LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

Poesie di 
Maria Pina Natale

A ridosso di mammuth
 
All'ombra di meli e lungo rive
tranquille di ruscelli
l'incanto allucinato del primo incontro.
Parlò per prima l'iride bramosa.
E il sole nuovo saetta diamanti
iridescenti sui nudi corpi edenici.
E fu l'enigma risolto.
Ma quando il frutto cadde nel retino
come lieve farfalla presa al volo
scomparve l'ombra del meleto
e la musica dei limpidi ruscelli.
Profeti vennero clamanti nel deserto
ma crocifissi d'infinita attesa
nel "bailamme" babelico
ignoti gli uni agli altri
urtandosi spingendosi scontrandosi
fra la ressa caotica
allo stremo ridotti
senza volti né arti
senza cuore
tronconi ischeletriti dai millenni
pregnanti di Storia
e storie interminabili
brulicanti di passi senza meta
tutti anelanti a un attimo di luce
a un attimo di verde...
A ridosso di logori mammuth
si accavallano ere intergalattiche.
Il mito di pianeti abitati
ci disarma e rincuora
ci rincuora e disarma.
Alziamo vele a venti inesistenti
abitati da spiriti beffardi.
Una parabola appena disegnata.
Così, a ridosso di mammuth si vive
Così, a ridosso di mammuth si muore.

Faro spento
 
Illuso dei millenni
non avverti la beffa
della quarta dimensione?
Non sta più dentro il Tempo
l'avventura dell'Ego.
Rossa e tranquilla piove sugli alberi
polvere di luce.
Il vento lacera nuvole
che graffiano la corsa della luna
e scorta tiepidi afrori.
Crescono vapori
che annientano travagli di respiri.
Impazzisce il metronomo
il ritmo s'ingarbuglia.
Questo impatto di esistere e morire
non basta.
Ogni creatura ulula che sa
ma le chiavi non ha
di un verde paradiso.
Dovremmo ritirarci dall'agone
ricominciare a respirare dove
si accendono (infinite) stelle pure
solitarie distese di ginestre
occhi stellanti di lagune azzurre.
Sognammo invano cespi di mimose
estati esplose in barbagli di luce.
Ora ci resta solo un faro spento
e un terrazzino che gli gira intorno.
Deserto.
Vi cigola una porta arrugginita.
Ristagna nell'aria settembrina
un ricordo di estate
che si gioca (innocente) i suoi colori.
Si ammanta di polvere il ricordo:
il pozzo, il mandorlo fiorito,
il sibilo del treno,
la guerra, gli anni verdi,
l'acne, i complessi,
il deserto di vivere.
Sul boccascena
attimi si accendono spettrali.

Assoluto
 
Le magiche estati (già in ritardo)
passano in fretta. Imbronciate.
Svaniscono tra mimiche e sberleffi.
E invece a forza si vorrebbe
in esse annullarsi
a forza con esse scomparire.
Eterne per te sognai estati
dai colori bruciati
dalle resse alle spiagge sempre vive
che né sonno di notte
né stanca di giorno
cogliessero inattive
che smalto non perdessero o scalpore.
Sognai per te cullanti serenate
meriggiate assolate e mattinate
senza anelli di ritmi o stagioni
feste (di giorni e notti) interminabili
rifugi tra verdissime mangrovie
in isole felici.
Trascorre su binari all'infinito
il viaggio trasognato
fra distese di verde immacolato
appisolato ai bordi del deserto
dove il ricordo sfuma in dissolvenza
e in cuore piange un suono di violino.
Ansioso
l'occhio scruta lontananze.
Conosco quei meriggi smemorati
ebbri di sole e garriti di luce
di silenzi maestosi, dipanati
da sospiri di fronde
da palpiti di onde.
So di sogni maliosi
di colpo lacerati
da risvegli dimentichi.
Nessuna voce intorno.
E tu sperduto
nell'Infinito panico
nel muto
indecifrabile Assoluto.

L'avventura del genio
 
Sprizzano cristalline dalla roccia
acque dalle cadenze voluttuose
qual miraggio da fiaba.
Forse è più vero il fascino
della genesi edenica.
I millenni non servono
la Storia ha dissacrato l'uomo.
La voce del silenzio
riscopre il senso panico
del segreto di sempre
e riaccende la fiamma inestinguibile
che non scolora al volgere del tempo.
Perché è fatta di sangue
e non si spegne per furia di uragano.
Più viva del rosso antonelliano
attinto nel rubino
sfida i millenni tacita e immortale.
Strappati i fili di macerie
s'innalza senza peso
l'avventura del genio
cabrando tra galassie rutilanti.
Sugli alati destrieri dell'Empireo
alza trofei d'accoppiate imbattibili
accesa di purissimi diamanti.
Di quanta luce ride
sulla corsa di rettili
spiccatasi dal grumo!
Intatto
il volo
guizza tra guglie candide
tessendo e ritessendo cattedrali.

Creatura di pietra
 
Chiedi un sospiro alla brezza del mare
e il mare si fa deserto di vetro.
Chiedi aiuto alla città fragorosa
e la città diventa selva d'acciaio.
Chiedi amore al cuore dell'uomo
e l'uomo getta il suo cuore alla belve.
Allora anche tu diventi di pietra.
E non vedrai, creatura di pietra,
luce nel piccolo tunnel
scavato con sangue e sudore.
Non udrai l'armonia delle stelle.
Non gusterai acqua di roccia e frutti di alberi.
Sei nera e dura
e incatenata al tuo destino di soma.
Mille occhi spalancheranno
iridi aguzze
pungenti come spine
ma non brillerà il sangue dalle punture.
Come schiavo incatenato alla mola
come fiume incatenato al suo letto
come giogaia
perennemente fitta alle sue stanche radici
così ti sembrerà interminabile
la tua oscura fatica.
Siederanno i re della terra
su scranne d'oro
a inventare riforme sociali
che mai vedranno la fine
ma nessuno accenderà una stella
sull'oscurità della tua vita.

Officina di sogni
 
Riprendiamo il dialogo interrotto
le parole azzerate.
Sono passati i quattro cavalieri.
Stendiamo veli per dimenticare.
Officina inguaribile di sogni
ora lo scrigno delle nostre menti
s'indora di un nimbo di pazienza.
Sul filo ininterrotto dei ricordi
fitta s'intreccia rete di bisbigli
che solo noi
- vestali di riti iniziatici -
decifriamo con sillabe canore.
Come l'Annunziata antonelliana
dal gesto delle palme
soavemente obstante
anch'io
soltanto per un micron-attimo
rimasi titubante.
Ma subito s'accese
il semaforo verde dell'amore
e vinse la pietà, vinse il sapore
di quella delirante sofferenza
che salva gli altri e stritola se stessi.
Ho seminato ettari di messi
alberi d'oro e gemme preziose
vigneti di uve liquorose.
Pruni ho raccolto e dune di rifiuti
ma i tuoi sonni ho cullato
tra suoni di angelici liuti
gettando me fra i rovi del dirupo.

Ottica di mito
 
Senza valigia prendo il primo treno.
Terza classe. Vagone senza luce.
Sedile in legno grezzo un po' scheggiato
ma non si avverte se dal finestrino
balugina attraverso una pineta
il primo raggio trepido sul mare.
Nelle rozze grisaglie un po' sciupate
il tempo sfoglia pagine ingiallite.
Forse cadranno prima della fine
gli astri che ancora giocano al volano.
Forse il fragore incrinerà la terra
fino al cuore di fuoco ancora immune.
Vapori ininterrotti
esalano da pallidi confini.
Diventerà incolore l'atomo-pianeta.
Per strade annegate in raggi d'occidente
ora è il nostro cammino. Non matura la
notte se dai turiboli non fuma
incenso in onore alle Silfidi
ora in viscidi lemuri mutate
(signori delle tenebre)
per decrepita ottica di mito.
Che t'aspetti da Giove e da Saturno?
Da pianeti e galassie sconosciute?
Languisce a fior di terra
qualche graffio di sillaba
che non trova ossigeno d'ascesa.

Mattini d'amore
 
Chi mai potrà rubarci quei mattini
giovani di marine sfavillanti
di giardini drogati
di brezze levitanti?
Maggio fin dentro vicoli vischiosi
agitava turiboli di luce
prodigando albe insonni ai raffinati.
Noi lasciando annegare i neghittosi
tra vortici di ozio
insieme al vento doppiavamo voli
tra spirali d'azzurro e ondate d'aria.
Era una festa non toccare terre
pesanti di "routines"
vagando tra le soffici cortine
del nostro cirro candido di sogni.

Mondi siderali
 
Un uomo cammina solo
per vergini strade
di mondi siderali
accesi di brame azzurre.
Tende reti d'argento a soli nuovi
incandescenti di galassie antiche.
Ruota tra musiche elettroniche
stanche di armonie pitagoree
ma vibranti di fremiti
e sospiri di Infinito.
Senza bisaccia e senza direzione
senza fardello di ricordi
il suo viaggio sornione.
Né l'inganna la libellula
dal volo scontato
dal miraggio breve.
Il tempo sonnecchia
cullandosi da solo.
Nella marea che sale
si confondono limiti e parole.
Non servono ippogrifi né scale
nel volo verticale.
Lo scintillio delle pagliuzze d'oro
promette tesori inestimabili
ma numi invidiosi
affatturano la nobile fatica.
E nella rete guizza boccheggiando
il sole di sempre
sporco di pozzanghera.

Un attimo di verde
 
Sgorgano i canti
garruli e copiosi
come d'alpestre rupe fonte viva.
E subito si accende
un attimo di verde nel deserto.

Solstizio
 
Vorrei che tutta la vita fosse giugno
un solstizio perenne, una giornata
piena di luce e brezza, una folata
di sogni e di bellezza, un delirante
palpitare d'azzurro e di infinito.


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Ins. 15-10-2003