Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
racconto di
Enzo Bazzoli
LA LEGGENDA DEL SANTO MANDRIANO
 
Qualcosa da adorare a cui unirmi e perdermi dentro.
Qualcuno in cui tutte le cose diventano nuove.
 
Ario abitava in un villaggio di duecento anime. La sua settimana lavorativa finiva la domenica mattina per ricominciare il pomeriggio dello stesso giorno. Alle cinque del mattino, puntuale, accudiva le mucche e portava il latte appena munto in latteria. Verso sera si sedeva sulla pietra accanto al fienile, con le spalle al sole che se ne andava. Guardava la sua ombra che si allungava, come se volesse scappare dall'oggetto da cui proveniva.
 
Ario accese la sua sigaretta di "fine lavoro". Un rito per una necessità acquisita.
Il rivolo azzurro del fumo saliva lento davanti agli occhi, come laceri resti di un genio di una vecchia lampada magica. Sopra un fiore appassito, una farfalla dalle ali sbrindellate, scrutava l'ambiente con occhi sospettosi da alieno. Davanti al fienile, formiche nere sfilavano in processione, scontrandosi e azzuffandosi con altre formiche che provenivano nella direzione opposta.
Qualche goccia di pioggia tamburellò sulle foglie del noce. Le gocce che si spaccavano sulle foglie, lo infastidivano come il ciangottare di vecchie sdentate durante la funzione in chiesa.
Stava calando il velo della paura. Lo sentiva: una sensazione buia, come se un sudario sporco di morte stesse stringendo il suo corpo vivo. S'incamminò verso la stalla spiaccicando distratto un settore della processione delle formiche. Quelle prossime alla zona dell'incidente si fermarono sfregandosi la testa tra le zampine, quasi ad accelerare una decisione di tremenda importanza . Poi le formiche spiaccicate furono azzannate dalle formiche vive e trascinate via a ritroso per essere immagazzinate e divorate.
Sentiva freddo. Sudore freddo.
Le mucche nella stalla ruminavano e ruttavano indecenti, esibendo compatti denti gialli, come incongrue protesi ricavate dalla tastiera di un pianoforte . Isolato all'interno di una robusta gabbia, un gigantesco coniglio maschio si agitava pervaso da lubrici appetiti davanti a femmine inespressive. Un'enorme gallina , appollaiata su una griglia di bastoni-dormitorio, lo fissava con occhi spietati, mentre con cinica indifferenza defecava sulla testa della compagna sotto di lei che reagiva risentita non più di tanto, chiocciando però con interminabili mugugni di riprovazione.
 
Stava male da morire. Per la prima volta nella sua vita, sentiva che la consapevolezza del mondo esterno stava per dissociarsi dal suo organismo fisico. Nuvole roteanti si materializzavano avvolgendosi in seriche volute di sgargianti colori. Avrebbe voluto estraniarsi. Fuggire, ma di chi?.. da che cosa? Suoni e voci si ammonticchiavano in un orrendo caos sonoro. Il suo essere più profondo si popolò di mostri quando la Volontà gli lasciò dolcemente la mano e lui incominciò a precipitare verso i confini della vita . Strinse forte il capo della corda.
Le nocche delle mani sbianchirono. Da una ferita non ancora chiusa un rivolo di sangue incominciò a scivolare lungo i contorni di una vena. Posò la testa contro la mano. Avvertì il contatto vischioso del sangue sulla fronte e il suo odore acre gli diede un conato di vomito.
 
Quando entrò in casa, Greta stava lavando Chiara in un mastello d'acqua tiepida. I capelli biondi le cadevano sugli occhi. Francesco, seduto al tavolo, maneggiava giocattoli senza alcuna logica. Ario diede un bacio a Greta, ma lei continuò a risciacquare la figlia senza mostrargli la faccia. Sollevò i capelli di Chiara, e i suoi piccoli occhi azzurri si illuminarono. Si avvicinò a Francesco. Francesco alzò la testa e sorrise. Chiara e Francesco, i suoi due figli con la sindrome di Down.
Non s'accorse di come Greta lo stesse seguendo con occhi preoccupati. Occhi che amavano.
 
Verso la fine di maggio, Ario salì all'alpeggio. Da solo.
Era sempre stato un tipo vivace, creativo, dotato di acuto umorismo. Uno spirito schietto, senza maschere. Finiti gli studi, Ario aveva continuato ad occuparsi di argomenti che sempre lo avevano interessato. Ripartiva il tempo con mucche e libri: necessità e passione.
Era convinto che i meriti del lavoro umano, purificati dall'intenzione, si aggregassero - in qualche modo - al Progresso Reale del mondo. Credeva nella potenziale sacralità della materia quando la mano dell'uomo vi si appigliava per crescere nella sua umanità. Ed era la sua fede a dirglielo, di là di come gliela avevano insegnata. La magia di formule standardizzate non lo attiravano. Nella fede Ario cercava un atto di Adorazione, aborriva il tradizionalismo religioso.
Ora non era più così.
Ad un scetticismo iniziale era subentrato un profondo stato depressivo, come se uno spirito demoniaco gli avesse tagliato la testa, e dentro il corpo gli avesse vomitato tutte le sue immondezze.
 
Seduto nell'erba, osservava l'orizzonte. Un torello impubere disturbava vecchie mucche da latte con comiche esibizioni sessuali. Alla fine fu allontanato con leggere ma risolute cornate.
Uno scarafaggio blu metallico scalava lento e deciso, uno grosso stelo d'erba senza una ragione evidente. Lo stelo cedette. Lo scarafaggio ondeggiò qualche secondo, poi cadde, e restò a zampettare con la pancia in aria, come se il tutto facesse parte di un preciso esercizio di ginnastica. Un grosso bombo a righe rosse e bianche atterrava maldestro su un fiore investendo un ape che fuggì terrorizzata. Due maiali grufolavano in una pozzanghera di urina traendo concertati grugniti di piacere. Davanti alla casina della malga, un tacchino spennacchiato con turgide verruche che gli scendevano fin sul becco, glugluava eccitato facendo la ruota con le uniche due penne rimastegli infisse nella coda davanti a paciose galline. Un pettoruto gallo diede fine all'esibizione rincorrendolo minacciosamente.
Ario sorrise della stramba incongruenza del mondo.
Sfregò un fiammifero sui pantaloni e accese una sigaretta. Quando alzò la testa qualcuno stava avanzando sul sentiero. Era un giovane escursionista che stava salendo alla Cima del Falco.
" Ciao, Ario!" disse il ragazzo a corto di fiato.
"Ciao" rispose Ario ." Ma.. com'è che conosci il mio nome?"
" Mi hanno detto che per arrivare lassù, dovevo prendere il sentiero per l'alpeggio.. e che ci avrei trovato Ario, così... così, tu devi essere Ario no?." Sorrisero assieme.
"Dai! vieni dentro che ci facciamo un caffè."
" Oh, scusa Ario, non ho proprio voglia di rintanarmi al chiuso e.."
" Ok, come vuoi!". Ario non insistette. Si sedettero e incominciarono a parlare.
Parlarono a lungo. Era da tanto che non gli capitava di parlare. Neanche con gli amici.
Ario gli raccontò di quanto bella fosse la sua Greta; di quando s'incontrarono per la prima volta; del loro amore; del loro lavoro; delle cose di cui parlavano la sera dopo la cena; dei loro accordi e disaccordi ; della gioia di aiutarsi nei reciproci compiti; della sensazione di euforia che provò quando sua moglie gli disse di essere incinta. Lui l'aveva sollevata come una bambola gonfiabile e tenuta stretta a lungo. Parlò del loro dolore quando seppero del loro piccolo, e bestemmiò quando gli disse che anche il secondo figlio era nato con il morbo di Down.
Il giovane, seduto sull'erba, ascoltava. Tra le dita rigirava un fiore.
"Ti sto annoiando!.. dai vah...vieni che andiamo a metter su un caffè e.. hei, non mi hai ancora detto come ti chiami.."
" Emanuele. Emanuele mi chiamo... oh, Ario, guarda che io non mi stò proprio annoiando, sai... per niente. Mi dispiace, amico, mi dispiace per i tuoi bambini" . "Tu piuttosto Ario, mi sembri un po' giù .! "
"Emanuele.... tu non hai né moglie né figli.. figli come i miei. Forse non ti mancano neanche i soldi e..." Il giovane lo interruppe.
"Ascolta Ario, mi piace parlare con te e.. se mi hai detto quello che mi hai detto, è perché ti è andato di dirmelo, ok?"
" Mmmm... certo!" grugnì Ario, battendo ritmicamente sull'erba un bastoncino di nocciolo.
" Io credo, amico mio, che forse tu hai perso il senso.. il contenuto delle ragioni per cui amavi il tuo lavoro , la tua vita...insomma, il mondo ."
Vi fu un momento di silenzio. Dentro di lui stava rientrando qualcosa che pensava di aver perso per sempre.
" Hai ragione!" continuò Ario più sciolto e confidenziale " Anche Greta mi dice che mi stò ripiegando su me stesso. Come un riccio, dice lei... si, dice che mi tengo dentro le mie paure e le mie domande.
" E ha ragione!" rispose Emanuele.
Il ragazzo ascoltava e lo osservava. Guardava le sue mani e le braccia forti. Il suo viso onesto e le rughe che lo mascheravano da vecchio. Il suo sorriso diafano che non nascondeva la tristezza.
Emanuele gli si pose davanti fissandolo intensamente:" Non cedere, Ario " gli disse " No amico! Aiuta a far vincere chi ti vuole vincitore!". Ario sbigottito, non capiva.
Sentiva che tutto stava rimuovendosi dentro di lui.
" Ti ricordi, Ario, quando sapesti dei tuoi figli? Cosa credi, Ario! Sono quelli come te gli uomini cui e dato di capire il senso della vita...quelli che hanno provato la sferza della prova, e che hanno perseverato nel loro lavoro. Malgrado tutto! Come te."
 
Una fresca brezza annunciava il tramonto. La luce pomeridiana aggiungeva calore alla parole del giovane. Ario lo ascoltava.
" Tu dici, Ario, che il tuo lavoro è inutile? No, io non ci credo. Anzi! Credo che nulla di quanto di buono viene fatto andrà perduto. E tu lo sai, Ario!"
Occhi stupiti fissavano il giovane.
" La Creazione non finisce mai. Il mondo continua ad essere creato, e il tuo lavoro e l'intenzione che in esso poni diventano atti vivi in una creazione sempre in atto."
Avrebbe voluto ascoltarlo sempre. Quel giovane confermava i suoi ideali, la sua stessa fede.
Cose di tanto tempo prima.
" E Chiara? e Francesco? Guardali, nei loro occhi vedrai la forza dell'Innocenza. . L'Innocenza non è inutile". Ario era ammutolito.
" Io.. io.. non capisco ..ma chi sei tu per dire a me queste cose? Io non sono un santo...!"
Il giovane sorrise. " Nulla è profano, amico, per chi sa vedere il senso della Mondo... come il sorriso di Francesco.. gli occhi di Chiara...l'amore di Greta. Il tuo lavoro, Ario."
 
Il cielo incominciava a tingersi di rosso. Un rosso vivo, saturo di luce.
Erano solo due puntini sulla linea dell'orizzonte. Poi i puntini diventarono due bambini che correvano forte. Correvano ancora quando lo chiamarono: " Papà, papà". Ario si era inginocchiato sull'erba con le braccia aperte. Da una parte raccolse Chiara, dall'altra Francesco. I suoi figli.
Le sue lacrime si perdevano tra i loro capelli biondi pieni di luce.
Ario alzò il capo. Con la voce rotta dall'emozione, chiese:" Chi sei tu che mi salvi?".
Ario vide l'immenso disco di luce davanti a lui e dentro la luce la figura del giovane.
Le sue mani si posarono sul capo di Chiara e di Francesco. Risanati.
La luce era abbagliante, calda e avvolgente come il corpo di un'amante.
Poi disse: "Credi, Ario. Credi, quando più forte vedrai il male crescere intorno a te. E quando il tuo atto di fede avrà rinnovato il tuo cuore, ti meraviglierai di vedere tutto il Male del mondo acquietarsi, sciogliersi, e infine sorriderti.. siine certo, amico! E in ciò che prima ti appariva male e dolore irriducibili, riconoscerai le mani dell'Amore pronte a sollevarti e proteggerti.
Ciao, Ario. Amico mio.".
Il mandriano alzò il capo per chiedere qualcosa, ma vide solo luce. Luce immensa
In fondo alla valle, fin sopra la Cima del Falco, una voce rimbalzava in mille echi profondi: " Io faccio nuove tutte le cose. Vi lascio la mia pace.
 
Il mozzicone di sigaretta gli stava scottando le dita. Lo buttò lontano.
Non erano trascorsi più di dieci minuti da quando lui e il mondo avevano cominciato a trasformarsi. Ma cosa importava del tempo? Poteva forse esserci una durata fuori di esso?
Fu allora che il Mondo parve muoversi e sollevarsi, centrarsi e convergere, come se ogni cosa seguisse l'intensità della sua orazione. Egli si pose in armonia col Mondo e capì che come all'altitudine della montagna si opponeva la profondità della valle e, come l'una era oggetto dell'esistenza dell'altra, così gioia e dolore erano spicchi dello stesso frutto.
 
Il sole non era rosso. Chiara e Francesco non erano con lui.
Inginocchiato sull'erba, Ario presentò la sua resa sulle ali di una preghiera amata. Non quella della convenienza: non aveva senso per chi come lui era entrato nel Gran Cuore Pulsante del Mondo.
 
Nulla era cambiato. Tutto era diverso.
Sentiva di amare nuovamente sé stesso. La Vita. I suoi figli "infelici". La su Greta. Ne era certo, lo era sempre stato: al Mondo tutto aveva un senso.
Era, per Ario, l'ebbrezza dell'Adorazione: una forza straordinaria che faceva nuove tutte le cose.
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15-05-2002