Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Racconto di
Lorenzo Manigrasso

Brucio d'amore per te
 
Questo è il messaggio che più volte ho lasciato sotto lo zerbino della casa di Angela. Non ho mai saputo se ne ha letto qualcuno.
Si era nel '45, non avevo ancora quattordici anni. Da due vivevo da sfollato in un piccolo paesino agricolo a tredici km. da Taranto. Ci eravamo trasferiti in quella località nel marzo del '43, dopo che una maledetta bomba inglese centrò la nostra casa. Fortunatamente successe di giorno. Non avevamo più la mamma, il papà era in guerra, io e mio fratello eravamo a scuola e mia sorella, da una zia.
Non so quanti hanno provato la terribile esperienza di tornare a casa e trovare al suo posto una grande buca ornata di macerie.
Il paesino, fuori dalle strade principali di comunicazione, era immerso in un mare di ulivi. Il loro verde argentato lo celava gelosamente ed era così piccolo che gli abitanti dei paesi limitrofi li canzonavano dicendo: <<Muntiase nu mulinu e quttru case>>. In paese vi era una levatrice, una aggiusta ossi, un tabacchino e un bar. Per tutto il resto occorreva andare nei paesi vicini. Anche per vedere un film bisognava fare "a piedi" quattro km. Alle tredici e trenta della domenica o dei giorni festivi, tempo bello permettendo, ci si radunava in piazza, otto, dieci di noi con due, tre adulti e tutti insieme si partiva festosi, a piedi e su strade bianche e polverose d'estate, scure e fangose d'inverno. Era gente allegra e spiritosa. Ricordo la prima volta che mi unii a loro, chiesi a un adulto: <<Ma come..., andiamo a piedi?>>, sorridendo mi rispose: <<Appiedi? nooo, accavall'ocaz!>>.
In una di queste escursioni ho provato, per la prima volta, quel vulcano di sensazioni che, esplodendo, ti scombussolano tutto penetrandoti nel petto come lava rovente bruciandoti il cuore.
È stata una sensazione nuova, sconosciuta e talmente forte da confondermi e non capire se quello che stavo provando era dolore o delizia.
Giunti alle porte di Carosino, mi staccai dal gruppo fermandomi a una fontanella per dissetarmi. Vi sostava un capannello di donne, con vari recipienti che attendevano il loro turno. Tra queste vi era una bellissima ragazza; alta, snella dal viso soave incorniciato da una cascata di riccioli neri. Per un attimo, i suoi occhioni, pure neri, si sollevarono su di me. I nostri sguardi s'incontrarono. In quell'attimo ho sentito qualcosa esplodermi nel cervello, mentre avvertivo la rovente lava farsi strada nel mio petto fino a raggiungere il cuore. Forse, attraverso il mio sguardo, lei percepì le emozioni che in quel momento stavo vivendo davanti alla sua bellezza, pudicamente abbassò gli occhi. Fui distolto dal gruppo che urlando a gran voce il mio nome mi sollecitava a sbrigarmi.
La sua immagine rimase scolpita nella mia mente. Non conoscendo il suo nome, gliene diedi uno io. In onore alla sua bellezza, la chiamai "Angela" e come un angelo custode, da quella domenica, accompagnò tutti i miei pensieri e i miei sogni. Più volte tornai in quel paese con la speranza di rivederla senza mai riuscirci. Il lunedì di Pasqua a Carosino è grande festa. Dopo essere stati al cinema a vedere "Quo Vadis", ci dividemmo dandoci appuntamento alle ore 20 per ritornare tutti insieme. Io, con altri due coetanei e un adulto ci fermammo in una osteria a mangiare qualcosina. Fatti pochi passi, dopo essere usciti, all'improvviso fui paralizzato da una visione. Attraverso la porta a vetri di una delle case, vidi lei "Angela". Il cuore mi saltò in petto. Era lì, in piedi che guardava il paesaggio. Ancora una volta i nostri sguardi s'incontrarono. Per me, fu come ricevere un fluido ipnotico che m'immobilizzò da sembrare una statua. Gli amici, accortosi si preoccuparono pensando che ero stato colto da un malore. Sentendomi balbettare nel rispondere alle loro domande e visto il rossore che aveva infiammato le mie guance, mi presero in giro incolpando, del mio atteggiamento, il bicchiere di corposo rosso che avevo bevuto in osteria. Assicurandoli che stavo bene, con una scusa mi sganciai da loro e per due ore, fino alle 20, non feci che andare avanti e indietro davanti alla sua porta. Angela si era seduta con in mano un telaio da ricamo. Forse faceva finta di ricamare. Certamente teneva sott'occhi la strada perché ad ogni mio passaggio, alzava il viso. Ogni volta che i nostri sguardi s'incontravano avevo l'impressione che i suoi occhi s'illuminavano. Forse era dovuto al lieve sorriso che appariva sul suo viso?
Giunse l'inverno senza aver avuto mai l'occasione di avvicinarla. Usciva pochissimo e, quelle volte che lo faceva, era sempre in compagnia della madre o della sorella maggiore. La lontananza che ci separava non era molta, erano solo quattro chilometri, però, d'inverno e a piedi con quelle strade fangose, era un problema. La mancanza di un mezzo di locomozione, mi penalizzò molto. Una sera verso l'imbrunire, le strade del paese erano deserte, spazzate da una gelida tramontana. Io, appostato al solito angolo, non perdevo di vista la porta a vetri. A quell'età, indossavo ancora i pantaloni corti e non possedevo un cappotto. Per scaldarmi, di tanto in tanto, fumavo una sigaretta. Prima di andar via, davo fuoco al resto dei fiammiferi. Con la matita copiativa, (quella che inumidendola tra le labbra tracciava delle lettere grosse e ben visibili), scrivevo: "Brucio d'amore per te". Poi infilavo la scatola sotto lo zerbino di Angela sperando che fosse lei a trovarlo facendo le pulizie la mattina dopo. Quei fiammiferi mi costavano 15 lire alla borsa nera.
Stare lì fermo nascosto nell'ombra, era una grande sofferenza. La consolazione arrivava quando di tanto in tanto si accendeva la luce in soggiorno e lei appariva al di là della porta a vetri. Uscivo subito dall'ombra, lei mi regalava un sorriso e svaniva ancora nel buio. Quelle, anche se brevi, apparizioni riuscivano a scaldarmi. Mi resi conto che l'amore non ha bisogno di parole. Attraverso i nostri sguardi avvenivano lunghi discorsi. Ci siamo amati così, guardandoci a distanza.
Intirizzito dal freddo, quella sera stavo per lasciare la mia postazione quando, eccola apparire.
Per la prima volta, al sorriso, aggiunse un gesto con la mano come per segnalarmi di aspettarla. Il cuore incominciò a battere all'impazzata. Poco dopo la vidi uscire avvolta in un ampio scialle nero che la copriva dalla testa fin quasi ai piedi. In mano reggeva una brocca di terracotta, si avviò in direzione della fontana. La seguii. Giunti all'ombra degli alberi, unendo tutto il mio coraggio, l'affiancai. Avevo la gola secca. Cercai di parlare, la voce uscì tremolante dall'emozione. Timidamente e stupidamente, riuscii a chiedere. "Vai alla fontana?". Tenendosi stretto lo scialle sotto il mento rispose:
<<Non posso tardare altrimenti la mamma corre a cercarmi!>>. Anche la sua voce era tremolante. Parlò veloce chiedendomi tutto d'un fiato: <<Come ti chiami? Di dove sei? Quanti anni hai?>>, risposi veloce seguendo il suo ritmo. Non eravamo ancora giunti alla fontana che, allungandomi un foglio piegato, mi pregò di allontanarmi subito. Aveva il terrore che qualcuno potesse vederci.
Incuriosito di cosa mai mi avesse dato, entrai nell'osteria anche per scaldarmi un po' le ossa.
Aperto il foglio, tra le mani mi scivolò una medaglietta sacra. Sul biglietto che l'accompagnava vi era scritto: "Mi chiamo Chiara, ho 14 anni e ti voglio bene. Ti sogno spesso. Credo d'amarti. Ti regalo questa medaglietta di san Biagio. Tienila sempre con te, ti porterà fortuna. La settimana prossima ci trasferiamo a Milano dove già vivono e lavorano mio padre e mio fratello Cosimo. Il pensiero di non vederti più mi addolora. Ti ricorderò sempre con amore. Chiara>>
Non l'ho più rivista. La medaglietta mi ha certamente portato fortuna. Ho trovato la mia strada, la mia compagna fedele, la mia felicità. Mi auguro che sia stato così anche per lei
 

Lorenzo

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Ins. 27-12-2002