare le proprie frustrazioni. E spesso siamo noi stesse a guidarli a tale considerazione. Senza accorgerci, cominciamo a rinunciare a qualcosa, a sacrificare il nostro tempo, e nessuno si ricorda mai di dire grazie. Intanto ci abituiamo a quell' indifferenza. Il silenzio fa la sua parte e lentamente scava baratri. Quando poi, un bel giorno, ci scopriamo sedute in profondità, al buio, allora finalmente troviamo il coraggio di chiederci come vi siamo finite. Hai mai pensato a cosa sarebbe cambiato se tu non avessi mai rinunciato a quel lavoro?"
"Lui non sopportava l'idea di sapermi impegnata tutto il giorno, ricordi? La nostra storia sarebbe finita prima."
"O forse mai, perché tu saresti rimasta autentica, vera, non il surrogato di Marta. Lo so che hai rinunciato a tutto per il vostro bene, ma, vedi, spesso rinunce così importanti possono cambiarci anche dentro e Davide, in un primo momento, ha gradito la tua scelta, col tempo però non ti ha più riconosciuta, perché in te - che cercavi di compiacerlo! - c'era qualcosa di artificioso. Eri diventata un'altra, un'altra che tu per prima non accettavi. Come possiamo pretendere di essere apprezzati se noi stessi ci detestiamo? Se tu non avessi rinunciato alla tua professione, sicuramente agli inizi sarebbe stato penoso conciliare tutto, avreste litigato, sareste rimasti spesso senza cena, ma poi, con pazienza, avreste trovato un'intesa. Avreste imparato a rispettare ognuno la caterva di impegni dell'altro."
Marta aveva intanto abbassato lo sguardo.
"Nelle tue riflessioni c'è qualcosa di vero. In tanti momenti ho provato nostalgia per il mio lavoro al giornale, per quel ritmo frenetico che mi travolgeva, a volte mi stordiva e... e io ero viva. Ma quando ho iniziato a rimpiangerlo, era ormai tardi: ero stata sostituita e non avevo voglia di ripartire da zero da un'altra parte, lo trovavo... umiliante. Ha vinto l'orgoglio, devo ammetterlo. Ho cercato di convincermi che sarebbe bastato collaborare con qualche articolo per sentirmi impegnata, invece, una volta fuori, si finisce del tutto scartati. Ma se anche fossi riuscita a trovare la grinta per ricominciare, come avrebbe reagito Davide? Avrebbe capito?"
"Glielo hai mai chiesto?"
"No."
"Peccato. Non potrai mai saperlo."
"Immaginiamo che, come tu dici, lui abbia percepito la mia insoddisfazione, supponiamo che gli sia risultata fastidiosa. Cosa ha fatto per aiutarmi? Forse tu hai ragione: mi ha ignorata e io non mi sono difesa, ma mentre sembrava che dormissi, io continuavo ad amare e non posso sentirmi in colpa per questo, amavo ed ero me stessa. Peccato che nessuno se ne sia accorto!"
"Non ho mai dubitato dei tuoi sentimenti per Davide. Purtroppo c'è in molti uomini un'aridità di fondo che non permette di cogliere la parte più profonda di noi. Il bisogno di attenzioni o di tenerezza viene spesso inteso come capriccio, stravaganza. Per loro: noia. Ignorano che la felicità potrebbe essere lì, accanto a loro, proprio in quella figura che col tempo, invece, si abituano a detestare, ad accusare, qualche volta persino a deridere. E alla prima crisi, piuttosto che sforzarsi di capire cosa stia accadendo, trovano comodo allontanarsi: per non dover riconoscere i propri limiti, le proprie debolezze. A quanto pare, Davide non è diverso dagli altri."
"Eppure siamo stati bene insieme," e intanto la voce si spense, perché all'improvviso Marta si sentì in gola il gusto acre degli ultimi tempi.
"Unendosi a te, Davide non ha smesso di vivere: ha continuato a coltivare il suo tempo, a prendersi cura di sé, a progettare. Tu, invece, nel matrimonio ti sei assopita. Hai sepolto ogni ambizione. Volevi cambiare il mondo, ma hai represso tutto di te, sogni compresi. Hai smarrito la bussola e ora che la vostra storia è in crisi, lui è acciaio, tu: un brandello. Ti sembra giusto? Sono pochi gli uomini che riescono a portare lo sguardo oltre i propri bisogni. Sono pochi quelli che sanno comprendere chi hanno accanto. Davide ti ha voluta tutta per sé, ma poi, strada facendo, se ne è dimenticato. E mentre tu cerchi di capire in cosa puoi aver mancato, lui dà per scontato di essere sempre stato perfetto. Con questo non intendo dire che sia sbagliato amare. Amare è meraviglioso per chi ama e per chi è amato e non può mai essere un errore, ma non deve diventare un limite: un cerchio in cui comprimere ogni energia, in cui soffocare aspirazioni, talenti. Soprattutto non può essere usato come alibi per mascherare la nostra inerzia. Non sarebbe più amore. L'amore è sempre responsabile. L'amore, il vero amore, porta alla massima espressione di sé, attraverso un continuo scambio di pensieri e di ascolto. Amare vuol dire donarsi, non annullarsi. Se la terra vive e offre dei frutti è perché c'è una mano che la coltiva con sacrificio e la nutre: è un dare e ricevere infinito. Ma non trovi che se un giorno quella terra di colpo smettesse di essere rigogliosa, bisognerebbe chiedersi: 'perché?'. Manca forse acqua, manca luce, manca ossigeno? Spesso vediamo, capiamo, ma poi fingiamo che ciò che non va non ci riguardi."
"È facile formulare pensieri di tono filosofico per te che non hai mai avuto qualcuno a cui tenessi davvero!" puntualizzò Marta.
Anita la guardò, poi disse: "Qualche anno fa conobbi un uomo, l'unico credo ad avermi incuriosita seriamente. Ci frequentammo da amici per qualche tempo. Un pomeriggio mi invitò ad accompagnarlo nella sua casa di campagna: un'oasi fuori città. Ogni attimo sembrava perfetto. Preludio di chissà quali emozioni. Quando entrammo, notai subito, sparse un po' ovunque, le foto di una donna e di due bellissimi bambini. Pensai a una sorella e a dei nipoti: erano sua moglie e i suoi figli e lui non si era mai lasciato sfuggire che avesse una famiglia. 'Considerando la tua indipendenza, pensavo che tu fossi anche aperta ed emancipata' fu il suo commento al mio disgusto. Quel giorno sarei potuta diventare la sua amante e per lui sarebbe risultato tutto molto naturale. Aveva tralasciato un dettaglio: non aveva considerato che io non ero affatto come lui immaginava."
"Mi dispiace, Anita, non me ne avevi mai parlato. Ma Davide non potrebbe essere tanto vigliacco!"
"Scusami, Marta, hai ragione, ho fatto ricadere su Davide un vecchio rancore del tutto personale. Invece di incoraggiarti..."
"Non importa, tu mi sei già tanto vicina. La tua grinta è sempre stata per me roccia... ce la farò. Se Davide non ha voglia di lottare con me per superare questa crisi, tanto vale lasciarlo libero di perdersi. Non potrei mai arrestare la corsa di un uomo che vuole fuggire da me."
"Sono d'accordo con te. Quando Davide si accorgerà di essersi arreso con troppa leggerezza, forse sarà tardi, ma ci sono eventi nella vita destinati a sfuggire a ogni razionale controllo: seguono un corso del tutto imprevedibile e non ha senso ostacolarli. Se la realtà potesse essere sempre plasmata secondo le nostre esigenze, forse si perderebbe la curiosità di arrivare a domani."

Silvia smise di scrivere e, nel riporre il quaderno, lo sguardo scivolò sulle mani: sempre delicate, ma stanche.
Con tristezza pensò allora alle tante donne, ancora giovani e piene di vita, che un giorno, ritrovandosi a fare i conti con lo specchio, per un attimo, sul riflesso della propria immagine, avrebbero visto - come lei - le cicatrici di una relazione rimasta come miraggio all'orizzonte di un sogno.
Nessun uomo avrebbe mai potuto intendere l'animo femminile, la sua sensibilità, la sua capacità di dare e il disperato bisogno di vincere le barriere dell'ipocrisia, della superficialità.
Nessun uomo avrebbe mai compreso la sofferenza di una donna nel ritrovarsi tradita, nel corpo e nella mente. Nessuno. Forse.
Anita, quel personaggio tenace e risoluto che lei stessa aveva creato, richiamava un po' quel lato del suo carattere a cui avrebbe voluto dare forza.
Avrebbe dovuto somigliare molto di più ad Anita e meno a Marta.
Indossò la vestaglia.
Era una serata di fine marzo, ma la primavera non aveva ancora elargito i primi tepori e lei doveva riguardarsi. Quei malesseri si facevano sempre più frequenti.
Nessuno sapeva della sua malattia.
L'orologio, giù in sala, risuonò le dieci. Suo marito, come al solito, non era ancora rientrato.
Ogni sera, per anni, aveva continuato a sperare di vederlo incedere verso casa prima del tramonto, come ai vecchi tempi, con un pensiero per lei: un fiore, un libro o con il semplice desiderio di parlarle. E insieme sarebbero rimasti a rispolverare e a condividere ogni attimo di quella giornata.
Si erano amati, ma il tempo aveva arrugginito gli ingranaggi di quel sentimento, lasciando sulla pelle il calore di una rigida carezza.
Di tanto in tanto, lei provava ad aprire una breccia sul passato, ma finiva per riconoscere che spesso sono i colori del ricordo a rendere gli anni trascorsi più seducenti del presente.
Ora sentiva di aver coltivato rose su un terreno senza luce, attendendo invano il profumo dei germogli.
Silvia voleva bene a suo marito e forse anche lui, a modo suo, le era affezionato, ma da troppo tempo non riuscivano più a essere se stessi, a comunicare, a cercarsi, chiusi ormai come erano nella corazza di un faticoso silenzio: espediente scomodo ma necessario per non riaprire dolorose ferite.
Avrebbe voluto confidarsi con lui, parlargli della sua malattia, dell'angoscia che ogni tanto sentiva stringersi come morsa intorno al suo corpo, ma aveva paura.
Temeva che la sua sincerità potesse essere fraintesa. Detestava la compassione.
Non era più attraente, piacevole forse. Con i capelli bianchi da nascondere e qualche ruga in più sul viso, ora sentiva che un'altra fase della vita si era chiusa. Suo marito era come un albero: robusto, verdeggiante, pieno di linfa, ma lei per lui doveva essere un vestito fuori moda, destinato a marcire tra le tarme di un vecchio armadio.
Quando e come fosse iniziata quella fine, non ricordava esattamente.
Il distacco era stato lento, quasi impercettibile: una naturale evoluzione a cui gradualmente entrambi si erano arresi.
Come era avvenuta quella mostruosa metamorfosi?
Come si era passati da un significativo vivere per l'altro a un vuoto abitare con l'altro?
Anche la casa sembrava essersi adattata a quel cambiamento. Era ormai un porto, un albergo in cui come estranei, incrociandosi, con garbo improvvisavano un sorriso cavato da un repertorio impregnato di banalità.
Gli oggetti sembravano essersi svuotati del loro significato più intimo. Silvia avvertiva la loro freddezza, la loro inutilità in uno spazio di pura finzione.
A quando risaliva l'ultimo momento di intimità vissuto tra quelle mura?
Non sarebbe stato più dignitoso sparire, addormentarsi in un angolo di mondo dimenticato da tutti, in cui nessuno sarebbe più venuto a cercarla?
Spesso ci pensava.
Soprattutto da quando aveva incontrato Stefano.
Era stato lui a parlarle della sua malattia, a incoraggiarla.
"È una belva da domare, non da temere," le aveva più volte ripetuto in quello studio, mentre lei, confusa, sulla soglia di una porta aperta sul buio, non riusciva a parlare.
Ma lui aveva saputo capirla, da medico prima, da amico poi.
Attenzioni, premure, complimenti: un crescendo di sensazioni da lei negli anni dimenticate. In una notte buia Silvia aveva visto in lui un faro, eppure continuava ad avere paura.
Sapeva bene che per lei innamorarsi sarebbe stato rischioso e in quella consapevolezza aveva spesso macerato un pizzico di invidia per i più giovani: liberi di vivere l'amore a buon diritto e sicuramente al riparo da pregiudizi destinati a pesare solo sui sogni di una donna matura.
Parlarne con suo marito non l'avrebbe comunque aiutata. Sebbene da tempo lui stesso avesse cercato fuori dal matrimonio ciò che tra loro sembrava non esistere più, mai sarebbe riuscito a comprendere il suo desiderio di stringere la vita nelle emozioni che Stefano poteva ancora offrirle.
Fermarsi a quel punto non avrebbe comunque avuto senso. Si era ormai spinta oltre.
Stefano aveva aggiunto nuovi colori sulla tavolozza dei suoi giorni e ora spettava a lei decidere come mescolarli. Non poteva continuare a vivere da fantasma.
In quella prigione presto non sarebbe neanche più riuscita a scrivere. Doveva trovare il coraggio di abbandonare quella casa, di staccarsi dai ricordi e dal simulacro del suo matrimonio.
Lo avrebbe fatto in punta di piedi, trattenendo ancora un urlo: forse l'ultimo.

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