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Tullio La Sala

6° classificato nel concorso Il club dei poeti 1997 sez. narratica con:

Radici

Il cielo scolora lentamente ad oriente.

Ed è come se la mamma versasse, goccia dopo goccia, del latte nel mio caffè d'orzo. Lassù, frattanto, un burattino raccoglie dentro un gran paniere, una alla volta ed in tutta fretta, monete d'oro, spuntate miracolosamente durante la nottata nell'orto di Bengodi.

La thema, imboccata l'autostrada, mangia, che ti mangia, il lucido asfalto.

L'Antonia, alla guida, sorrise felice e mi ricorda tanto una cavalla, tutta bianca, della mia infanzia che, per farla andare ce ne volevano delle buone e delle cattive, mentre, a ritornare, se la filava liscia, senza uno strattone, già pregustando stalla e fieno a froge aperte per il desiderio.

Infatti, si torna a casa, reduci da un lungo viaggio e soggiorno in Trinachia. E quella, non l'isola, ma la signora moglie, per la gioia, non sta più nella pelle.

Ora le fo cenno di star pronta al prossimo casello, perché s'abbandona la lucida fettuccia per… sciogliere un voto.

 

Docile e tutta d'argento, la vettura viene su per una statale deserta, che par che pianga un congiunto stretto.

Riverberi negli occhi.

Si svolta, sulla destra. Ad angolo retto, per nu' Stritto, tirato a lucido come un villano nel dì della festa e con un asfalto, sotto il cui manto devono aver seppellito gli itinerari impossibili di una Bianchi, in vena di virtuosismi tra pietre, buche e mille diavolerie, disseminate a bella a posta da un folletto birichino.

All'improvviso mi prende un'agitazione folle.

Non resisto a star chiuso in quel feretro ronzante.

L'auto si ferma, bruscamente, il muso basso, con un dondolio appena accennato.

Scendo e proseguo a piedi verso un cancello dalle mura tutte rosa.

C'è della gente lassù davanti alla torre, seduta in cerchio, che sta a guardare, stupita, quel forestiero, che indugia, le mani sui ferri del cancello, il capo chino.


«Tullio! Giochiamo a dama?».

«Volentieri, Nelli!».

Mi siedo. Sulle gambe nude distendo il quadrato di legno e vado disponendo le pedine.

Lei vuole sempre quelle bianche.

Sta accostando la sedia impagliata, apre le gambe a forbice, circonda le mie e s'avvicina più che può a quell'improvvisato tavolo da gioco.

L'osservo, mentre lei pensa alla mossa da fare. E… la vedo per la prima volta.

È bellissima!

La compagna d'infanzia, l'amica per la pelle, ha ceduto il posto ad una ragazza fine e dolce, che non conosco, ma che raccoglie, immediata, la mia simpatia. Forse qualcosa di più. Trenta e lode!

Questo dopo la prima partita, che la sconosciuta ha stravinto nei confronti di un allocco qualsiasi, che corre dietro ai suoi pensieri.

Gambe lunghe e bellissime. Bianchissime, che stringono le mie. E quella mano, che, indolente, appoggia poco sopra del mio ginocchio, provoca uno sfarfallio stranissimo nello stomaco.

Ma tu! Chi sei? Principessa!

Mi viene voglia di accarezzare quel capo chino, dai capelli lunghi e nerissimi. Mi trattengo a stento.

Ed è la seconda partite che perdo di seguito.

Quella non crede alla sua sfacciata fortuna ed alza gli occhi per sincerarsi di cosa mi stia succedendo questa mattina per giocare così male. Incrocia i miei e l'iniziale ironia si spegne adagio in una curiosità stupefatta, in un bisturi affilato, che fruga dentro, assassino.

Faccio finta d'impegnarmi. Muovo sconsideratamente, mentre sono attratto da un piccolissimo triangolo d'intimo tessuto rosa, che fa capolino di tanto in tanto al confluire di quelle ambe di porcellana, al di sotto di una sottana, tirata su per necessità di gioco. M'incanto davanti a quello strumento di seduzione e regredisco rapidamente nel tempo, sino a finire dritto dritto nel grembo di… mammina.

Mi fermo.

Nellina è lì a fissarmi con quegli occhi profondissimi, che ora languono di tenerezza infinita e che stanno mandando un messaggio. Le nostre teste s'avvicinano lentamente e si piegano di lato, tanto da permettere a due paia di labbra di trovarsi per la prima e… l'ultima volta.

 

Delle pedine scivolano giù per il piano inclinato.

S'azzuffano sull'orlo; per, poi, rotolare via, libere, ciascuna per proprio conto.


Mentre quelli della torre stanno scendendo giù per lo stradone per sincerarsi se il forestiero stia proprio male, aggrappato com'è ai ferri del cancello, l'Antonia da parte sua mi tira per la giacca con dolce violenza.

Io la seguo docilmente, pur sapendo che pezzi scoperti delle mie radici resteranno in quel luogo e che non riuscirò mai, né vorrò mai, recuperarli.

 

Si decide di visitare il paese natio in lungo e largo alla riscoperta di altri spezzoni di me stesso, a volo radente però, perché il passaggio sia dolce e veloce ed i ricordi possano affiorare, senza, però stremarmi del tutto.

Si vorrebbe ora proseguire per Morano e riprendere l'autostrada al successivo casello; ma per il momento il passaggio a livello, chiuso, delle Calabro-lucane ce lo impedisce.

Scendo dalla vettura ed attendo gli eventi, appoggiando i gomiti e le braccia alla portiera, aperta di quarantacinque gradi.

Un fischio in lontananza.

Tutto trema, mentre la vaca mora si disegna in lontananza e viene avanti con il suo terremoto al seguito. Mi transita ad un palmo dal naso, con le sue colorate ferraglie in moto perpetuo, che la fanno rassomigliare tanto ad una giostra da luna park.

Credo che non v'interessi sapere che ad un finestrino c'è un piccolo me stesso, che mi sta sorridendo e che mi saluta con la mano.

Felice?

Chi? Io?

Come uno qualsiasi di voi.

 

Il treno è ormai un puntino all'orizzonte.

Le sbarre s'alzano e immancabilmente la… giostra riprende:

«Signori in carrozza! Altro giro, altra corsa!».

 


©1996 Il club degli autori , Tullio La Sala
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