Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Marco Cinque
Ha pubblicato il libro
Marco Cinque - Civiltà Cannibali (per una poesia civile)




 
 
 
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 14x20,5 - pp. 88 - Euro 7,50 - ISBN 88-8356-747-1

Pubblicazione realizzata con il contributo de
IL CLUB degli autori in quanto l'autore è finalista nel concorso letterario "J. Prévert" 2004


I diritti d'autore sono interamente destinati alla causa dei due prigionieri Nativi d'America Fernando Eros Caro e Ray "Running Bear" Allen, rinchiusi nel braccio della morte di San Quentin, California

 
Prefazione
Incipit
Nota dell'autore

 


Prefazione
"I mostri hanno nuovi nomi": è questa la denuncia e insieme l'accusa del primo verso della poesia che dà il nome alla raccolta di Marco Cinque, Civiltà cannibali. Si tratta di un libro che vive di una epifanica convinzione e fiducia invidiabile: che la parola scritta abbia davvero valore. Con una sfida ancora più decisiva e inusuale: che la presa di parola in poesia sia specchio del mondo, in una scrittura come "globalità" potenziale del sentire di ognuno di noi. E che serva da eco - non metaforica, ma assolutamente sonora - alla condizione umana arrivata, appunto, all'autodafé del cannibalismo.
Quella di Marco Cinque è dunque una poesia che si presenta nella forma di un'offerta felice e concreta d'intrattenimento, nell'attimo del momento della trasmissione, nella ricerca continua di una sede nella quale trovare identità e dove inventare la comunità "civile". Deve essere una necessità acquisita nella contiguità quotidiana e febbrile con la sorte degli sconfitti, urbani (cives) e mondiali, gli indigeni di ogni inferno; e conquistata nei colloqui a distanza con i condannati a morte e le vittime della storia. Dentro e fuori le prigioni nelle quali siamo costretti.
Nessuno pensi però che questo sguardo globalizzato sia ingenuo. Marco Cinque, soprattutto nelle poesie brevi, quasi degli aforismi, è consapevole della "solitudine presente nelle moltitudini" e viceversa, e terrorizzato che la vita resti inesorabilmente "anoressica/ con la bocca cucita" senza la possibilità d'un respiro pieno.
La sua misura è cosciente del limite a disposizione: "...il rettangolo verticale/ così bianco/ fuorviante/ amo l'istante/ che precede la sillaba": in una parola il foglio bianco e l'irrisolta ragione dell'andare a capo nei versi. Qui trova un nodo irrisolto. Nell'attesa di una musicalità che sia accompagnamento del testo, sfiora quella interna alla parola e alle parole fra loro. Insomma il verso.
Marco Cinque ne è cosciente e in questo vive il suo tentativo. Rendere, nel limite della parola scritta, la barbarie vera. Cioè la dolorosa, disperata distanza tra l'amore particolare realizzato, presente ma sempre in frantumi, e l'amore generale irrealizzato, assente e sempre ricostruito dalla memoria.
Così, nella difficoltà di edificare le fondamenta di una città nuova, costruisce una piccola "abitazione dei poeti". "Sento il suono/ di una casa che cresce", scrive.
Buon lavoro, costruttore.
 

Tommaso Di Francesco


 
 
Le parole semplici, dirette, comprensibili, fanno accedere al profondo svelandone la complessità. E le parole sacre riacquistano senso e significato nella loro stessa pronuncia: pace, umanità, armonia, esistenza. Ma la loro pronuncia significa anche risalirne duramente ogni violazione, ogni mancanza, ogni violenza. E rivendicare il peso dell'esistenza di ogni soggetto e di ogni luogo di oltraggio all'umanità. Qui sono nominati i profughi, i carcerati, gli immigrati, i popoli nativi, tutti i diversi e gli esclusi. Qui si scava nella vergogna dei centri di accoglienza, nel dolore della Palestina, nell'ingiustizia di ogni pena. Vorremmo che questa lista si fermasse, scomparisse. Le poesie di Marco Cinque lavorano per questo. La sua strada è anche la nostra. Da sempre.
 

Alberto Masala

 

 
 
La sensibilità è un dono che non tocca tutti e non poteva essere diversamente.
Se così non fosse, il mio caro amico Marco sarebbe una persona triste perché la sua vita non avrebbe un senso; esiste in lui questo incontrollabile desiderio di donare il proprio amore, contribuendo così a costruire un mondo migliore... ecco la sensibilità.
Grazie in anticipo, amico Marco, per tutto quel che di bello hai fatto e che ancora farai nel percorso della tua esistenza.
 

Marcos Vinicius


NOTA DELL'AUTORE
 
 
 
Per questo libro ho scelto un linguaggio volutamente diretto, semplice, comprensibile; senza utilizzare termini complessi e inusuali, ma guardando alla sostanza, all'essenza, alla profondità espressiva e all'intensità emotiva della poesia. L'intenzione è di rivolgermi non ad un pubblico particolare, selezionato, competente; ma a tutti. Perché la poesia deve tornare a vivere anche e soprattutto tra la gente comune.
È perciò responsabilità di chi scrive fare in modo che il lettore non resti un estraneo esecutore dell'ascolto, un contenitore da riempire con parole e versi.
"Civiltà cannibali" raccoglie tre anni di sguardi nel nostro tempo (dalle guerre alla globalizzazione, dall'ambiente alle relazioni umane, etc.) ma, se avessi potuto, avrei fatto qualcosa di diverso da quello che appare solo un piccolo, consueto volume.
Se avessi potuto sarei andato indietro, nei vissuti ancestrali, fino al giorno in cui la poesia era ancora meravigliosamente "analfabeta", quando era di tutti e per tutti, splendidamente contaminata con le altre forme espressive, sapientemente mescolata con ciò che cresceva dentro e attorno a noi.
Se avessi potuto sarei tornato di nuovo in questo tempo per andare oltre e tornare di nuovo, fuori dalle gabbie materiali e virtuali che dividono e ci dividono, fuori dalle costrizioni degli stili, dalle catalogazioni, dai generi di appartenenza, dai compartimenti stagni progettati per sentirsi soli tra gli altri.
Se avessi potuto, in questo libro ci avrei messo anche la voce, i suoni dei flauti, marranzani, didjeridoo, i ritmi delle percussioni (strumenti della terra), le immagini, le movenze, gli occhi che si incontrano e ancora di più... E non avrei lasciato che le parole restassero qui come sono, disposte in bella fila su pagine silenziose.
Auspico perciò nuove direzioni, strade, opportunità verso una riunificazione di tutto ciò che usiamo chiamare "arte". Un ritorno alle origini della creatività per chiudere il cerchio col futuro e ancora per aprire la speranza ad un'altra poesia possibile...

 
Poesie cannibali (per una poesia civile)

 

 Alla pace

al rispetto dei diritti umani

all'equità sociale

al riscatto degli ultimi

al difficile cammino

verso un mondo migliore

 

 
Guerre ed altre sciagure

 
 
 
All'odio
non cedere passo
che di forza ha bisogno
il perdono
...
 
 

 
MISSILI & LIBERTÀ
 
Ho visto un missile
intelligente
venir giù
cometa artificiale fendere la notte
 
Ho sentito
il sibilo assordante della democrazia
scendere a scalzare via il tiranno
il despota, l'oppressore
 
Ho visto un missile
intelligente
venirmi incontro
annunciando libertà, per me
per il mio popolo
per il mondo
 
Ho sentito vibrare la terra
sotto i colpi
incessanti
di una risoluzione umanitaria
...domani sarà un giorno di pace
domani...
 
Ho visto il tetto della mia casa
aprirsi
e il missile intelligente entrare
senza far domande
 
Ho visto i miei pezzi sparpagliarsi
fondersi nel calore
nel bagliore eterno
regalatomi dal liberatore
 
Non ho parole
per dirgli grazie...
 

(Roma, febbraio 2003)


GUARDA - C'È LA GUERRA
 
Di cosa siamo stati capaci - guarda
abbiamo costruito un deserto
solo prigioni di paura attorno
muri che chiudono
dividono
respingono
ormai non sappiamo più
se stiamo dentro o stiamo fuori
 
Guarda - siamo confusi
ubriachi nel possesso che ci possiede
persi sui marciapiedi della notte
soffocati
nei cuori di plastica che battono
senza emozioni - guarda
quanti piedi non hanno strade
sulle scale mobili
nelle storie immobili
attraverso i finestrini della vita
tutto sfreccia via - guarda
 
La follia ci sorride in giacca e cravatta
la guerra infinita ingrassa l'audience
e tu stai lì ad aspettare come un idiota
e loro ci tagliano a pezzi
e ci nutrono di noi stessi
guarda - come fai a non vedere
 
Gli eserciti con le orbite vuote
hanno già digerito i loro occhi - guarda
non possono nemmeno piangere
attorno c'è il vuoto nel vuoto che ingoia
guarda - è dappertutto. Dappertutto...
 
Ci dicono che saremo felici
nella civiltà, nella libertà, nella democrazia
guarda - ci stanno ingannando
il domani è già qui - guarda
è vestito di nero
una bomba che implode su tutto
nell'ultima volta dell'ultima luce
accecante
 
Guarda - tutti aspettano
nessuno ascolta
prigionieri nelle mani della tecnologia
la guerra è una scienza esatta
che cura i tumori del mondo - guarda
ci sono operazioni in corso
dappertutto. Dappertutto...
 
Non possiamo clonare la pace
non possiamo venderla
non possiamo comprarla
non possiamo rubarla
non possiamo ignorarla
cosa stanno facendo
cosa stiamo facendo
guarda - abbiamo costruito un deserto
 
Non devi lasciarti andare
non devi lasciare che sia
prendi le tue cose migliori
porta il bisogno di carezze
e non scordare la tua bandiera
prendi la tua bandiera e scendi tra i colori
guarda - siamo ancora qui
siamo ancora qui - guarda...
 

(Roma, febbraio 2003)

 


PAPÀ COSTRUISCE MINE
 
...Ho finito il turno
alla fabbrica di mine
e stasera
parlerò al mio bambino
 
Gli dirò: "figliolo
i paesi civili
costruiscono armi evolute
per i popoli
incivili e involuti
 
Ma non sprecare il cibo
figlio mio
perché ogni morso di questo pane
costa una vita
innocente come la tua"...
 

(Roma, settembre 2003)

 


 
 
NON IN MIO NOME
 
Come due immense dita accennanti
prese dalla mano di un dio ammonitore
superiorità manifesta e splendente
inconsapevole della sua fragilità
 
Troneggianti sigari d'acciaio
inspirati in un sol colpo
bruciati, per mesi consumati in macerie fumanti
troppi occhi piangeranno per sempre
 
Ma una civiltà della morte che chiama morte
non è migliore della stessa inciviltà
solo una vendetta travestita a festa
può mutare una guerra in giustizia
 
Cervelli impacchettati
in tripudi di bandiere spediti
laggiù
a seminare bombe a frammentazione
 
Regali generosi dell'occidente buono
ogni tre pacchi per sfamare uno a sorpresa
in dono
dello stesso colore
 
Gambe che si rincorrono in cielo
orfane dei corpi
fuochi artificiali di carne umana
necessitano alla pace
 
I patrioti televisivi ruggiscono
al grido di future vittorie
contro ogni nemico nascosto
nel dubbio
 
Verità sepolte nei titoli di giornali
verità che solo la guerra ci può salvare
mentre i profughi scappano da tutto
inseguiti da protesi di risarcimento
 
Come un serpente che ingoia se stesso
la storia si ripete sempre uguale
e anche l'urlo silenzioso
gridato dai fantasmi di tutte le guerre
ogni volta si leva: "non in mio nome!"...
 

(Roma, novembre 2001)

 


 
PALESTINA
 
Che diritto avete, voi
di farvi saltare in aria
macellai di carne disarmata
di affogare la vita
vostra e altrui
nel dolore più assoluto
 
Che diritto avete, voi
seduti nei vostri bar a cinque stelle
d'ubriacarvi dentro privati paradisi
mentre lì accanto
si consumano inferni innominabili
 
Che diritto avete, voi
di stordirvi il cervello
affollando innocenti discoteche
mentre i vostri governi
vi rappresentano
occupando, torturando, massacrando...
 
Che diritto abbiamo, noi
di pensare che ci sia una guerra
quando possiamo interromperla
in qualsiasi momento
prendendo accuratamente la mira
coi nostri telecomandi
 
Che diritto abbiamo, noi
di starne dentro chiamandoci fuori
ogni volta
perduti in orde di Nike
in cortei di telefonini
eserciti viziati e insoddisfatti
apparecchiati
attorno a strabordanti cene
 
Che diritto abbiamo, noi
di indignarci per l'orrore
quando la nostra vera preoccupazione
è il non dover mai rinunciare
alle oasi di sazietà
ai privilegi
 
Che diritto abbiamo, noi
di schierarci con l'una o
con l'altra parte
con le nostre verità
con le nostre soluzioni, riposte
con puntiglio
nell'obice assassino di un carro armato
oppure nella follia d'un kamikaze
 
Ma dov'è, dov'è la Palestina
frammenti deflagrati
appesi persino alle tue, alle mie
alle nostre mani
brandelli dispersi in ogni direzione
che nemmeno le lapidi più affamate riescono
a riconoscere
 
Eccola: è qui
è qui la Palestina
non solo una terra promessa
non un canto di rivoluzione
non un'intifada perduta, ma
solo un grondare dagli occhi
dai cuori, dai pensieri
eccola, sola, come un ricordo scomodo
abbandonata
 
Ma dov'è, dov'è la Palestina
dove i suoi figli
dove poter aspettare un'alba
che cancelli le ferite
che diritto avete voi
che diritto abbiamo noi
NO. NO. NO!
non lasciamola morire...
 

(Roma, marzo 2002)



NATALE
 
Quando te lo vedi arrivare
addosso
è ormai troppo tardi
 
Eppure ti eri ripromesso
mille volte
di starne fuori
 
Invece, ti ritrovi in fila
come sempre
con un groppo alla gola
senza un barlume di antidoto
 
Comprare
consumare
perderti
nell'inutilità irrinunciabile
 
E oggi sono tutti così buoni
con la bocca ancora grondante
impastata del sangue nemico
 
E di nuovo tutti amano
con dentro lo sguardo una ferocia assassina
rimandata solo di qualche ora
 
Buon Natale, fratello...
 

(Roma, dicembre 2001)

 


 
 
ERGASTOLO
 
Un passo per due
lo spazio che mi contiene
ho dovuto imparare presto, qui
per non perdermi
per non mollare anzitempo
 
Ho dovuto saper viaggiare oltre
percepire il significato dell'impercettibile
partecipando a dialoghi muti
con le sudicie pareti che, ormai
hanno persino imparato il mio linguaggio
 
Incontrarmi, ogni giorno
con porte che mi riconoscono pure
da lontano
ma non sanno rispondermi, no
non possono farlo
 
Ed è stato ucciso per sempre
il tempo in cui potrò
tornare
ad abbassare una maniglia tutta da solo
 
Così, devo mettere in atto la mia mutazione
trasformando i pensieri in tentacoli
protendendoli
attraverso il grigiore del cemento
per raccogliere attimi d'ogni dimensione
colore, suono
...cos'altro diavolo mi resta?
 
Le parole ora danzano attorno al cuore
al ritmo d'una frase sincopata
vibrando
attorcigliandosi lungo il braccio
fino alla mano che scrive
 
La penna, allora
insegue solchi rabbiosi di rancore
e assieme allo sguardo conficcato nel foglio
si chiede:
 
"Quale mente perversa
quale sadico fottuto
ha potuto mai concepire
un unico
stramaledetto inverno?"
 
Ricordo che una volta
mi chiesero di spiegare l'infinito:
il cielo, pensavo
le galassie forse
forse l'amore, forse...
 
Ma oggi saprei dare la risposta:
è la speranza che ti assassina
giorno dopo giorno
è questo stillicidio di tempo
che non passa mai
eppure inutilmente già passato
 
è questo
è questo
è questo l'infinito
è dover sfogliare
petalo per petalo per petalo
il fiore appassito del domani
di questa mia non-vita ...
 

(Roma, febbraio 2002)

 
 


PROFUGO
 
Ho venduto la mia storia
a uno scafista vestito di buio
lasciandomi dietro
una terra senza pace
 
Sono qui
inghiottito dentro un'oscurità sconosciuta
mentre percepisco il mare
venirmi incontro agli occhi
 
Sono qui, stordito
dall'assordare del motore
dagli spruzzi salati
dai pensieri che schizzano via come scintille
 
Sono qui, intirizzito
indifeso mentre accarezzo un sogno
col terrore
che si trasformi in incubo
 
Sono qui
in questa notte interminabile
lunga
più lunga di tutti i giorni della mia vita
 
Sono qui
dove tutto è riposto
in un orizzonte che non arriva mai
assieme a un ammasso di carne e speranza
 
Chissà, forse l'acqua che stiamo solcando
è fatta di lacrime piante da quelli come me
e forse è il nostro dolore
la sorgente che alimenta il mare che stiamo attraversando
 
Questi momenti stanno accadendo
dentro un tempo senza più tempo
dove le nostre vite sfrecciano via silenziose
conficcandosi nella più sordida assenza
 
Sono ancora qui
nonostante tutto, inseguito
dal riverbero del primo barlume
che mi chiama, mi chiama
come una madre chiama i suoi figli
 
Ma è troppo tardi, ormai
la mia strada
l'ha comprata uno scafista vestito di buio
che se ne sta lì, a poppa
tra me e il mio passato
 
Col primo bagliore
arriva anche un frammento di conforto
ma la luce vigliacca si accompagna di vento
e l'acqua adesso è veleno in tempesta
 
I corpi gridano, si aggrappano, scivolano
terrore e gorgoglii
inabissati tra flutti gelidi
infranti, su lingue taglienti di roccia
 
Questa terra che abbiamo sognato
sembra avere organizzato una festa
accogliendoci così
nel suo devastante abbraccio
 
E sono qui, superstite
in un luogo che puzza di civiltà
chiuso in questo campo di prigionia
che chiamano "centro di accoglienza"
 
L'esistenza di un profugo
è come una scatola cinese
esci da un inferno
per entrare in un altro
e in un altro, e in un altro ancora...
 
Sono fuggito dalla miseria
ho attraversato terre
mari, continenti
ho passato tutto questo
ma sono sempre qui
sempre qui, sempre qui...
convinto di non essermi mai mosso
 
Sì, sono sempre qui, accovacciato
con la testa stretta tra le mani
dondolandomi nella canzone degli addii:
"...ascolta le voci... ascolta le voci dal fondo del mare
non sono sirene cantare..."
...
 

(Roma, ottobre 2002)

 


 
CIVILTÀ CANNIBALI
 
I mostri hanno nuovi nomi
nascosti in agguato
nei vertici che cambiano il mondo
 
G7
G8
UE
FAO
ONU
NATO...
 
Foto di gruppo di un inganno celato
sorridenti vampiri in cravatta
firmano con penne d'oro
naufragi di destini
 
Civiltà armate
zanne ancora affondate
nella gola moribonda di ogni sud
 
Questo dolcissimo suono
struggente melodia che avvolge
un'illusione chiamata accordo
esaurita in una notte di Kyoto
 
Lasciamo solo parole
e ancora promesse di parole
solo mani insanguinate
accarezzare la terra
mentre esala l'ultimo
respiro...
 

(Roma, giugno 2002)


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