Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Racconto di
Claudio Malatini
L'AURORA


Sua figlia era come le farfalle che rincorreva da ragazzo, lungo il fiume. Evanescente e bella come loro.
Era cresciuta in periferia, circondata dai pioppeti che in primavera spandevano batuffoli per strade e cortili. D'estate, la colla dei loro pidocchi insudiciava i tavoli delle osterie all'aperto.
Gli ricordava la "vanessa occhio di pavone" dai grandi occhi colorati di bianco e di blu sugli angoli delle ali, volteggiante leggera sulle siepi folte delle strade non asfaltate che si snodavano, strette e polverose, come le innocue bisce d'acqua, lungo il fiume, di là dall'argine maestro.
A voglia ricorrerle. Quando si riusciva ad afferrarle, lasciavano "la polverina" delle ali sui polpastrelli e non volavano più. Morivano d'inedia.
Così era l'Aurora, sua figlia. Si poteva solo ammirarne l'esile bellezza ma non afferrarla o tentare di trattenerla.
Se n'era andata da cinque anni e finalmente quasi non chiedevano più di lei. Non tanto i vicini o gli abitanti del quartiere quanto quelli del centro e delle villette della strada privata.
Non era una farfalla di fiume, volava lieve tra i gerani e gli oleandri dei palazzi più belli, nei cortili del centro che, dopo il letargo tra le nebbie, riuscivano ancora a catturare la luce e il sole.
In verità non aveva neppure tentato di trattenerla, se non formalmente e di rito, più per il vicinato.
Del resto sua moglie se n'era andata, nel senso che era passata a miglior vita, ed era l'unica che poteva arginare quella forza incontrollata della natura, non certamente lui.
Maestro in pensione da tempo, la sua vita scorreva su binari, non albe né tramonti, non cieli ma nebbia, quella opaca, da cataratta, prodromo della cecità. Acqua che scorre lenta, attratta dal delta, senza l'impeto dell'estuario.
Sin da giovane la sua regola era l'atarassia. Una ferrea disciplina di cui non ricordava più il sacrificio dell'adattamento iniziale. Un'abitudine acquisita in tanti anni d'esercizio, come la strumentazione della navigazione che evita le secche e gli scogli, come la direttrice del volo, al riparo dalle vette e dalle perturbazioni.
Distacco, dunque, da ogni sentimento, da qualsiasi coinvolgimento. Sensibilità considerata fonte di dolore come il desiderio, accuratamente represso.
La figlia si era sposata cinque anni prima a Monaco, dove aveva aperto una gelateria.
Lei non aveva insistito e lui si era guardato bene dal partecipare al matrimonio.
Gli mancava la musica, questo si, quando le ombre della pianura inghiottivano l'edera sulla muraglia del piccolo cortile cementato, separato dalla strada da un lungo corridoio da galera, dove poteva capitargli la disgrazia d'incrociare e dover salutare un altro essere umano.
Stava al primo piano, in fondo ad una loggia che comunicava con Maria, l'inquilina di fronte.
Sotto, vi era un piccolo magazzino di ferramenta.
L'inferno era l'incubo di Maria ma anche il luogo dove predestinava quasi tutti gli altri viventi.
Vocazione da Perpetua, assicurava al maestro le pulizie e la colazione; in cambio, lui le pagava le spese condominiali.
Non era certamente religioso ma per Maria era un'autorità e, come tale, non gli chiedeva conto della fede collocandolo in una specie di limbo.
Probabilmente Maria, sotto le gonne alla caviglia, tanto larghe che avrebbe potuto nascondervi anche un figlio del peccato, portava le mutande lunghe ma nessuno le aveva mai viste.
Quando si spogliava per il bagno si barricava in casa con le persiane serrate. Se fosse stato un uomo l'avrebbe sicuramente fatta ad occhi chiusi, per non vederlo.
Di mani calde aveva sentito solo quelle della madre, prima che Dio la strappasse dalla finestra dove, seduta per ore, scrutava quel cielo grigio; labile parvenza d'affetto in quell'appartamento buio, in penombra perenne.
Al piano di sopra, l'ultimo, abitava Lino (Angelo) con la figlia down, la dolce Luigina.
Luigina era l'unica che sognava e, appena poteva, correva in terrazza a raccogliere la pioggia sulle guance giovani e sui capelli d'oro che nemmeno l'acqua riusciva a scurire.
Il padre, ferroviere, da quando la moglie l'aveva abbandonato, di sogni non n'aveva più. Misogeno, c'era da chiedersi come gli fosse capitato di sposarsi e convivere con una donna che, tutto sommato, gli aveva dato una figlia.
Luigina, durante i turni del padre, era affidata a Maria che l'affliggeva con i suoi rosari, non al maestro che non voleva coinvolgimenti e seccature. Come quella volta che Luigina gli aveva preso la mano per fargli sentire i palpiti del cuore e lui l'aveva ritratta inorridito.
"Più in alto, sempre più in alto", cantava la fanciulla mentre volteggiava sulla terrazza e lui chiudeva le finestre per non udirla.
L'atarassia, la lotta ai sentimenti e ai desideri, richiedeva di rifugiarsi nelle abitudini quotidiane, antidoto efficace, per quanto noioso, contro le emozioni.
L'incarico di vice presidente del circolo dei pensionati di Via Carducci lo impegnava quasi tutti i pomeriggi.
Presidente era il suo ex preside che lo correggeva sempre quando così lo qualificava in pubblico, infatti aveva concluso la carriera come preside di scuola media, non delle elementari.
Uomo piccolo e astioso, tutt'uno con il vestito incolore e le due penne stilografiche odiosamente in mostra nel taschino della giacca, con il colletto della camicia consumato, senza stecche, portava, anche d'inverno e con la pioggia, gli occhiali scuri che nascondevano gli occhi piccoli facendo risaltare le labbra violacee, troppo carnose.
Gli aveva affidato l'incarico di bibliotecario del circolo con trascrizioni su un grosso registro dei titoli e degli autori dei libri, per lo più ricevuti in omaggio.
Achille, suo collega per decenni nella stessa scuola, era uno spirito libero, dal volto aperto e franco, l'opposto dei due. Quando leggeva, gli anziani non dormivano e partecipavano alle emozioni che, con la complicità d'autori opportunamente scelti, sapeva trasmettere.
Con lui, invece, tornavano vecchi e assenti.
Ad Achille nessun incarico, solo ostilità da parte dei due che non perdevano occasione per mettersi di traverso, senza tuttavia scalfirlo minimamente, come mosche che stuzzicano un toro.
Le giornate si avvicendavano tutte uguali e pigre anche se ormai l'inverno era alle spalle e stava arrivando, prepotente, la primavera.
Non per lui. Rifuggiva deliberatamente dai cortili che iniziavano a riempirsi di fanciulli, dai germogli dei fiori che si schiudevano agli occhi delle giovinette dalle vesti colorate, dal fiume che scorreva rapido tra le sponde ripopolate d'insetti e dalle boschine che si rivestivano di verde bandiera, intenso e vivo, sotto un cielo rianimato dal volo delle rondini.

Il 21 marzo si alzò presto e si ricordò che era il primo giorno di primavera, forse questo, pensò poi, fu il primo errore.
Gli parve che avessero bussato e così aprì la porta.
Si ritrovò l'Aurora al collo, tanto avvinghiata che fece fatica a reggerla. La scostò sbalordito e, prima che si riprendesse, sua figlia lo informò con tre parole che aveva lasciato il marito e di tedeschi non voleva più sentir parlare.
"Bisognerà che mi comperi qualcosa di leggero", disse mentre si toglieva il cappotto, gli stivaletti e l'abito, rimanendo in sottoveste e bevendo tutto il caffè che lui si era accuratamente preparato.
Anticipando la domanda aggiunse: "Non preoccuparti, ho solo bisogno di un po' di tempo per riordinare le idee e trovare un lavoro. Intanto mi occuperò del mio papà!".
Erano proprio queste parole che lo terrorizzavano; stava per dire qualcosa quando entrò Maria, con la scusa delle pulizie.
Aurora l'accolse con una risata fragorosa e di scherno: "E questa chi è? La strega delle lanche?…"
Maria, colta di sorpresa, si fece il segno della croce e scappò via, sbattendo la porta.
"Sono stanca, ho fatto un lungo viaggio, mentre fai le tue cose io riposerei un poco" e sua figlia scomparve in camera infilandosi nel letto matrimoniale ancora sfatto.
Lui si ritrovò a riordinare il bagno.
Annaspava in un elemento ostile, violentato come i bambini che gli sconsiderati gettavano nel fiume, al di qua delle corde, dove l'acqua è bassa e la corrente quasi ferma, affinché imparassero a nuotare.
Andando al circolo si dibatteva come i pesci d'argento sui sassi del "pennello" alla ricerca disperata della pace rassicurante dell'acqua, giù, al riparo dei fendenti del sole e nel silenzio ovattato del nulla.
Complice la routine, il suo obiettivo era rifuggire da ogni pensiero sul futuro. Del circo gli erano piaciuti gli equilibristi sul filo, con la mente sgombra da pensieri poiché concentrati sull'esercizio ma, quel giorno di primavera, il filo per lui si era spezzato ed era caduto nella fossa della vita.
Unico desiderio, difficile a realizzarsi, che lei se n'andasse, destabilizzante come tutti i desideri dai quali tenersi alla larga, come i pipistrelli dalla luce violenta del giorno.
Se la prese con gli anziani ai quali lesse passi della Divina Commedia, strangolandoli con pedanti annotazioni, ma erano di gomma, imperturbabili nei loro sbadigli, in attesa della sera.
I giorni che seguirono trascorsero irti di sorprese ed imprevisti. Cercava di lasciarsi andare in quella forzata convivenza come in preda ad una malattia ma non ci riusciva e così annaspava tra continui turbamenti
Piovve persino con il sole e pensò che fosse accaduto sotto l'influenza di Aurora, capace di destabilizzare anche la natura.
Sicché, durante le lunghe assenze notturne di Aurora, soffriva l'insonnia cercando inutilmente di far quadrare i conti e star dietro alle spese.
Lo tolse dall'ambascia lei: "Non crederai che me ne sia andata senza soldi!", difatti scialacquava.
Svolazzava leggiadra nei vestiti di seta color della primavera tra un dentista ed un figlio di papà ma non concedeva loro nulla, nessuno riusciva ad averla, tutti si accontentavano del suo profumo e della sua bellezza da esibire come un fregio che all'alba svaniva, assieme alle luci artificiali della notte o ai riflessi della luna sui tetti e sull'acciottolato bagnato.
All'alba s'infilava nel letto matrimoniale dove lui fingeva di dormire e si stringeva infreddolita al padre sfregando i piedi contro i suoi, prima di addormentarsi con un sorriso da bambina.
Lui aspettava che si fosse assopita, se ne restava lì ancora un po' a rimirare quei capelli di seta e oro sparsi sul cuscino, poi si alzava lentamente, per andarsi a fare il caffè, chiedendosi sempre, con una certa tenerezza, se esistesse al mondo creatura più bella.
A mezzogiorno, dopo le pulizie, gli toccava preparare la colazione anche per lei; non capiva che fine avesse fatto Maria e decise di affrontarla.
Bussò e dalla finestra, rivoluzionariamente spalancata a calamitare le vivide luci del giorno, giunse squillante la sua voce: "La porta è aperta!".
Gli apparve una donna diversa con una vestaglia corta a fiori, dai capelli tinti e accuratamente pettinati, con gli zoccoli alti, l'ombretto sotto gli occhi e che sicuramente non indossava le mutande lunghe.
Si ritrasse spaventato ma sulla loggia la voce di Maria lo colpì alle spalle: "Si ricordi delle spese condominiali e, per favore, se l'Aurora si è alzata, le dica che l'aspetto!".
Una sera, mentre era supino sul letto, al buio e vestito, incapace di riordinare le idee, sentì entrare l'Aurora e si ricordò dell'alluvione, di quando il fiume aveva superato l'argine maestro e la piena invaso le strade.
Sentì la voce di Maria e poi la vide, giacché era entrata in camera senza bussare: "Avanti, venga con noi dal Lino!".
Si lasciò trascinare come in preda alla corrente e salì sulla terrazza del Lino.
Il profumo del dolce che il Lino stava affogando nell'olio e nello zucchero si materializzava in una piccola nube che offuscava ad intermittenza la luna piena, come un'eclisse parziale sullo sfondo di un cielo nero, trapuntato di lampade colorate ad ornamento della terrazza.
In un angolo Luigina cambiava i dischi e seguiva felice la musica canticchiando sottovoce.
Aurora lasciò il dentista con il quale stava danzando, prese il padre per mano e lo costrinse a seguirla ballando affettuosamente guancia a guancia.
Non osò opporsi a tanta vitalità; ormai era naufragato, travolto dagli eventi.
I cambiamenti erano stati violenti come un uragano che si abbatte sulla spiaggia livellando inevitabilmente tutto, tra cielo e mare.
Si sentiva come se avesse varcato un confine proibito e affascinante, come un emancipato, un figlio alla sua prima vacanza senza genitori.
Pensò che anche i coinquilini di quella macchia grigia, sperduta e soffocata nella periferia, provassero gli stessi sentimenti: naufraghi su un'isola inesplorata, dai frutti esotici, dove nulla era proibito, abbagliati dalla libertà.
I giorni trascorrevano in fretta illuminati dall'Aurora. Scandalizzò l'ex preside con letture di avventure, tra gli applausi degli anziani e l'approvazione sbalordita dell'Achille.
Assetato di vita, fu una vera e propria rivoluzione dove i punti cardinali dell'atarassia non avevano più riferimenti, come in una bussola impazzita.

La sera che parcheggiarono l'auto davanti al portone, i carabinieri percorsero il lungo corridoio sino al cortiletto e guardarono insù: videro il maestro che si sporgeva dalla loggia, quasi li attendesse.
In casa, oltre a lui e alla figlia, entrarono silenziosi come fantasmi la Maria, il Lino e la Luigina sicché, mentre arrestavano l'Aurora, dovettero dare le loro lapidarie spiegazioni a tutti: gli inquirenti tedeschi, avvisati dai vicini insospettiti dalla prolungata scomparsa dei coniugi, avevano trovato il corpo senza vita del marito nella casa di Monaco e le indagini conducevano a pesanti indizi di colpevolezza della moglie.
Aurora lanciò un ultimo sorriso alla loggia e Luigina le dedicò un applauso, seguita da tutti gli altri, mentre i carabinieri, allibiti, la portavano via.

Il giorno seguente il maestro si alzò presto, in tempo per vedere l'aurora.
Si vestì di chiaro, guardò con nostalgia il letto vuoto mentre la corona rosa che bordeggiava i tetti lasciava il posto al giallo e l'azzurro del mattino.
Pensò che aveva mille cose da fare: cercare un buon avvocato, studiare una strategia… e, soprattutto, occuparsi della figlia.
Prima, però, si sarebbe recato dall'Achille, l'unico che l'avrebbe capito.

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Agg. 24-05-2008