Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Marilena Rimpatriato
Ha pubblicato il libro
Marilena Rimpatriato - I viali della giovinezza
 
 


 
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 14x20,5 - pp. 88 - Euro 8,80 - ISBN 88-8356-739-0


 

Pubblicazione realizzata con il contributo de

IL CLUB degli autori in quanto l'autrice è finalista nel concorso letterario "J. Prévert" 2004


 
Prefazione
Poesie

Prefazione
Marilena Rimpatriato, con semplice chiarezza, già dal titolo di questo romanzo, conduce nei luoghi della memoria dove le esperienze degli uomini e delle donne sono alchimie d'emozioni, magiche sorprese, inaspettati incanti, sensualità e turbamento: nelle sue parole perdono la loro dimensione personale e si fanno forme universali dell'umano esistere.
Sullo sfondo un mirabile desiderio di gustare la vita, apprezzare ogni pur minimo accendersi d'una passione e continuare a sognare. Non a caso l'immagine che apre e chiude il suo romanzo è quella di una donna che lascia abbandonare le memorie custodite nel cuore al lento fluire del tempo in un incessante intrecciarsi di visioni, dove emergono la nascita dell'amore, le fragili speranze e gli stupori d'un tempo, ammalianti come l'acqua del torrente del paese che "scorre come il sangue nelle vene": e la sua acqua purificatrice azzera ogni rimpianto, dissolve ogni nostalgia, custodisce la favola d'una vita con i suoi segreti. Il suo fluire impetuoso è come l'esistenza: leviga le superfici, smussa le spigolosità, scava un solco nell'alveo e mette a nudo ciò che fino ad allora era celato. Dalla sedimentazione delle esperienze vissute vengono setacciati frammenti esistenziali che "nessuno avrebbe mai saputo": l'acqua dell'impetuoso torrente corre veloce come gli anni della vita e quel liquido diventa unico testimone di un intimo rapporto; l'anima con i suoi turbamenti e il corpo con le sue fragilità paiono placarsi davanti alle meraviglie della vita, alle speranze per un futuro sereno. Elena, la protagonista del romanzo, consegna i suoi pensieri a un luogo che pare "senza confini", che induce a spaziare nell'immenso, lontano da ogni corruzione ed ipocrisia e si sente libera, "con le sue verità, i suoi sogni": è la padrona assoluta della sorgente della memoria in ascolto di ciò che di lì a poco può svanire come le magiche emozioni che passano rapide sotto il "ponte preferito".
"I viali della giovinezza" quindi non sono altro che i luoghi della memoria gelosamente e amorevolmente custoditi, la stagione di una vita quando gli anni sono pervasi dall'entusiasmo, dalla felicità di osservare e godere tutto ciò che è davanti a noi, ed anche i lunghi silenzi, le inquietudini e i momenti di contemplazione con gli inevitabili interrogativi si affievoliscono e si attenuano avvolti dal "profumo di viole" e irradiati da "luminose primavere".
E Marilena Rimpatriato si immerge ancora una volta con la sua estrema sensibilità in una ricerca interiore sempre portando con sé quella "rara anima poetica" che fa da fertile strato alla sua scrittura: la sua visione dilata l'energia misteriosa, la forza divina che ci aiuta a vivere e la materia che circonda la sua persona emerge dallo spazio poetico creando un senso di appagamento e al contempo di smarrimento che possono essere superati solo dall'amore per la vita. Le sue parole, poesia o narrazione poco importa, sempre seguono il ritmo degli elementi naturali, delle personali vicende, dei ricordi che vanno dalla nonna Maria, alla zia Carolina, allo zio Orlando e poi ancora alle feste di piazza ai tempi dell'adolescenza, al doloroso e tragico periodo della guerra: sullo sfondo sempre quell'intenzione di chiarificazione d'un nobile sentire. La figura di Elena diventa "l'occhio del tempo" che cerca di decifrare il sinuoso movimento dell'acqua della vita che ciclicamente restituisce tutto l'amore possibile con magistrale trasparenza: una disperata tenerezza resa attraverso splendide immagini da afferrare velocemente perché come tutte le belle cose duran poco.
Marilena Rimpatriato libera allo stato puro una inesauribile ricchezza d'immagini talora cristallizzate altre volte in divenire: lascia andare liberamente la sua mano oltre le dispute amorose, le ombre dei momenti difficili, il travaglio interiore e le inevitabili metamorfosi. In ultima analisi sono le parole di una ricerca continua di una nuova forma vitale, attraverso un appassionato recupero memoriale, che possa coinvolgere tutta la ricchezza dei momenti fascinosi, delle immagini mitiche d'un torrente dell'infanzia, dei luoghi naturali d'una fonte di verità, in ascolto dei ritmi elementari delle pulsioni profonde del proprio cuore.
Tutto è depurato, pienamente riconosciuto, amorevolmente testimoniato. Frantumato ogni labirinto.

Massimo Barile

 

 

 
I viali della giovinezza

AI NONNI MARIA ED ENRICO DA UNA NIPOTE CHE ASCOLTAVA LE LORO "FIABE" DI VITA VISSUTA

 


AI VIALI SERPEGGIANTI IMMERSI NEL VERDE DEL PAESE CHE È STATO TEATRO DELLA SUA GIOVINEZZA


CAPITOLO I
 
Festa in paese
 
 
Per le ragazzine dell'età di Elena, la festa di S. Giovanni, che avveniva a settembre nel suo paese, era una delle poche occasioni nelle i quali rispettivi genitori permettevano alle ragazzine di uscire la sera e protrarre i divertimenti fino ad ore tarde.
Gli adulti volenterosi di gran parte delle famiglie di quella piccola comunità, erano stati reclutati dal parroco per aiutare ai vari banconi, pertanto le bimbe potevano gironzolare a piacimento nella piazza triangolare al centro del paese, punto d'incontro dei soliti pittoreschi personaggi che animavano da sempre quel contesto.
Allo stesso tempo sarebbero state tenute d'occhio da tanti adulti tutti insieme e nello stesso luogo; quello era il prezzo, lo sapevano, ma pur d'inebriarsi della musica dell'orchestrina dei ragazzi della zona e magari scatenarsi nella danza, dovevano accettare senza fiatare.
Elena era davvero esile a 12 anni; "pelle ed ossa" diceva la nonna, ma aveva un corpo armonioso, nel complesso, frutto di corse pazze nei prati e scalate avventurose sugli alberi da frutta dei genitori e degli zii.
I folti capelli, che incorniciavano il viso minuto, le ricadevano fluenti sulle spalle, formando onde e ricci che costituivano un manto bruno di cui andava fiera.
Alcuni invidiosi le avevano detto di tagliare quella ricchezza, ma lei si era sempre ribellata al crudele consiglio, perché era molto affezionata a quella caratteristica che ormai faceva parte integrante della sua persona e non aveva dato mai ascolto a nessuno.
Non dava retta che raramente a qualcuno. La sua vita scorreva su binari propri che proponevano visuali magiche ed emozionanti da osservare soltanto con i suoi stessi occhi per trarne deduzioni indipendenti dalle opinioni altrui.
Ascoltava con devota attenzione, seduta sul suo ponte preferito, il mormorio del ruscello che attraversava il paese sussurrando appena canzoni che la facevano sognare, oppure si deliziava del silenzio che tanto aveva desiderato durante la giornata, che sembrava fasciarla rendendosi a volte tangibile.
Ad esso consegnava le onde di pensieri che danzavano negli spazi infiniti ed invisibili dell'anima e si sentiva davvero libera con le proprie verità, con le proprie paure e i propri sogni.
Il suo mondo non aveva confini, ma labirinti nei quali si perdeva e lasciava che sensi ulteriori al tatto, alla vista, all'udito e all'olfatto si risvegliassero, facendole percepire dimensioni che non erano contenute nei concetti del razionale e del consueto, ma andavano oltre.
Le amiche Anna e Lia l'attendevano già nel cortile ascoltando la musica dell' orchestrina che si sentiva lontano e lei fece le scale della villa dove abitava con i genitori, tutte d'un fiato, per raggiungerle e chiacchierare lungo il tragitto che dovevano percorrere.
Si incamminarono a passo lento verso la festa raccontandosi i piccoli segreti che le ragazze di quell'età sono solite dividersi tra loro ed il tragitto fu percorso in un tempo molto breve col passo reso leggero dalla gioia dell'essere insieme.
Raggiunsero la chiesa che aveva un aspetto diverso dal consueto con le bandierine di carta colorata preparate i giorni precedenti a quell'avvenimento dai ragazzi più giovani del gruppo parrocchiale, alla vecchia latteria.
Loro, facendone parte, avevano trascorso molte sere a ritagliare triangoli di carta colorata con le suore cantando una canzone a loro molto cara che parlava del Signore.
Egli aveva sepolto un seme nel giardino di qualcuno e questi avrebbe voluto vedere subito nascere il seme e sbocciare il fiore, ma non era giunto il tempo del germoglio; soltanto Dio lo poteva sapere!
Ora le bandierine sventolavano appese alla punta del campanile fino ad ognuno degli eleganti lampioni sul ciglio della strada dando un tono di folclore a quel luogo aduso alla sobrietà.
Si introdussero nella via che portava alla piazza triangolare già affollata.
Gruppi di amici passeggiavano guardando il goloso bancone della pesca che prometteva premi interessanti come biciclette, stereo, giocattoli per ogni gusto ed età.
Per potere mettere le mani su quel ben di Dio bastava acquistare dei biglietti arrotolati fermati da una rondella minuscola di pasta per minestra.
Se l'inchiostro del bigliettino era rosso, allora il premio era sicuro e chi l'aveva trovato poteva tornare a casa trionfante con il proprio trofeo per condividerlo con i familiari e rendere, in alcuni casi, invidiosi gli amici.
Erano in tutto tre i baracchini che distribuivano i famosi biglietti, e c'erano sempre file di persone che sognavano questo o quel premio mentre aspettavano il proprio turno, poi si fermavano in disparte a srotolare i minuscoli involucri che concedevano o negavano l'oggetto dei desideri a seconda del colore che contenevano.
Ma Elena e le sue amiche non si fermavano a tentare la fortuna perché forse, quella sera, il bel giovanotto di turno le avrebbe notate e magari avrebbe danzato con una di loro.
Perciò si erano passate sulle labbra un velo di rossetto ed avevano scelto per quella sera il vestito migliore, ma egli guardava sempre ragazze più grandi, quelle che il rossetto se lo mettevano da molto più tempo e che non inciampavano se avevano indossato delle scarpe con un abbozzo di tacco.
Egli cercava sempre quelle che non arrossivano irrimediabilmente se soltanto venivano salutate e che balbettavano se si faceva loro una domanda; lasciava in disparte le creature esili, poco più che bambine che lo guardavano infatuate.
Mentre veniva cucinata la carne alla griglia e suonavano i violini, si frantumavano cuori come bicchieri di cristallo su un pavimento di marmo, oppure si creavano legami di nuove amicizie destinate a durare una vita, oppure soltanto una sera. Camminavano lentamente, mano nella mano, le nuove coppie, guardandosi negli occhi per poi sparire inghiottiti nell'oscurità della sera, verso il torrente del paese che offriva luoghi solitari e chiari di luna complici di baci furtivi che sarebbero stati ricordati per molti e molti anni.
Le donne di una certa età, dall'alto del loro piedistallo d'esperienza, osservavano lo svolgersi delle cose con occhio critico ma, in realtà, invidiavano la freschezza di quei ragazzi, provavano nostalgia della loro giovinezza ormai trascorsa, della spensieratezza di quei tempi e si rivedevano le fanciulle innamorate e sognanti che erano state, con gli stessi vezzi di quelle attuali.
I vecchi, seduti sulla solita panchina, ricordavano le avventure dell'ultima guerra, dilatando la portata delle proprie imprese, ed alcuni ragazzi ascoltavano quelle storie mille e mille volte raccontate, ma che incantavano ancora, perché era un modo come un altro di percorrere i sentieri del tempo a ritroso e scoprire realtà che non sarebbero mai più tornate.
Non appena essi cominciavano a parlare, si capovolgeva la clessidra del tempo, e ricomparivano esplosioni in campi di battaglia, divise di soldato strappate da fantomatiche fughe dal nemico, e fucili e mire infallibili che colpivano i più disparati bersagli, e gavette colme di cibi da consumare velocemente prima che arrivasse la contraerea, seduti su di una roccia lungo una strada lontana dal loro paese.
I ragazzi puntualmente si incantavano estraniandosi dalla festa, cosicché i vegliardi felici di avere finalmente degli interlocutori attenti, aumentavano la grandezza e velocità dei proiettili, la gravità delle ferite e le prodezze diventavano più eroiche man mano che il vino scendeva al fondo del bicchiere e l'alcol li rendeva un po' alticci.
Nel frattempo alcune famiglie si sedevano sui banconi con le loro fette di carne e la polenta tipica per quei paesi del Friuli alle sagre e i bambini consumavano veloci il loro pasto per giocare con gli amici e sfuggire per un attimo allo sguardo vigile dei parenti e magari comprare con la paghetta settimanale una scorta di liquirizie da tenere al riparo dalle dita avide di un fratello o di un cugino invadenti.
Anche quella sera Elena e le proprie amiche se ne stavano in disparte a guardare coppie adulte volteggiare con disinvoltura sul grande palco, giovanotti con le ragazze appena conquistate che facevano altrettanto, ed anche per quell'occasione, come in molte altre, chiacchieravano tra loro rassegnate di non essere state notate da nessuno.
Discorrendo tra loro, dimenticavano presto la delusione appena avuta e tornavano bambine.
Domani, lo sapevano, sarebbero diventate mogli e madri, avrebbero seguito le orme dei loro genitori, avrebbero messo su casa e sicuramente avrebbero avuto dei figli, un orto, tante galline... e avrebbero fatto con le loro mani dolci squisiti per i loro compagni. Il giorno del matrimonio avrebbero scelto il vestito più bello e la chiesa sarebbe stata sommersa dai fiori e magari il gruppo sul palco avrebbe cantato durante le ore del pranzo soltanto per loro...
Chissà come sarebbe stato il futuro marito. Un principe uscito per sbaglio da uno dei libri di fiabe che ogni tanto leggevano ancora, oppure un uomo qualunque, ma dal grande sorriso?
I figli avrebbero riportato i tratti delle madri ed avrebbero imparato ad amare la polenta, i campi sterminati del circondario e si sarebbero messi molte volte nei guai con le manie di avventure che avrebbero avuto...
Quanti sogni! Quante congetture! Ma i tempi non erano maturi, bisognava soltanto attendere. Il Signore delle messi avrebbe fatto germogliare e fiorire tutti i semi gettati nei loro giardini che le piccole donne avrebbero resi splendidi con il loro lavoro: rose, gigli e narcisi, sarebbero fioriti ovunque, ma esse avrebbero pregato per avere sempre nuovi semi sepolti nel proprio terreno e poter attendere ancora, desiderare, stupirsi, per tutti i giorni della loro vita.
 

CAPITOLO II
 
Viaggio nel tempo
 
 
Nessuno ha strappato dalle tue ruvide mani
l'universo d'antichi ricordi, che dall'infanzia in avanti
incedono incessanti.
 
Le tue labbra divengono sorgente
dalle quali scorrono chiare le memorie.
 
Ti rivedi fanciulla.
 
Fiocco tra i capelli: unico vezzo d'una vita dura.
La strada verso la filanda,
il freddo che ti ghermiva tutta
il ghiaccio sul selciato,
la fretta del mattino.
 
Con semplicità ritrovi fiori abbaglianti di giardini antichi
nelle fantasie variopinte del grembiule;
fiori abbaglianti che ornavano il cortile
e riodi i canti dei giovani d'un tempo
che s'inventavano la vita con i loro canti,
tra le fatiche di ogni giorno.
 
Fragili zampilli stillavano dall'umile fontana:
gocce di malinconia per un gioco che ormai non si poteva più fare,
il tocco del campanile segnava le ore.
 
Guardavi in alto e correvi, ignara dello sguardo di chi già uomo
si dissetava della tua freschezza.
 
Fu per quest'uomo che immolasti le tue gioie,
a quest'uomo porgesti la tua purezza.
 
La sua immagine si ravviva,
s'illumina, nella foto là sul muro.
 
Tu nonna, che ora hai i capelli immacolati,
che trasudi saggezza dai tuoi pori,
non fermare la tua fiaba; io t'ascolto.
 
Un fiume di emozioni gorgoglia dal passato
e ti scorre il sangue delle fatiche, delle sofferenze
ma poi le gioie brillano come stelle
nei pleniluni del tuo sguardo.
 
Io, figlia di tua figlia, attendo alla foce del tuo viaggio
il carico d'oro che mi hai donato:
un mare d'amore che non può svanire con la tua vita.
 
 
 
Nonna Maria
 
 
La casa di Elena non distava molto da quella dei nonni materni: bastava percorrere qualche viuzza del paese, attraversare la piazza grande, una corsa in un prato ed infine il gioco era fatto.
Sua madre lasciava che la bimba si recasse a far loro visita tutte le volte che ne avesse voglia, da sola, con la sua bicicletta, cosa che la rendeva felice perché era abbastanza raro che la lasciassero girare senza qualcuno che la sorvegliasse.
Le strade dei paesi alle due del pomeriggio sono deserte, non vi passa anima viva perché è l'ora consacrata alla siesta pomeridiana, per cui anche una bimba di quell'età poteva benissimo passeggiare senza timore.
Quel pomeriggio il cielo era terso; non una nuvola ad offuscarlo, era perciò l'occasione migliore per provare la nuova Graziella arancione che le era stata regalata da poco.
Si sentiva alta su quella sella e le sembrava di dominare la strada.
La mamma la salutò dalla finestra dopo le ultime raccomandazioni.
Elena promise che non avrebbe dato retta al suo istinto di sfrecciare veloce, che sarebbe stata cauta, ma soprattutto promise che si sarebbe recata solo da nonna Maria che l'aspettava sempre in quell'ora del pomeriggio.
Abitava in una grande casa insieme al marito e al figlio Orlando, allora scapolo e si dilettava a fare delle ottime torte e montagne di polenta.
La stanza più frequentata della villa, era grande, nell'interrato che faceva da cucina, arredata con mobili rustici, vissuti, carichi di ricordi.
La solita pentola d'acqua bollente, borbottava sulla piastra della stufa a legna, e c'era odore di pesce, forse di gamberetti al sugo che in quella famiglia amavano molto gustare insieme ad una bella fetta di polenta e ad un buon bicchiere di vino.
Il caffè era stato appena fatto e ce n'era sempre un cucchiaio, solo un cucchiaio per la più piccola.
Amava molto il sapore amaro di quella bevanda, purtroppo prerogativa dei soli adulti, e si chiedeva quando sarebbe arrivato il giorno in cui le avrebbero offerto almeno un cucchiaio in più.
Che male le poteva fare?
Maria aveva già indossato il suo grembiule a fiori: c'era da fare la pasta per l'indomani e se Elena ne voleva una generosa manciata per sé, doveva aiutare.
Fare le tagliatelle, per la piccola, significava imparare certo un qualcosa di molto utile per se stessa, ma significava anche ascoltare il romanzo di vita vissuta dalla nonna che l'accoglieva sempre con tanto amore.
Il raccontare scaturiva dalla vista di una foto appesa al muro, oppure da una notizia ricevuta da un lontano parente che non vedeva da anni, oppure da un cibo rifiutato da una delle nipoti che invece un tempo era desiderato invano, perché c'era la guerra e tutti avevano fame.
Poteva capitare che riordinando i cassetti, si trovasse la sua prima borsetta ottenuta dopo due mesi di lavoro nei campi a raccogliere verdure di stagione, oppure che sbucasse da chissà dove, una lettera scritta da un'amica passata a miglior vita, della quale conservava un ricordo dolcissimo che la commuoveva e le faceva provare autentica nostalgia.
Nonna Maria era nata nel 1916 in un piccolo paesino di provincia del Friuli Venezia Giulia, in una casa colonica probabilmente di proprietà di certi signori della zona. La sua infanzia fu segnata dalla prima guerra mondiale e dal trauma della perdita del padre, che lasciò la giovane madre con ben sei figli e soltanto le proprie braccia con le quali lavorare e crescerli.
Maria, pur avendo un ricordo sfuocato di quei giorni, aveva ancora chiara dentro di se la forte sensazione di dolore che avvertiva nelle sorelle più grandi e nella madre e del senso di vuoto che aveva lasciato l'assenza della figura paterna.
Non capiva bene in realtà cosa fosse successo all'uomo.
La sua famiglia, per proteggerla dal dolore, la tenne per molto tempo lontana dal significato della morte; le parlarono invece di un lungo viaggio intrapreso dal padre con il grande zaino sulle spalle e le dissero che non sapevano quando avrebbe fatto ritorno, ma che, pur lontano, molto lontano, pensava sempre a loro e le amava tanto.
Se le amava così tanto, allora, perché era andato via? Perché non si fermava ancora con loro? Sarebbe tornato?
Quanti gli interrogativi dentro l'animo di una bimba di soli 3 anni, ma lei non osava convertire in domande da porre a qualcuno quei dubbi, perché in famiglia si parlava poco ed il dolore si esorcizzava con il silenzio e con il lavoro.
Da quel momento in poi, avrebbero dovuto farcela da soli, avrebbero dovuto lavorare tutti quanti, sacrificare la spensieratezza dell'infanzia e venire a contatto con la crudezza della vita,
Ora l'unica speranza di sopravvivenza era legata alla terra, alla mezzadria, ai frutti delle varie stagioni. Bisognava arare, seminare, raccogliere tutto con la sola forza delle braccia; braccia di donne, uomini ed anche molto spesso di bambini. Nonna Maria non aveva che ricordi sfuocati di quel periodo e tutto ciò che sapeva lo aveva appreso dai racconti degli adulti, che ne parlavano.
Erano quelli, anni molto critici.
La disoccupazione dilagante, il carovita, suscitavano l'odio della gente verso un sistema sgretolato dalla guerra appena finita. L'Italia, come tutte le nazioni impegnate nella prima guerra mondiale, ne uscì profondamente mutata.
Negli anni 1919-20 la gente manifestava il proprio disappunto per il marasma politico e per il non adattamento dei salari al caro vita con le numerose agitazioni di tipo anarchico. I testimoni dell'epoca, affermavano che si trattava di un'insurrezione vera e propria, ma priva di obiettivi comuni precisi. Ogni regione d'Italia ne fece una propria, ma il peggio avvenne a Firenze dove la popolazione ridotta alla fame fu per vari giorni l'unica padrona della città. I negozi, i forni, furono assaliti e molte merci andarono distrutte dal furore generale.
Nel frattempo, i rappresentanti della classe piccolo-borghese, assecondavano e sostenevano le iniziative avventate di personaggi come Gabriele D'Annunzio che guidò il 12 settembre del 1919 alcuni reparti dell'esercito alla conquista di Fiume, contesa anche dalla Jugoslavia.
C'era una moltitudine di ideali come non mai si era verificato nella storia, ed anche se Giolitti tra il 1920 e il 1921 tentò di arginare la situazione, sia risolvendo la questione di Fiume e le contese con la Jugoslavia nel trattato di Rapallo del 1920, sia tentando di progettare delle riforme democratiche per placare le lotte di classe, fallì rovinosamente di fronte alla violenza dello scontro tra industriali ed operai che portarono all'occupazione delle fabbriche, perché, come si è detto sopra, non c'era stato l'adeguamento degli stipendi al costo della vita.
Gli industriali di allora, non ne volevano sapere di venire incontro alle richieste degli operai e decisero di rispondere con l'ostruzionismo.
Tutto ciò scatenò l'intervento delle squadre d'azione fasciste.
Giolitti, capo del governo di allora, a questo punto si dimise e Vittorio Emanuele terzo, re d'Italia, affidò a Mussolini l'incarico di creare un nuovo governo.
Presto il Fascismo avrebbe preso il sopravvento e sarebbe stato il padrone di fatto del nostro paese.
La popolazione era allo stremo delle forze, esasperata da tutto questo contesto di fame e disoccupazione, e non era per nulla facile per una donna vedova, con ben sei figli come la signora Pasqua Fabbro, tirare avanti.
La famiglia Fabbro era lontana dalle agitazioni sopra descritte; in aperta campagna non arrivava che l'eco del caos esistente all'epoca nelle varie città d'Italia. Ciò che si sapeva per sentito dire, bastava per non desiderare nemmeno d'allontanarsi dalla propria terra, ma la vita rurale di allora era davvero dura, priva di risorse ulteriori all'agricoltura.
Nonna Maria ricordava perfettamente l'aratro rudimentale trainato dal bue che scavava i solchi di speranza che avrebbero cullato i semi gettati dalle mani ruvide di sua madre e delle sorelle più grandi e ricordava come presto imparò ad imitarli sempre più freneticamente, perché il tempo era un prezioso dono di Dio da non sciupare mai. Presto, troppo presto, le fu insegnato a rimestare la polenta che nei periodi di magra era l'unico pasto per quella numerosa famiglia: non aveva che sei anni quando le fu dato in mano il mestolo di legno, là presso quello scuro focolare, dove una grossa pentola bolliva appesa ad un rudimentale gancio sopra un fuoco di sterpaglie raccolte lungo il sentiero di ritorno dal campo dalle sorelle più grandi.
Nel 1922 Maria fu iscritta alla scuola elementare ma doveva far trovare pronta quella polenta alla sera, a coloro che tornavano dai campi affaticati ed affamati. Per studiare non rimanevano che pochi ritagli di tempo dato che anche l'andamento domestico richiedeva l'ausilio di tutti.
La scuola era un piccolo casolare in aperta campagna che bisognava raggiungere a piedi, con i soli zoccoli di legno che possedeva, esposta al freddo pungente dell'inverno, coperta con i poveri vestiti che Pasqua era riuscita a procurare alla bambina. Aveva tanti figli da vestire e quel poco era stato ottenuto a fatica.
Maria considerava prezioso il suo vestitino rosso mattone e il golf spesso di lana che la madre le aveva fatto a mano. A scuola si doveva essere puliti ed ordinati, pettinati accuratamente e si provava molta soggezione verso la maestra, una donna di una certa età, molto severa, proveniente dal sud dell'Italia.
Chi usciva dagli schemi imposti da quella figura, veniva sgridato duramente, pertanto la bimba ascoltava e metteva in pratica tutto ciò che le veniva impartito e aveva una gran pena per chi era punito, anche fisicamente, come allora succedeva nelle scuole. La nonna, nonostante i suoi 78 anni suonati, ricordava ancora un paio di compagni costretti a stare in ginocchio dietro la lavagna per ore su dei pungenti e fastidiosi sassolini o peggio ancora le bacchettate sulle mani se non avevano fatto i compiti.
Lei, di rimproveri ne ricevette davvero pochi, perché eccelleva in tutte le materie. Le bastava leggere una sola volta una pagina che le era tutto chiaro e lo poteva tranquillamente spiegare a sua volta a chi era meno dotato di lei. I suoi temi erano sempre i migliori, e ricevette molti elogi da quell'anziana signora che la poneva di fronte agli altri coetanei come esempio da seguire.
La madre non vedeva di buon occhio l'istruzione della figlia più piccola perché c'era sempre molto da fare, ma data la predisposizione e l'intelligenza di Maria, dovette accettare anche se non di buon grado. La bimba, infatti, si aggiudicava quasi tutti i premi messi in palio dall'insegnante per il miglior tema o per il miglior compito di matematica. Non era quindi una perdita di tempo.
Il tempo non poteva essere mai sciupato e la piccola lo sapeva bene!
A dieci anni il suo ciclo di studi ebbe fine, ma ormai sapeva leggere speditamente e scrivere correttamente.
Bastava così.
C'era la possibilità di lavorare nelle filande per molte delle sue figlie e la madre colse l'occasione al volo.
Filare la seta era un'occupazione più affascinante a confronto del lavoro agreste, ma non meno faticoso ed impegnativo.
Altro che fare la pasta e le piccole mansioni poco impegnative assegnate a sua nipote Elena!
La bimba doveva ascoltare, capire quanto era fortunata a condurre una vita dorata rispetto alla sua: quando Maria iniziò il lavoro in fabbrica aveva 12 anni, pertanto non voleva sentire lamentele se le veniva dato un compito lieve, se doveva impegnarsi in qualche cosa!
Ricordava come fosse ieri le "grisole", letti di canne sui quali venivano poste delle foglie di gelso che sarebbe stato il nutrimento delle larve le quali, a loro volta, sarebbero divenute bozzoli ricchi di seta.
Le foglie venivano sistemate in piani che a volte arrivavano fino al soffitto ed era interessante vedere come questi piccoli vermi le divorassero così velocemente; un giorno ed una notte e poi si cominciavano a vedere i primi bozzoli che mano a mano divenivano sempre più grossi.
A questo punto interveniva la filanda con i suoi macchinari e con le sue tecniche per ricavare un solo e lungo filo che veniva lavorato in vari modi dalle veloci mani delle operaie sorvegliate dalle "maestre" che non le perdevano d'occhio un momento.
I soprusi, le punizioni che le operaie ricevevano da quelle, erano a volte molto pesanti se non muovevano leste le loro dita tra gli ingranaggi e se la filatura presentava dei difetti, per cui Maria usò ogni strategia possibile per fare al meglio quel mestiere evitando così, i loro rimproveri.
Ben presto fu molto rispettata e venne il giorno in cui lei stessa divenne "maestra", ma evitò con tutte le sue forze ogni sopruso verso le operaie più giovani e meno esperte.
Mentre l'anziana raccontava, le tagliatelle riempivano l'ampio tavolo della cucina e pareva di vedere campi dorati di grano dai quali la donna mieteva ricordi, spighe di dolore o di gioie semplici come il suo animo.
Elena non osava fare domande perché il racconto, limpido, appassionante, pareva una favola, una di quelle tratte dai libri che le venivano letti prima di dormire, perché i sogni si lanciassero al galoppo verso quei mondi fantastici che lei amava tanto visitare.
 


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