- Amore
in autobus
-
- Cet
amour tout entier
- Si
vivan encore
- Et
tout ensoleillè
- C'est
le tien
- C'est
le mien
- Celui
qui a été (Jacques
Prévert).
-
- "Scusi, dovrei
scendere alla fermata di fronte alla concessionaria
della Renault"
- La vocina,
querula, decorata da un grazioso accento francese,
erre arrotondata compresa, fu preceduta di qualche
secondo da una specie d'inondazione di "Chanel n.
5" il quale, mischiandosi agli olezzi di gasolio,
sudore e varia umanità, rese quell'autobus
simile a un mercato di spezie orientali. Angelo, il
giovane autista alla guida del mezzo, alzò
lo sguardo verso lo specchio retrovisivo nel quale
vide inquadrata la proprietaria della vocina
querula: era una bella ragazza bionda; aveva i
lunghi capelli raccolti a coda di cavalle e fermati
da un piccolo pettine; gli occhi, di un verde
smeraldo, sembravano gemme cristalline che
descrivessero paesaggi marini; un lieve rossore sul
viso e il nasetto arricciato all'insù le
davano un'aria sbarazzina. La sua delicata
bellezza, il suo contegno e le sue maniere gentili,
colpirono immediatamente la fantasia di
Angelo.
- "Non
vorrà mica dirmi che lei è parigina?"
disse Angelo tanto per attaccare bottone:
- "Infatti non
glielo dico; sono di Tolosa" rispose lei con un
sorriso smagliante:
- "Comunque viene
dalla patria delle Renault; non aveva una
concessionaria più vicina a casa per
comprare la macchina?"
- "Il fatto
è che io, le macchine, le faccio comprare
agli altri. Lavoro all'ufficio vendite della
concessionaria; anzi, se lei ha bisogno di cambiare
la macchina, le dico che ne abbiamo di molto belle
ed economiche".
- "Grazie ma io ho
una simpatica 500 e, per ora, non intendo
cambiarla".
- La fermata si
stava avvicinando fin troppo rapidamente per Angelo
che avrebbe voluto prolungare la conversazione. Ma
le cose belle, si sa, durano poco e in pochi
istanti la fermati si
materializzò:
- "Allora buon
giorno e grazie per avermi abbellito l'autobus"
disse Angelo:
- "Buon giorno e
buon lavoro" rispose lei con un amabile sorriso a
fior di pelle:
- "Non credo che,
se fosse stato veramente buono l'avrebbero dato a
me" - rispose Angelo. La ragazza sorrise
ancora.
- Non era vero;
aveva detto una facezia tanto per riuscire
simpatico alla francesina, però, quel lavoro
gli piaceva. Era stato assunto da poco; aveva il
diploma da Geometra, sotto la vita militare aveva
conseguito la patente per gli autobus e quando
venne a sapere che nell'Azienda Municipale erano
aperte le assunzioni, decise di mettere da parte
agrimensura, planimetrie, toponomastica e ogni cosa
per guadagnarsi da vivere alla guida dei mezzi
pubblici. Era giovane, entusiasta della vita,
paludato dentro una divisa che gli conferiva
un'aria da adulto e lavorava a spasso per la sua
bella città, sentendosi un po' turista e un
po' cicerone. Era l'anno 1965 e gli inverni erano
ancora inverni; le estati ancora estati; gli
impiegati portavano vestiti grigi, camicie bianche
e cravattine dai colori seriosi; le donne calzavano
tacchi a spillo, le ragazze, per la maggior parte,
arrossivano se veniva rivolta loro la parola. Nei
juke box imperversava Jimmy Fontana con quella
indimenticabile ovvietà per la quale "Il
mondo non si è fermato mai un momento". Si
ascoltavano le canzoni di Gianni Morandi e di
Little Tony dentro certi cassettoni chiamati
fonovaligie. Gli autobus avevano ancora il pedale
della frizione e il cambio non sincronizzato, non
esistevano ancora le corsie preferenziali e il
traffico era convulso e caotico, ma faceva niente,
tanto il tempo era dell'Azienda. Il pensiero della
francesina gli allietò la giornata". Se
lavora alla concessionaria, sono sicuro di
rivederla" pensò. La rivide, e più
volte: seppe che si chiamava Juliette che aveva
imparato l'italiano da sua madre figli di immigrati
calabresi e che abitava a Roma da una sua zia.
Quando Juliette saliva sull'autobus, Angelo era
più allegro e disteso; pochi attimi di
contentezza e poi il pensiero di lei gli teneva
compagnia nel traffico cittadino che d'improvviso
si ammantava di un'atmosfera sognante e poetica.
Arrivò perfino a chiederle un giorno in cui
si aspettava di vederla ma lei non c'era il
perché di tale assenza:
- "Ho avuto
l'influenza" disse lei giustificandosi di qualcosa
di cui non doveva certo rendergli conto.
Finché un giorno, non senza un forte
batticuore come succedeva ai ragazzi di quel tempo
quando parlavano con una ragazza, Angelo fece una
proposta a Juliette:
- "Ti piacerebbe
che ci vedessimo fuori dell'autobus? Magari potrei
farti conoscere Roma". Juliette, atteggiò il
suo visetto con una smorfia come a voler dire "Ce
ne hai messo di tempo per dirmelo" e gli
rispose:
- "Guarda che io
Roma la conosco visto che ci abito"
- "Tu conosci solo
la strada della concessionaria, quella dove abiti e
i monumenti famosi come il Colosseo o il Vaticano.
Io potrei farti conoscere i posti dove ci si
diverte"
- "Bene, allora
quando ci si vede?" disse lei con l'atteggiamento
di chi non aspettava altro:
- "Anche domenica
prossima, se ti va".
- Mancavano
quattro giorni alla domenica successiva e Angelo li
trascorse con affanno e trepidazione, con
l'agitazione nell'animo come in attesa di un bene
sperato. Era bella Juliette quando si
presentò all'appuntamento; indossava un
grazioso tailleur rosa, si era data un trucco
leggero e si era raccolti i capelli dietro la nuca.
Andò incontro ad Angelo sorridendo con la
sua caratteristica smorfietta di compiacimento. Era
una bella giornata di primavera, il clima era
florido e giocando come la loro età
giovanile e spensierata. Fecero una passeggiata
lungo il Pincio; le piante e i fiori dai colori
variopinti delle aiole, predisponevano gli animi
dei due ragazzi verso pensieri festevoli e
leggiadri. Fecero un giro in barca sul laghetto di
Villa Borghese: con finezza nel procedere, Angelo
aiutò Juliette a salire sulla barca, lei con
fare vezzoso prese la mano di lui e si
accomodò. La gonna di Juliette si
alzò accidentalmente lasciando scoperta una
generosa parte delle sue belle gambe; Angelo,
mentre remava, rimirava con attenzione e maraviglia
quello spettacolo e lei, maliziosamente
indugiò per un poco prima di coprirsi di
nuovo guardando il giovane con uno sberleffo
lezioso. Juliette si era portata una macchinetta
fotografica e Angelo immortalò la ragazza
mentre era seduta sulla barca. Quel pomeriggio
finì rapidamente, almeno come era stata
lunga l'attesa che giungesse. Angelo
accompagnò Juliette a casa sua; prima di
lasciarsi, i due si guardarono intensamente, in
volto; le loro labbra prima si avvicinarono, poi si
sfiorarono, poi si toccarono, prima chiuse, poi
aperte in un bacio tenero e amoroso:
- "Promettimi che
usciremo ancora insieme" disse Angelo. Lei chiuse
dolcemente gli occhi, gli mise la mano dietro la
nuca, lo avvicino a sé e, senza parlare,
fece solamente sì movendo il capo. Si
rividero altre volte. Un pomeriggio andarono a
giocare al bowling. Al ritorno furono sorpresi da
un violento acquazzone; con la gagliardia della
loro giovane età fecero una gran corsa per
giungere a casa di Juliette ma, quando arrivarono
erano tutti fradici:
- "Sali un pochino
a casa - disse Juliette - sei tutto bagnato e non
puoi stare in quelle condizioni". Angelo non
chiedeva di meglio; entusiasta ma anche un
pò timoroso entrò nella casa della
giovane. Erano soli; Juliette si tolse il pullover
e restò con indosso una leggera camicetta
che, bagnata le aderiva al corpo mettendo in
evidenza le sue belle fattezze. Angelo si
avvicinò a lei coi sensi tutti eccitati: ma
non c'era né lussuria né lascivia;
piuttosto una carnalità che esprimeva
sentimenti delicati e gentili. Lei si stringeva al
corpo di lui con una sensualità languida e
un piacere mellifluo; sussurrava soavi frasi nella
sua lingua e Angelo, con sorpresa, si accorse di
capire tutto quello che lei stava dicendo. Per
Angelo per la prima volta; aveva spesso millantato
con gli amici avventure erotiche ma non erano vere:
Juliette era la sua prima donna. Provava una
sensazione straordinaria; un sentimento di
piacevole sorpresa; un incanto estatico e
soprannaturale si era impossessato di tutto il suo
essere, si sentiva librare nel cielo come
trasportato da un vento impetuoso, spaziare nella
volta celeste, come un'aquila reale, e giungere
strabiliato, alla fine di quel volo, fino a lei:
bellezza consacrata, divinità incantatrice,
delizia inaudita. Si addormentarono mano nella
mano, felici, innamorati, come se le
divinità celesti avessero disposto in modo
che nulla fosse venuto a turbare la felicità
dei due amanti. Angelo si svegliò di
soprassalto con la sgradevole sensazione di dover
correre in fretta al lavoro; si mise seduto sul
letto, l'aurora era appena accennata. Ci mise
qualche secondo prima di assumere la consapevolezza
del fatto che no: non doveva andare al lavoro. Si
alzò lentamente dal letto, entrò in
bagno, accese la luce e si guardò allo
specchio: no, non doveva andare al lavoro; non ci
sarebbe mai più dovuto andare. Quell'autobus
partito trentacinque anni prima era giunto
finalmente al capolinea: il giorno prima aveva
fatto un brindisi coi colleghi, aveva stretto una
quantità di mani, aveva pronunziato qualche
parola di circostanza e, per l'ultima volta, aveva
varcato il cancello del deposito. Era giunto il
giorno del suo pensionamento. Si guardava allo
specchio; aveva come l'impressione che una
inopinata modificazione del suo organismo gli
stesse stravolgendo la realtà. Come per un
fenomeno inconsueto, percepiva che l'immagine
riflessa nello specchio non fosse quella del
sessantenne un po' imbolsito quale era attualmente,
ma quella del ragazzo dinoccolato e sorridente di
tanti anni prima. Quanto tempo era passato da quel
giorno a casa di Juliette!
- "Vado qualche
giorno in Francia, ti chiamerò appena
sarò tornata" gli disse e, invece, non
l'aveva più veduta. L'aveva cercata a casa
sua ma non c'era più e anche sua zia aveva
cambiato casa. l'aveva cercata anche alla
concessionaria e gli avevano risposto che era stata
trasferita a Parigi. Perché non si era fatta
più sentire? Perché se ne era andata
così, senza una spiegazione né un
motivo? Angelo aveva cercato di farsi un esame di
coscienza per capire se, magari, le avesse mancato
i rispetto o le avesse fatto qualcosa si male, ma
più ci pensava, più gli rimaneva
soltanto il tenero ricordo di quei giorni felici
trascorsi con Juliette insieme a un rimpianto
doloroso e al desiderio di ciò che aveva
perduto e che avrebbe voluto ancora. Quanto tempo
era passato! In quei quarant'anni non aveva fatto
altro lavoro che guidare l'autobus; dal giorno
dell'assunzione a quello della quiescenza, ma il
mondo attorno a lui era cambiato; le ragazze non
arrossivano più, i ragazzi non avevano
più il batticuore, le donne non portavano
più i tacchi a spillo e gli impiegati non
più i vestiti grigi e le cravatte seriose.
Le fonovaligie erano state sostituite da apparecchi
complicatissimi e difficili da manovrare che
suonavano dischetti argentati dai quali uscivano le
note stridenti degli Oasis o di Eminem. Gli autobus
avevano il cambio automatico; erano state create le
corsie preferenziali ma, il traffico era sempre
caotico e la città non era più bella;
o forse era ancora bella, ma lui, adesso, la vedeva
brutta. Quanto tempo era passato! In Francia c'era
De Gaulle, poi era arrivato Pompidou, poi Giscard
d'Estaing, dopo Mitterand e poi chissà chi
altro. In Italia si cambiava governo ogni sei o
sette mesi: centrosinistra, pentapartito,
monocolore, bipolarismo, seconda Repubblica;
Andreotti, Craxi, Berlusconi, Bossi, D'Alema e
tutta quella cianfrusaglia della malora. C'erano
stati tre papi; uno morì dopo un mese: pace
all'anima sua; tanto, morto un papa, se ne fa
sempre un altro. A Berlino c'era un muro, a
Varsavia un patto, a Saigon una guerra, a Praga una
primavera: ma non una bella primavera come quella
che aveva visto sbocciare l'amore di Angelo e
Juliette. In Italia ci fu una confusa storia di
piste false, di bombe vere, di servizi segreti
deviati, di uno statista rapito poi morto ammazzato
e lasciato cadavere dentro una Renault come quelle
che vendeva Juliette alla concessionaria. Quanto
aveva pianto per Juliette! Quanto l'aveva invocata,
sognata, desiderata! Per molto tempo aveva sperato
di rivederla; era certo che, un giorno o l'altro,
lei l'avrebbe richiamato, non poteva essere finita
così; ci doveva essere per forza una
spiegazione. Poco a poco, però, se ne era
dato per inteso anche se non l'aveva dimenticata
del tutto. Un giorno Angelo conobbe Caterina, una
bella moretta tutta simpatia che faceva la commessa
alla "Rinascente". Dopo un breve fidanzamento si
erano sposati e avevano sempre vissuto insieme;
tenendosi per mano avevano affrontato le temperie
dell'esistenza coi suoi casi a volte normali, a
volte singolari. Piccole e grandi gioie, piccoli e
grandi drammi; preoccupazioni quotidiane affrontate
con la reciproca comprensione. Angelo amava
Caterina; per questo non l'ha mai tradita,
perché lei non meritava un oltraggio,
perché era persuaso che è meglio
coltivarsi il proprio orto prima che lo faccia
qualcun altro. Avevano comprato una casa, facendo
un mutuo; avevano avuto tre figli: una femmina e
due maschi; tre bravi ragazzi che avevano dato loro
più soddisfazioni che dispiaceri. Angelo si
era chiesto spesso quale fosse la vera
felicità: quell'attimo prodigioso e
irripetibile vissuto con Juliette, o quell'insieme
di piccole dolcezze che, negli anni le aveva
regalato Caterina? Quale era il vero amore:
quell'idillio seducente che a distanza di tanto
tempo ancora rammentava attimo per attimo, o
quell'edificio di affetto e di festosità ma
anche di liti a volte aspre ma sempre benaccette
perché dopo, ogni volta, ci si trovava
più uniti di prima che, giorno dopo giorno,
aveva costruito assieme a Caterina? Non aveva mai
raccontato a Caterina di Juliette; non
perché ci fosse qualcosa di male, ma
perché voleva conservare tutto per sé
il ricordo di quei giorni, come una sorta di
scrigno segreto accessibile solo a lui. Quanto
tempo era passato! Si guardava alla specchio:
l'illusione ottica dinanzi avuta si era dileguata;
ora, l'immagine riflessa nello specchio era quella
del pensionato che non faceva più quel
lavoro che, all'inizio, gli piaceva tanto e per il
quale aveva rinunziato a fare il geometra. Era
diventato più brontolone, più
pessimista ma, in fin dei conti, anche più
saggio:
- "Anche
l'età della pensione è bella per chi
se la sa godere" pensò, tornando in camera
da letto. Caterina si era appena svegliata e lui si
accorse che era ancora bella e che la desiderava
ancora; era una bella sessantenne che ancora
desiderava:
- "Anche questo
è amore" pensò.
- "Tutta la vita a
combattere con la sveglia, poi arriva il giorno
della pensione e ti svegli da solo; guarda che sei
proprio strano!" disse Caterina, Angelo le
sorrise.
- "La prima spesa
che voglio fare, appena incasserò la
liquidazione, è una macchina nuova. La casa
è tutta pagata, i ragazzi sono sistemati, ma
una macchina ci vuole proprio."
- Nel "Ufficio
Vendite" della concessionaria Renault,
completamente rammodernato, il venditore Antoine
Lacombe stava parlando con una sua collega; mentre
discorrevano, la donna urtò col gomito il
ritratto che Antoine teneva sullo scrittoio e lo
fece cadere per terra, si chinò per
raccoglierlo.
- "Bella ragazza -
disse la collega di Antoine - anche se trovo un po'
strano indossare quel bel tailleur per fare una
gita in barca".
- "È mia
madre - disse Antoine - È morta lo scorso
anno: era molto affezionata a quella fotografia; se
l'era fatta qui a Roma, a Villa Borghese. Io porto
il suo cognome perché lei era una ragazza
madre. Quando ero bambino lei mi aveva racconto che
mio padre era morto prima che nascessi. Noi
francesi siamo sempre stati un po' laici di voi
italiani ma, una ragazza madre, nella Parigi di
quarant'anni fa, faceva scandalo lo stesso. Solo
quando sono stato abbastanza adulto mi disse come
stavano veramente le cose: la storia con mio padre
fu breve ma intensa; un amore romantico di quelli
che si ricordano per tutta la vita, ma quando lei
si accorse di aspettare me, non volle dirglielo.
Temeva che lui l'avrebbe sposata solo perché
costretto, oppure che l'avrebbe abbandonata o,
peggio ancora, costretta a fare un aborto
clandestino e le voleva tenermi. Non voleva
sciupare il ricordo di quel fantastico amore,
così tornò in Francia senza dirgli
nulla. Se l'è sempre cavata da sola.
Lavorava anche lei alla Renault: mi ha fatto
studiare, mi ha trovato lavoro e non mi ha mai
fatto mancare nulla; in un certo senso è
stata una femminista "ante litteram". Non che io
non abbia mai avuto, specialmente da ragazzo, la
curiosità di sapere chi fosse mio padre;
però, tutto sommato, i miei coetanei mi
parlavano dei loro come dei grandi scocciatori e,
quindi mi sono rassegnato presto.
- "Ascolta Antoine
- disse la collega - il portaritratti, cadendo, si
è smontato. Vado di là, nel mio
ufficio a rimetterlo a posto; fra poco te lo
riporterò".
- "Ti ringrazio -
disse Antoine - nel frattempo io devo ricevere un
cliente".
- Quanto tempo era
passato! Dopo la 500, Angelo aveva avuto una "Fiat
128" poi una "Alfa 33" che si era fatta vecchia.
Non era certo il tipo di persona che si cambia la
macchina ogni sei mesi. Però, adesso coi
primi soldi della liquidazione aveva deciso di
comprare una macchina nuova; aveva scelto l'ultimo
modello dalla "Renault".
- "Buon giorno -
disse Angelo entrando alla concessionaria - Lei
è il signor Lacombe?".
- "Sì, sono
io: proprio stamattina ho ricevuto il fax di
conferma del suo bonifico. La macchina, quindi,
è a sua disposizione; può ritirarla
quando vuole. Complimenti, lei ha fatto un'ottima
scelta".
- "La ringrazio
signor Lacombe" disse Angelo stringendo la mano al
venditore.
- Può
succedere che un venditore di automobili francese e
un guidatore di autobus in pensione che non si
erano mai visti né conosciuti, abbiano
qualcosa in comune. Può succedere che vite
apparentemente così lontane, si incrocino
occasionalmente per qualche imperscrutabile
capriccio del destino, per un impreciso accadimento
che non ci è dato intendere né
indagare. Può succedere che l'unico, debole
filo conduttore che potrebbe legare le due storie,
vada a finire per terra a causa di un'impiegata
intruppona. Può succedere che non rimanga
altro che una stretta di mano, un fax di conferma
per un bonifico bancario, una macchina nuova da
ritirare. Può succedere che un padre e un
figlio, per la prima volta si incontrino, si
parlino, si stringano la mano; ma che sono padre e
figlio, nessuno dei due lo saprà
mai.
-
Giugno
2000.
-
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