LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

Poesie di 
Fausto Gianni
 
SOSTE DI VAGABONDO
 
Forse ella sola è vera
 
Quando sarò stanco, senza fine stanco, andrò dall'altra, da colei che, forse, tu non credi esista, e sola, forse, veramente esiste. (Io la feci di bellezza regale:con le mie mani la feci d'infinita bellezza. Pensai le sue forme volgendomi alle fattezze delle dee dell'Olimpo, che popolavano i miei giovani sogni, alle donne incon-trate per sereni giardini, nei poemi e gli affreschi dove trovai la quiete; per le sue chiome presi l'oro del sole morente tra i filari dei pioppi lungo un immenso fiu-me; per gli occhi guardai smeraldi e zaffiri, la profon-dità della notte dei laghi del mare; la sua bocca mi do-nò l'estate quando a giugno si svena sulle biade; per il suo corpo trepido, per la sua viva carne ricercai i più splendidi fiori, rose bianche, pallide rose, i calici delle magnolie tra il cupo verde delle foglie lustre, e la rugiada dei mattini di maggio e il tepore dei merig-gi d'aprile. Poi vestii di bontà la sua bellezza). Le dirò le parole che non dissi, piangerò le lagrime che non piansi. La notte riposerò sopra il suo cuore.
 
 
Il seminatore saggio
 
Io sono saggio come il seminatore, che va spar-gendo la semente per la maggese.
Tutto intorno il campo è bruno, a perdita d'oc-chio nel mattino autunnale, fin dove la pendice del pog-gio si vela appena di nebbia.
Il seminatore cammina a passo eguale, tra solco e solco lungo il mezzo della zona arata, ed egualmente partisce intorno a sé la semente. Non rivela il suo ge-sto alcun impeto d'ira, e la polvere di gesso, che ogni volta vola brevemente via dalla sua mano, è lieve, con-tro la luce, come il respiro che fuma dalle froge dei buoi.
Io sono infinitamente saggio e gitto al vento con cura, come fosse seme di grano schietto, la polvere dei miei pensieri (domani, alla nova stagione, germineran-no dalla terra pazze vegetazioni di sterpi).
 
 
 
Parte Quarta
PAGINE DI VANA E NON VANA POESIA
 
CUI NISI TIBI?
 
Non io oggi, non io. Tornerò forse a leggere in-sieme con te un altro giorno, ma oggi parla tu nel mio silenzio, dì tu le mie parole. Io ti darò soltanto la materia della lettura. E' poesia che mi nacque nell'anima in giorni lontani. Posi mano con ebbrezza a darle l'e-spressione sua propria, ma poi non provvidi a pubbli-carla (non domandarmi il perché: le vicende della nostra vita possono avere per gli altri interessi mol-teplici, non però un interesse estetico se non quando l'arte le investa del suo soffio e le elevi dalla loro po-vera realtà di fatti individuali alla verità di fatti uma-ni universali; il che nessuno può fare a suo piacimen-to). Da allora ne porto chiuso dentro di me il peso come d'un segreto dolore. Ma prima di morire, ma prima di impazzire, ch'io senta questa poesia esistere fuori di me d'una esistenza piena. Dalle tu la sua esi-stenza piena. Tu puoi farlo. Le parole che t'offro stanno allineate sui fogli come crisalidi che non abbiano la forza di aprirsi spontaneamente; e attendono che qualcuno tragga dal loro freddo involucro la vi-ta che v'è dentro. Tu puoi farlo. Non conosco stru-mento musicale che eguagli voce di donna, quando gli istinti e gl'impeti del mondo dell'inconscio si fanno suono e parola.
 
 
 
 
LA CACCIA
 
IL RITORNO
Ritto nell'alba romana
dinanzi al mare sonante,
respirando folate di brezza
effluvi d'alghe e di sale,
io stetti pensando al ritorno.
L'aspra carezza
del vento dal mare odorante
di tutti gli odori del maggio
torcevami il cuore selvaggio
e negli occhi m'accendeva
l'orgoglio dei giovani sogni.
Ansava forte il vapore
portando i compagni dormenti
per vie di ferro
verso la città della gloria.
In me non è memoria
di ciò che provassi in quell'ora.
Chi fu dei compagni
che a un tratto mi disse: " Che pensi? "
ai fianchi m'era, era grande
e mi scrutava le tempie.
Che cosa sentivo, a qual voce
nell'alba romana ero prono
quando mi disse: " Che pensi? ".
 
 
LA VOCE DEI RICORDI
 
Veniva di lontano,
d'assai lontano, indistinto
e piano un rumorio
come di fresco torrente
che narri ai ciottoli e al ghiareto
gli amori del cielo e del monte,
come di vento mansueto
che parli dell'alba alle fronde.
Poi più frequente,
più da presso,
ma ancor sommesso,
come scalpito lontano
di cavalli al piccolo trotto.
Poi crebbe come il fiotto
cupo del mar selvaggio,
come grandine di maggio,
come croscio dirotto
sui campi verdi di grano.
Poi fu ala d'uragano,
fu brivido nella mia carne.
 
 
LODE DELLA VITA AGRESTE
 
Pienezza della vita
vegetale, ch' esulta
nella natura infinita di tutte le forme
erboree che il tempo traveste:
nei solchi dov'opera e dorme
l'umido seme, nei prati
novi, nella ferita
stillante dei tralci potati,
nei fiori, nell'occulta
potenza delle foreste.
Pervasi di spirto agreste
sono i sensi: la vita
umana è una selva fiorita
che il fresco vento inonda.
Crucci non ha nelle vene
di giorni venturi o morti,
ma immersa avidamente
nell'ora viva e presente
beve l'aure serene
come una selva pro/onda.
Al corso mortale ella tiene
ferme le iridi, ignare
di tristi e pallide sorti,
cerule come onde chiare
di fiume tra rive stupende,
che ai verdi paschi discende
ed all'oblio del mare.
 
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agg. 7 dicembre 2000