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Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
"Oltre lo specchio"
di Maria Grazia Catanzani
Edizioni Era Nuova srl, via Grazia Deledda, 8 - 06074 Ellera Umbra (Pg)
 

Presentazione
 
Lo specchio. Lo scrigno che contiene la vita riflessa, quella che affascina un po', che attrae e si teme. La superficie magica che incanta l'uomo. Forse perché ci contiene, ci svela il nostro volto che diventa finalmente visibile, e perché ci rivela che lì dietro sono racchiuse le nostre più ardite e proibite fantasie.
Lo specchio, l'altra faccia della luna, dove la luce vittima dell'ombra si contrappone all'abbagliare del sole che tutto deforma. Nello specchio, come nei sogni, c'è sempre un po' di noi stessi, la parte più intima dei nostri intimi segreti, ma anche il profilo più vero.
Maria Grazia Catanzani ha avuto il coraggio di passare oltre, rompere la fragile ed estrema barriera, fare un passo più in là. Ha preso in mano questo oggetto magico e ha sentito la necessità di profanarlo, frantumarlo. E come con una medaglia l'ha fatto volare in aria e lasciato cadere con una casualità mai lasciata al fato e sempre sconvolgente.
La prima regola è riuscire a non essere mai prevedibile. Maria Grazia Catanzani, da brava "creatrice" della vita qual è sempre un buon scrittore, con lo specchio e attraverso esso, ha rotto gli schemi, giocato a scombinare e a sorprendere. E in questo breve racconto pieno di scintille sa bene stupire. Scompone l'ordine e lo ricostruisce, con una tecnica ambiziosa ma rigorosa. L'unica in grado di rimettere lei in discussione, di farla avvicinare il più possibile a se stessa. A ben vedere, più che un percorso è una camera di composizione.
In questo specchio riversa le sue passioni represse, i suoi desideri più reconditi e autentici. V'intravede la sua parte più vitale e compressa, vi coglie le sue doti migliori, perlomeno le sue qualità più istintive, innate, naturali, scevre da ogni umano condizionamento.
Oltre lo specchio è un romanzo lieve. Dai tratti leggeri, ma non per questo inconsistenti, vaporosi. Tutt'altro. Piacevole nella lettura che scorre via felice. Intessuto di parole apparentemente libere, che sembrano portate dal vento, ma che invece sono come le foglie il frutto delle stagioni, di una maturità in divenire. Una storia che richiede partecipazione, con tutti i suoi puzzle da connettere e incastrare. E alla fine ne fuoriesce un quadro articolato, completo. Ricco di colori, di sapori e profumi attuali e moderni, in grado però soprattutto di riverberare i tormenti di una generazione, sana di spirito e ben educata, ma frastornata, alle prese con un "sistema" comunicativo complesso che viaggia ad una velocità strabiliante, che tutto rischia di travolgere e annullare.
La Catanzani ci insegna che si può trasgredire, mettere il naso nel buio, ma soprattutto con l'intento di ritornare a vivere meglio e con più consapevolezza nella luce.
 

Francesco Castellini


 
Parte prima
 
Una piacevole sensazione di calore sulla guancia svegliò dolcemente Alexandra. Aprì piano piano gli occhi e vide il dolce muso di Lord Byron, il suo adorato cane, davanti al viso.
Ogni mattina era lui a svegliarla, leccandola: aveva fame.
Lord Byron: il poeta e il cane preferiti di Alexandra. Del primo ne leggeva e rileggeva le poesie ed aveva appreso come trasferirne il moto dell'anima nei propri scritti: ecco perché era diventata una scrittrice molto apprezzata dai propri lettori. Del secondo, un bellissimo pastore tedesco dal pelame chiaro, ne aveva fatto il compagno della sua vita; glielo aveva regalato David, il suo fidanzato, durante una splendida festa organizzata per il suo ultimo compleanno.
 
Alla festa organizzata per il suo compleanno, Bianca aveva invitato, oltre ai suoi familiari, anche amici e colleghi.
Era una ragazza forte e molto pratica e aveva preparato con infinita meticolosità anche i festeggiamenti per quella ricorrenza, occasione di condivisione di momenti piacevoli con le persone alle quali era unita da rapporti di lavoro o da legami familiari.
Alle nove di una caldissima serata di fine giugno, con un caldo un po' fuori stagione e dopo una dura e lunghissima giornata di lavoro al giornale, era rientrata a casa.
L'acqua della doccia le aveva portato via lo stress ma non quel sottile senso di angoscia che da tempo, ma in particolare quella sera, la attanagliava sempre più forte.
Si sentiva sola.
La famiglia le era vicina ma avvertiva la mancanza di qualcosa di "altro", di diverso: di un "affetto" differente da quello che le proponeva il proprio contesto familiare. Le mancava terribilmente un compagno, qualcuno che sapesse darle quell'amore che lei da tempo cercava e che ormai quasi disperava di trovare.
Sì, molte avventure con ragazzi più o meno interessanti, ma a tutti mancava il "cuore": quel cuore con la "C" maiuscola, che lei aveva sempre cercato di offrire e che mai aveva ricevuto, almeno dal proprio punto di vista.
Si vestì in fretta e scese in giardino quando la gran parte degli invitati era già arrivata. Prima di uscire dalla sua camera dette un'ultima occhiata all'elegante vestito di seta nero che aveva comprato qualche giorno prima in una boutique del centro a Milano.
Fin da bambina Bianca era nota per la sua ricercatezza nel vestire e per tale motivo era stata oggetto di piccole invidie da parte delle compagne di scuola prima, e delle colleghe di lavoro poi.
Sottilissime bretelle nere le sfioravano le spalle perfette e l'abito, piuttosto corto, le copriva solo in minima parte le lunghe gambe, già abbronzate dal primo sole di quella che si preannunciava un'estate calda e afosa.
Aveva raccolto parte dei suoi lunghi capelli castani in un piccolo chignon al centro della testa, lasciando gli altri sciolti e liberi di cadere in ciocche, volutamente disordinate, sul volto e sulle spalle.
Un trucco leggerissimo nascondeva i segni della stanchezza che una giornata di lavoro lascia inevitabilmente sul volto.
Comparve in giardino con aria raggiante.
Il sorriso, onnipresente sul suo viso, aveva già allietato gli sguardi di molti degli invitati. Mentre girava tra loro per salutarli e ringraziarli, notò sul tavolo dei regali che più avanti avrebbe dovuto aprire, un grande mazzo di rose rosse.
Da un rapido calcolo dovevano essere più di venti. Si avvicinò al tavolo e prese il biglietto che spuntava tra le foglie.
"Alla mia giornalista preferita. A." lesse sul biglietto.
Non riusciva proprio a intuire chi potesse essere quel "A.", autore del biglietto e del regalo.
"Troppe avventure portano a questa confusione" pensò tra sé.
 
Una calda serata di fine giungo: a Miami era l'occasione attesa per stare all'aria aperta, in riva all'oceano.
Alexandra tornò velocemente a casa, dopo una giornata passata tra editore e negozi; Era il suo compleanno e il suo unico desiderio era quello di poterlo festeggiare insieme a David, magari preparando lei stessa una bella cenetta, romantica e a lume di candela.
Con questo proposito nella mente entrò nel garage, scese dalla macchina ed entrò in casa.
Si sentì leccare le caviglie: Lord Byron era solito salutarla così.
Accese le luci del grande salone e ... sorpresa!
Almeno cinquanta persone la accolsero con un applauso.
David le si avvicinò e, da dietro la schiena, tirò fuori uno splendido mazzo di rose rosse, tenute insieme solo da un fiocco di seta rosso.
- Auguri tesoro! - Le cinse la vita e la baciò.
Un altro applauso per i due innamorati.
Lei, stordita da tutto quel clamore, non ebbe quasi la forza di parlare. Anche se avrebbe voluto festeggiare da sola con David, quella sorpresa la fece felice.
- Scusatemi, vado a rendermi un po' più decente e poi vi raggiungo ... - spiegò agli ospiti, visibilmente felice.
- Sei bellissima anche così... - le sussurrò David in un orecchio.
Con un finto gesto di disapprovazione salì le scale e scomparve per un po' dalla festa.
Riapparve con un bellissimo abito di seta rosa, lungo fino ai piedi, dalla fattura molto semplice e che le scopriva interamente la schiena e gran parte del decolleté.
- Che visione... - esclamò David, inginocchiato all'ultimo gradino della scala.
Il cane si avvicinò. Benché David fosse sempre con loro, ogni volta che lui si avvicinava ad Alexandra, Lord Byron era sempre un pochino geloso e guaiva.
Due anni prima, in quello stesso giorno, David era andato alla festa di Alexandra con una scatola ornata di un fiocco azzurro. Lei, incuriosita, aveva sciolto il fiocco e, sollevato il coperchio, aveva visto spuntare un musetto di un cucciolo. Aveva sempre desiderato un cane ma nessuno glielo aveva mai ancora regalato. Era felicissima. Quel cucciolo le faceva tanta tenerezza e lo prese subito in braccio. Il cagnolino familiarizzò subito con Alexandra, che lo ricoprì di mille attenzioni.
 
Bianca chiuse il libro che stava leggendo. Dai libri che leggeva traeva sempre degli spunti. Le piacevano molto i romanzi. Si alzò dal divano e guardò fuori dalla finestra.
Aveva appena smesso di piovere.
Aprì e respirò a pieni polmoni l'aria pulita, lavata dalla pioggia. Quella stagione era piuttosto incerta: maggio inoltrato, ma non ne voleva sapere di far caldo. Lei trascorreva le sue giornate lavorando e nei momenti di relax si sdraiava sul divano in compagnia di un buon libro.
Il suo lavoro di giornalista - al "Corriere della Sera" di Milano si occupava di cronaca - andava a gonfie vele ma non per questo si considerava una "arrivata", anzi, era sempre in cerca di nuove esperienze. Aveva scelto quel libro proprio perché parlava di una ragazza che avrebbe voluto fare la giornalista e lo leggeva con la segreta speranza di poterne ricavare qualche consiglio, qualche insegnamento. Nonostante fosse all'apparenza molto sicura di sé. Bianca era una che sapeva ascoltare molto e sapeva trarre il meglio anche dalle letture.
Non era il primo libro che leggeva di quella autrice americana. Le piaceva il suo stile, il suo modo di esprimere certe emozioni e stati d'animo. Dalle note biografiche in coda al libro si arguiva che l'autrice era di origini italiane.
Bianca si alzò dal divano e andò a prendersi un succo di frutta. Squillò il telefono. Con il bicchiere in mano andò a rispondere. La voce dall'altro capo del filo la distolse definitivamente da tutti i pensieri in cui era assorta in quel momento. Era il suo capo servizio che la sollecitava a concludere un servizio molto importante per il giornale. Si stava occupando di un uomo d'affari milanese, coinvolto in un giro di traffici illeciti.
Nel bel mezzo di "Tangentopoli", molti erano gli uomini d'affari compromessi, ma non tutti erano stati ancora scoperti.
Quello di cui avrebbe dovuto occuparsi era uno dei "pezzi da novanta": si chiamava Antonio Enero.
Quando le era stato affidato questo incarico Bianca era rimasta titubante e dubbiosa, ma con il suo capo era vietato discutere.
Lui la conosceva bene, era una delle sue migliori giornaliste: ce l'avrebbe fatta e basta.
La "Enero Computers", così si chiamava l'azienda, da poco era stata quotata in Borsa ed aveva ottenuto grandi risultati grazie alla "intraprendenza" del suo proprietario, nonché amministratore. Si era fatta un nome prima in campo nazionale, ma stava facendosi strada anche all'estero dove - in poco tempo - aveva messo in piedi un giro d'affari non indifferente. Andava bene soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Europa stava "rosicchiando" quote di mercato ad altre aziende fino ad allora considerate leader nel settore.
Antonio Enero aveva cominciato la sua attività in un piccolo ufficio di quella che poi sarebbe diventata la "sua" azienda e che allora si chiamava "Alter Informatica"; vi svolgeva piccoli lavori di elaborazione dati e dai suoi superiori non era considerato affatto; Aveva ottenuto quel lavoro grazie all'interessamento di suo padre, un operaio in una fabbrica conserviera del sud, che aveva quasi dato fondo alle magre risorse della famiglia per "fare in modo" che suo figlio avesse quel lavoro.
La madre era casalinga e la sua famiglia viveva solo dello stipendio, non elevato, che il padre percepiva. Antonio aveva un fratello, Vittorio, del quale si sapeva soltanto che un bel giorno, esasperato dalla magra vita di famiglia, era partito e, come tanti altri emigranti, era andato a cercare fortuna in America.
Non avendo titoli di studio né risorse economiche, si era concesso a "guadagni facili" operando in una organizzazione poco pulita ma che, servendosi di prestanomi per i propri loschi traffici, era riuscita a mantenere linda sia l'immagine che il nome.
 
Antonio si era recato in ufficio con suo fratello Vittorio, presentandolo al titolare come il direttore di una grande multinazionale americana dell'informatica "con il quale avrebbero potuto fare grandi affari", aveva detto, testualmente.
L'azienda produceva microchips e Vittorio aveva proposto una fornitura a prezzi così vantaggiosi che al signor Barbieri era parso impossibile rifiutare.
Paolo Barbieri, il titolare dell'azienda, viveva in una bella casa appena fuori del centro di Milano. Lui, al contrario del suo dipendente, aveva costruito la sua fortuna lavorando seriamente e con dignità, conquistandosi i favori della gente e di tutti gli operatori del settore. Sotto la sua gestione la "Alter Informatica" non aveva grandi ambizioni espansionistiche, ma faceva bene il proprio lavoro e poteva contare su un buon numero di clienti fedeli. Con sua moglie Sonia e suo figlio Andrea, rappresentavano una famiglia stimata e rispettabile.
 
- Sonia, stasera credo che farò un po' più tardi del solito, mi ha telefonato un collega e debbo aspettarlo, abbiamo appuntamento qui in ufficio, a più tardi. -
- Va bene, ti aspetto, ciao -
Paolo Barbieri aveva appuntamento con Vittorio ed Antonio Enero. Avrebbero dovuto parlare di affari.
Erano quasi le otto di sera ed anche l'ultimo impiegato era uscito da pochi minuti, dopo aver salutato Paolo.
Mentre usciva dall'ingresso principale vide entrare due persone, una delle quali aveva una valigetta in mano. Si chiese che cosa volessero quei due stranieri a quell'ora. "Saranno qui per parlare con il titolare" pensò. Prese la macchina e se ne andò a casa.
Era venerdì, l'ultimo giorno lavorativo della settimana e in ufficio stavano per arrivare gli addetti alle pulizie settimanali. Stella, la donna che da anni prestava servizio alla "Alter", cominciò il suo giro per gli uffici e quello di Paolo Barbieri lo lasciava sempre per ultimo perché posto al terzo piano del palazzo ed in fondo al corridoio.
Arrivata vicino alla porta, si sorprese trovandola accostata. Il titolare era solito chiuderla a chiave quando usciva: solo lei aveva una copia della chiave e Barbieri si fidava ciecamente di lei.
Aprì la porta. Paolo era riverso sulla scrivania. Si avvicinò pensando che potesse essersi addormentato. Gli poggiò una mano sulla spalla e lo scosse per svegliarlo, ma non dava segni di vita. Gli guardò il volto e vide che aveva gli occhi sbarrati. Immediatamente si mise le mani davanti alla faccia cacciando un urlo.
Paolo Barbieri era morto.
La prima cosa che la donna ritenne giusto fare, se pur presa dal panico, fu quella di chiamare la moglie.
Sonia accorse, chiamò una ambulanza e anche la polizia, perché la morte del marito le apparve subito piuttosto strana.
Stando al primo esame del medico legale, il decesso era avvenuto per cause naturali: arresto cardiaco.
- Suo marito aveva problemi al cuore? - le chiese il medico.
- Si, però li teneva costantemente sotto controllo con farmaci e con controlli periodici. Sono sicura che la causa della morte non è questa; la prego, mi prometta che scoprirete la verità - supplicò lei.
- Non si preoccupi signora, già dall'autopsia potremo chiarire qualcosa. - la rassicurò il dottore.
Sul luogo del delitto era stato trovato qualcosa che alla polizia parve strano: frammenti di uno specchio rotto.

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Agg. 11-11-2003