LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Elisabetta Marinello
 
RACCONTO TRATTO DAL ROMANZO "...SERENA/LUNA..."
C'è un infinito colorato di azzurro dietro i vetri, infinitamente enigmatico, ma nello stesso tempo infinitamente penetrabile. Con un abbraccio passionale si impossessa della mia intimità recandomi sensazioni forti e profonde, così che il buio che mi circonda non sia che un'illusione. Tutto è armonico e la simbiosi tra l'immensità del cielo e questo mio modesto animo mi fa sentire veramente viva, tanto che le palpitazioni salgono ad un livello in cui ogni cosa diventa frenetica, stranamente vivace. Poi mi guardo attorno e scopro che non c'è colore né frenesia ma staticità. Tutto è come in un'era primordiale...
 
La malinconia riveste col suo pesante velo il mio esile corpo e, sola, tento di capire se c'è vita oppure no in questa triste stanza.
 
Sola. Sempre sola, nonostante te e il tuo amore, respiro del mio respiro. Hai cambiato la mia vita ed io non potrei non pensare a te se non come all'eterno sole in un inferno di buio interminabile. E' bastato solo un giorno, un maledetto giorno, per cancellare sogni, speranze, progetti. Da quel momento la mia vita non è stata che un ripetersi continuo di attimi regolari e superflui, che ravvivano in me ansia e angoscia e soprattutto un profondo senso di vuoto. Sempre vuoto. Eppure t'amo. Quante poesie ho scritto per te, quante lacrime ho versato per il tuo prezioso e insostituibile amore!
Ero così spensierata allora!
Quante persone per la strada, sembrano degli errabondi del deserto che cercano disperatamente un'oasi ma nel frattempo inseguono miraggi! Le strade sono solo in apparenza precise, nette, in realtà sconfinano in dimensioni impercettibili a cui l'uomo non si sottrae: vaga e cerca. Quei ragazzi laggiù sono spensierati, camminano, si scambiano parole scherzose, si burlano l'uno dell'altro, ma lo fanno solo perché due belle fanciulle stanno volteggiando davanti ai loro fulminei occhi. Vagano e si cercano. In fondo non fanno che seguire un gioco antico quanto l'uomo: le giovani donne sanno di essere ammirate e i ragazzi sanno di piacere, ma ognuno gioca il suo ruolo e resta in attesa che il destino vada loro incontro. Il maschio aspetta un po', fa il burlone e poi compie il primo passo e lei finge di essere sorpresa, non si concede immediatamente, ma solo dopo qualche minuto lo afferra con i suoi artigli, prende le redini ed è lei il sovrano assoluto del regno. Ma guarda! Non avevo assolutamente pensato a questa evenienza. Un uomo robusto, sui seesanta, calvo e dallo sguardo feroce, con passo energico e imponente raggiunge le ragazze, grida, crea disegni astratti nell'aria con quelle due braccia simili ai possenti arti dell'orso. Una delle due ragazze, la più piccolina di statura, si ritrae nel guscio della vergogna tanto da diventare un sole nel mezzo della città e con grande turbamento si avvia velocemente verso una stradina deserta, sperando che nessuno la scorga, seguita dall'omaccione furibondo.
Mio Dio, come mi dispiace! Mi sarebbe piaciuto assistere ad un ingenuo approccio simile ad una danza d'amore tra animali. Sì, sembra proprio che i ragazzi vogliano mostrare le loro stupende e coloratissime piume alla donna che li ha affascinati. Ma ogni volta che le cose stanno andando nel giusto verso, quando c'è serenità e armonia, la vita ha in serbo un brutto colpo.
Ci amavamo così tanto, mi sentivo così preziosa, per te ero indispensabile come l'aria, ero il sole che ti illuminava la strada!
Ricordo ancora la dolcezza con cui ci possedemmo la prima volta e ricordo anche che non provai alcun dolore perché tu non potevi procurarmene. Eri sempre al mio fianco a darmi sicurezza e tanta, tanta voglia di vivere, ma una sera camminavo sola per la strada, ero lieta e con il cuore in gola sapendo che ti avrei visto e amato ancora. Ma quella volta non venni, non potevo farlo: giacevo quasi dissanguata su una strada gelida e vestita di pianto, denudata dei miei miseri abiti e della mia dignità.
Adesso sono seduta su una poltrona, fisicamente, ma con il pensiero sono ancora distesa su quel funereo cemento su cui sono morta ed è lì che è conficcata la mia tomba... Il campanello della porta d'improvviso spezza il compatto filo di pensieri che percorreva la mia mente stanca. Come quando la temperatura scende di colpo sotto lo zero e tutto gela, così nel mio corpo ogni frammento vitale si cristallizza, anche il respiro resta sospeso in un'interminabile apnea. Le mie orecchie non percepiscono altro che una voce interna, quella estenuante del cuore. Batte disperatamente e la stanza rimbomba del suo baritonale suono, mi sembra che il mondo intero possa sentirlo, vergognandomene quasi. Vorrei chiedere chi sta aspettando dietro la porta, ma non posso. Come potrei? Il respiro mi ha abbandonata, la mente è frastornata dall'assillante tamburo vivente e poi la mia bocca non ha emesso più un solo misero suono da troppo tempo, ormai. C'è lo spioncino sulla porta, ma anche se volessi non potrei alzarmi, sono legata per sempre a questa poltrona e, in fondo, mi dà sicurezza, è l'unico appiglio che mi sia rimasto e che mai mi tradirà. Credo che non mi alzerei comunque... E se dietro quella porta vi fosse un bruto pronto ad aggredirmi? Che sciocca che sono! Non potrebbe farmi altro male, nemmeno la morte potrebbe lacerarmi di più, anzi, forse finalmente troverei la pace...
Ho talmente naufragato nei mesti ricordi che non mi sono accorta che il cielo si è imbrunito, ma ancora una volta è in armonia con il mio stato d'animo. Anche allora era così scuro, ma non posso odiarlo, non posso disprezzarlo, mi dà così tanto conforto sapere che sopra di me c'è ancora una presenza infinita, un tappeto prezioso che emana vitalità ed una stella che mi illumina l'anima e mi dà forza per andare avanti, per non mollare mai di sperare e di credere in me stessa. Come allora, forse anche di più. Ricordo che camminavo con passo energico, non vedevo ostacoli o contrattempi fra quel presente e il momento in cui mi sarei nutrita avidamente del tuo tenero amore e invece le mie orecchie cominciarono ad udire dei passi traditori e improvvisamente mi accorsi che era buio e che non dovevo poi essere così tranquilla. Tremavo. Urlai quando da dietro mi sentii afferrare energicamente, una voce maniaca pronunciò qualcosa come "Dai, adesso che non c'è nessuno!" e, prima che me ne rendessi conto, mi trovai distesa a terra, indifesa come un neonato, gridai, mi dimenai ma ogni tentativo risultò vano. Non saprei descrivere quegli ignobili perversi, ho soltanto tante sensazioni atroci che mi divorano le viscere al solo pensiero. Credo che fossero in tre o quattro, o dieci non so, perché la terza volta che fui violentata persi i sensi, li riacquistai solo dopo qualche ora. Ero ancora incollata al cemento, mi sentivo vuota, pensavo che tutto il sangue fosse sgorgato dalle intime parti, ero terrorizzata, ma non mi batteva forte il cuore, non lo sentivo nemmeno. Non avevo la forza di parlare e tanto meno di alzarmi. Non stavo aspettando che qualcuno mi soccorresse, sentivo semplicemente di essere morta, e non mi importava. Non so bene chi venne in mio aiuto, fui condotta in ospedale e non raccontai niente, non perché non volessi ma perché non riuscivo ad emettere un solo suono. Tuttora non posso. Qualche giorno dopo mi feci accompagnare in quella lurida strada, in quel preciso lurido tratto dove fui stuprata e mi accorsi che qualcuno aveva gettato dell'acqua sopra al tappeto di sangue; associai questa immagine a quella del porco scannato e mi sembrò ancora più indicata quando ripensai che quella sera non ebbi la forza di rialzarmi perché a quei macellai non era bastato possedermi diabolicamente, avevano sentito il bisogno di trucidarmi le gambe. Credo che il dolore ricevuto dalla violenza dovesse essere talmente grande da non farmi accorgere subito di avere le gambe spezzate.
E lo è stato.
D'un tratto sento inserire la chiave nella serratura, la porta si apre e scorgo il tuo stupendo volto, quanto devi amarmi per soffrire così tanto in silenzio! Non una parola da quell'incantevole bocca, ma un bacio intenso e tremendamente coinvolgente. Mentre il tuo viso si allontana dal mio, quasi fossi tu a trascinare con la forza dell'amore le parole, dalla mia bocca sgorga un sussurrato "Ti amo!". Non riconosco la mia stessa voce e provo una grande emozione nel vedere che dai tuoi occhi, colore di bosco, precipitano due ruscelli provenienti dall'intimo rogo del dolore. Mi abbracci selvaggiamente tanto che il respiro per un lungo istante mi abbandona e scopro davanti ai miei occhi una stella immensa che brilla nel cielo: forse ha compiuto il suo miracolo!
 
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Ins 02-07-2002