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Ugo Sestieri
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Ugo Sestieri - Libero arbitrio

 

 

 

 

 

 

Collana I salici (narrativa) 15x21 - pp. 296 - Euro 14,50 - ISBN 88-8356-631-9 

Prefazione
Incipit

Prefazione
È alquanto accattivante leggere un romanzo nel quale viene raccontata una nuova storia, frutto dell'inventiva del protagonista che a mano a mano si plasma sulla stessa fino a fondersi in un tutt'uno: ai vari personaggi, alle motivazioni del loro agire, alla vicenda che viene narrata all'interno di un ulteriore romanzo, l'Autore, con notevoli doti da alchimista, riesce a dare tutto il tempo di svilupparsi assecondando i differenti ritmi narrativi, modellando le situazioni, operando delle scelte o profilando anzitempo le insidie che possono sorgere da determinate opzioni.
È un romanzo da divorare perché la storia è concepita in modo magistrale e Ugo Sestieri dimostra di possedere una fertilità fantastica che gli permette di plasmare, modificare o interagire con i personaggi che continuamente la sua creatività inserisce nella trama.
Lo stesso protagonista è alquanto singolare. Unica ragione della sua vita è ormai "scrivere" e prima di farlo deve rispettare i riti propiziatori che sono indispensabili per trovare la concentrazione: il caffè al mattino, la stessa frequenza sulla radio con la musica classica, la luce piena nella stanza, l'isolamento dagli altri per eliminare ogni possibile distrazione. Luca Zacchi è un insegnante di matematica che passa tutta la settimana in attesa del mercoledì, il suo giorno libero, per chiudersi nella stanza e trasformare le idee nelle sue "creature" non più solo di carta ma così "vive e pulsanti" fino a confondersi con la realtà nella quale si trova a vivere ogni giorno.
Non è un caso che si allontani da tutto e da tutti: dagli amici Roberta e Matteo con i quali convive da tempo, dai ragazzi della scuola, dai colleghi di lavoro ormai distanti anni luce dal suo sentire, dalla vita quotidiana, dall'entusiasmo per la vita reale fino a chiedersi ad un certo punto quanto tempo è passato dall'ultima volta che si è innamorato e poi constatare che in verità non è mai riuscito a costruire un rapporto veramente importante con una donna. Una vita in "bianco e nero", senza entusiasmo, e una sola passione: scrivere. "Creare mondi, costruire storie, dare vita ai personaggi che altrimenti non esisterebbero": scrivere come unica possibilità di dare colore alla vita, come liberazione, la migliore delle medicine esistenti.
E il desiderio insopprimibile di scrivere si fa gioco continuo di rivelazioni e nuove indicazioni magistralmente offerte, pagina dopo pagina, in un crescendo continuo di suggestioni e analisi sorprendenti quasi a tenere in scacco il lettore fino all'epilogo inevitabile.
Il romanzo che il protagonista Luca sta scrivendo è la storia di Diana, una ragazza che lavora in una edicola ed ha appena scoperto di aspettare un figlio da Giulio che è il suo amante e il proprietario dell'edicola ma la loro storia sentimentale sta ormai per finire. Ad un certo punto il personaggio di Diana non obbedisce più alle direttive dello scrittore ma agisce e decide per conto suo, sconvolge lo schema del romanzo, mette in discussione le idee dell'autore, costringe a rivedere la trama: assume una sua personalità, non è più una semplice creatura di carta ma una figura dominante e così padrona della scena che si sta impossessando della vita stessa dello scrittore fino a decidere al posto suo e prendere le decisioni riguardo alla storia. In seguito ritornerà ad essere una creatura che asseconda la volontà dello scrittore.
Il romanzo è un susseguirsi di imprevedibili e preoccupanti avvenimenti, è animato da personaggi che godono di vita propria, e la "creatura" Diana, nata dalla fantasia di Luca, così decisa ed incontrollabile, è proprio come Luisa la sua ragazza reale che è stata la sua salvezza infondendogli coraggio quando era disperato, ridandogli speranza quando era caduto nel baratro dell'angoscia a causa della malattia che provocava frequenti attacchi di panico, senso d'angoscia, mal di testa continui: un sarcoma, subdolo e così maligno da non lasciare speranze.
Era stata proprio Luisa che le aveva regalato la meravigliosa penna stilografica Montblanc nera, desiderio di ogni grande scrittore, ed era stata lei la donna sempre presente, dolce ed amorevole, al suo fianco durante la malattia.
Di sicuro non mancano altri punti di riferimento per comprendere appieno la complessità e l'estro fantasioso dell'Autore ma è opportuno fermarsi a queste poche parole che sono solo un breve assaggio di tutto quello che si può ritrovare in questo interessante romanzo che riserva nuove scoperte ad ogni voltar di pagina, che coinvolge sempre più con le sue "creature di carta" che penetrano nella vita del protagonista in un dischiudersi continuo di "porte" che inevitabilmente conducono alla verità finale.
"Siamo tutti personaggi di un romanzo, siamo tutti, allo stesso tempo, creatori e creature..." Non resta che scrivere. Solo scrivere. Fino alla fine.
 

Massimo Barile

Libero arbitrio


CAPITOLO I
 
Mercoledì mattina
 
Finalmente solo!
Luca, euforico come tutti i mercoledì, entrò in cucina senza degnare di uno sguardo la straripante pila di piatti.
"Come il solito" pensò mentre accendeva il gas sotto la macchinetta del caffè.
- Tanto non hai niente da fare e pulire piatti e cucina non è certo una gran fatica - recitò a memoria le parole sempre uguali di Roberta, le stesse che lei ripeteva ogni mercoledì mattina quando era sulla soglia di casa.
- E per le due il pranzo deve essere pronto - rivide con gli occhi della mente lo sguardo invidioso di Matteo che, in ritardo come sempre, indugiava tra bagno e cucina cercando inutilmente di coordinare i movimenti ancora impastati di sonno.
Prese dalla credenza la sua tazzina, l'appoggiò sul tavolo accanto al cestino del pane, come ogni mercoledì mattina, e attese che il caffè fuoriuscisse brontolando dalla macchinetta. Era un rito assolutamente necessario; in realtà era solo il primo degli innumerevoli riti che doveva rispettare per riuscire a trovare la concentrazione giusta.
Il gorgoglio del caffè lo distrasse da altri pensieri e, finalmente, la cerimonia si concluse.
Un attimo dopo era nella sua stanza, la porta chiusa e gli avvolgibili accuratamente tirati su in modo da lasciare entrare la maggior quantità di luce possibile. Accese la radio, la frequenza era la stessa di sempre, e le note della quinta sinfonia di Beethoven si propagarono, vive, per la stanza.
Tutto era pronto, i riti erano stati rispettati; ora Luca poteva finalmente cominciare a scrivere: niente lo avrebbe più distratto per ore e ore, nulla lo avrebbe riportato in quella camera, in quella casa, nel suo corpo se la sua mente non lo avesse desiderato.
Accese l'inseparabile portatile.
File: Libero arbitrio.
Cartella: Capitolo 3.
 
Diana si addormentò immediatamente; non si era neppure tolta il pesante maglione di lana che, per tutta l'interminabile giornata, le aveva regalato un po' di calore.
Il grosso e soffice cuscinone rosso gettato con finta noncuranza davanti all'impianto stereo l'avvolse in un abbraccio protettivo; le note, stupende, del cd comprato il giorno prima cullarono il suo primo faticoso sonno.
Il volto di suo padre, incerto, etereo, si affacciò timidamente. Dapprima fece fatica a inserirsi tra i pensieri disordinati che fluttuavano nella sua mente stanca poi, col passare dei secondi, il viso segnato da profonde rughe conquistò uno spazio sempre più grande fino a divenire l'unica presenza di quel sogno sempre uguale.
Diana, il pensiero di Diana, accarezzò il volto tanto amato.
- Torna - gli disse con un filo di voce come se avesse paura che lui potesse allontanarsi al suono delle parole - Mi manchi tanto -
Il padre divenne allora gigantesco: una, due volte più grande di lei; la mano incerta della giovane non riuscì neppure a sfiorargli il viso.
- Rimani con me - disse di nuovo con un filo di voce - Mi devi consigliare come facevi un tempo. Sono così confusa -
- È il mondo che è confuso, non tu piccolo sole - la voce remota e allo stesso tempo vicina dell'uomo gigantesco la raggiunse come fosse un soffio leggero.
- Piccolo sole... Non mi chiama più nessuno così da tanto tempo... -
 
- Piccolo sole? Chissà come mi è venuto in mente un simile soprannome; però non mi dispiace e poi sembra creato apposta per Diana - Luca osservò assorto il soffitto della sua vecchia casa nel ghetto.
- Non se ne vedono più di soffitti così belli e, soprattutto, di così alti. Potrei costruire un soppalco e metterci il letto, guadagnerei un sacco di spazio senza che Roberta e Matteo abbiano come sempre qualcosa da ridire -
"...Avete ascoltato la Sonata per pianoforte numero diciassette di Beethoven..." la voce della presentatrice riportò Luca dalla sua creatura di carta.
- Piccolo sole, un soprannome perfetto per te, Diana. Chissà come mi è venuto in mente... -
- Cosa devo fare papà? Giulio continua a insistere, non vuole ragionare -
- Come sempre piccolo sole - di nuovo la voce remota.
L'uomo tanto amato divenne più grande, le mani enormi presero tra le sue le dita minute di Diana.
- Giulio è un pover'uomo, un mediocre -
- Un tempo avresti detto: non è un compagno - Diana, minuscola, interruppe la voce distante e vicina del gigante. Quindi divenne ancora più piccola, così piccola da essere contenuta nell'immensa mano del padre... No, non del padre, tutto stava cambiando.
Il gigante assunse le sembianze di Giulio, il volto cominciò a rimpicciolire sul corpo enorme... Insignificante, sempre più insignificante; un ghigno stupido ne deformò la bocca fino a divenire una smorfia mostruosa.
- Svegliati, Diana! Svegliati! - Una voce imperiosa le risuonò nella mente, le succedeva sempre così quando un incubo cominciava a divenire insopportabile, quando, in sogno, traversava territori sconosciuti e pericolosi.
La giovane ritrovò se stessa, sudata e con i muscoli tesi, inginocchiata sul grosso e soffice cuscinone rosso gettato con finta noncuranza davanti all'impianto stereo...
 
- Bella questa ripetizione: grosso e soffice cuscinone rosso gettato con finta noncuranza eccetera, eccetera. Rende bene l'idea dell'improvviso svegliarsi di Diana.
Però è strano, non avevo immaginato così il suo risveglio: lei doveva gridare in preda alla paura e non inginocchiarsi silenziosa sul cuscino -
"...E ora la Sinfonia numero 100 di Haydin..." le note ripresero possesso della camera piena di luce di Luca cancellando quelle sterili domande.
Che importanza poteva avere se Diana invece di gridare si era messa in ginocchio?
Nessuna.
E allora le dita del giovane ripresero a correre sui tasti del portatile, suo complice e inseparabile compagno dei momenti felici in cui plasmava le sue creature.
- Al diavolo Giulio! Non ti preoccupare papà, non mi farò fregare; deciderò io se tenere il piccolo oppure no.
Hai ragione, Giulio è un piccolo uomo, un opportunista senza coraggio; non gli permetterò d'intromettersi ancora nella mia vita, di dirmi cosa sia giusto fare -
Diana in piedi, rabbiosa, spense lo stereo e si diresse in cucina. La grande credenza celeste era quasi vuota: una busta consumata a metà di penne rigate e due scatolette di tonno; mancava il pomodoro e in frigo non c'era più burro, una rossa mela solitaria faceva bella mostra di sé sul piano accanto al lavandino.
- Devo decidermi a fare la spesa; potrei anche non essere più sola... Tra otto mesi.
No! Non devo sognare ad occhi aperti, non devo perdere neppure un pizzico della mia lucidità. Mai! -
La giovane aprì una delle due scatolette di tonno e versò l'olio nel lavandino, quindi si sedette a tavola e sfogliò il vecchio quaderno con la copertina nera. L'inseparabile amico degli anni di liceo era appoggiato in fondo al grande tavolo insieme a decine di fogli pieni di appunti e al manoscritto del romanzo segreto che, con esasperante lentezza e passione, Diana continuava a riempire di nuovi capitoli.
Come sempre il suo sguardo si soffermò sulla prima pagina del quaderno dove un coloratissimo p risaltava enorme e solitario...
 
- Devo interrompere qui, Diana oramai è ben definita. È giunto il momento di dare vita a Eva - Luca alzò leggermente il volume della radio - È dal primo capitolo che freme; vuole vivere, non vuole più saperne di esistere solo nella mia testa -
Le note della Primavera di Schumann giunsero alle orecchie del giovane con singolare intensità, le dita volarono impazienti sui tasti del portatile.
Non poteva attendere ancora: Eva doveva nascere!
 
Non molto lontano dalla casa di Diana. Un piccolo appartamento. Sette del mattino.
Eva continuava a rigirarsi nel letto, era agitata come se da un momento all'altro dovesse accadere qualcosa d'inaspettato.
Faceva freddo e provava un piacere particolare nel sentire il pesante piumone sulle gambe nude; la luce del primo sole filtrava dalle tapparelle non del tutto abbassate creando immagini magiche tra i libri disposti disordinatamente nella grande biblioteca, grande se rapportata alle piccole dimensioni della monocamera in cui lei abitava oramai da più di un anno.
Eppure Eva era agitata, aveva uno strano presentimento.
Cercò allora pensieri gioiosi: la vacanza solitaria sulle Alpi?
Finita.
Si costrinse a ricordare per la milionesima volta i personaggi del suo ultimo romanzo.
"Lara è stata sufficientemente convincente nell'avvertire Ivan del pericolo?... Silvia continua ad essere solo un'immagine fredda su dei fogli, non ha consistenza"
Pensò a se stessa, all'aspetto che con tanta fatica si era data: corrispondeva alla sua idea di donna o era solo un simulacro grottesco?
"Oh basta! Per fortuna dovevo pensare a cose allegre" si girò su un fianco spostando con una rapida mossa i lunghi capelli scuri, non riusciva a vedere la sveglia "Le sette! Ancora le sette! Ma che mi succede, sono così agitata"
Riprese a girarsi nervosamente nel letto, non sopportava più il pesante piumone; era sopraffatta da pensieri cupi.
Dieci minuti, venti, il tempo sembrava non passare mai... Poi, finalmente, delle note dolci: violini, piano, flauti.
"Beethoven" pensò e la sua mano corse verso la sveglia.
"Ma no, perché spegnere? È bella questa sinfonia... Ancora cinque minuti, solo cinque minuti"
Pensieri, agitazione, presentimenti sembrarono come per incanto svanire portati via dalle immagini magiche create dai raggi del sole, immagini che sembravano danzare tra i libri.
La giovane si sentì improvvisamente felice; com'era divenuto mutevole il suo carattere dopo la difficile scelta: pensierosa, buia e, un momento dopo, eccitata, felice.
Felice? Forse era un termine un po' eccessivo.
"E ora il giornale radio delle sette e trenta" la voce gracchiante del presentatore interruppe violini, piano e flauti.
Eva si scosse dal torpore; un attimo e le sue dita avevano già alzato il volume.
"Via libera del governo al provvedimento... Sospeso lo sciopero dei benzinai, raggiunto l'accordo..."
"Uffa! È proprio ora di alzarmi" La giovane si scoprì le gambe nude e restò incantata nell'osservarle: erano belle, così slanciate e prive di peluria.
"Le sette e tre quarti! Non posso continuare a fare la pigrona, devo essere a Piazza Cavour alle nove; Silvio ci tiene alla puntualità, anzi è un maniaco della puntualità. Lo adoro, è sempre così gentile e disponibile.
Chissà se gli è piaciuto il Dio d'acqua, dovevo ancora fare tante correzioni. È sempre così, non sono mai contenta del mio lavoro; anche se lo avessi riletto altre dieci volte sarei rimasta comunque insoddisfatta"
Eva s'infilò l'ampio golf azzurro comprato qualche giorno prima; le piaceva indossare maglioni grandi sui jeans elasticizzati e poi le stavano bene con i capelli sciolti.
Guardò di sfuggita l'orologio - Le otto e dieci! Prenderò un cappuccino fuori - S'infilò veloce le scarpe da ginnastica celesti gettate chissà quando in mezzo alla stanza, afferrò la borsa con il manoscritto e uscì di corsa dimenticandosi di chiudere a chiave la porta di casa.
Quindici minuti dopo era sull'autobus, nervosa e impacciata come sempre: si sentiva osservata da tutti, avvertiva su di sé lo sguardo interrogativo e divertito degli altri passeggeri. Come sempre.
Ma aveva deciso di non farci caso, lo aveva giurato decine e decine di volte dopo la scelta guardandosi allo specchio: non doveva farci caso!
Però era difficile, Dio se era difficile.

CAPITOLO 2

 
Creature di carta
 
"Mezzogiorno e mezzo? Il tempo passa troppo velocemente; ancora due ore e Matteo aprirà la porta, getterà il giubbone sul puff accanto al telefono e dirà la solita frase: ti sei divertito questa mattina? Certo che voi insegnanti siete proprio dei privilegiati, un giorno libero durante la settimana... Fine della tranquillità, fine dell'ispirazione"
"E ora, di Shumann, la Sinfonia numero 3, opera 97..."
Luca si lasciò nuovamente trasportare dalle note, le sue dita ripresero a correre sui tasti del computer...
 
La voce travolgente della cantante rock costrinse Diana ad aprire gli occhi; era proprio quello che ci voleva alle cinque del mattino. Certamente non si sarebbe svegliata ascoltando Brahms.
- Che schifo di notte - Diana cercò tastoni la radiosveglia sul comodino; inutilmente, sembrava volesse nascondersi tra la lampada e il bicchiere semivuoto di camomilla e passiflora.
"Non ho fatto altro che sognare cose orribili: il ghigno di Giulio, la mia pancia sempre più grande, gigantesca, l'edicola che mi crollava addosso.
A proposito dell'edicola, oggi devo decidermi a parlare con Giulio; deve cambiarmi il turno. Dalle sei alle dodici del mattino e dalle sei alle otto di sera non è un orario possibile; le giornate sono spezzate, non vedo più nessuno e arrivo alla sera distrutta"
Le sue mani trovarono finalmente la radiosveglia, la voce della cantante rock s'interruppe come per incanto facendo piombare la stanza nel silenzio quasi assoluto che, a quell'ora del mattino, era padrone incontrastato della città addormentata.
 
- Silenzio... padrone incontrastato della città addormentata. Che frase retorica; non mi piace, è falsa, fredda - Luca si accarezzò il mento pensieroso - Molto meglio: facendo piombare la stanza della giovane nel silenzio e basta! -
"Ancora di Schumann il Quintetto per pianoforte e archi..."
Ancora frasi sul piccolo schermo.
 
Diana diede una botta decisa al pedale d'accensione del vecchio Vespone. Niente.
"Tanto come il solito partirai al quinto colpo"
Un'altra botta decisa.
"Solo papà era capace di farti partire al terzo tentativo, nessun altro è mai riuscito in una simile impresa"
Terzo, quarto colpo. Niente. Quinto, il motore tossì incerto, scoppiettò, tossì di nuovo. Ma Diana sapeva che oramai non si sarebbe più spento, non lo aveva mai fatto in tanti anni.
Si aggiustò il casco lasciando fuoriuscire la lunga coda di cavallo a cui, pure se scomoda, mai avrebbe rinunciato e tirò su fino al mento la lampo del giaccone di velluto.
Faceva freddo, un freddo cane alle cinque e tre quarti del mattino; le strade ancora immerse nel buio e nel silenzio avevano un fascino indefinibile, apparivano a Diana come lunghi e neri tentacoli che l'avvolgevano proteggendola dai pericoli sconosciuti della notte che stava per dileguarsi.
Viale Trastevere, via Portuense, viale Marconi, finalmente una tenue luce tra i lampioni alti che scorrevano veloci alla sua destra, una luce sempre più vicina e intensa che rappresentava per lei l'inizio di un'altra lunga e vuota giornata di lavoro.
"No, non vuota, ho portato con me il quaderno, gli appunti e il mio amatissimo romanzo.
Da quando ho letto, nel mio insostituibile "Le gioie del p", che il primo tentativo di calcolo conosciuto del numero magico risale addirittura a 1650 anni prima di Cristo..."
- Diana, finalmente! -
- Come finalmente, sono le sei meno due minuti - La giovane mise sotto il naso di Giulio il polso con il grosso orologio dell'ex Unione Sovietica che, tanti anni prima, le aveva regalato il padre - Non puoi brontolare anche quando sono puntuale -
- Hai ragione, scusami - l'uomo le diede un bacio distratto sulle labbra - Ma devo fare tante di quelle cose a quest'ora... Non farci caso -
"Da quando hai aperto la nuova edicola, sei diventato proprio impossibile" Diana pensò tra sé guardandolo andare via agitato.
- Ti devo parlare del mio orario di lavoro - gli gridò mentre lui saliva sulla fiammante e troppo grande automobile appena comprata. Inutilmente, Giulio aveva già acceso il motore e non poteva sentirla.
"Che ci farai poi con una macchina simile? Ti rende solo più nevrotico e scostante del solito" pensò con tristezza guardando l'auto andare via "Non è così che immaginavo la storia tra noi -
- Diana, ti decidi ad aprire? Fra tre minuti passa l'autobus - L'uomo grande e grosso nascosto sotto un enorme cappotto blu la scosse dai pensieri tristi.
- Oh scusa, Giacomo, un attimo solo e avrai il tuo Corriere dello sport - la giovane tirò su le serrande dell'edicola e afferrò il primo grosso pacco di giornali che Giulio aveva lasciato sul marciapiede.
- La posso aiutare signorina? - Chiese l'omone in tono ironico - Lei è troppo carina per affaticarsi con simili pesi - afferrò il secondo pacco depositandolo all'interno del piccolo chiosco.
- Grazie, sei un tesoro - Diana tagliò la corda che avvolgeva i quotidiani e porse all'uomo il Corriere - Hai visto, la Lazio ce l'ha fatta; scommetto che sei stato sveglio fino a tardi. Si vede dalle borse che hai sotto gli occhi -
- Giornata no, oggi - la interruppe Giacomo - Te lo si legge in faccia. È colpa di Giulio, come il solito.
Tuo padre riusciva a farlo ragionare, riusciva a tirargli fuori i lati migliori, ben pochi per la verità. Lascialo perdere ragazza mia, tu meriti molto di più. E poi è troppo vecchio... -
- L'autobus, impiccione - gridò Diana - Smetti di darmi consigli e corri, non sei proprio quello che si può definire un fringuellino -
L'omone scappò goffamente dondolando a destra e a sinistra e regalando alla giovane il primo sorriso della giornata.
 
"Adesso dovrei parlare del rapporto tra Giulio e Diana, me lo propongo dal secondo capitolo. E strano... sembra quasi che Diana voglia costringermi a temporeggiare. Ma adesso basta! Sono io lo scrittore e lei e solo una mia creatura, che diamine"
Luca fissò irritato lo schermo luminoso del computer.
"È meglio che per un po' mi dedichi a Eva, se non altro è un personaggio meno ribelle"
"Anche se difficile da descrivere" pensò perplesso "Così piena di sfaccettature, così diversa"
Era proprio questo a preoccuparlo, non aveva mai conosciuto un individuo come Eva; in trentadue anni di vita non aveva mai incontrato un transessuale. Come avrebbe fatto a renderlo credibile, a dargli una personalità?
"A dargli o darle una personalità credibile?" Si chiese incerto mentre le sue dita già sfioravano impazienti i tasti.
"Sarà Daniele ad aiutarmi con Eva, tocca a lui comparire sulla scena"
 
"...Sospeso lo sciopero dei benzinai, raggiunto l'accordo..."
- Che rottura, ridatemi Beethoven! - Daniele mise lo spazzolino da denti nel bicchiere rosso che gli aveva regalato il figlio; erano sei giorni che non vedeva Fabio e gli mancava molto.
"Non è giusto, non mi basta stare con te solo il sabato e la domenica, devo raccontarti un sacco di cose" pensò amaramente "Ieri non sono riuscito neppure a cominciare l'articolo sui writers. E lo devo consegnare al giornale questo pomeriggio"
Il giovane s'infilò i jeans scoloriti che portava oramai da quattro giorni.
"Forse dovrei cambiarli, sto trascurandomi in quest'ultimo periodo; al giornale fanno finta di niente, ma si vede che non sono soddisfatti. E poi sto lavorando male, saranno almeno due settimane che non scrivo un buon articolo"
Indubbiamente Daniele stava passando un momento particolarmente difficile, un momento che oramai durava da più di otto mesi.
Prima la fine della storia con Adriana, sicuramente per colpa di entrambi; una storia durata, tra alti e bassi, nove anni. Poi la separazione, dolorosa, e la decisione del giudice, dolorosissima: Fabio era stato affidato alla madre, lui lo avrebbe potuto vedere solo il sabato, la domenica e i giorni festivi; neppure tutti, uno si e uno no.
Aveva dovuto lasciare la casa in centro ad Adriana e Fabio e si era trasferito nel piccolo appartamento vicino a Viale Marconi che suo padre, prima di morire, gli aveva regalato.
Pochi mesi dopo, nella zona, era conosciuto da tutti come il giornalista e a Daniele quell'appellativo non dispiaceva affatto, lo faceva sentire importante.
"...Una notizia appena arrivata in redazione" la voce gracchiante del presentatore interruppe la cantante di turno "Amiche e amici ascoltatori una notizia scioccante: pare che alcuni terroristi si siano impossessati di un treno.
Sì, avete sentito bene, di un treno che stava percorrendo il tratto Firenze-Roma. Sembra che gli estremisti abbiano preso in ostaggio tutti i passeggeri. Ancora non si sa nulla di preciso, il sequestro risale a neppure un'ora fa; i sedicenti terroristi hanno annunciato per le dieci un comunicato..."
 
"Sequestrare un treno? Certo che ogni tanto mi vengono delle strane idee" Luca fissò la parete bianca davanti a lui "Però non è un'intuizione malvagia.
Immagino le implicazioni: passeggeri in preda al panico, delinquenti che potrebbero essere dei disperati, troppo disperati per riuscire ad organizzare un vero e proprio dirottamento"
Pieno d'entusiasmo, riprese a scrivere.
 
"Sequestrare un treno? Che idea balorda" Daniele finì di sorseggiare il cappuccino bollente "Immagino quello che sta accadendo in questo momento al giornale: saranno tutti agitatissimi.
Il direttore avrà già convocato Rendini e Tosetti nel suo ufficio e starà scarabocchiando le direttive sulla lavagna, i consigli come li chiama lui: il gesso rosso per indicare le ricerche da fare immediatamente, quello giallo per segnalare le persone da intervistare, il bianco per definire gli schemi degli articoli"
Il giovane tirò su le serrande e fece entrare la luce del sole nello studio. Non poteva perdere altro tempo, doveva scrivere l'articolo sui writers entro l'ora di pranzo.
Richiamò il file Graffiti sul portatile: era decisamente vuoto, la pagina sullo schermo era irrimediabilmente bianca.
Cliccò allora deciso sull'icona dei giornali, si era ricordato che Repubblica aveva pubblicato qualche giorno prima un articolo sui writers di New York.
Un istante e il pezzo comparve sullo schermo. Una scorsa veloce. Non andava bene, vi erano scritte un sacco di banalità.
Con il mouse richiamò il Corriere della sera: nulla, ancora luoghi comuni.
Il Manifesto, forse su un giornale di sinistra? Di nuovo una scorsa veloce.
"Almeno qui sono scritte cose meno stupide; è interessante questo confronto tra le due anime dei writers: i graffiti hanno senso solo se sono trasgressivi, fuorilegge oppure..."
Lesse velocemente; era preoccupato per il suo articolo, gli rimaneva pochissimo tempo.
Poi, all'improvviso, l'ispirazione: i pensieri cominciarono a trasformarsi in parole, le parole in frasi...
 
Il rumore della porta che si aprì distrasse Luca riportandolo nella sua camera nel ghetto e restituendogli corpo, mente e senso della realtà.
- È pronto il pranzo? -
- Matteo! No, non è possibile che siano già le due e mezza -
- Ti sei divertito questa mattina? -
"La solita frase"
- Certo che voi insegnanti siete proprio dei privilegiati, un giorno libero durante la settimana -
Luca si alzò indispettito, aprì la porta della stanza e gettò in faccia all'amico il grosso cuscino appoggiato sul letto.
- Se lo ripeti ancora non mi limiterò a gettarti addosso il cuscino. E comunque il pranzo non è pronto, se hai fame la cucina è in fondo al corridoio! Come sempre -
- Ho capito, ho capito; non sei in una delle tue giornate migliori - lo interruppe Matteo con un sorriso disarmante - Preparo io per entrambi, tu continua pure a lavorare -
Luca si chiuse la porta alle spalle, le note del Flauto magico di Mozart lo avvolsero protettive. Cercò di ritrovare le sue creature di carta, cercò ostinatamente di rintracciare in quella melodia la testarda Diana, l'ambigua Eva, l'insoddisfatto Daniele.
Inutilmente, oramai l'ispirazione era svanita: la giornalaia e il transessuale erano tornati ad essere, per altri sette lunghi giorni, semplici segni neri sullo schermo di un computer.

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