Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Racconto di
Giorgio Marconi
 
Il bambino più vecchio del mondo
 
- In qualsiasi posto nel mondo, Marzo 2095 -
Il mondo non era lucido. Non tutto, non in maniera uniforme. Neanche caldo e privo di rumori. Così lo aveva sempre creduto fin da quel giorno di Giugno del 1943, quando aveva visto la luce. Non c'era sempre vetro tutt'intorno. Questo non lo aveva mai saputo.
152 lunghi anni. La sua vita.
Vita? Forse.
Ora non ne era più così certo. Solo poche ore.
Non si sentiva bene.
Bene? Forse.
Non si sentiva come si era sentito nel corso di tutti gli anni precedenti, ogni singolo giorno di quegli anni. Malattie. Cosa? Malattia era un concetto che non comprendeva. Tanti concetti non comprendeva. Mai era stato malato, sino ad allora. Non c'erano individui col camice bianco li in giro. In che strano mondo era capitato. Quella sera la tutrice Cx119 era caduta.
Lei stava male.
Male? Forse.
Era caduta in avanti spingendo inavvertitamente il carrello contro la capsula asettica in cui viveva da... da... da sempre. Il suo mondo.
Non sapeva di essere vittima di un esperimento scientifico. Segreto ovviamente: chi avrebbe potuto permetterlo? Un esperimento in corso da 152 anni.
Quanto può vivere un uomo preservando il suo organismo da qualsiasi effetto degli agenti esterni? Si può rallentare così l'invecchiamento delle cellule?
Lui ne era la risposta. 152 risposte.
Quella sera, però, il suo tiepido, algido grembo si era rotto.
Paura. Mai tanto terrore allo stato puro! Che fare? Solo. Per la prima volta davvero solo. Era uscito. Camminava. Quante correnti.
Aria? Forse.
Si sentiva impacciato. Caracollava. Aprì una porta.
Altra aria, più forte.
Vento? Forse.
Era uscito all'aperto.
L'edificio rettangolare, grigio era al centro di una radura in aperta campagna. Quante lucine in alto. Doveva essere il cielo.
Cielo? Forse.
Perchè gliene avevano solo parlato? Quanto era bello. Freddo. Però splendido. Non lo sapeva, ma aveva l'aspetto di un bimbo con il capo molto grosso rispetto al corpo. Pochi ciuffi grigiastri sopra un campo di efelidi. Un bambino. Sembrava il bambino più vecchio del mondo. Era alto poco più di un metro e mezzo. Piccolo contro la natura tutta.
Non sapeva dove andare. Camminava così sospeso fra lo stupore per ciò che vedeva e il terrore più cieco.
Indossava i soliti pantaloncini beige con l'elastico in vita, che lo coprivano fin sopra le ginocchia, una camiciola bianca a maniche corte e un paio di ciabatte aperte dietro. Nel Suo mondo non c'erano mai sbalzi di temperatura. Tutto era sempre avvolto da un tepore costante.
Tossiva. Sentiva freddo, tanto freddo.
Gelo? Forse.
 
Non aveva anticorpi. Mai gli erano serviti in 152 anni. Ed ora di certo non potevano fronteggiare un attacco così violento. La testa gli doleva. Tutte sensazioni nuove. Mica tanto piacevoli. Però che meraviglia i cespugli, le foglie, i fiori. Li aveva visti solo sui libri. Era convinto che esistessero lì. Lì soltanto. E quel faro in mezzo al cielo.
Luna? Forse.
Così grande e luminosa. Cosa c'era di più splendido?
 
Era incredibilmente stanco. Aveva camminato per ore. Il buio stava facendo posto al chiarore dell'aurora.
Alba?. Forse.
Rantoli rochi di catarro frammisti a sospiri di ammirazione: il suo primo sorger del sole. L'ultimo.
 
Le gambe avevano ceduto. Era arrivato su un sentiero sterrato. Quando l'asfalto aveva preso il posto di ghiaia e terriccio era caduto la prima volta. Aveva battuto il ginocchio destro. Si era rialzato a stento. Poche decine di metri e, mentre, il sole si era impadronito della volta celeste, era crollato privo di forze. Il ginocchio destro pulsava e una macchia violacea era comparsa. Sentiva mancargli l'aria. Piangeva. Questo lo aveva fatto tante altre volte però.
Di solito durante le solitarie notti nella capsula.
In quei momenti sentiva mancargli qualcosa.
Non avrebbe saputo dire cosa, però piangeva. Ora piangeva di nuovo, stavolta di dolore e angoscia. Voleva tornare nel Suo mondo, dietro quel vetro, da dove tutto sembrava lucido, caldo e silenzioso.
Un cane latrò. Si tappò le orecchie. Pochi minuti e le liberò.
Tonfi, lievi, rimbalzanti.
Passi? Forse.
Non ebbe la forza ne il coraggio di voltarsi.
 
La ragazzina poggiò lo zaino con i libri accanto a lui. Così ripiegato su se stesso sembrava un bimbo che si era perso in preda a una crisi di panico. Almeno così pensava Claudia. Quante volte aveva trovato quei discoli dei fratellini in quelle condizioni. Si accovacciò accanto a lui. Il bimbo più vecchio del mondo lo percepì. Sentì la presenza di un essere umano accanto a lui. Senza un vetro a dividerli. Qualcosa di nuovo, morbido sfiorò la sua mano. Qualcosa teneramente giela strinse.
Dita? Forse.
Non dita gommose di asettici guanti. Qualcosa di setoso, caldo. Si volse. La ragazzina gli sorrise. Non mostrò paura o repulsione nel guardarlo. Repulsione che a volte gli sembrava avvertire nelle persone che si erano occupate di lui. Tossì. Stavolta gli uscì un fiotto di liquido rosso.
Sangue? Forse.
La ragazza gli pulì la bocca con un fazzoletto. Non disse nulla. Lo rovesciò delicatamente e rimase seduta in terra, gambe incrociate, tenendolo in grembo. Respirava affannosamente. Sempre più a fatica. Che sensazione @!ç#°§*@!ç#°§*@!... si sforzò, ma non aveva termini per descrivere il sollievo che stava provando. Piacere. Dolore. Sentiva che stava per finire qualcosa. Non aveva paura, però. Era la fine?
Morte? Forse.
Nessuno gli aveva detto che morire era una cosa così fantastica. Aveva dolore in petto. Bruciava. Era tutto un brulicare di vermi bollenti e acuminati. Tremava di brividi in tutto il corpo che reagiva ai primi microrganismi che lo invadevano dopo "secoli" di sterile isolamento.
La ragazza lo stava carezzando tra i radi capelli, le lentiggini e le rughe del suo buffo testone. Fresca. Calda. Fresca. La febbre gli infuocava le guance, le tempie, gli zigomi. Quella mano setosa carezzandolo lo rinfrescava, infondendogli al tempo stesso un calore a lui sconosciuto.
Che bello morire, pensò. E fu l'ultimo pensiero a sfiorare il suo intelletto.
Spirò. Sorridente. Era felice. La morte era davvero una cosa meravigliosa. Quelle carezze anche. Erano la cosa più preziosa che potesse concepire. Forse non aveva compreso l'immensità di quanto gli era stato negato.
Però quel calore buono l'aveva capito.
Amore? Forse si.
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Inserito il 2 maggio 2000