Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Racconti
di
Carmen Recupito

Ricordi
Ero a Milano quando mi raggiunse la telefonata di mio zio da Roma < la nonna è morta, vieni subito>, poi più nulla, mio zio aveva interrotto la comunicazione, non c'era da stupirsi, nessuno mi amava in quella famiglia, tranne mia nonna, e adesso non c'era più.
Presi il prima aereo per Roma, atterrò a Fiumicino alle nove della stessa sera, era domenica, avevo avvertito casa che sarei arrivata, in realtà avevo lasciato il messaggio al maggiordomo, e mi aspettavo che qualcuno sarebbe arrivato a prendermi, ma mi sbagliavo, avevo di nuovo riposto fiducia in persone che con me non volevano nessun legame.
Mia nonna abitava alle porte di Roma, in un bellissimo casale del settecento, da bambina, con i miei genitori ero solita andarla a trovare tutte le domeniche, aveva un grande giardino, che ospitava ogni sorta di albero, quello di limoni, quello di mandarini, l'albero di mele, e tanti altri, ed io giocavo lì insieme ai suoi numerosi gatti, Simeone e Gatto erano i miei preferiti, perché erano quelli che maggiormente amavano giocare, i gatti sono molto solitari, ma loro due sembrano non averne mai abbastanza di essere rincorsi e coccolati con i "grattini" dietro alle orecchie.
Quando entravo in casa, ormai sfinita, d'estate mi attendeva un bicchiere di limonata, e d'inverno mia nonna mi preparava la cioccolata calda, non ne ho più bevute di cioccolate così buone neanche nei miei viaggi.
Ero rimasta proprio con mia nonna quando i miei genitori avevano deciso di concedersi un nuovo viaggio di nozze, stavano per rientrare quando un incidente in autostrada provocò la loro morte immediata, avevo dieci anni, e nessuno che mi volesse davvero bene, a parte nonna Mia.
Chiamai un taxi, per farmi condurre verso la casa di mia nonna, sapevo che lì avrei trovato i miei due zii, Zio Salvo che mi aveva chiamato, e zia Elisa, i loro consorti, e i figli, i miei cugini.
Quello che non mi avevano mai perdonato, era il fatto di aver investito tutti i soldi dei miei genitori in una società che adesso portava il mio nome, e che aveva un importanza europea nel mondo della pubblicità, siamo stati noi a creare la pubblicità dei jeans americani più importanti sul mercato, che andava in onda attualmente sulla tv nazionale.
Forse la mia era stata un'idea un po' azzardata, visto che compiuto i diciotto anni avevo deciso di trasferirmi a Milano, per studiare economia alla Bocconi, non avevo nessun problema economico, l'eredità che i miei genitori mi avevano lasciato mi sarebbe bastata per vivere di rendita, ma io volevo lasciare qualcosa a chi sarebbe venuto dopo di me, così decisi di finanziare da sola il mio progetto, avevo iniziato con un ufficio in un palazzo piuttosto anonimo della periferia di Milano, poi avevo cominciato ad acquistare fiducia nelle mie capacità, e avevo presentato i primi progetti importanti, le commissioni aumentarono nel giro di pochi mesi, così presi altri collaboratori, ma non bastava, perché mancavano gli uffici, allora ci trasferimmo in un attico, poco distante dal centro, ma adesso anche quello ci sta diventando stretto, infatti molti dei miei collaboratori lavorano a casa, così a venticinque anni, sto vedendo nascere il palazzo della mia società di pubblicità in una bellissima zona residenziale di Milano.
Mi sono laureata che già possedevo la società, credo di aver vissuto la laurea più triste che si possa immaginare, ad applaudirmi c'era solo mia nonna quel giorno, ma sono sicura che i miei genitori erano presenti.
Adesso lei era andata via, lasciandomi completamente sola, quella di cui portavo il cognome non era la mia famiglia, credo che il disprezzo nei miei confronti parta dall'esclusione categorica di tutti loro dalla società, infatti avevano insistito perché io chiamassi la società solo con il cognome, ma fui irremovibile, volevo che fosse solo mia, non volevo che fosse scambiata per qualcosa che apparteneva anche a loro.
Alle dieci e mezza suonai il campanello della porta di casa, quella porta mi aveva sempre spaventata, era tutta di legno, e aveva i pomi a forma di testa di leone, mi venne ad aprire mio cugino Carlo, un ragazzo della mia età, alto e biondo, aveva indosso un maglione a strisce ed un pantalone grigio scuro, era novembre ed io ero avvolta in un caldissimo cappotto di lana, nero e lungo fino alle caviglie, lui mi guardò, ci eravamo visti pochi mesi prima quando era arrivato a Milano per lavoro, mi aveva cercato per vedermi, eravamo stati a pranzo fuori in un ristorante giapponese, non avevamo grande confidenza, ma lui aveva scelto me per chiedere consiglio in merito ad una questione che lo preoccupava molto, in un suo viaggio in Giappone, si era innamorato di una ragazza giapponese, figlia di un importante medico, non sapeva come dirlo ai genitori, conservatori e poco inclini alle novità, lui diceva che non avrebbero mai potuto accettare una ragazza di un'altra nazione e con altri credi religiosi, nonostante fosse una figlia illustre.
Capivo perfettamente il suo discorso, infondo suo padre mi aveva quasi dimenticata per non aver voluto fare quello che lui voleva impormi, gli consigliai di tenerlo nascosto ancora per un po', lui era sempre in viaggio, perché era un'agente di borsa, quindi non avrebbe destato sospetti la sua permanenza in Giappone.
In seguito ci siamo sentiti con regolarità, e lui mi ha raccontato di quanto la sua donna fosse meravigliosa, e quanto voglia avesse di portarla in Italia per farmela conoscere, ovviamente nessuno in famiglia sapeva i nostri contatti, sarebbe nato uno scandalo.
Lo salutai con un bacio, lui mi strizzò l'occhio, lo seguii nel salone, dove mi accolsero tutti con il viso tirato e le espressioni più fredde che io ricordi da quando sono nata, certo le circostanze non erano quelle di un banchetto nuziale, ma anche in quella occasione non avrei riscosso facce migliori. Strinsi la mano a tutti e chiesi di poter vedere la nonna, mia cugina Veronica mi accompagnò di sopra, nella camera della nonna < è qui, non ti preoccupare ha un'espressione dolce sul viso, sembra che sia morta serena, mi dispiace solo di non averla potuta vedere in tempo, per dirle addio, sono sicura che per te è lo stesso. Spero che lei ci perdoni>, era cresciuta tanto Veronica, dall'ultima volta che l'avevo vista, aveva vent'anni, e nella struttura fisica e nei colori mi assomigliava molto, aveva solo una differenza rispetto a me, ed era l'espressione spenta e assente dei suoi occhi verdi, i miei occhi avevano pianto e sofferto, ma sapevo che erano vivi e orgogliosi.
Lei mi lasciò sola, io dischiusi la porta della camera e la vidi, la sua piccola ombra faceva capolino al lato del letto, era coperta da lenzuola bianche di lino, e le avevano messo sul viso un velo di seta, mi avvicinai al letto e sollevai piano con la mano destra quel velo, la rividi, quel viso sempre così pallido, e i lineamenti dolci e delicati, un sorriso appena accennato le configurava, davvero, un aria di serenità. Presi una sedia, e mi misi seduta accanto a lei, gettai via quel velo, che rendeva ancora più penoso il distacco, le sfiorai la mano, e poi la presi tra le mie, istintivamente cercai di scaldarla, ma era tutto inutile, mi voltai intorno e vidi le cose di sempre, il comò con sopra tutte le fotografie, ce n'erano di tutti i tipi, da quelle in bianco e nero con il nonno e lei, a quelle scattate con la macchina digitale, che raffiguravano Carlo in un suo viaggio. Vidi, poi, l'angolo in cui si truccava, il mobile in mogano, con tutti i suoi profumi, e le ciprie di cui andava matta, e lo specchio dal quale da piccola la scrutavo dalla porta, a farsi bella, per l'uomo che nel suo cuore aveva sostituito il nonno, dopo la sua morte.
Mi girai a guardare la porta, avevo le lacrime agli occhi, sottili e leggere, quasi impercettibili, e mi rividi bambina, quando nelle sere d'estate, con i calzoncini corti e le ciabatte ai piedi, l'aiutavo a tirarsi su i capelli, lei si spruzzava il profumo, e permetteva che me ne spruzzassi un po', la guardavo ammirata nello specchio, era bellissima, e sapevo che quell'uomo distinto che mi portava sempre le caramelle, era pazzo di lei.
Se n'era andata via ancora giovane, e io non riuscivo a crederci.
Scesi di sotto, mia zia Elisa mi disse, che avevano già preso disposizioni per il funerale, si sarebbe tenuto il giorno dopo nella cappella di famiglia, dopo di che mia nonna sarebbe stata sepolta, nella tomba di famiglia accanto a mia padre e mia madre.
Accennai un si con la testa, poi mi misi seduta sul divano, attesi che qualcuno mi chiedesse qualcosa, poi mi resi conto che così non sarebbe stato, nemmeno i miei cugini sembravano molto a loro agio in quella situazione, sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni, uscii fuori dal salone ed entrai nello studio, sul display vidi il nome di Gianni, la prima cosa che gli dissi non appena risposi fu < dimmi che mi ami>, < ti amo>, mi rispose.

Un viaggio
Avevo i biglietti prenotati per le otto e trenta del mattino, il treno sarebbe partito da Napoli diretto verso Milano, stavo andando a trovare una persona che per me aveva contato molto, ma con il quale era finita mesi fa.
Raggiunsi il treno all'ultimo momento, ma in tempo per trovare la carrozza giusta e sistemarmi, mi misi seduta, con me c'era un signore sulla sessantina, e una donna della stessa età, il capostazione fischiò all'avvio del treno, il mio cuore prese a battere più forte, sapevo che era perché stavo andando da lui, allora cercai di distrarmi da quello che poteva diventare un pensiero fisso.
Avevo portato con me un libro, lo avevo iniziato da poco, e avevo calcolato che mi sarebbe bastato per il viaggio di andata, una volta arrivata lì, lui mi avrebbe portato in giro e avrei potuto comprarne un altro per il ritorno.
Lo aprii, tolsi il segnalibro, e comincia a leggere, le pagine volavano via leggere, infatti non sentii che la donna seduta di fronte a me, mi stava rivolgendo la parola, < come, scusi>, < dicevo, che l'ho letto anch'io quel libro, è davvero molto bello. Credo di averlo finito in una giornata>,< lo hai finito in meno di una giornata, tesoro>, le disse l'uomo di fianco a lei.
Seppi, poi, che erano marito e moglie, erano sposati da più di quarant'anni, e vivevano a Napoli, stavano andando a trovare la figlia a Milano, si era trasferita lì pochi anni prima per lavoro, < …..e adesso che noi siamo in pensione ci possiamo permettere di salire su quando vogliamo, infondo Milano non avrà il sole di Napoli, ma è una città che offre tanto da vedere, e noi non ci stanchiamo mai di visitarla. Vedrà, signorina, la troverà affascinante!>.
Mi chiesero se mi sarei fermata molto, perché ci sarebbero stati tanti posti che avrei dovuto vedere,< no, resto solo per un fine settimana. Vado a trovare un mio amico, e lui è libero solo il week-end>,< sentito cara, va a trovare il ragazzo. Signorina ai tempi nostri tutta questa libertà che avete voi giovani non l'avevamo mica, quello che sta facendo lei, da noi veniva chiamata "fuitina", e bisognava sposarci per forza, poi>.
I signori Passero, mi raccontarono della loro storia, vivevano entrambi nella zona di Posillipo, erano figli di persone molto in vista, il padre del signor Passero era un impiegato di banca, mentre il padre della "sua" signora, come diceva lui, aveva un negozio di stoffe, non avevano particolari problemi, infatti entrambi avevano frequentato le scuole superiori, ma non avevano il permesso di vedersi, in particolare la signora Caterina, non poteva vedere il suo "innamorato".
Mi raccontarono, che per incontrarsi, Caterina chiedeva alla mamma il permesso di andare a comprare le caldarroste dal venditore all'angolo della strada, sapeva bene che per prima la madre ne era golosa, così le aveva sempre accordato quel permesso. Caterina indossava il suo cappotto di lana rosso, infilava in testa il cappello con la sciarpa in tinta, e correva giù per le scale, si davano appuntamento proprio dietro l'angolo dove si trovava il venditore ambulante, sapeva che lo avrebbe trovato lì ad attenderla tutte le sere alle cinque e mezza, e se ci fossero stati problemi lui avrebbe fischiato prima di quell'ora sotto casa sua, la canzone " Oi vita mia", e lei non sarebbe scesa di casa.
Si erano conosciuti alla festa di un cugino di Caterina, ai loro tempi le feste da ballo si svolgevano soprattutto in casa, lei aveva visto questo ragazzo in un gruppo di tre o quattro, e si era innamorata all'istante dei suoi occhi blu, dell'incarnato scuro, dovuto anche al mare ed al sole di Agosto, di quella faccia da ragazzino senza barba, ma anche lui l'aveva notata, < quella sera indossava un abitino rosa, si portavano i corpini stretti stretti, che non capivo come facessero a sopportarli, aveva i capelli biondi sciolti sulle spalle, la pelle chiara come un batuffolo di cotone, e gli occhi di quel verde smeraldo che mi fecero incantare, aveva solo quindici anni, ma era bella come una dea>.
Avevo, ormai, riposto il libro nella borsa, perché la loro storia era diventata non solo affascinante ma anche avvincente, mi parlavano e si tenevano mano nella mano, proprio come due innamorati, e pensare che oggi i ragazzi prendono la decisione di lasciarsi per un niente.
Una sera Caterina era andata, come al solito a comprare le caldarroste, poi aveva girato l'angolo, ma non aveva trovato Paolo ad attenderla, avevano solo mezz'ora, per vedersi, ma lei aveva fiducia in quel ragazzo, sapeva che sarebbe arrivato, così nell'attesa sbucciò una castagna ancora calda e la mise in bocca, incominciò ad essere impaziente, pensava che gli fosse capitato qualcosa di brutto mentre stava andando da lei, e mi disse che le veniva da piangere alla sola idea, lui quel giorno non arrivò.
Nel palazzo dove abitava Caterina abitava anche la sua migliore amica, andò da lei a confidarsi sull'accaduto, e l'amica la tranquillizzò dicendo che il giorno dopo avrebbe chiesto informazioni ai ragazzi a scuola.
Dopo qualche giorno si seppe che Paolo aveva incontrato un'altra, < ancora adesso, che sono passati più di quarant'anni se ci penso mi vengono i brividi, ero disperata al pensiero di lui con un'altra, doveva essere molto più bella e attraente di me, per convincerlo a tradirmi, ma mi feci coraggio, e non lo vidi per due mesi. Sapevo che lui era pentito, che ammetteva di aver sbagliato, sapevo che soffriva, ma a me non importava, lui aveva sbagliato>.
Poi una sera si rincontrarono, il solito cugino di Caterina dava un'altra festa, e Caterina era stata invitata, e lì si rividero, < era ancora più bello di quanto non ricordassi, in pochi mesi gli era cresciuta anche la barba, poteva essere quasi definito un uomo>,< ma anche lei era tanto cambiata, nel frattempo aveva compiuto sedici anni, e si vedeva, era diventata più alta, ed aveva molte più curve di quante ne ricordassi, me ne innamorai di nuovo>.
Paolo si è giustificato dicendo che la carne era debole, che quella ragazza che aveva incontrato era più grande di lui, e gli aveva fatto conoscere cose che di sicuro Caterina, non poteva dargli in quel momento, e lui aveva perso la testa, ma non era amore.
< Perché che cos'è secondo lei l'amore?>, gli chiesi, la sua risposta non mi stupì< l'amore piccolina?>, una risata piena e travolgente lo colpì < l'amore è la ragione per cui veniamo al mondo, tu sei nata perché due persone si sono amate, è un sentimento che sboccia immacolato e poi subisce le più svariate metamorfosi, l'amore fa tremare la voce e le mani, fa cambiare il colore degli occhi, fa ridere di niente, l'amore ti fa fare chilometri anche solo per sfiorargli il viso, l'amore è il groppo in gola quando sai di non poterlo vedere, l'amore ti fa stare fermo immobile al posto dell'appuntamento anche se l'aria è sotto zero, e piove grandine, e tu sei senza ombrello, è l'amore che ci fa fare tutto, è il motore del mondo, e sai qual è il bello? che l'amore è infinito, e vive nella stessa persona in tante forme e per diverse persone. Io nella mia vita non ho mai smesso di amare, piccolina, non farlo anche tu>.
Così ripresero a vedersi, allo stesso posto, fino a quando una sera il padre di Caterina, rientrando prima dal lavoro, per un forte mal di testa, li vide baciarsi sotto il portico di una vecchia chiesa, preso dalla rabbia sconsiderata, corse verso di loro, e li divise, strattonando lui e prendendo lei per un braccio le disse che non sarebbe più uscita di casa se non per andare a scuola.
Ma Paolo e Caterina non si arresero, prima di che il padre potesse portarla via si guardarono intensamente, e in quello sguardo si nascondeva il loro segreto.
A scuola venne preparato il tutto, attraverso bigliettini scambiati durante gli intervalli, nel giro di una settimana, gli amici di Paolo e Caterina, avevano organizzato la loro fuitina, il giorno stabilito era il lunedì successivo, Caterina sarebbe andata a studiare a casa dell'amica, e con la scusa di dover comprare le matite sarebbero uscite, Paolo con il suo migliore amico le avrebbe aspettato alla stazione, e sarebbero partiti loro due soli per Milano.
Tutto andò come previsto, Paolo aveva addirittura prenotato in un piccolo albergo di Milano per due notti, e a loro dire furono giorni fantastici, ma vennero rintracciati, soprattutto per i potenti mezzi di cui era in possesso il padre di Paolo.
Il fratello di Paolo li andò a prendere a Milano, e una volta tornati a casa, trovarono già le cose sistemate per il loro matrimonio, < ormai, tesoro, ci eravamo compromessi, e dovevamo fare ciò che loro ci dicevano. In realtà non avevo tutta questa voglia di sposarmi, ma ero stata fuori con un ragazzo, avevo dormito con lui, e questo bastava per fare di me una che non sarebbe potuta mai stare con nessun altro. All'inizio fu tutto fantastico, perché i miei ci diedero una parte della casa dove abitavo e per darci più libertà fecero costruire anche un muro, ci sposammo in estate, e fu bellissimo perché la passammo sempre a fare l'amore e a dare feste, poi vennero i momenti più duri, Paolo lavorava nel negozio di mio padre, e andavamo ancora entrambi a scuola, e poi io rimasi incinta, fu un'anno molto duro, ma poi nacque Gabriele, e tutte le sofferenze che ci avevano attanagliato cuore ad anima, volarono via come le foglie d'autunno. E adesso guardaci, abbiamo resistito bene, e credimi ce ne sono stati di momenti duri>.
Ci avevano creduto nel loro matrimonio, ecco perché erano ancora lì, e soprattutto avevano creduto nell'amore che li aveva colpiti a quindici anni, e fatti sposare a diciassette, poteva essere una semplice infatuazione, invece si erano trovati, e se ne erano resi conto dal primo momento che si erano guardati, loro si completavano.
Il capostazione fischiò all'arrivo del treno alla stazione di Milano, ebbi un sussulto, aprii gli occhi e vidi il mio viso riflesso nel vetro del finestrone, mi voltai per salutare i signori Passero, ma non li vidi, così chiesi al controllore se i signori che erano con me fossero già scesi dal treno, ma lui mi rispose che ci eravamo appena fermati e che le porte erano ancora chiuse, < capisco, ma qui con me per tutto il viaggio c'era una coppia di anziani, non li ha visti>,< signorina, sono passato davanti alla sua cabina un paio di volte, e l'ho vista sempre sola, la prima volta leggeva, e le altre due l'ho vista dormire, e con lei, l'assicuro, non c'era nessuno>.
Ritornai dentro allo scomparto un po' delusa, i signori Passero erano stati frutto della mia immaginazione, eppure sembravano così reali, avevo sognato la loro storia, e mi sentivo così viva mentre loro mi raccontavano le loro vicende, che non potevo credere di averle sognate, ma la realtà era questa.
Quando potei scendere dal treno, lo cercai con lo sguardo, i volti delle persone mi si affollavano alla vista, in mezzo a quella gente estranea c'era l'unica persona che contava qualcosa per me, e non riuscivo a vederlo, poi vidi, in lontananza, due braccia che si dimenavano nell'aria, mi gettai nella folla chiedendo scusa e permesso un'infinità di volte, quando gli fui davanti alzai la testa fino ad incontrare i suoi occhi, < com'è andato il viaggio?>, < bene, ho dormito tutto il tempo>, lui mi prese la valigia e a me venne naturale accarezzargli il viso.


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©2003 Il club degli autori, Carmen Recupito
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Ins. 02-05-2003