Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
  Poesie di
Stefano Paolini
Amore in autobus
 
Cet amour tout entier
Si vivan encore
Et tout ensoleillè
C'est le tien
C'est le mien
Celui qui a été (Jacques Prévert).
 
"Scusi, dovrei scendere alla fermata di fronte alla concessionaria della Renault"
La vocina, querula, decorata da un grazioso accento francese, erre arrotondata compresa, fu preceduta di qualche secondo da una specie d'inondazione di "Chanel n. 5" il quale, mischiandosi agli olezzi di gasolio, sudore e varia umanità, rese quell'autobus simile a un mercato di spezie orientali. Angelo, il giovane autista alla guida del mezzo, alzò lo sguardo verso lo specchio retrovisivo nel quale vide inquadrata la proprietaria della vocina querula: era una bella ragazza bionda; aveva i lunghi capelli raccolti a coda di cavalle e fermati da un piccolo pettine; gli occhi, di un verde smeraldo, sembravano gemme cristalline che descrivessero paesaggi marini; un lieve rossore sul viso e il nasetto arricciato all'insù le davano un'aria sbarazzina. La sua delicata bellezza, il suo contegno e le sue maniere gentili, colpirono immediatamente la fantasia di Angelo.
"Non vorrà mica dirmi che lei è parigina?" disse Angelo tanto per attaccare bottone:
"Infatti non glielo dico; sono di Tolosa" rispose lei con un sorriso smagliante:
"Comunque viene dalla patria delle Renault; non aveva una concessionaria più vicina a casa per comprare la macchina?"
"Il fatto è che io, le macchine, le faccio comprare agli altri. Lavoro all'ufficio vendite della concessionaria; anzi, se lei ha bisogno di cambiare la macchina, le dico che ne abbiamo di molto belle ed economiche".
"Grazie ma io ho una simpatica 500 e, per ora, non intendo cambiarla".
La fermata si stava avvicinando fin troppo rapidamente per Angelo che avrebbe voluto prolungare la conversazione. Ma le cose belle, si sa, durano poco e in pochi istanti la fermati si materializzò:
"Allora buon giorno e grazie per avermi abbellito l'autobus" disse Angelo:
"Buon giorno e buon lavoro" rispose lei con un amabile sorriso a fior di pelle:
"Non credo che, se fosse stato veramente buono l'avrebbero dato a me" - rispose Angelo. La ragazza sorrise ancora.
Non era vero; aveva detto una facezia tanto per riuscire simpatico alla francesina, però, quel lavoro gli piaceva. Era stato assunto da poco; aveva il diploma da Geometra, sotto la vita militare aveva conseguito la patente per gli autobus e quando venne a sapere che nell'Azienda Municipale erano aperte le assunzioni, decise di mettere da parte agrimensura, planimetrie, toponomastica e ogni cosa per guadagnarsi da vivere alla guida dei mezzi pubblici. Era giovane, entusiasta della vita, paludato dentro una divisa che gli conferiva un'aria da adulto e lavorava a spasso per la sua bella città, sentendosi un po' turista e un po' cicerone. Era l'anno 1965 e gli inverni erano ancora inverni; le estati ancora estati; gli impiegati portavano vestiti grigi, camicie bianche e cravattine dai colori seriosi; le donne calzavano tacchi a spillo, le ragazze, per la maggior parte, arrossivano se veniva rivolta loro la parola. Nei juke box imperversava Jimmy Fontana con quella indimenticabile ovvietà per la quale "Il mondo non si è fermato mai un momento". Si ascoltavano le canzoni di Gianni Morandi e di Little Tony dentro certi cassettoni chiamati fonovaligie. Gli autobus avevano ancora il pedale della frizione e il cambio non sincronizzato, non esistevano ancora le corsie preferenziali e il traffico era convulso e caotico, ma faceva niente, tanto il tempo era dell'Azienda. Il pensiero della francesina gli allietò la giornata". Se lavora alla concessionaria, sono sicuro di rivederla" pensò. La rivide, e più volte: seppe che si chiamava Juliette che aveva imparato l'italiano da sua madre figli di immigrati calabresi e che abitava a Roma da una sua zia. Quando Juliette saliva sull'autobus, Angelo era più allegro e disteso; pochi attimi di contentezza e poi il pensiero di lei gli teneva compagnia nel traffico cittadino che d'improvviso si ammantava di un'atmosfera sognante e poetica. Arrivò perfino a chiederle un giorno in cui si aspettava di vederla ma lei non c'era il perché di tale assenza:
"Ho avuto l'influenza" disse lei giustificandosi di qualcosa di cui non doveva certo rendergli conto. Finché un giorno, non senza un forte batticuore come succedeva ai ragazzi di quel tempo quando parlavano con una ragazza, Angelo fece una proposta a Juliette:
"Ti piacerebbe che ci vedessimo fuori dell'autobus? Magari potrei farti conoscere Roma". Juliette, atteggiò il suo visetto con una smorfia come a voler dire "Ce ne hai messo di tempo per dirmelo" e gli rispose:
"Guarda che io Roma la conosco visto che ci abito"
"Tu conosci solo la strada della concessionaria, quella dove abiti e i monumenti famosi come il Colosseo o il Vaticano. Io potrei farti conoscere i posti dove ci si diverte"
"Bene, allora quando ci si vede?" disse lei con l'atteggiamento di chi non aspettava altro:
"Anche domenica prossima, se ti va".
Mancavano quattro giorni alla domenica successiva e Angelo li trascorse con affanno e trepidazione, con l'agitazione nell'animo come in attesa di un bene sperato. Era bella Juliette quando si presentò all'appuntamento; indossava un grazioso tailleur rosa, si era data un trucco leggero e si era raccolti i capelli dietro la nuca. Andò incontro ad Angelo sorridendo con la sua caratteristica smorfietta di compiacimento. Era una bella giornata di primavera, il clima era florido e giocando come la loro età giovanile e spensierata. Fecero una passeggiata lungo il Pincio; le piante e i fiori dai colori variopinti delle aiole, predisponevano gli animi dei due ragazzi verso pensieri festevoli e leggiadri. Fecero un giro in barca sul laghetto di Villa Borghese: con finezza nel procedere, Angelo aiutò Juliette a salire sulla barca, lei con fare vezzoso prese la mano di lui e si accomodò. La gonna di Juliette si alzò accidentalmente lasciando scoperta una generosa parte delle sue belle gambe; Angelo, mentre remava, rimirava con attenzione e maraviglia quello spettacolo e lei, maliziosamente indugiò per un poco prima di coprirsi di nuovo guardando il giovane con uno sberleffo lezioso. Juliette si era portata una macchinetta fotografica e Angelo immortalò la ragazza mentre era seduta sulla barca. Quel pomeriggio finì rapidamente, almeno come era stata lunga l'attesa che giungesse. Angelo accompagnò Juliette a casa sua; prima di lasciarsi, i due si guardarono intensamente, in volto; le loro labbra prima si avvicinarono, poi si sfiorarono, poi si toccarono, prima chiuse, poi aperte in un bacio tenero e amoroso:
"Promettimi che usciremo ancora insieme" disse Angelo. Lei chiuse dolcemente gli occhi, gli mise la mano dietro la nuca, lo avvicino a sé e, senza parlare, fece solamente sì movendo il capo. Si rividero altre volte. Un pomeriggio andarono a giocare al bowling. Al ritorno furono sorpresi da un violento acquazzone; con la gagliardia della loro giovane età fecero una gran corsa per giungere a casa di Juliette ma, quando arrivarono erano tutti fradici:
"Sali un pochino a casa - disse Juliette - sei tutto bagnato e non puoi stare in quelle condizioni". Angelo non chiedeva di meglio; entusiasta ma anche un pò timoroso entrò nella casa della giovane. Erano soli; Juliette si tolse il pullover e restò con indosso una leggera camicetta che, bagnata le aderiva al corpo mettendo in evidenza le sue belle fattezze. Angelo si avvicinò a lei coi sensi tutti eccitati: ma non c'era né lussuria né lascivia; piuttosto una carnalità che esprimeva sentimenti delicati e gentili. Lei si stringeva al corpo di lui con una sensualità languida e un piacere mellifluo; sussurrava soavi frasi nella sua lingua e Angelo, con sorpresa, si accorse di capire tutto quello che lei stava dicendo. Per Angelo per la prima volta; aveva spesso millantato con gli amici avventure erotiche ma non erano vere: Juliette era la sua prima donna. Provava una sensazione straordinaria; un sentimento di piacevole sorpresa; un incanto estatico e soprannaturale si era impossessato di tutto il suo essere, si sentiva librare nel cielo come trasportato da un vento impetuoso, spaziare nella volta celeste, come un'aquila reale, e giungere strabiliato, alla fine di quel volo, fino a lei: bellezza consacrata, divinità incantatrice, delizia inaudita. Si addormentarono mano nella mano, felici, innamorati, come se le divinità celesti avessero disposto in modo che nulla fosse venuto a turbare la felicità dei due amanti. Angelo si svegliò di soprassalto con la sgradevole sensazione di dover correre in fretta al lavoro; si mise seduto sul letto, l'aurora era appena accennata. Ci mise qualche secondo prima di assumere la consapevolezza del fatto che no: non doveva andare al lavoro. Si alzò lentamente dal letto, entrò in bagno, accese la luce e si guardò allo specchio: no, non doveva andare al lavoro; non ci sarebbe mai più dovuto andare. Quell'autobus partito trentacinque anni prima era giunto finalmente al capolinea: il giorno prima aveva fatto un brindisi coi colleghi, aveva stretto una quantità di mani, aveva pronunziato qualche parola di circostanza e, per l'ultima volta, aveva varcato il cancello del deposito. Era giunto il giorno del suo pensionamento. Si guardava allo specchio; aveva come l'impressione che una inopinata modificazione del suo organismo gli stesse stravolgendo la realtà. Come per un fenomeno inconsueto, percepiva che l'immagine riflessa nello specchio non fosse quella del sessantenne un po' imbolsito quale era attualmente, ma quella del ragazzo dinoccolato e sorridente di tanti anni prima. Quanto tempo era passato da quel giorno a casa di Juliette!
"Vado qualche giorno in Francia, ti chiamerò appena sarò tornata" gli disse e, invece, non l'aveva più veduta. L'aveva cercata a casa sua ma non c'era più e anche sua zia aveva cambiato casa. l'aveva cercata anche alla concessionaria e gli avevano risposto che era stata trasferita a Parigi. Perché non si era fatta più sentire? Perché se ne era andata così, senza una spiegazione né un motivo? Angelo aveva cercato di farsi un esame di coscienza per capire se, magari, le avesse mancato i rispetto o le avesse fatto qualcosa si male, ma più ci pensava, più gli rimaneva soltanto il tenero ricordo di quei giorni felici trascorsi con Juliette insieme a un rimpianto doloroso e al desiderio di ciò che aveva perduto e che avrebbe voluto ancora. Quanto tempo era passato! In quei quarant'anni non aveva fatto altro lavoro che guidare l'autobus; dal giorno dell'assunzione a quello della quiescenza, ma il mondo attorno a lui era cambiato; le ragazze non arrossivano più, i ragazzi non avevano più il batticuore, le donne non portavano più i tacchi a spillo e gli impiegati non più i vestiti grigi e le cravatte seriose. Le fonovaligie erano state sostituite da apparecchi complicatissimi e difficili da manovrare che suonavano dischetti argentati dai quali uscivano le note stridenti degli Oasis o di Eminem. Gli autobus avevano il cambio automatico; erano state create le corsie preferenziali ma, il traffico era sempre caotico e la città non era più bella; o forse era ancora bella, ma lui, adesso, la vedeva brutta. Quanto tempo era passato! In Francia c'era De Gaulle, poi era arrivato Pompidou, poi Giscard d'Estaing, dopo Mitterand e poi chissà chi altro. In Italia si cambiava governo ogni sei o sette mesi: centrosinistra, pentapartito, monocolore, bipolarismo, seconda Repubblica; Andreotti, Craxi, Berlusconi, Bossi, D'Alema e tutta quella cianfrusaglia della malora. C'erano stati tre papi; uno morì dopo un mese: pace all'anima sua; tanto, morto un papa, se ne fa sempre un altro. A Berlino c'era un muro, a Varsavia un patto, a Saigon una guerra, a Praga una primavera: ma non una bella primavera come quella che aveva visto sbocciare l'amore di Angelo e Juliette. In Italia ci fu una confusa storia di piste false, di bombe vere, di servizi segreti deviati, di uno statista rapito poi morto ammazzato e lasciato cadavere dentro una Renault come quelle che vendeva Juliette alla concessionaria. Quanto aveva pianto per Juliette! Quanto l'aveva invocata, sognata, desiderata! Per molto tempo aveva sperato di rivederla; era certo che, un giorno o l'altro, lei l'avrebbe richiamato, non poteva essere finita così; ci doveva essere per forza una spiegazione. Poco a poco, però, se ne era dato per inteso anche se non l'aveva dimenticata del tutto. Un giorno Angelo conobbe Caterina, una bella moretta tutta simpatia che faceva la commessa alla "Rinascente". Dopo un breve fidanzamento si erano sposati e avevano sempre vissuto insieme; tenendosi per mano avevano affrontato le temperie dell'esistenza coi suoi casi a volte normali, a volte singolari. Piccole e grandi gioie, piccoli e grandi drammi; preoccupazioni quotidiane affrontate con la reciproca comprensione. Angelo amava Caterina; per questo non l'ha mai tradita, perché lei non meritava un oltraggio, perché era persuaso che è meglio coltivarsi il proprio orto prima che lo faccia qualcun altro. Avevano comprato una casa, facendo un mutuo; avevano avuto tre figli: una femmina e due maschi; tre bravi ragazzi che avevano dato loro più soddisfazioni che dispiaceri. Angelo si era chiesto spesso quale fosse la vera felicità: quell'attimo prodigioso e irripetibile vissuto con Juliette, o quell'insieme di piccole dolcezze che, negli anni le aveva regalato Caterina? Quale era il vero amore: quell'idillio seducente che a distanza di tanto tempo ancora rammentava attimo per attimo, o quell'edificio di affetto e di festosità ma anche di liti a volte aspre ma sempre benaccette perché dopo, ogni volta, ci si trovava più uniti di prima che, giorno dopo giorno, aveva costruito assieme a Caterina? Non aveva mai raccontato a Caterina di Juliette; non perché ci fosse qualcosa di male, ma perché voleva conservare tutto per sé il ricordo di quei giorni, come una sorta di scrigno segreto accessibile solo a lui. Quanto tempo era passato! Si guardava alla specchio: l'illusione ottica dinanzi avuta si era dileguata; ora, l'immagine riflessa nello specchio era quella del pensionato che non faceva più quel lavoro che, all'inizio, gli piaceva tanto e per il quale aveva rinunziato a fare il geometra. Era diventato più brontolone, più pessimista ma, in fin dei conti, anche più saggio:
"Anche l'età della pensione è bella per chi se la sa godere" pensò, tornando in camera da letto. Caterina si era appena svegliata e lui si accorse che era ancora bella e che la desiderava ancora; era una bella sessantenne che ancora desiderava:
"Anche questo è amore" pensò.
"Tutta la vita a combattere con la sveglia, poi arriva il giorno della pensione e ti svegli da solo; guarda che sei proprio strano!" disse Caterina, Angelo le sorrise.
"La prima spesa che voglio fare, appena incasserò la liquidazione, è una macchina nuova. La casa è tutta pagata, i ragazzi sono sistemati, ma una macchina ci vuole proprio."
Nel "Ufficio Vendite" della concessionaria Renault, completamente rammodernato, il venditore Antoine Lacombe stava parlando con una sua collega; mentre discorrevano, la donna urtò col gomito il ritratto che Antoine teneva sullo scrittoio e lo fece cadere per terra, si chinò per raccoglierlo.
"Bella ragazza - disse la collega di Antoine - anche se trovo un po' strano indossare quel bel tailleur per fare una gita in barca".
"È mia madre - disse Antoine - È morta lo scorso anno: era molto affezionata a quella fotografia; se l'era fatta qui a Roma, a Villa Borghese. Io porto il suo cognome perché lei era una ragazza madre. Quando ero bambino lei mi aveva racconto che mio padre era morto prima che nascessi. Noi francesi siamo sempre stati un po' laici di voi italiani ma, una ragazza madre, nella Parigi di quarant'anni fa, faceva scandalo lo stesso. Solo quando sono stato abbastanza adulto mi disse come stavano veramente le cose: la storia con mio padre fu breve ma intensa; un amore romantico di quelli che si ricordano per tutta la vita, ma quando lei si accorse di aspettare me, non volle dirglielo. Temeva che lui l'avrebbe sposata solo perché costretto, oppure che l'avrebbe abbandonata o, peggio ancora, costretta a fare un aborto clandestino e le voleva tenermi. Non voleva sciupare il ricordo di quel fantastico amore, così tornò in Francia senza dirgli nulla. Se l'è sempre cavata da sola. Lavorava anche lei alla Renault: mi ha fatto studiare, mi ha trovato lavoro e non mi ha mai fatto mancare nulla; in un certo senso è stata una femminista "ante litteram". Non che io non abbia mai avuto, specialmente da ragazzo, la curiosità di sapere chi fosse mio padre; però, tutto sommato, i miei coetanei mi parlavano dei loro come dei grandi scocciatori e, quindi mi sono rassegnato presto.
"Ascolta Antoine - disse la collega - il portaritratti, cadendo, si è smontato. Vado di là, nel mio ufficio a rimetterlo a posto; fra poco te lo riporterò".
"Ti ringrazio - disse Antoine - nel frattempo io devo ricevere un cliente".
Quanto tempo era passato! Dopo la 500, Angelo aveva avuto una "Fiat 128" poi una "Alfa 33" che si era fatta vecchia. Non era certo il tipo di persona che si cambia la macchina ogni sei mesi. Però, adesso coi primi soldi della liquidazione aveva deciso di comprare una macchina nuova; aveva scelto l'ultimo modello dalla "Renault".
"Buon giorno - disse Angelo entrando alla concessionaria - Lei è il signor Lacombe?".
"Sì, sono io: proprio stamattina ho ricevuto il fax di conferma del suo bonifico. La macchina, quindi, è a sua disposizione; può ritirarla quando vuole. Complimenti, lei ha fatto un'ottima scelta".
"La ringrazio signor Lacombe" disse Angelo stringendo la mano al venditore.
Può succedere che un venditore di automobili francese e un guidatore di autobus in pensione che non si erano mai visti né conosciuti, abbiano qualcosa in comune. Può succedere che vite apparentemente così lontane, si incrocino occasionalmente per qualche imperscrutabile capriccio del destino, per un impreciso accadimento che non ci è dato intendere né indagare. Può succedere che l'unico, debole filo conduttore che potrebbe legare le due storie, vada a finire per terra a causa di un'impiegata intruppona. Può succedere che non rimanga altro che una stretta di mano, un fax di conferma per un bonifico bancario, una macchina nuova da ritirare. Può succedere che un padre e un figlio, per la prima volta si incontrino, si parlino, si stringano la mano; ma che sono padre e figlio, nessuno dei due lo saprà mai.
 

Giugno 2000.

 

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