Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Giuseppe Carnabuci
Ha pubblicato il libro
Giuseppe Carnabuci - Due incredibili, inguaribili amori

 

 

 

 

Collana I salici (narrativa) 14x20,5 - pp. 112 - Euro 9,80 - ISBN 88-8356-621-1

Prefazione
Incipit  


Prefazione

 

"Due incredibili, inguaribili amori" è un romanzo, tra il divertito e l'accattivante, che viene a infoltire l'elenco della fertile produzione narrativa di Giuseppe Carnabuci. In larga parte vi ritroviamo il solito modus operandi dello scrittore anche se questa volta l'autore si lascia trasportare da un impeto, in alcuni passaggi direi quasi da un furore, nel raccontare una serie di relazioni sentimentali dove spesso prende il sopravvento il sesso puro e semplice.
La storia è alquanto strana: tre ragazze, Francesca, Leda ed Ambra vivono in un appartamento preso in affitto e il protagonista ha ricevuto dalla sua compagna Brenda, proprietaria della casa, il compito di riscuotere gli affitti: la sua funzione è quella di un esattore, istruito a dovere sul comportamento da adottare per non farsi coinvolgere dai problemi delle tre donne, dalle richieste extra contrattuali, o da quant'altro possa compromettere la normale riscossione del credito.
Ma capita che l'uomo si lasci coinvolgere da Francesca, studentessa diciottenne dal sorriso impertinente, intrigante eppur col viso velato sempre da una leggera tristezza. Nasce così un rapporto di amicizia nel quale viene a conoscenza delle disavventure della ragazza e della sua dolorosa storia: il padre mai conosciuto, il nuovo compagno della madre e le violenze subite.
Ecco allora che nel momento in cui Francesca si trova in difficoltà nel pagare l'affitto egli subito si offre di aiutarla spinto da un senso di solidarietà e inizia a frequentarla: la freschezza e la spontaneità, la sincerità e la vitalità della ragazza iniziano a conquistarlo e per lui si apre un mondo nuovo sicuramente più eccitante della solita stanca routine con Brenda. È quasi la scoperta di una nuova dimensione dove tutto viene amplificato, dove tutto è più vibrante ed ogni giorno è una nuova favola da scrivere: quel sentirsi vivo, riscoprirsi, ritrovarsi a fantasticare, tornare a sognare non fa altro che sottolineare ed enfatizzare la sua esigenza di cambiare pelle.
E per mutare la sua condizione si trova quasi ad essere guidato da questa ragazza: coinvolto dal fuoco della passione, sottomesso da questa ragazza assai pericolosa e capace di risvegliare anche il più sopito istinto sessuale.
Come a buttare benzina sul fuoco inizia anche una relazione con Leda, donna vogliosa e dotata di una invidiabile vitalità sessuale: un autentico corpo caldo sempre pronto a fare l'amore e capace di notti interminabili.
A questo punto le cose si complicano e l'uomo si ritrova conteso tra due donne, anzi tre.
Gli sviluppi di tale situazione sono imprevedibili e la decisione da prendere si rivela assai ardua: la scelta può rappresentare la svolta decisiva della sua esistenza e non è facile dover decidere sul da farsi.
Con grande impegno e attingendo ogni stilla di energia dai sedimenti più profondi si può umanamente arrivare ad una soluzione quando il destino offre il suo aiuto insperato: ogni cosa si incanala al suo posto e le donne vanno per la loro strada. Rimane un velato rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato ma l'intricata vicenda è dipanata.

Massimo Barile


Due incredibili, inguaribili amori

 
Semplici storie d'amore. Un inno all'amore
fisico, quello vero, totale nella precarietà
di attimi intensi e purtroppo veloci...
 

A Leda
 
Tardi sfiorisce la stagione
l'autunno oramai s'addormenta
già del Bisenzio e dell'Ombrone
l'acqua alle foci va più lenta:
ecco, il vento lieve diventa
va tra gli olivi dolce e tardo.
Dell'estate chi si rammenta?
ahi ma la morte vien sempre in ritardo

 

"Cantata del vivere lento"

da "Cantate dall'arcitaliano" di

Curzio Malaparte

 


I
 
Mora, ricciuta, un'ombra di sorriso impertinente, una leggera tristezza, non consona alla sua età: diciotto anni circa, studentessa lontana da casa, sicuramente con i soldi contati, fuori ormai dalle raccomandazioni dei genitori, dalle critiche dei vicini di sempre, ma adombrata per nuovi problemi, primo fra tutti quello di far durare i soldi in dotazione, poi del cercar di spendere il meno possibile, e del chieder aiuto alle sue compagne di stanza solo in casi eccezionali. Erano in tre, due studentesse, una impiegata nei Grandi Magazzini. L'appartamento aveva tre stanze (tre camere da letto), un bagno, un salotto, un ripostiglio. Era lei indietro con l'affitto, quasi da due mesi. Le altre pagavano regolarmente. Lei era Francesca, poi c'erano Leda ed Ambra.
Francesca, originaria d'un paese della provincia di Viterbo, Ambra era di Foggia, Leda di Trento. L'appartamento era di mia "moglie", cioè la mia compagna, ereditato dai suoi genitori; io avevo il ruolo virile di esattore, non che mi piacesse troppo; ma non potevo rifiutarmi, e poi era un motivo, giustificato, di frequentare ragazze giovani, anche belle, di parlare con loro, di sentire i loro problemi. Certo, a detta di mia "moglie", dovevo cercare di farmi coinvolgere il meno possibile dai loro problemi o dalle loro eventuali richieste di qualsiasi cosa, dovevo sorvolare sui possibili risvolti personali, dovevo riscuotere e basta.
Ambra era piccola, castana, ma non mancava d'un fascino particolare, studiava in un liceo artistico, era venuta a Roma perché voleva conoscere l'ambiente della grande città: elegante, con un'inconfondibile inflessione pugliese, a stento corretta, a volte, ma predominante nei momenti di ordinaria conversazione, nell'atteggiamento di ogni giorno. Raramente parlava del suo luogo d'origine, della sua famiglia, dei suoi amici. Pare che filasse con un ragazzo, di Roma, che ogni tanto veniva a prenderla su a casa, o la aspettava giù in strada, a cavallo d'un potente motocicletta.
Leda era l'unica che lavorava e che quindi non aveva bisogno dei soldi dei genitori per sopravvivere nella grande città. Snella, molto alta, ben truccata, parlava poco, cioè si confidava poco con le compagne, sembrava che le interessasse solo il lavoro, da cui si sentiva in qualche modo pienamente gratificata.
Per tornare a Francesca, dovevo incontrarmi con lei, per chiederle che cos'era che non andava, perché era in ritardo con l'affitto, e se avesse avuto momentanei contrattempi dovuti a subentrati, imprevisti problemi.
Avevamo appuntamento nel parco giochi antistante il palazzo dov'era l'appartamento in affitto. Doveva essere un incontro un po' fuori dagli occhi degli altri, per rispettare una qualche forma di privacy, un elementare senso di pudore, per non sbandierare ai quattro venti una incresciosa morosità, anche agli occhi delle compagne, affinché Francesca non ne uscisse mortificata e tale situazione non ledesse la sua esteriore sicurezza di donna giovane e circoscritta in un ruolo di futura conquistatrice d'un suo spazio, in una società dove c'era posto per tutti, e dove tutti sopravvivevano in attesa d'una sistemazione eventuale e futura.
Brenda, mia "moglie", m'aveva mandato a "trattare" con Francesca, a sentire le ragioni per cui fosse così indietro con l'affitto. Ma, in sostanza, in cuor suo, penso, pretendeva che le portassi l'affitto del mese e quello, arretrato, del mese precedente, non ancora onorato. Era la prima volta che mi trovavo incanalato nel ruolo di esattore, e per di più con una donna; speravo di non sfigurare nell'espletamento di questo nuovo incarico: mi ripromettevo d'agire con dolce fermezza, con decisione camuffata da affabile compartecipazione e immedesimazione ai suoi problemi reali, concreti, economici. Ma questo ruolo non mi stritolava, anzi... mi stimolava, e, in più, mi rendeva curioso, se non ansioso, d'assaporare gli sviluppi inediti della vicenda, quali che fossero, di cimentarmi come uomo "di rispetto", nel senso pratico del termine, nella sostanza dei risultati. Dunque, aspettavo con lieve ansia l'indomani per potermi provare nel nuovo incarico.

II
 
Il campo giochi era ospitato in un piccolo parco, nel bel mezzo della città, più di preciso: nel bel mezzo del quartiere; c'erano panchine, altalene, scivoli, perfino un campo per pattinare. L'erba era fresca, ben tenuta, gli alberi folti, tranne qualcuno, che era morto perché scortecciato. Qualche merlo e qualche passero saltellavano furtivi e poi spiccavano il volo, dopo aver beccato qualche briciola o qualche seme, insomma, c'era un'aria di fresco intermezzo, un'oasi di verde nel bel mezzo della città, che ti faceva sentire come in trasferta. Il campo giochi non era molto frequentato, sia di mattina che di pomeriggio. Vicino c'era un chiosco con le patatine, e forse era quello che dava vita alla piazza. Alle sette di sera, il campo era già chiuso, con una robusta catena; c'era un guardiano che veniva appositamente per aprire e per chiudere e che qualche volta falciava l'erba o predisponeva le docce girevoli per innaffiare il tutto.
Ad un tratto la vidi, era seduta su una panchina, c'erano posati dei libri e quaderni; lei era pensosa, assorta nelle sue idee o problemi; si notava una traccia di soprappensiero nel volto piuttosto giovane, ma già momentaneamente raggrinzato in piccole rughe che dipendevano da un atteggiamento di moderato corruccio. Appena mi vide, si alzò in piedi e fu allora che ne notai l'alta statura, il perfetto portamento, l'eleganza, pur trovandosi la stessa in abiti modesti e non firmati, prevalentemente "casual". Le gambe, lunghe, snelle, con un'adeguata abbronzatura, avevano qualcosa di signorile, di consono ad una figura giovanile ma non aliena da pretese di "sexy appeal", il resto della figura era ben allineato al volto quasi perfetto, intenso, allo sguardo a tratti sbarazzino, a tratti carico di sottintesi, di messaggi sensuali, non voluti, non predisposti, ma presenti e incidenti per chiunque li avesse recepiti: una tristezza moderata, eppure un po' intrigante, sofferta, una smorfia nel sorriso, come valutativo d'una realtà pregressa, presente, futura, come di chi s'aspetti qualcosa dagli altri, perché ottimista e fiducioso, ma non più di tanto e sia sempre pronto ad una verifica negativa, ad un'espressa constatazione di risultati non sempre positivi o gratificanti. Un sorriso fiducioso ma guardingo, spassionatamente dolce ma ombroso, leggermente velato nel tripudio d'una gioia imperfetta, difficile, pronta a smarrirsi ed a disintegrarsi nel buio d'un'attesa ostica da gestire, d'una aspettativa dove le ombre possono, all'improvviso soverchiare le luci, le linee di colore vivo, vero, vitale.
S'era alzata, e nel notare la sua linea perfetta, forse carica di seduzione, di sensualità e di concentrati messaggi, sia verso il sesso opposto, che verso tutti, quale una larvata sfida di femminilità, notai una piccola crepa: una linea di fianchi un po' larga, qualcosa in più del dovuto; ma forse, proprio per questo, nel contempo, evocante sotterranei messaggi di richiamo sessuale; dei fianchi un po' larghi, ma forse, a causa di ciò, più sensuali. più predisposti ad un contatto, ad un incontro con chiunque fosse portatore o messaggero d'amore.
Fece un piccolo passo in avanti, ed in quell'accenno di movimento, notai una grazia felina, una leggera scossa che comunicava gli esiti d'un linguaggio forse malizioso ma efficace e prodromicamente femminile, di richiesta d'attenzione, di messaggio che chiede un contatto, una risposta, quale fluido d'un qualcosa che s'indirizzi verso un bersaglio che non può restare inerte, ma che pretenda simbiosi di premesse, di promesse, unione d'intenti e di desideri, pungolatura d'istinti e di voglie represse o compresse, finalmente liberatisi in una sublimazione del piacere.
Mi guardò intensamente, con un'espressione assente ma volutamente graffiante, che mi toccò dentro, come in un contatto, leggero come una carezza, ma pienamente percepibile dentro ogni piega del mio corpo, d'ogni mia volontà: un senso, insomma, d'una richiesta fatta al mio io profondo, dentro ogni inespressa volontà, dentro ogni mio atteggiamento forse ancora in formazione o in a assemblaggio, in montaggio, in via di definizione.
Pareva un po' spaurita. Cominciò col raccontare le sue pene e le sue più recenti disavventure.

III
 
In poche parole, era stata borseggiata sull'autobus che prendeva per recarsi a scuola. Aveva una grossa somma nel portafoglio, quasi i tre quarti di quello che la madre le inviava a mo' di stipendio mensile. Nell'autobus, ad un tratto, una donna di circa trent'anni, che poteva benissimo essere una zingara travestita, e coperta da un impermeabile bianco, aveva d'improvviso deciso di scendere, non appena in prossimità della fermata. S'era trascinata una buona parte della gente che si trovava nel corridoio; in seguito all'improvvisa, fulminea discesa, lei aveva pensato: "Ma guarda che modi!". Solo più tardi, s'era accorta che la zingara, tra l'altro, le aveva sfilato il portafoglio dalla borsetta, decidendo di scendere all'ultimo momento, forse perché sprovvista della "spalla" cui affidare il rischioso bottino. In sostanza, s'era trovata tutt'ad un tratto senza i soldi del mese, con l'aggravante d'aver perso anche le chiavi dell'appartamento.
Le avevo chiesto: "Sei andata dai carabinieri a denunciare il fatto?". Con malcelato disappunto, aveva risposto: "E a che serve? Tanto i soldi chi me li dà indietro?". Aveva ragione: ciò che contava era che i soldi erano spariti, il resto a che serviva?
Lungi dal dubitare sulla verità di quella sua storia, avevo espresso il mio rammarico, cercando di confortarla. Facendo vedere che mi trovavo in disappunto, per ciò che era successo, le chiesi, con aria immedesimata: "Ti serve un aiuto? Vuoi che ti presti dei soldi?".
Con un'espressione di velata tristezza, mi rispose: "No, meglio di no. Si potrebbe equivocare sulle tue attenzioni. E poi siamo due parti in causa, ma in opposizione".
Mi sorrise con dolcezza: "Meglio di no. Ma ti apprezzo per quello che mi hai detto". Poi aggiunse: "A buon rendere. Io non dimentico mai niente". E nel dir questo, mi strinse la mano con forza.
Ne ebbi di rimando una sensazione strana, a metà strada tra una piccola morsa, ma tenera e vellutata, e l'anticamera d'un senso sottile, quasi impalpabile, d'eccitazione, come per l'offerta d'una sottile promessa, da donna a uomo, di contatto imminente, intrigante, anche se indefinito, ma in fieri, tra "lei" e "me". Era come un leggero bisbiglio lanciato nella mia direzione, la cui eco m'offriva l'ansia, viva, bruciante, di contattare il suo mondo, un suo universo a me lontano, che d'improvviso s'aprisse e mi ponesse in gara per un approccio ad un grosso bersaglio, l'apertura d'un dialogo intimo, forse dapprincipio un po' inesistente, tra il suo "essere donna" ed il mio sbalordito "diventare uomo per lei", con un accesso diretto al suo mondo, al suo universo d'improvviso materializzatosi nella mia direzione.
È vero, ero forse vecchio per lei, almeno vent'anni di differenza, ma che contava questo, quando forse lei m'aveva fatto credere che la interessavo, che qualcosa di me le piaceva, al di là d'ogni interesse contingente od occasionale, pratico?
Bisognava credere, mi conveniva crederle, perché ne avevo tutto l'interesse; poi si sarebbe visto, per ora era bello bearsi in ogni promessa di conquista, il resto non contava.
C'era stato al mio indirizzo un sentimento di solidarizzazione, di feeling, di compartecipazione emotiva; ciò mi bastava. E mi bastava il suo sguardo dolce e velato nei miei riguardi, qualcosa che diceva che io non le ero indifferente, che valevo ancora come uomo nei suoi confronti, che ne avevo stimolato l'anticamera d'una "voglia", d'un desiderio di conoscermi, per ora normale, ordinario. Poi si sarebbe visto... Gli sviluppi sarebbero arrivati con calma, con spontaneità, con gradazione naturale.


 
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Ins. 04-01-2004