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LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
  Poesie di
Luciano Postogna

Adorati rumori
 
Ansiti voi del mio ansito,
luci voi del mio buio,
vi credevo bambini,
vi volevo bambini.
Sveglio attendo di notte,
nel prillare del vento,
quattro passi felpati
e la solita chiave
nella toppa girare,
solo allora si placa
il mio cuore fremente.
Nel mio finto dormire
ora cheto vi ascolto
e mi piace capire,
da quei pochi rumori,
chi di voi è rincasato.
È col sangue gelato
che ora provo a pensare
al domani imminente
quando sveglio di notte
non avrò la speranza
di sentirvi arrivare
tra adorati rumori.

Andromaca
 
Dello Scamandro l'acqua
non diede fresco obliare
ad Andromaca in lutto.
Troppo il ricordo è vivo
quando, alle porte Scee,
il suo amore in cimiero
d'Ilio l'onore tenne
con morte certa in cuore.
E quella funesta ira
ei s'apprestò a sfidare
della dea Teti il figlio
protetto dal dio mare.
 
E fuggì atterrito Ettore
dal semidio al cospetto
perché l'ardore fiero
non fosse mal celato
dall'incoscienza vera.
Poi, vinta ogni incertezza,
affrontò la sfida erta.
Nell'agonia penosa,
svenando sulla terra,
andò forse il pensiero
a quella causa iniqua
che provocò la guerra
e di quel sangue un fiume
sparso nel nome solo
d'effimera bellezza.
Ora, rimasta sola,
appena si consola
nell'ammannir ferale
del corpo martoriato
pietosamente reso
ad un Priamo prostrato.
 
Piangono il Tròo i figli,
l'eroe caduto e morto,
ma poche son le lacrime:
ieratica ora incombe
all'orizzonte l'ombra
d'un infido cavallo.

Antipodi
 
Profumo di mughetto
e amore finito,
a fondo penetrate
nei sensi palpitanti:
l'uno con piacere intenso,
l'altro con dolore immenso.

Aurora
 
Il gelo irto dell'aurora
nel silenzio di una notte
appena addormentata.
 
Muto, sotto un cielo limpido,
percepisco il bisbiglio delle muse
e libero quei versi, già ispirati,
al crepuscolo morente.
 
I passeri nei nidi algenti
non hanno più le note per cantare:
il pentagramma vuoto della vita
si sfoglia tra le bianche mani
della tagliente brezza.
 
I nudi rami
di galaverna aspersi
incantano il giardino.
 
Una quiete ritrovata
mi accarezza
nell'ignoto rinascere del sole.

Autunno carsico
 
D'uva acidula autunno
or piovoso t'ammanti,
così d'erba slavata
e di muschio e tristezza,
di ricordi sbiaditi
e di spiagge deserte,
di tramonti precoci
e mature castagne.
La mia pelle abbrunata,
che ricorda l'estate,
or si sbianca alle querce
ed ai tigli ingialliti
ma s'impregna d'olezzo
che la flora morente
sotto il bosco rilascia,
tra calcari corrosi
e sommacchi arrossati.
Zuppa inebria la terra
e confonde la mente
sui sentieri silenti,
tra doline assonnate
ed acarpi ginepri,
mentre l'anima stride
or nei cupi pineti
ove resine intense,
col profumo sublime,
quasi tendono al cielo
dagli edenici colli
del mio Carso incantato.
Or nei borghi di pietra
l'agro e nero Terrano
secchi tini ricolma
e si spegne la sera
sotto stelle annebbiate.

Cantico
 
La mia anima è a Trieste
pallore della luna, / la bora e voci calde;
la mia anima è sul Colle
prezioso ancor pei ruderi / che diede Roma antica;
la mia anima è tra i boschi
e lande torturate / del Carso novembrino;
la mia anima è tra pietre
dell'orto lapidario / e della Val Rosandra;
la mia anima è tra l'onda
di questo mare amato / che odora le pinete.

Del mio Carso
 
Arbusti di pietra aggiogati,
nel perdersi del vento e dell'aurora,
al carro tepente del Sole.
Il giorno tirate
alle doline mute,
ai boschi ed ai campi affieniti;
al mattino di pastello
coll'aduggiato verde del Lanaro
e il rosso pien di guazza della terra;
ai pini egri e rovinati
di traverso sui sentieri
già oblio dei miei passi;
al chioccolio guizzante,
dell'algido Rosandra;
ai sogni di cristallo
che trepidi s'infrangono
sui casolari eburnei
nei borghi ridestati
del mio Carso.

E scenderà la pioggia
 
E scenderà la pioggia,
sopra i pini seccati
sulle bianche pietraie
sulla terra riarsa
sulla landa deserta,
come lieve carezza.
 
E scenderà la notte,
sopra i bassi vermigli
e il fiorire di stelle
sugli odori sublimi
e il frinire insistente,
con la falce di luna.
 
E salirà l'aurora,
dietro i morbidi colli
con l'aspersa rugiada
alitando sui nidi
il profumo di vita,
con le nubi di rosa.
 
E salirà il sole,
sopra i voli garruli
sopra i tetti dei borghi
sopra un mare d'opale
sopra i sogni dissolti,
col suo caldo sorriso.
 
E scenderà la pace,
sul mio trepido cuore
sullo spirito inquieto
sulla vita passata
e sui tanti rimpianti,
come un angelo biondo.

La collina
 
Inerpicarsi di magri cipressi
dall'aprico rondò fuori paese
lungo il viale che monta in collina
tra il giallore dei campi affieniti
e gli orti squadrati, più in basso,
alle porte di agresti dimore.
 
Poi lassù il cimitero paesano
dove pallide pietre,
che ricoprono i morti,
si erodono al caldo agostano
e, imminente, alla pioggia d'autunno.
Sui cancelli di ferro battuto
due bimbi ricciuti
si aggrappano ilari
e il cigolare coperto dal vento
si perde ai raggi di un sole abbassato.
E si sfanno i covoni
sotto tese e improvvise folate
che deviano il volo ai rondoni
e danno frescura al quieto contado.
 
Or sul sagrato dell'ermo sacello
lunga si stende l'ombra serale
e sui candidi avelli la pace.

Melo antico
 
Melo antico,
che fu fanciullezza,
radicato alla mia rimembranza
del giardino paterno,
fosti muto ai miei giochi
di bambino sereno
ed amico discreto
delle mie confidenze
quando, solo in quell'orto fruttuoso,
aspettavo il tramonto
borbottando parole innocenti.
 
Quanto tempo da allora,
nella bruma più densa
che annebbia i ricordi
ed offusca i pensieri,
nel mio inutile gire.
 
Solo adesso mi trovo
e ritrovo al cospetto
del tuo scheletro acarpo
e l'agonia rinviata nel tempo.
 
Ora, dal tuo ultimo spiro,
come brezza discreta,
si libera al cielo
la mia voce bambina.

AUTUNNO
 
Sei giunto alfine autunno,
intriso d'acqua acidula,
nel tacito marcire
di foglie e di ricordi.
Alieno apri le porte
dei casolari tiepidi
e polvere di sole
con il tuo panno asporti.
Al tuo strisciare echeggiano
i pochi marmi gelidi,
sotto pesanti stille,
nelle onerose valli
dalla natura spenta.
Restano impresse ancora,
nelle pupille attonite
d'un abbioccato zigolo,
ombrose frasche e tremule.

IMPIETOSO CARSO
 
Nella carne invecchiato
e nell'anima morto
mi ritrovo ora solo
su quest'erma collina
dell'immobile Carso.
Notti lunghe ed ansiose
tormentate nel cuore
da cicale frinenti
e dai bianchi timori
d'una luna assai piena,
giorni brevi ed inquieti
sotto il sole accecante
o le nubi foriere
di tempeste interiori
hanno eroso i miei anni
e usurato i ricordi
come bianchi calcari
che il tempo ha lisciato.
Ho inalato frammenti
di terra arida e rossa
nelle afose mattine
di un'estate bizzarra,
ho percorso silente,
fra tremanti sommacchi
con il sangue dipinti,
i sentieri bagnati
dalle piogge incessanti
dell'autunno infingardo.
Solo i forti ricordi
i campi eterni assolcano
sugli impervi versanti:
là ove regna la pietra
e delle serpi i covi,
ove pendono aguzze,
modellate negli anni
da infiniti silenzi,
stalattiti lucenti,
ove l'alba e il tramonto
si distendono pigri
sulle cime dei pini
e dei carpini neri,
ove lande spettrali
impauriscono ancora
pochi fiori avvizziti.
I ricordi più lievi
si dissolvono invece
nell'oblio della Bora
e nei sordi rintocchi
che i campanili effondono
tra il pietrisco deserto
e gli assonnati paesi.

NOTTURNO ALPINO
 
Cala il cielo le palpebre
e la gota vermiglia
scolora ad occidente,
l'altra, bianca, è baciata
da una vergine Luna.
S'incupiscono i picchi
e le selle dei monti,
il silenzio ora ammanta
le vallate, le selve
e gli assopiti paesi.
Nello scorrere placido
il rio fresco e perenne
rende magica appena
quella pace profonda.
 
Poi, lassù, ad una ad una
molte stelle s'accendono
con le fievoli luci
d'un rifugio eremita.
I pensieri ora affondano
nella quiete solenne
e si mutano in sogni
sino all'alba novella.

AI VECCHI IPPOCASTANI
 
Lutulenta l'aia mi trova
tra i casolari trascurati,
le stalle fetide e affienate,
gli orti ancora fertili
e gli addiacci scarsi di cavalli,
ad aspettare trepido
lo spegnersi del sole
nell'orizzonte umido friulano.
In quello scorcio rustico
maestosi ed allignati
antichi gli ippocastani
coi loro immensi rami,
che autunno ha denudato,
quasi spettrali stanno.
Come vecchi malandati
s'appoggiano ai bordoni
coi loro arti bassi.
Al vespro invece tendono
le ramorute e scarne mani
con le falangi a ditteggiar sottili
sul cielo quasi rosso
d'un tramonto novembrino.
Poi, d'incanto, al calare della sera
lussureggianti e timidi i pavoni
ad annidarsi cheti,
tra le ospitali branche, volano
quasi a consolar quella vecchiaia.
Ora i colori scemano
e s'ammantano di tenebre
nel nitrire sordo dei cavalli,
il chiacchierio discreto nei locali
ed io fermo come un palo
col bicchier di vino, semivuoto, nelle mani.

 
EPILOGO
Sonetto serale
 
Rammento alzarsi lento e quasi algente
l'umido acre, brumoso e denso strato
scendendo tra il fogliame quasi ambrato
sul basso e rosso cielo d'occidente.
 
Si stende ombrosa l'afonia nel folto
mentre incerti calcano i miei passi,
a picco sopra un grigio mare, i sassi,
la cui monotonia dell'onda ascolto.
 
Si cela appieno ansata la costiera
nella diffusa e muta coltre astratta
portando il senso triste della sera.
 
Di una campana i sordi tocchi volano,
tra l'ammantata landa desolata,
e nell'ansioso petto già mi accorano.

E SON LE SETTE!

Sonetto mattutino

 
Cruda mattina, gelida e diversa,
sotto quel cielo pieno, smorto e torbido,
che liberò di notte un manto morbido
e galaverna di cristallo aspersa.
 
Dorme ancora il paesetto di montagna
quando sordo il campanil digià rintocca
e un'annidata passera s'abbiocca
mentre guaisce puerpera una cagna.
 
Gelido il rio riscende dalla fonte
lungo pendii monotoni di neve
per scivolar tra i ghiacci sotto il ponte
 
quando il sole si sbraccia tra le vette
per proiettare l'ombra della pieve
sulla piazza del paese. E son le sette!

LUNA
 
Luna, che all'aurora ti spegni,
hai vegliato sui miei gravi pensieri
e portato le stelle nei miei monotoni sogni,
hai riflesso il tuo candido aspetto
nell'attonito azzurro dei miei occhi di ghiaccio,
hai riempito la mia solitudine
e gli spazi immensi del mio animo vuoto.
 
Poi, quando il corpo s'è fatto più vecchio,
lunghe notti ho passato in languida attesa
del tuo celere solco nei campi del cielo
ed ogni volta sei svanita nel nulla
lasciando violare, dal sole crudele,
i reconditi affanni nel mio cuore di pietra.
 
Luna, ti sei spenta per sempre!
 
Ora alzati, sparisci, ritorna, imbianca,
tra le nubi celati,
tra le stelle diveggia,
le maree indetta
e sciabordii d'acque magiche crea,
coi rami smossi dalla brezza gatteggia
sulle acque lucide del lago,
ma più non mi confondi.
 
Luna, ogni incantesimo s'è rotto!
 
Alla notte dormo senza sogni
e i caldi raggi del sole prepotente
più non violano un cuore inesistente:
ora, mi accontento del nulla.

OBLIO ALL'OVEST
 
All'orizzonte muore, in fiamme, l'ovest
e di ginepri in fiore si profuma,
s'effonde della luna fioca l'alito
e sensazioni occidue nel mio cuore.
 
Così il silenzio esorbitante spegne
della natura, ancora calda, i sensi,
mi placa e inerme m'intima l'eterno,
mentre s'acconcia d'ombra l'infinito.
 
La vita mia, fugace e snella, corre
nell'atmosfera colma d'aria cheta
come puledro baio sulla rena
sazio ormai del latte acro di cavalla.
 
La fantasia e l'incanto si confondono
tra quelle fiamme in agonia sublime
ed i pensieri liberi, in arcione,
or balzano sul cosmo imbizzarrito.
 
Spocchioso, lui delfino della notte,
il vespero s'impollina di stelle
e i desideri sono già comete
che spazi solcano d'attimi irreali.
 
Di vento un soffio ed una foglia trema
sarà tenace sino autunno ancora
cadrà poi, in una notte bianco latte,
nell'ermo lago ove la luna affonda.
 
Della magia l'ovest ora si sveste
e così l'oblio, al rosso dei tramonti,
prevarrà sopra tutti gli orizzonti
e perderà il ginepro i fiori gialli.

SERA
 
Dai tetti cadono
i gatti morti sull'asfalto
quando la luna piena
negli occhi vitrei si specchia
e le streghe ridono
sull'erica in arcione
coi buchi neri nella bocca.
Ringhiano i cani usciti
dalle lettiere immonde
e le catene tendono
sotto l'albero di fico
mentre la rogna espongono
alla sverginata sera.
Grosse le vene sporgono
da quelle mani vecchie
che il pio rosario sgranano
tremando come foglia
e tutto il resto è nero
che copre i segni dell'angoscia.
Tra i ruderi di pietra
della chiesa diroccata
corruschi argenti alla Madonna,
attendono l'oblio:
i miracolati ormai
sono tutti al cimitero.
Quel cavallino a dondolo
che più nessuno monta
tra i ferri vecchi oscilla
là, ove una cava smessa
sulla campagna incolta
orribilmente piomba.
Lontana dal tramonto,
lontana dalla notte
la sera ebete s'esalta
e come fosse sole
o come fosse stelle
si carica di spocchia
ma dai suoi piedi sporchi
un fetore fumido riversa
sulle verdure vizze
degli orti abbandonati.

TRIESTE: ALLE UNDICI DI SERA
 
Tremante prendi l'anima brumosa
dalle piatte spoglie d'un mare quieto,
quando le mani del nordest
ancora incatenano la bora.
Pallido il tuo Carso ascolta,
sulla periferia appoggiato,
parole svelte, di poca gente per la strada,
mentre, riottoso, il sole muore
nelle sabbie gelide di Grado
e s'arrossano i vapori
tra poche vele serotine.
Cede la sera al sonno,
quando la notte bussa frettolosa,
e cadde la luce, da una luna inaspettata,
sui pochi ruderi del Colle.
Sotto gli aloni fiochi d'un algido lampione
riluce appena il bosso
e nella gelata pozza ogni paura si specchia.
 
Nel tuo silenzio irrompe,
alle undici di sera,
la bora scatenata
e con impeto s'avventa
della notte i progetti a scompigliare
e con l'acuto sibilo,
tra i muri delle androne,
una città dormiente a ridestare.
Agli agitati ormeggi
sbatacchiano le barche
e con patetico frullio
il vento fila tra alberi e pennoni,
si staccano i ghiaccioli
frantumandosi sui ponti
come tamburi a morte.
Spazza il molo l'onda ravvivata
e lascia la schiumosa cresta
tra le fughe esagerate dell'antica pietra.
Vibrano afilli i rami nei viali
sotto le sferzate della bora
come scarne braccia ad implorare,
dalla bolgia orrida avernale,
la remissione eterna
che mai potrà arrivare.
Impetuosa soffia al cimitero
e col rumore dei cipressi afflitti
risveglia i morti dalla terra.
Delle chiese scardina i portoni
ed al cospetto porta,
degli aceri e cornioli flagellati,
i santi, i martiri e i beati.
Squillano i clarini angelici
nel tuo incubo invernale
annunciando il giudizio universale
alle undici di sera.



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