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Marina Lucchesi
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Marina Lucchesi - Scatola cinese
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 12x17 - pp. 32 - Euro 4,13 - L. 8.000 - ISBN 88-8356-260-7

Questo libro è stato stampato con il contributode IL CLUB degli autori in quanto l'autoreè segnalato nel concorso
"J. Prévert 2001"

A Riccardo, mio marito
A Giuditta, mia madre
 
 
SCATOLA CINESE
 
 
Eleonora stava lentamente percorrendo il tortuoso viottolo che s'inerpicava ripido sul fianco del colle. Il sole era alto, la campagna verdeggiante e immobile: non soffiava neanche un alito di vento eppure l'aria non era afosa e lei non si sentiva per niente affaticata dalla salita, anzi aveva la sensazione di essere leggera, libera e felice. Visualizzò il proprio volto incorniciato dai lunghissimi capelli bruni e si piacque, così come le piaceva il paesaggio che la circondava.
Quel posto isolato era bellissimo e lei aveva avuto una fortuna sfacciata a scoprirlo. Proprio così, quel luogo incantevole era una sua scoperta, non ne aveva neppure sospettato l'esistenza fino a quello stesso pomeriggio. Gli alberi intorno erano alti e frondosi, il cielo azzurro come lo aveva visto solo nelle cartoline illustrate e lontano, in fondo alla valle, scorreva in larghe anse un silenzioso fiume.
Desiderò ardentemente di essere laggiù.
Ed ora, ritta sul greto, ammirava con sguardo di bimba l'esplosione di colori in cui era immersa, quasi che un artista geniale le avesse dipinto intorno un quadro dalle tinte inverosimilmente brillanti.
Fulminea come il pensiero si ritrovò seduta su uno dei massi bianchi che rompevano la continuità del fiume in rapide e cascate, mentre i raggi del sole, penetrando il fitto fogliame, si riflettevano nell'acqua regalando al suo sguardo meravigliato uno sfavillio in perpetuo mutamento. Si lasciò cadere nella pozza sotto di lei trovandola calda e confortevole, si bagnò con il cuore che si gonfiava via via di una gioia mai provata prima, infine si distese sulla rena per godere tranquillamente di tutta quella pace.
Ma aveva appena chiuso gli occhi al riverbero abbacinante del sole quando la sgradevole impressione di essere osservata la indusse a riaprirli: a pochi passi da lei una vipera la stava fissando. Rimase inerte, sapeva che se non avesse perduto la testa non ci sarebbe stato nulla da temere. L'altra però scattò nella sua direzione ed Eleonora incontrò uno sguardo volitivo e maligno. Con raccapriccio s'accorse di essere completamente soggiogata da quegli occhi quasi umani che non le lasciavano via di scampo. In breve il rettile fu ai suoi piedi. Qualcosa di aguzzo le si conficcò in una caviglia costringendola a guardare da quella parte, proprio nell'attimo in cui un piacevole solleticamento le sfiorò la gamba.
Ma era un gattino! un simpatico batuffolo grigio che le girava intorno mordicchiandola e dandole tenere zampate.
Scoppiò a ridere.
Che buffi scherzi tira il sole, pensò giocherellando con il micio. Come aveva fatto a scambiare quel delizioso cucciolo per una serpe velenosa? Ma aveva già dimenticato, la giornata era troppo bella per essere sciupata. Tuttavia il tempo stava cambiando e di lì a poco l'aria divenne irrespirabile sotto un cielo improvvisamente plumbeo. Non c'erano nuvole, solo una pesante calotta che s'addensava soffocante su di lei. Doveva scappare e incominciò a correre senza avere la più pallida idea di dove le gambe la stessero portando.
Il tunnel che si trovò davanti d'un tratto le parve un nascondiglio sicuro, ma quando lo ebbe imboccato il rumore dei suoi passi in fuga risuonò amplificato e sinistro. Ciononostante non voleva e non doveva tornare al fiume, doveva andare avanti, dentro quel tunnel di cui non riusciva a intravedere la fine. Pure un'uscita c'era sicuramente, bisognava solo sbrigarsi a trovarla. Cercò di accelerare la corsa, ma le gambe non volevano ubbidire e il cuore sembrava scoppiare.
Inattesa una voce alle sue spalle la chiamò per nome e lei si volse rimanendo sbalordita: un giovane uomo biondo la stava silenziosamente invitando ad avvicinarsi.
Sopraffatta dal desiderio si gettò fra le sue braccia baciandolo con passione: voleva quell'uomo a tutti i costi e lo voleva subito. Anche lui la desiderava, non c'era alcun dubbio, allora perché non le entrava dentro, perché si limitava a prolungare quel bacio fino allo spasimo? Un bacio doloroso che incominciava a non piacerle più: vi era qualcosa di disgustoso e fetido in quella bocca. Poi le labbra dello sconosciuto si staccarono dalle sue. Eleonora non voleva che lui l'abbandonasse, gli afferrò le mani per ricondurlo a sé e le sentì gelide. Lo guardò in volto: era pallidissimo e aveva gli occhi vitrei.
Chi sei? chiese col pensiero.
Il volto di marmo non rispose e continuò a scrutarla con i suoi occhi fissi.
Inorridita Eleonora indietreggiò di qualche passo dopodiché, voltate le spalle alla statua, riprese a correre verso l'uscita.
L'uscita. Era proprio a due passi, come mai non l'aveva veduta prima?
E finalmente fu di nuovo fuori, nello sfolgorio del sole. Da quel punto in alto sulla montagna si dominava la vallata soffusa di un'impalpabile foschia e il fiume, laggiù in fondo, scorreva innocuo in un indefinito stridio.
Ora poteva sedersi e riposare.
Nel frattempo, però, lo stridio aumentava d'intensità assumendo forma e consistenza: una folla rumorosa stava serpeggiando verso la cima del monte.
Imbarazzata Eleonora s'accorse di essere nuda. Doveva nascondersi, ma dove se intorno era tutto desolatamente brullo? L'unico nascondiglio possibile era il tunnel appena lasciato, ma al solo pensiero il cuore le si riempì d'angoscia e intanto la moltitudine chiassosa si avvicinava inesorabilmente. Qualcuno l'aveva già scorta e la stava additando agli altri e chi sghignazzava, chi dava di gomito, chi faceva apprezzamenti pesanti, chi la sbeffeggiava.
Restò immobile, rassegnata come una vittima predestinata, indifesa nella sua nudità, ad attendere l'inevitabile impatto con la torma schiamazzante.
Un barlume di disperata ribellione nacque e si compresse nella sua coscienza.
È un sogno, è soltanto un sogno, avanti, devo svegliarmi. Oddio, mi sono quasi addosso, mi sbraneranno, non posso rimanere qui, devo fuggire, fuggire... svegliarmi, svegliarmi, gridare...
Ma perché non ci riusciva, perché diamine era tanto difficile gridare? Un pizzicotto, doveva darsi un pizzicotto, o un calcio, o qualsiasi altra cosa, qualsiasi cosa andava bene pur di uscire da quell'assurda rigidità.
E se non fosse un sogno, se fosse tutto vero, pensò sgomenta mentre il vocio andava facendosi sempre più stridulo e insopportabilmente acuto.
Con il cuore in gola si ritrovò seduta sul letto: era tutta sudata e la sveglia stava squillando sul comodino.
Allora era stato davvero un sogno, ma uno di quei sogni capaci di rovinarti la giornata. Se ci pensava le veniva la pelle d'oca: il bacio, la fuga, sembrava tutto così realistico! Realistico? Che poteva mai esserci di realistico in quel guazzabuglio? Andarsene in giro nuda su per i monti, sarebbe morta di freddo. E come sarebbe potuta uscire di casa in quelle condizioni e senza rendersene conto per giunta? Per non parlare di vipere che diventano mici e bei ragazzi che si trasformano in statue di marmo. Provò un certo malessere: un bel ragazzo sul serio, chissà perché non era riuscita a farci l'amore, del resto nei sogni non le riusciva mai di concludere niente in quel senso, ci restava sempre fregata. Poi rammentò il sapore putrido del bacio e le venne il voltastomaco. Fece una smorfia di disgusto, quindi sorrise: bisognava scrollarsi di dosso quelle brutte sensazioni, lasciarle tra le lenzuola, anzi buttarle giù dalla finestra.
Sgusciò fuori dal letto, s'infilò le pantofole e diede un'occhiata in giro. Senza ombra di dubbio si trovava nella sua camera e tutto era perfettamente a posto: i fogli degli appunti sulla scrivania, le biro dentro il portamatite, la libreria piena di libri e polvere, gli armadietti gemelli, il comò antico, il letto intatto accanto al suo. Quella notte la sua compagna di stanza non era rientrata.
- Sai che ti ci vuole? Un bel caffè forte, vedi come ti riprendi poi - si disse a voce alta uscendo dalla camera.
La cucina era un piccolo vano situato vicino all'ingresso dell'appartamentino, un immenso androne che rammentava la severa entrata di un collegio o di una vecchia scuola. Un apparecchio telefonico nero era appeso a fianco del grande portone e nel vederlo Eleonora si ricordò di dover fare una telefonata importante, si portò il ricevitore all'orecchio, ma non percepì alcun segnale: il telefono era muto. Tuttavia intuì una presenza dall'altra parte e domandò chi fosse: nessuno rispose; pure, lei ne era certa, qualcuno stava ascoltando.
Il portone si aprì silenziosamente verso l'interno, fuori il buio era totale. Eleonora ne ebbe timore e lasciò cadere il ricevitore che prese ad oscillare come un pendolo. Non voleva restare lì neanche un minuto di più, voleva andare dall'altro lato dell'androne, ma per farlo avrebbe dovuto passare dinanzi al portone spalancato e quest'idea l'atterriva. Nondimeno si fece coraggio e attraversò l'enorme atrio.
Un uomo le fu subito accanto.
Eleonora gli afferrò una mano attraendolo a sé, sapeva che era cieco, ma che nonostante ciò poteva vederla perfettamente.
L'uomo indossava un pullover di un blu fluorescente. Lo guardò con attenzione: era il maglione a possedere tanta luminosità o non si trattava piuttosto del riflesso della luce bluastra che pervadeva tutta l'anticamera?
Gli afferrò anche l'altra mano dicendo:
- Dai, salta insieme a me.
L'uomo raccolse l'invito e insieme cominciarono a saltare e a ogni salto divenivano più leggeri così che potevano lanciarsi sempre più in alto.
Per la contentezza Eleonora si mise a cantare e, all'istante, una delicata pioggia di note musicali cadde dal nulla per accompagnare quel canto infantile. Il suo compagno sorrideva, lei cantava con voce sempre più acuta e del pari aumentava anche l'intensità della musica, finché il suono divenne insostenibile e di colpo si ritrovò seduta sul letto mentre la sveglia squillava allegramente.
Aveva sognato di nuovo, anzi aveva sognato di aver sognato, insomma un sogno nel sogno, e anche un risveglio. Le ci vollero alcuni minuti per riprendersi, poi fece una risata: due spettacoli al prezzo di uno, mica male! Avrebbero dovuto farlo anche al cinema. L'ultima parte del sogno inoltre l'aveva messa di buonumore, giusto quello che ci voleva per iniziare bene la giornata. Comunque era l'ora di saltar giù dal letto e prepararsi di corsa se non voleva arrivare tardi al seminario.
Prima di uscire prese due libri dalla scrivania e lanciò un'occhiata al letto accanto al suo. Ridacchiò: la sua amica era veramente rimasta fuori tutta la notte.
Pochi attimi dopo, schiacciata dentro un autobus stracarico, guardava distrattamente lo strombazzante carosello automobilistico del mattino e l'indaffarata animazione dei marciapiedi. Al capolinea del centro scese e raggiunse la città universitaria, seguì la via principale per un lungo tratto, s'infilò in un'angusta e corta traversa che percorse interamente e infine entrò nel portone dell'ultimo edificio.
L'atrio deserto l'accolse maleodorante come di consueto, l'intonaco scrostato, le infiltrazioni di umidità, le ragnatele attaccate al polveroso lampadario di cristallo e agli angoli delle pareti.
Pensò che era una gran porcheria lasciare andare in malora costruzioni antiche e tanto belle e che non era affatto dignitoso usarle come aule: chissà come doveva essere avvilente per gli insegnanti lavorare in simili ambienti malsani e mal tenuti. Anche la porta dell'aula a pianterreno era in condizioni pessime e per giunta qualcuno si era divertito a sfregiarla con scritte oscene. Le diede una spinta per entrare, quindi la sentì richiudersi rumorosamente. Dentro le finestre erano chiuse, le luci spente.
- C'è nessuno? - chiese conscia di tutta l'assurdità della domanda. Nondimeno continuò. - Professore, lei c'è, vero? lei deve esserci, è talmente puntuale lei... ma perché non risponde? Per favore signori, qualcuno dica almeno una parola.
La sua richiesta cadde nel silenzio.
Ma dove erano finiti tutti quanti? Eppure non era sola, lì dentro c'era qualcun altro, ne percepiva chiaramente la presenza; per quale motivo taceva? Fu assalita da uno strano timore: quella non era una presenza amica, bensì qualcosa di oscuro, d'infausto. Tentoni cercò la porta, la trovò, afferrò d'impeto la maniglia: doveva uscire. Tuttavia ogni sforzo fu inutile.
La presenza ora si era fatta quasi percettibile, quasi respirabile e la stava asfissiando.
- Ma chi sei, chi sei? - gridò - perché diavolo non rispondi?
La presenza era sempre più vicina e quella maledetta porta non voleva saperne di aprirsi.
All'improvviso, quando ormai il fiato della paura le soffiava gelido sulla nuca, la maniglia cedette.
In un baleno Eleonora fu in strada e corse a perdifiato nel buio appena rischiarato dalla luce flebile dei lampioni, finché non si accorse d'essere finita in una zona del tutto sconosciuta e che la notte stava cedendo il passo al giorno.
Adesso, fresca e riposata, camminava calma costeggiando il muretto che delimitava la via, chiedendosi in quale parte della città fosse mai capitata. Avrebbe domandato. Però nei paraggi non c'era nessuno. Continuò ad andare avanti fintantoché, a un centinaio di metri, scorse alcune persone venirle incontro. Allora si affrettò e, quando le ebbe raggiunte, vide che erano di statura molto inferiore alla sua e che avevano volti talmente gialli e trasparenti da poter essere agevolmente attraversati dallo sguardo.
Domandò loro qualcosa non afferrando per prima il senso delle proprie parole, ma quelli non le risposero limitandosi ad un sorriso intenso e, senza rumori di sorta, seguitarono per la loro strada.
Lei li guardò allontanarsi affascinata da quel passo lieve e silenzioso, quasi una danza eseguita su un tappeto sonoro straniero al suo orecchio e del quale le era concesso di cogliere solamente muti echi. Quindi riprese il proprio cammino, tranquilla e sicura di sé, assolutamente certa della direzione in cui procedere, pur non sapendo in alcun modo cosa avrebbe trovato.
Dopo un tratto che poteva essere molto lungo a giudicare da quanto nel frattempo il cielo si fosse fatto chiaro, ma anche breve dal momento che il tempo pareva essere volato, sbucò in uno stradone. Dalla sua parte non c'era nessuno, ma dall'altro lato una fiumana di persone era in attesa a quella che aveva tutto l'aspetto di una fermata d'autobus. Eleonora attraversò velocemente mescolandosi alla folla. Poi osservò tutti con attenzione: anch'essi erano bassi e con i volti insolitamente pallidi e trasparenti. Solo una giovane accanto a lei esibiva un bel colorito roseo e una bocca che pareva una ciliegia, sotto due occhi dal trucco curatissimo che metteva in risalto la lucente vivacità delle iridi.
Un gran bel maquillage, forse un tantino pesante, tuttavia il volto della ragazza non risultava affatto volgare, anzi i suoi lineamenti erano delicati e l'espressione molto dolce.
Nulla al mondo potrebbe involgarirti, disse Eleonora fra sé e sé, incapace di distogliere lo sguardo dalla sconosciuta. E sotto il trucco vistoso notò che il viso della ragazza era diafano.
Allora anche tu sei una di loro, pensò.
- Ma dove sono? - le chiese - sono forse giunta nella città dei morti?
La giovane sorrise di un sorriso vivo e la guardò con sguardo vivo, tutto in lei era vivo. Pure non pronunciò una sola parola.
In quel momento Eleonora s'accorse che tutti stavano guardando oltre di lei e si volse nella stessa direzione.
Un enorme autocarro stava avvicinandosi.
Immediatamente tutto fu chiaro, anche il fatto di trovarsi fuori posto: lei non era come gli altri e la grossa autovettura non era lì per lei.
Un senso di delusione le s'ingenerò dentro tramutandosi all'istante in un pensiero ribelle e determinato: non voleva essere messa da parte, anche lei voleva salire.
In un attimo fu in mezzo alla rotabile.
- Portami con te, portami con te - prese a gridare, frattanto che l'autocarro si faceva sempre più vicino.
Le sue dimensioni erano davvero impressionanti, occupava trasversalmente la via da un lato all'altro: non avrebbe potuto ignorarla, non avrebbe potuto evitarla.
Nondimeno l'automezzo, non si sa come, la oltrepassò, inghiottì la moltitudine in attesa e proseguì la sua corsa lasciandola sola e attonita in mezzo all'asfalto grigio.
In piedi su un basso sgabello dal piano bucherellato posto in mezzo a una terrazza illuminata dal sole, Eleonora attendeva il verdetto.
Intorno a lei sedevano parecchie persone che tuttavia non poteva vedere, protette com'erano dall'ombra di un folto pergolato.

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Inserito il 21 dicembre 2001