Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Giuseppe Carnabuci
Ha pubblicato il libro
Giuseppe Carnabuci - Lo scapolo

 

 

 

 

 

 
 
Collana I salici (narrativa) 14x20,5 - pp. 88 - Euro 8,00 - ISBN 88-8356-605-X
Prefazione
Incipit  


Prefazione
In questo nuovo romanzo, Giuseppe Carnabuci, racconta la storia di Mario Predelli, impiegato di banca, narcisista e contrabbandiere d'amore a tempo perso: protagonista indiscusso dell'intera vicenda sempre alle prese con le più svariate relazioni amorose e costantemente teso a trarre un bilancio dalle esperienze che sembrano passargli davanti senza coinvolgerlo nella benché minima maniera. La sua vita scorre normale, senza preoccupazioni, senza complicazioni, senza responsabilità, senza vincoli duraturi ed è questo ciò che lui vuole. V'è solo un inconveniente: le donne gli piacciono troppo. Come se non bastasse coloro che gli stanno intorno, come al solito, spingono per la "fatidica sistemazione" e quando anche il suo amico Adriano convola a nozze il buon Mario perde l'ultimo prezioso consigliere, l'ultimo baluardo che lo aiutava nella strenua difesa della sua posizione di single.
Ma la vita continua sempre uguale: la casa, la famiglia con i genitori assillanti, il lavoro in banca, lo studio all'università, il vuoto affettivo nonostante le numerose amicizie femminili. Ecco allora un susseguirsi di incontri più o meno vincenti con diverse donne: la diciottenne Tecla che lavora come segretaria in uno studio notarile e sogna tutte le notti di innamorarsi di un uomo che somigli al famoso attore Alberto Lupo; Dominique la "francese"; l'intellettuale Giuliana sempre pronta ad ironizzare sugli altri e capace di diventare pericolosamente possessiva e nervosa; la superficiale Ornella, degno esempio di una banale avventura estiva e poi c'è la tenera amicizia con Teresa che ormai dura da diversi anni. Teresa, l'amica di famiglia, esuberante romantica sentimentale, appassionata di letteratura, capace di parlare per ore dei libri appena letti, una donna che ha dentro di sè tanta voglia di vivere: l'unica donna della quale è veramente innamorato.
Ma il nostro Mario, nonostante tutto, non ha mai preso in considerazione la possibilità di dichiararle il suo amore sempre frenato da quella necessità esistenziale di "sfuggire ogni responsabilità". Capita così che, per una serie di coincidenze e circostanze negative, Mario trascorre in solitudine il periodo ferragostano in una città deserta e silenziosa ed è il punto di svolta che lo conduce a modificare il suo comportamento e dichiarare finalmente il suo amore per la romantica Teresa, l'unica donna che può offrirle tranquillità e piacevoli momenti d'amore, l'unica che può aiutarlo a risollevarsi dall'apatia profonda nella quale sembra sprofondare sempre più. La realtà risulterà essere più amara del previsto e Mario non sarà preso sul serio.
Dalle vicende amorose e dalle esperienze che ne seguono emerge una visione ironica dell'Autore sempre pervasa da una sorta di condivisione e partecipazione personale alla storia di Mario quasi ad identificarsi con il protagonista, a viverne fianco a fianco l'alternarsi del gioco amoroso, a condividerne gli stati d'animo e le sofferte scelte di vita.
Le esperienze di un uomo, sempre osservate con ironia ed umanità, sono raccontate con una scrittura decisamente attenta e assai scorrevole: brevi cenni alle costose serate con le conquiste femminili, disquisizioni pseudo filosofiche sulle avventure amorose, gustosi battibecchi sulle più svariate questioni e alcuni passaggi che risultano essere assai divertenti. Decisamente "salvifica" risulta essere la corsa finale del protagonista per prendere l'autobus che lo porterà in ufficio a fare i conti con la solita vita quotidiana e l'ultima esternazione è un suggello di libertà: "Era giovane e lo sarebbe rimasto per molto tempo".
 

Massimo Barile


Lo scapolo

"Il dramma del celibato,
visto ora con un'ironia
amara, ora con una
umanità patetica, in
una storia dei nostri
giorni..."
 
 
 
 
"Tutti hanno il dovere
di ammogliarsi, perché
non è lecito sottrarsi
egoisticamente ad una
calamità generale"
 
P. Veron
 

I
 
Tecla aveva diciott'anni, lavorava come segretaria in uno studio notarile e sognava notte e giorno un uomo che somigliasse ad Alberto Lupo. Era difficile che uscisse di sera sola con un uomo; ciò sarebbe avvenuto solo se le fosse piaciuto molto o se avesse giudicato che nutrisse nei suoi confronti delle intenzioni serie, culminabili in un probabile fidanzamento. Aveva detto a casa: "Vado da Maria, per fare spese assieme", ed era uscita. A pochi passi da casa l'attendeva l'850di Mario. Mario Predelli, ventotto anni, impiegato di banca, narcisista e misogino, secondo alcuni, contrabbandiere d'amore a tempo perso, secondo altri. Alle ventidue erano giunti in via Nazionale. "Dove si va?" aveva chiesto Tecla.
"Decidi tu" aveva risposto Mario.
"Voglio andare in un posto carino e caro, come minimo. Stasera voglio divertirmi davvero".
"Accidenti" aveva borbottato Mario. Era la quarta volta che si vedevano, e non aveva fatto altro che fargli spendere soldi.
"Andarono all' "Old Vienna", una cena, ottomila lire in due. All'uscita, lui le aveva proposto: "Per digerire, vogliamo andare fino al mare?".
"E perché proprio al mare?" aveva domandato lei con una smorfia di noioso disappunto.
"È bello" aveva risposto pronto lui.
"Ma ci tieni proprio?" aveva aggiunto lei.
"Sempre che tu lo voglia".
Si fermarono a Pratica di Mare. Senza scarpe passeggiarono a lungo sulla spiaggia, tenendosi per mano.
"È veramente bello qui" aveva osservato ridendo lei, guardandolo negli occhi, quasi con gratitudine.
Lui l'aveva guardata a lungo, contento di quella concessione, poi l'aveva stretta a sé, cercandogliene la bocca.
"Oh, ma che fai?" si era schermita, un po' sorpresa.
"Niente, voglio dirti qualcosa".
"E dimmela forte".
"Volevo sussurrarti una poesia, piano piano, per non svegliare il mare".
"Come sei poeta stasera".
"Io sonosempre poeta".
"Modesto".
"Dai a Cesare quel che è di Cesare".
"Antipatico, vanitoso, ti odio!": aveva riso.
Si erano fermati, lui l'aveva cinta di nuovo per la vita.
Lei stette ferma, lui la baciò appassionatamente e lei gli corrispose. Poi, allontanandosene, quasi dispiaciuta, soggiunse: "Che ne diresti di fare un bagno, così, su due piedi?".
"Ora? Ma l'acqua è fredda, e poi, abbiamo mangiato da qualche ora, sei matta?".
"Dicevo per scherzo, no, anzi, dico davvero, siamo in maggio ed è quasi la stagione dei bagni, voglio essere la prima".
"E il costume poi, ce l'hai?".
"A che serve il costume, stupido, la notte è nera e non racconta a nessuno quello che vede". E già lei era entrata in macchina. Mario aspettò un po', era sconcertato ed eccitato. Lei lo chiamò da lontano. Era nell'acqua una piccola ombra che sollevava spruzzi correndo.
Egli corse a svestirsi, vergognoso, deciso a non farsi vedere nudo per non guastare di sé l'immagine che leiforse gli aveva spesso indovinato sotto l'abito. Dopo un po' le era giunto vicino. C'era poca luna, e la figura di lei sembrava una statua pagana, che ignoti e pii marinai avessero lasciato sulla spiaggia per propiziarsi Nettuno. Egli ne distingueva i contorni,flessuosi, che si ergevano nell'acqua, come ne fossero parte. Le spiccavano i seni appuntiti e la rotondità di due anche lisce, morbide.
"Prendimi" lei disse, e ricominciò a correre. Egli le s'affannò dietro, come un cane da caccia. Poi lei si fermò. Lui l'afferrò, e fece per spingerla sott'acqua.
"No, stupido, non bagnarmi i capelli" e fece per sfuggirgli. Lui l'afferrò di nuovo, l'abbracciò, e la strinse a sé fortemente. Lei disse: "Ora basta, torniamo".
La seguì a malincuore. Camminavano sulla spiaggia tenendosi per mano, la dea e il naufrago che cercavano la terra, come affioranti insieme da un lungo viaggio. Sulla spiaggia ella si fermò. "Portami qualcosa per farmi asciugare". Egli corse alla macchina. Tornò con la camicia. "Ora dammi una sigaretta".
Se la pose tra le labbra ancora bagnate. "Accendimela". Si sedette sulla spiaggia.
"Vorrei rimanere qui stanotte, peccato che sia impossibile".
Lui le aveva accarezzato la gamba, lisciandogliela lentamente, arrivando fino all'estremità delle cosce. A questo punto, lei si era alzata in piedi. Gli toccò con le dita il petto."Non pensavo che fossi così peloso, vammi a prendere i vestiti, sono asciutta".
Ripartirono. In macchina lui aveva cercato di abbracciarla.
"Non fare il bambino" aveva avvertito lei un po' seccata.
Giunsero a casa di lei che erano quasi le quattro; lei pensava alla scusa che avrebbe dovuto trovare con i suoi per giustificare il ritardo, lui ne aveva approfittato per chiederle: "Me lo dai il bacino della buonanotte?".
"Ora è tardi, telefonami".
Arrivò a casa alle cinque meno un quarto. Era stanco morto e dimenticò di svestirsi.
L'indomani, era al lavoro un po' assonnato. Il direttore lo richiamò: "Ha dormito male stanotte?".
"Ho studiato, signor direttore, sa che sto preparando un esame all'università...".
"Quante volte le devo dire che questo è un altro discorso. Che lei voglia prendersi una laurea, è un discorso. Che lei voglia lavorare per il mio istituto di credito, è un altro paio di maniche; vada per questa volta, ma stia attento se non vuol restare a casa. Non mi faccia prendere provvedimenti irreparabili. Sono padre di famiglia e la voglio trattare come un figlio".
"Grazie, e... mi scusi".
Erano le dodici e trenta. Sosta, pranzo. Alle quindici e trenta si riattaccò, come al solito.
Quella sera aveva appuntamento con la "francese".
Dominique Cartier, vent'anni, studentessa di lingue, impiegata come baby-sitter a via Dandolo 36.
"Cherì, io tres felice di rivederti. Stasera sono molto allegra, tu mio cavaliere prezioso".
Andarono a cenare da "Giulio": antipasto, pizza quattro stagioni, ostriche, bistecche alla fiorentina, Chianti, 11.000 lire in due.
All'uscita, lei lo abbracciò contenta:
"Molto, molto bello, mai visto posto simile a Lillà".
"Che facciamo ora?" domandò Mario.
"Io non so, forse ballare".
Andarono al "Club 89". Le musiche si alternavano lente e scatenate. Era un locale quasi buio, la sala da ballo appena appena rischiarata da una lucetta viola che faceva assumere alle persone dei riflessi spettrali, suggestivi, quasi da statue di pietra visitate da una luce lunare. Mario si affannava a seguirla in indiavolati e ritmati shake, la guardava negli occhi, sorridendole e sussurrandole frasi dolci e galanti. Le sue mani assumevano pose aggraziate, ora sembrava che stesse nuotando, ora che cercasse di mantenersi in equilibrio; il sudore gli copriva il volto e gl'inzuppava l'abito, ed il fiato era grosso, ma lui, inspirando con forza, cercava di non farlo apparire, e di mostrarsi sempre fresco ed in perfetta efficienza. Finalmente, come Dio volle, lei gli chiese di andar via. Uscirono alle due. 4500 lire. L'accompagnò a casa.
"Posso venire un po' su?" chiese con leggera esitazione.
"Perché mai?".
"Per vedere la tua stanza".
"Poco interessante mia stanza. Meglio che tu non vedi".
"Offrimi almeno un drink".
"Non ho niente da bere. E poi, la padrona della pensione non vuol vedere uomini, bonsoir".
"E allora?".
"Passami a prendere alla scuola, cioè all'università, nei giorni dispari",.
A casa, quella sera, la madre era ancora sveglia.
"Così non si può andare avanti, dove sei stato questa volta?".
"Da Adriano".
"Adriano, sempre Adriano, sei un bugiardo".
"Ma, se è vero...".
"Un corno".
"Mamma".
"Ogni sera poi a sprecare la cena che ti ho preparato. Tu ti sei messo su una brutta strada, e poi, non ti vedo mai più studiare. Lo devo dire a tuo padre".
"No mamma, sii buona".
"Va bene, per questa volta, ma stai attento, ed ora coricati subito, domattina devi lavorare, se perdi il posto stai fresco".
La signora Elvira era addetta ai conti correnti. Da qualche anno non andava d'accordo col marito, e si lamentava spesso della sua infelice situazione:
"Era meglio se restavo zitella".
"Non deve dire così" la confortava Mario.
"Beato lei che è libero, lo rimanga il più possibile, la famiglia crea solo dolori".
Una sera gli disse: "Stasera non voglio restare sola, sono tanto nervosa, ho paura di commettere una sciocchezza, che ne direbbe se uscissimo insieme?". Mario aveva sorriso: "Volentieri signora".
"Mi passi a prendere alle nove".
Andarono a ballare alle "Grotte del Piccione". La signora era ora esuberante, viva, calda, in vena di confidenze.
"Mi stringa, non sono mica sua madre".
Mario si era fatto coraggio.
"Ho qualche anno di più, ma non credo di darlo ad intendere troppo".
"Lei, signora, è sempre così giovane!".
Andarono poi al Gianicolo. Passeggiarono, guardando intorno quasi con meraviglia, come se vedessero quel posto per la prima volta. Sotto un albero, lui le aveva dato un bacio.
"Non la credevo capace di tanto".
"Signora, lei...".
"Smettila, io mi chiamo Elvira".
"Come vuoi".
"Non ho mai capito chi fossi, sempre così taciturno, sembra che non abbia problemi di nulla, come se vivessi fuori di questo mondo, sei stato sempre un mistero per me, eppure un tipo interessante, anche se non ho mai capitose hai qualcosa che ti piaccia davvero. Ti vedo sempre venire ed andar via come una macchina, e non so mai a che pensi, che vuoi dalla vita...".
"Io vengo in ufficio solo per lavorare" aveva interrotto lui.
"Tutti andiamo in ufficio per lavorare, ma la nostra vita non finisce lì".
"A me non importa dove finisce la nostra vita; mi guadagno lo stipendio e tiro avanti".
"Detto così, è molto brutto".
"Tutte le cose vere sono brutte".
"Pessimista!".
"Non più di quanto lo siano gli altri, che lo sappiano o no".
Rientrarono in macchina. Lui l'attirò a sé.
"Se ci vedesse tuo marito".
"Chissà dov'è ora quel corbezzolo".
Si abbracciarono.
"No, non qui," disse lei, "potrebbe vederci qualcuno, non hai stile, e poi in macchina tutto è scomodo e animalesco".
Mentre attraversavano il Lungotevere, lei disse: "Lavoriamo insieme da cinque anni, e non avevamo mai pensato che non si starebbe male insieme".
Era l'una. "Domani è sabato" disse lei, "e stasera tu potresti rimanere da me".
"E a casa che dico?" aveva chiesto lui un po' sconcertato.
"Sei maggiorenne, e poi, insomma, una scusa puoi sempre trovarla... ti si è guastata la macchina".
Scesero dalla macchina tenendosi sotto braccio. Lei lo stuzzicava: "Stasera non voglio pensare a niente, dipende tutto da te... al diavolo mio marito, la banca e tutto il resto".
Erano entrambi eccitati ed ogni pretesto era buono per toccarsi. Lui le stringeva forte la mano, lei lo guardava con occhi carichi di gioia e di promessa.
A casa c'era il marito. Elvira incassò il colpo, si fece seria, gli disse: "Ti presento il signor Mario Predelli, uno dei migliori impiegati del Credito Fondiario, reparto buoni fruttiferi".
"Si accomodi" disse il marito. Aggiunse: "Gradisce qualcosa?".
"No, grazie, è tardi e devo andare, ho solo accompagnato la signora a casa"
"Molto gentile", disse il marito.
"Solo dovere", e Mario si congedò.
L'indomani rivide la "francese". Lei era molto triste.
"Cos'hai?".
"Sono nei guai, torno dai miei...".
"Perché mai?".
"Sono in arretrato colla pensione".
"Ti servono soldi?".
"Devo pagare trentamila, se no mi caccia...".
"Va bene, prendile...".
"Molto gentile".
"Cosa da niente".
"Te li restituirò presto, non dubitare".
"Fai pure con comodo".
"Sei impagabile".
"No, pagabile", disse lui ridendo.
"Anche spiritoso!", lei lo baciò sulla guancia: "Mi piaci molto, lo sai?".
Mario era scosso.
"Festeggiamo il nostro incontro con un brindisi".
Andarono a Ponte Galeria, in una rustica ma accogliente trattoria.
"Molto familiare" aveva giudicato lei.
Mangiarono e bevvero, erano un po' brilli.
Risalirono in macchina.
Lei aveva appoggiato il capo sul cristallo del finestrino:
"Sto male" aveva detto.
"Cosa vuoi fare?".
"Portami a casa".
Poi gli aveva chiesto: "Hai messo nulla nel bicchiere?".
"Che dici mai?".
"Voi Italiani le pensate tutte".
"Ma, sei matta?".
"No, ma un po' arrabbiata, sbrigati, voglio tornare a casa".
"Quando ci rivediamo?".
"Non so, si vedrà, ma sbrigati".
Adriano Strada era il miglior amico e consigliere di Mario. Ex compagno di ragioneria, gli era rimasto molto attaccato. In realtà, era più spesso Mario che lo cercava quando aveva bisogno di compagnia, quando era giù di corda e voleva confidarsi con qualcuno che lo capisse. Era un primitivo. Lavorava nell'azienda di prodotti chimici del padre, dieci giorni su trenta. Aveva la spider, un ciuffo che gli schiaffeggiava la fronte con uno stanco movimento d'accompagnamento, dei riccioli ribelli che quasi per caso gli ricadevano sulla parte posteriore del colletto, aveva le camicie sempre pulite e gli stivali col tacchetto alto. Inoltre fumava "Marlboro".
Era difficile che qualche donna gli resistesse. Faceva strage di italiane e di straniere, a seconda dell'ordine di successione di queste, e così come le conquistava, le abbandonava al loro destino quando ne ero stufo, con un cinismo, una risolutezza, una freddezza che il più delle volte avevano finito per sbalordire lo stesso Mario.
E Marioforse lo aveva invidiato spesso; era nel suo genere un vero mago, e non aveva problemi di nulla. Per lui era tutto chiaro e facile. La tattica fondamentale di Adriano era quella di sbalordire le donne con un'esibizione senza sosta di denaro e di posti costosi, che a lungo andare non lasciava indifferenti. Se una donna gli avesse proposto di andare in qualche locale che costasse abbastanza caro, sarebbe stato lui stesso che, quasi disgustato,avrebbe rifiutato o cambiato posto perché quel posto non era abbastanza chic o abbastanza costoso. Nellasua mano era sempre presente una banconota da diecimila, che sarebbe stata sostituita senza indugio da un'altra, non appena spesa o utilizzata.
Un'altra donna di Mario era poi Teresa, amica di famiglia, forse la sola che fosse innamorata sul serio di lui. In cinque anni che uscivano insieme, non gli aveva mai fatto spendere una lira in più del dovuto. Se andavano al cinema, lei si contentava d'una terza visione. E, diversamente dalle altre ragazze, ogni volta che si vedevano, lei non aveva mai fame, perché aveva già mangiato, e non era mai in vena di fare "follie" che Mario avrebbe dovuto fronteggiare con sostanziosi movimenti di portafoglio.
Era una donna esuberante, appassionata di letteratura, di problemi di sociologia, romantica e sentimentale fino all'inverosimile, ed aveva come sua caratteristica debolezza quella di temere i cavalli; ogni volta che ne vedeva uno, diventava pallida, incerta, e si aggrappava al braccio di Mario, temendo di esserne morsa. Era stata sempre così, per uno spavento subito da piccola.
A Mario piaceva la sua compagnia, anche se a volte avrebbe preferito che non parlasse, e lei invece aveva sempre tante cose da dire, da raccontare, con un entusiasmo sempre costante. Ma la sua compagnia era benefica per lui, in quanto il più delle volte gli dava agio di scaricare i nervi e di trovare un sollievo e conforto alle sue preoccupazioni. Tra i due si era stabilito un rapporto saldo e duraturo, che prometteva bene per l'avvenire, e Mario spesso si era chiesto se da quell'unione non sarebbe potuto sortire qualcosa di serio, cosa che forse non gli sarebbe rincresciuta troppo. Comunque, i loro incontri si susseguivano semplici, liberi e senza problemi di nulla, ed entrambi mostravano di essere soddisfatti da questa situazione di fatto, senza preoccuparsi di definirla troppo.


 
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Ins. 09-12-2003