Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Alessandra Zenarola
Ha pubblicato il libro

Alessandra Zenarola - Il cow-boy vanigliato
 

 

Collana I salici (narrativa) 14x20,5 - pp. 164 - Euro 13,80 - ISBN 88-8356-452-9

Prefazione
Incipit

 

Prefazione
Cercherò di attenermi il più possibile alle indicazioni dell'Autrice e cioè alla richiesta di una prefazione non seriosa.
"Il cow-boy vanigliato" non è altro che un decadente avventuriero che riesce a trasformare un amore che assomiglia ad una soffice nuvoletta di fiocchi di vaniglia in un caffè alla cicoria. Il lato comico è che la protagonista si accorge di essersi innamorata di un "miraggio", ma si lascia inghiottire dalle sue mediocrità, da una corrispondenza epistolare delirante ed infine si trova a sognare un vero cow-boy, intrepido e tutto d'un pezzo, che galoppa nelle immense praterie con il suo cavallo bianco.
Ma v'è di più di questa storia d'amore che ha scalfito l'epidermide ed ha devastato l'equilibrio interiore di una donna che si è persa all'interno di un sentimento artificiale.
"Il cow-boy vanigliato" è una sorta di diario delle vicissitudini amorose della protagonista, Camilla (ma il nome non è importante), riunite e messe a confronto con l'ultima storia d'amore, finita decisamente male.
Devo confessare che le vicende e le situazioni raccontate trasmettono alcune verità soprattutto per quanto riguarda il comportamento degli uomini (o meglio di certi uomini) in determinate circostanze... ma credo che valga la stessa cosa per le donne.
Le avventure sentimentali si stagliano nettamente dal magma di osservazioni, meditazioni, critiche, bizzarrie, ironiche considerazioni da parte dell'Autrice: il suo pensiero e le sue riflessioni intime approfondiscono sempre le contraddizioni e rendono molto bene l'ansia che la protagonista prova nel non riuscire a conoscere fino in fondo l'altro, e soprattutto quella evidente sensazione di incomunicabilità avvertita in diversi momenti del racconto sentimentale, a causa delle diversità di carattere, della mancanza di personalità, di una maturità ancora da raggiungere (soprattutto da parte degli uomini). Chiara e limpida dimostrazione che la ricerca dell'uomo giusto è ancora in corso. Ma non è cosa facile.
Soprattutto a quarant'anni, quando si comincia a pensare che ormai si feve vivere solo la propria vita, si inizia a fregarsene altamente di competere con chicchessia e i desideri non sono più labirinti sconosciuti da esplorare.
Ecco allora che si scatena il soliloquio dell'Autrice che, attraverso la protagonista, cerca di capire i pensieri dell'uomo che ha davanti, lo indaga fino a disvelarne ogni difetto, a metterne in mostra le debolezze e le insicurezze. Le relazioni sentimentali e i tentativi di decifrarle, in alcuni casi con ironia sottile tutta tesa a svelare l'enigma, altre volte con un vibrante sarcasmo.
È pungente, schietta, e nello stesso tempo disincantata ed amara mentre srotola le confessioni con ricordi d'amore sincero alternati a crudi risentimenti che nascono e muoiono in breve tempo... ma non può essere che così: passione e tormento, gioia e dolore, estasi e delusione.
Con la sua sincerità si inoltra in una narrazione che presenta spunti umoristici e dialoghi a due che spesso sono un divertente spettacolo. Che dire quando leggiamo di uomini emaciati, con la faccia vagamente da culo, il pizzetto incolto, l'abbigliamento trasandato, tristi e sofferenti con lo spleen alle stelle e poi di altri ancora che allargano il diaframma con maschia virulenza o gli si appanna l'occhio di blu cobalto per non parlar dei mariti presbiti e con il Parkinson in arrivo?
Un po' surreale, a volte stravagante, sempre dispersa nelle mille introspezioni e nelle pene d'amore. La sua struttura è una fucina di dubbi, inquietudini, lacerazioni, domande ingenue, discorsi infantili e goffi.
Logorroica fino al delirio, travolta da un'agitazione in un crescendo rossiniano, è tuttavia sempre divertente e con la battuta pronta, nonostante il sogno infranto e l'assurdità del mondo intero.
 

Massimo Barile


A Cristina, per l'ironia e i sogni...

IL COW-BOY VANIGLIATO

 
 
I
 
Che noia... questa pioggia!
Ho bevuto un caffè (decaffeinato, già sono tesa come le corde di un'arpa) nel bar di Davide, prima di affrontare la salita che porta alla stazione.
L'aria attonita dei bar, di mattina presto. L'odore del detersivo per i pavimenti, i fiappi croissant del giorno prima, le occhiaie da devastazione notturna degli scarsi avventori.
Davide è allegro, mi prende in giro.
"Daiii, Camilla, cosa sarà mai?... sembra che tu vada dal dentista... o al patibolo"
"Davide, ti prego, non scherzare, mi sento malissimo!"
"Ma va'!"
"Ti giuro... e non ridere che mi fai venire ancora più ansia.!"
"Ciao bella... in bocca al lupo!"
"Crepi!"
Davide è proprio un bell'uomo, penso, peccato che sia il marito di mia cugina Lisa. Un vero peccato!
 
Deve avere lasciato il segno, questa Nika. I muri della stazione, il sottopassaggio, la macchinetta che oblitera i biglietti... sono ricamati con il suo nome, il suo ricordo. Nika ti amo, ti amerò sempre... Nika sei la luce della mia vita... Nika torna presto.
Un amore estivo. Nika probabilmente non è tornata, le scritte sbiadiranno, il muro verrà ridipinto.
La pubblicità dei preservativi... Non fate mai aspettare una donna.
Monito inutile... è tutta la vita, che aspettiamo!
Tira un vento gelido, il famoso ponentino ligure (o è il maestrale, lo zefiro, lo scirocco?). Non so riconoscere i venti, io, a parte la bora, che soffia dalle mie parti.
Non lo sopporto il ponentino, mi rende irritabile e stizzosa, adesso ho freddo... o è l'agitazione, che mi fa rabbrividire?
Il treno arriva soffiando sul secondo binario della stazione di questo incantevole paese sul golfo del Tigullio.
Ci venivo da bambina, qui, ogni estate, a trovare i parenti di mio padre. Ci sono tornata adesso, per il funerale dello zio Gualtiero.
Cerco uno scompartimento vuoto. Voglio stare sola, non voglio dividere con nessuno questa ora e mezza che mi separa da te.
Ma questi sono lussi da onorevoli, privilegi da dirigenti delle Ferrovie dello Stato!
Il drammatico campionario delle opzioni, percorro il treno in lungo e in largo, almeno scovassi un unico posto libero, mi rassegnerei! Ma il treno è semivuoto e con svariate alternative, mi prende quel possibilismo dei programmi televisivi. Tre film tutti avvincenti, sul secondo la replica di "Commesse", sul terzo "Sciuscià"... zapping fino all'una di notte.
No, qui non mi siedo, quello lì ha un aspetto affatto rassicurante, per giunta siamo soli, meglio non rischiare, quelle due con la pelliccia e le borsette firmate mi stanno già sull'anima, chissà il livello dei discorsi, qua ci sono tre bambini con le rispettive madri, i bambini in treno sono generalmente insopportabili!
Mi sono seduta vicino al finestrino. Le mie compagne di viaggio sono due ragazze. Straniere, colombiane, forse, carine con i loro giacconi di finta pelle, i tacchi troppo alti, i pantaloni scampanati. La più scura ha l'auricolare incollato all'orecchio, l'altra sta scartocciando uno di quei dolcetti di riso soffiato, stantii e inconsistenti, che si comprano nei bar delle Ferrovie dello Stato.
Riva Trigoso, Sestri Levante, Chiavari... le stazioni si susseguono come le tappe della Via Crucis, mostrando l'italico squallore di panchine scrostate, di binari lesionati, di carte appallottolate, di facce cupe di chi è alla fine di un viaggio, di giornali che si allargano nel vento come surf a vela.
Il cane è lì, fermo davanti al primo binario con le orecchie tese e lo sguardo vigile... cosa ci fa, un cane, da solo, alla stazione di Chiavari?
Ormai è solo un puntino lontano.
Il treno è ripartito ma non me ne sono neanche accorta, distratta dal solito errabondare della mente... immaginare, fantasticare, mistificare...
 
Come mi piaceva immaginare e mistificare la nostra storia. Come si fa sempre, con le storie d'amore, soprattutto quando finiscono, sommergendoti di dubbi e lacerazioni.
Sto per incontrarti, a Genova, dopo sette mesi dal nostro ultimo e impacciato saluto.
"Allora... ciao"
"Ciao..."
Una carezza lieve, lievissima.
"Allora a presto"
"Sì, a presto"
La solita pantomima degli addii tra innamorati geograficamente lontani.
Un rito che non si consuma nella gioia o nella tristezza, come gli altri riti. Funerali, tesi di laurea, matrimoni. Un rito che non ha un'identità emotiva, che resta lì, incerto, vago, astratto.
Scomparso il gioco incantato, l'ammaliante perdermi nel blu cobalto dei tuoi occhi, dove solo un'ora prima annegavo nel mare.
I tuoi occhi, luccicanti come due stelle in una notte piena di promesse e di lusinghe...
 
Una notte come quella in cui ho conosciuto te.
Nel luogo più impensabile, un campeggio, in Croazia. La solita vacanza di pochi giorni con le amiche.
Ad ogni avvento dell'estate... la scappata in Croazia. Campeggio naturista, salsedine e sole, cenette di pesce, penichelle colossali. Mai un flirt, mai un'avventura. Ci si va di proposito da quelle parti, per stare finalmente tra di noi, solitarie e complici, abbronzate e impigrite.
Per riposare, per riprenderci dalle fatiche invernali, per "farci una cultura" con i libri di Ken Follett, per giocare a scala quaranta, per leggerci gli oroscopi a vicenda, per coccolare i reciproci cani, per ridere fino alle tre di notte, per ingozzarci di marmellate mattutine, per cucinare gli spaghetti al basilico portato da casa nel domopak, per pitturarci le unghie... mai e poi mai per incontrare un uomo.
È una battuta ricorrente, tra noi amiche... se non vuoi combinare vai in Croazia, non corri alcun pericolo.
Una volta soltanto, passeggiando per i vicoletti simil-veneziani di Rovigno in una mattina di pioggia con la mia amica Marta, ho visto un ragazzo bellissimo dentro un negozio di paccottiglie per turisti. Siamo entrate senza esitazione, io e Marta, di fronte a quell' oasi nel deserto, a quella zattera per il naufrago, a quell' apparizione per l'asceta... così, guardare e non toccare! Oltre che bello il ragazzo era affabile e galante, ha tentato di venderci una foto del Sai Baba e una collanina di filigrana, ci ha invitate ad una gita in barca con certi suoi misteriosi amici per il giorno successivo, ma noi no, no... non siamo qua per questo, grazie, come accettato, ma siamo qua per riposare, per mangiare le fette biscottate con la marmellata, per darci lo smalto sulle unghie, grazie lo stesso... dobrodan.
 
La sera che ho conosciuto te mi opprimeva già dal mattino, quello strambo sentore di guai incombenti.
Eravamo andate in gita a Pola, io e la mia amica Nicoletta, dopo tre giorni di assidue spalmature di crema solare e di inerzia levantina... la visita all'arena, le pesche e i panini col formaggio croato rosicchiati nel parco, il tremendo caffè nella piazza assolata, il ritorno al campeggio, denso di progetti, ricordi, nostalgie.
Prima di rientrare ci siamo fermate in una di quelle frasche immerse nella campagna, dove si mangia benissimo ma ti viene il magone... al mare è bello cenare vicino al mare, non in mezzo ai grilli e alle cicale. Abbiamo comprato il vino Malvasia e i cetrioli sottaceto e accarezzato l'obeso gatto della padrona, obesa pure lei.
Il vino lo vendeva sfuso in quelle bottiglie deformate del chinotto e dell'aranciata. Due bottiglie da un litro e mezzo.
"Cosi ci dura qualche giorno..." ha detto Nicoletta.
È durato poco, invece, un vino leggero, aromatico, adamantino.
Abbiamo cenato nella terrazza del nostro bungalow, gli "antipastini" (olive nere e dadini di formaggio), la pasta con le melanzane, il vino Malvasia.
I piedi appoggiati sulla sedia. È già notte, ma il cielo ha ancora il colore roseo delle notti di giugno, quel colore che sembra non esistere nella tavolozza dei pittori.
Una notte puntinata di stelle, piena di promesse e di lusinghe.
"Facciamo due passi, Nico?"
"Mmh, mmh"
Perchè ci siamo dirette verso il bar più brutto del campeggio, quella sera lì, esattamente a quell'ora?
Nel bar illuminato a giorno si stava svolgendo una deprimente festicciola di austriaci, tre suonatori di fisarmonica artrosici, birre e bicchieri di grappa sui tavoli, tutti piuttosto sbronzi.
Abbiamo ordinato due liquori rossastri, io e Nico, e ci siamo messe a guardare gli austriaci che piroettavano al suono delle loro mazurche. Una coppia e un corpulento vichingo si sono avvicinati, probabilmente perché eravamo gli unici esseri umani di sesso femminile di età inferiore ai sessant'anni e di peso inferiore ai novanta chilogrammi. La ragazza era cordiale e ubriaca, abbiamo conversato di viaggi in un inglese sgangherato, mentre il vichingo tentava invano di attirare l'attenzione di Nicoletta.
Due tavoli accanto eri seduto tu, ma non ti ho notato. Ti ho notato dopo, quando ho sentito il tuo sguardo su di me. Mi sono girata dalla tua parte, potevi sembrare un austriaco, biondo, con gli occhi chiari.
Ti sei avvicinato.
Non mi sei piaciuto subito, l'antitesi, del mio tipo. A me piacciono mori, gli uomini, con gli occhi scuri.
E poi in Croazia non si combina, quindi il problema non si poneva neanche lontanamente... che tu fossi biondo o moro.
Ti sei seduto al nostro tavolo... immaginavo già di veder comparire all'improvviso una figura femminile, magari era andata in bagno a ritoccarsi il trucco.
Invece eri solo, hai detto.
"Sia chiaro che non sono disponibile!"
L'ho pronunciato così, come un versetto liturgico... non sono disponibile, sia chiaro!
Non è che ad ogni uomo che mi si avvicina dico una frase come quella che ho detto a te, ci mancherebbe altro!
Non è necessario informare gli uomini che non sei disponibile, lo intuiscono al volo se lo sei o non lo sei, e prendono di conseguenza le loro decisioni!
In una delle lettere che ti ho scritto successivamente, quando la mia disponibilità si era espressa in tutte le sue forme, tentavo di spiegarti (e di spiegarmi), di dare un senso a queste parole.
Avevo paura, ti ho scritto, ho intuito subito che eri pericoloso, che mi avresti travolto e trascinato in una storia senza futuro, complicata, di quelle che finiscono maluccio.
E io non avevo alcuna intenzione di viverla, una storia così!

II
 
Uscivo da una vicenda carina, di quelle che non lasciano eccessivi strascichi. Non avevo ferite da rimarginare, o le solite recriminazioni su cui attorcigliarmi.
Un amore dolce, finito senza rimpianti.
Lui molto più giovane, quattordici anni di differenza. Quelle storie su cui tutti gli altri uomini fanno commenti.
Le donne no, sono solidali, anzi, alcune ti invidiano rovesciandoti addosso la sequela dei raccappriccianti difetti dei quarantenni, convinte che gli uomini più giovani ne siano immuni.
Gli uomini... i coetanei di lui ti osservano come fossi uno strano insetto cambogiano, i tuoi coetanei ti chiedono premurosamente come tu faccia a trovare un'intesa con uno che ha così tanti anni meno di te, oppure esprimono tutto il loro fastidio e la loro competitiva avversione.
Una sera sono andata a cena con gli ex compagni del liceo. I maschi... tutti a esalare battute cretine.
"Allora, l'hai lasciato con la baby-sitter, il bambino?"
"Gli hai dato il biberon, stasera?"
"Dov'è il tuo pupo, sta giocando con le figurine?"
Non reagivo affatto alle loro provocazioni, anzi, mi divertiva vederli così accaniti. Tacevo e sorridevo, della loro malcelatissima invidia.
Quando bighellonavo per i viali alberati della città nella molle aria primaverile, mano nella mano con Matteo, non mi sfiorava nemmeno il pensiero della nostra cronologica distanza!
Quando ci scambiavamo baci sciropposi seduti di fronte al pianoforte del circolo dove ci siamo conosciuti e che frequentavamo saltuariamente, non mi sentivo affatto imbarazzata per i sorrisi astiosi di qualche lolita!
E ancor meno per le occhiate riprovevoli e dense di rimpianti di sciatte Emme Bovary, accompagnate da mariti presbiti e con il parkinson in arrivo!
Finchè... Siamo andati a Praga, io e Matteo, alla fine dell'estate, un'estate già declinante verso i fulvi colori dell'autunno.
Ci siamo andati in treno perché a Praga ti rubano tutto. Non si vede neanche una targa straniera, gli stranieri ci arrivano col treno, con il pullman o con l'aereo... a quelli che arrivano in macchina gliela rubano subito.
Siamo capitati in uno scompartimento affollatissimo, mentre volevamo starcene da soli per scartocciare i nostri panini con i formaggini al salmone e la pasta di acciughe.
Sei ragazzi, nello scompartimento.
Una coppia di quelle impegnate, di quelle che vanno insieme a concerti di clavicembalo, a corsi di difesa delle raganelle, a convegni sulla tendenza al bilinguismo degli assiro-babilonesi, a conferenze letargiche sulla produzione del miglio nel Quebec. Lei prepotente e saputella, lui sottomesso e assertivo.
L'altra coppia appariva ancora più perniciosamente new-age. Lei una peldicarota con una tardiva acne giovanile, brutta e malfatta, ma profondamente consapevole di esserlo dopo i corsi di sciamanesimo. Lui un redivivo hippy con tanto di chitarra al seguito. Io e Matteo ci siamo guardati con lo stesso terrore, e cioè che durante la notte (sicuramente vigile), l'hippy si dilettasse a strimpellare sincopati brani di illustri sconosciuti (si sa, i gusti dei nuovi musicisti dilettanti... non ti suonano un Battisti neanche se li preghi in ginocchio o se li minacci con una P 38)
Gli altri due erano palesemente strafatti. Il maschio russava, probabilmente lo avevano caricato sul treno già in quelle condizioni. La femmina, che non era la sua morosa (ce ne siamo accorti subito perché lanciava sguardi vogliosi ai maschi presenti, oppure lo era... proprio per questo?), centellinava da una bottiglietta di vetro plasticato un liquido giallastro di non ben chiara derivazione. Forse fiori di Bach per reggere il passaggio dalla civiltà occidentale a quella dell'Est?
Immediatamente l'impegnata ha subissato un riluttante Matteo con uno di quei pressanti interrogatori da scompartimento di treno.
CometichiamiquantiannihaistudiolavoriperchèvaiaPragatipiac- cioniicantigregorianitelefailecanne?
La pupilla new-age dell'impegnata, sentendosi trascurata da Matteo, si è presto concentrata su di me. Non ha osato articolare altri quesiti e si è rivolta allo zerbinoso compagno... si era rammentato di mettere nella valigia la guida di Praga e i biscotti con lo zenzero? Il tapino si era ricordato della guida, ma i biscotti, aveva solo quelli con il sesamo!
Dieci minuti dopo abbiamo cercato un altro scompartimento.
Scusate, forse siete carini, ma a noi non interessano il Quebec e lo zenzero. Abbiamo già dato. Grazie.
 
Andavamo a Praga, io e Matteo.
Sulle tracce di Kafka, di Milan Kundera, del bonzo ragazzino... Jan Palach.
Matteo aveva letto i libri di Kafka, invece io non ce l'ho mai fatta, troppo "kafkiani", però lui non aveva letto Kundera (di cui io invece ho letto tutto!) ma ne aveva sentito parlare. Jan Palach non sapeva chi fosse, poteva essere un giocatore di pallavolo o un fotomodello, si è dato fuoco tre anni prima della sua nascita.
A Praga abbiamo affittato un piccolo appartamento nella zona più desolata, Mala Strana, un nome che è già una garanzia.
Strade sporche, saracinesche abbassate, pochi passanti, musica degli anni settanta che si sprigionava da bar avvilenti, luci giallastre, balconi disadorni, gente priva di vita, annoiata, disillusa.
L'appartamento era carino e disadorno nello stesso tempo.
A Praga ci addentravamo nelle vie del centro storico, Matteo con il bandana, l'orecchino, il braccialetto nero di pelle annodato al polso, la canottiera nera, io con la gonna di pizzo bianca, il body jeans, le scarpe basse, i calzini traforati. Ci ingozzavamo di patate alla panna e di goulash piccantissimo, tracannavamo birre brunastre e vini moldavi, facevamo smodatamente all'amore sul letto soppalcato, ascoltavamo sulfurea musica ceca.
Ci siamo commossi nel cimitero ebraico sopravvissuto per pura casualità alla ferocia nazista, abbiamo pianto senza ritegno di fronte ai macabri e fanciulleschi disegni dei bambini deportati a Terezìn, ci siamo
fotografati a vicenda seduti al caffè "Kafka" (come tutte le coppie che vanno a Praga), abbiamo litigato perché Matteo non voleva camminare e io mi rifiutavo di salire sugli autobus e sui metrò, abbiamo esplorato la Moldava su una barchetta di carta, ci siamo esaltati di fronte al muro di John Lennon, abbiamo cenato a lume di candela nel pub più "in" della città, siamo rimasti frastornati dal tramonto che verniciava la piazza dell'orologio... siamo stati fermati, insieme ad una coppia di irlandesi, dalla temibile polizia ceka.
Per un'inezia di stampo vetero-comunista... la mancata foratura del biglietto della funicolare che si arrampica sulla collina di Petrìn. La macchina foratrice era volutamente guasta.
Siamo scesi con la funicolare e i biglietti intonsi, dopo l'innocente gitarella. Ad attenderci alla fermata quattro poliziotti, aggressivi, litigiosi, iracondi. Ci hanno quasi trascinato in tetri uffici della questura ceka, noi e la coppia di irlandesi.
Matteo si è infuriato con uno degli sbirri che mi aveva afferrato il braccio.
"Lasciala stare ... o ti spacco la faccia!"
"Matteo calmati... che questri ci sbattono dentro!"
Dalla questura ceka i due irlandesi hanno telefonato alla loro ambasciata con il cellulare, ricevendone risposte rassicuranti.
Noi abbiamo telefonato alla nostra ambasciata con il cellulare di Matteo, e nessuno ci ha risposto.
Dopo avere pagato le cinquecento corone di multa ingiusta e pretestuosa, ci siamo andati a piedi, all'ambasciata italiana. Ci ha aperto (dopo dieci minuti di colleriche scampanellate), un tipo flemmatico, tendente alla pinguedine, scazzatissimo. Ci ha tranquillizzati, secondo lui!
"Qui è del tutto normale essere fermati dalla polizia, che ci volete fare, godetevi la vacanza e non pensateci più!"
Il clima era da pat pat sulle spalle e... ora andate ragazzi, su, levatevi dai coglioni che ho cose più importanti da fare, adesso devo guardare "Beautiful", in ceko è un po' una palla ma meglio che niente... ah, e salutatemi l'Italia, quando ci tornate...
Matteo, usciti dall'ambasciata, ha commentato che noi paghiamo le tasse per mantenere questi parassiti!
 
I giovani sono bellissimi, a Praga!
Ragazzi alti con jeans aderenti e strappati al ginocchio, fanciulle dagli occhi immensi e dalle gambe lunghissime. Girano a coppie, a terzetti, in gruppi sparuti. Un po' intimiditi, un'allegria stridente. Succhiano enormi gelati dai colori sgargianti, bevono birre da quattro soldi, si corteggiano senza convincimento.
Un pomeriggio brumoso, sul Ponte Carlo... Matteo scattava foto alle limacciose volute della Moldava, ai ritrattori di tarchiate turiste nipponiche, al raggruppamento di pifferai, violinisti, fisarmonicisti i cui suoni si spandevano nel vento teporoso dell'est.
Ho colto lo sguardo obliquo di Matteo, ho seguito quello sguardo, l'ho visto adagiarsi sugli occhi cerulei di una biondina sorridente.
"Carina ... eh?"
"Sì, ma tu sei molto più bella"
"Uffaaa, non mi adulare... mi dà fastidio, lo sai!"
"È vero, tu sei bella e hai anche il fascino, che lei non ha"
Era ingenuamente sincero, Matteo.
Non ero gelosa dei suoi sguardi fugaci su quelle asprigne ragazze.
Non si compete, a quarant'anni, con le ninfette. Se si ha la fortuna di avere il cervello a posto, a quarant'anni non si compete più con nessuno. Si vive la propria vita e si lascia che le altre vivano la loro. Ci si gode i propri uomini e si lascia che le altre si godano i loro (sperando che non siano gli stessi di cui stiamo godendo noi!).
Sono le donne che hanno fatto tappezzeria da ragazze e che continuano a farla da adulte, le sorellastre di Cenerentola, le ex belle decadute... a detestare le bariste scollate, le standiste della fiera dell'auto, le studentesse che ti fanno firmare a favore dell'eutanasia, le compagne di scuola delle figlie con le loro canottierine che lasciano scoperto l'ombelico a forma di ranuncolo, i calzoncini che svolazzano al vento, i bracciali di plastica, gli anelloni trasparenti, il percing alla narice destra.
 
Dopo il ritorno in Italia abbiamo trascorso altri due mesi idilliaci, io e Matteo.
I ricordi del viaggio, le cenette a goulash e patate con la panna, le foto in bianco e nero. Ho girato l'intera città per trovare la cassetta del film "L'insostenibile leggerezza dell'essere". L'avevo già visto tre volte, dodici anni prima. Il nevrotico e impulsivo Daniel Day Lewis, la lasciva e docile Juliette Binoche. La primavera di Praga, lo squassamento dei carri armati sovietici, la rivolta giovanile, gli spari, le minigonne, i tradimenti, l'ottusità contro l'illusione.
L'ho guardato insieme a Matteo, quel film. Lui si annoiava, ricercava i luoghi esplorati insieme a me, li vedeva calpestati da folle prive di significato, ai suoi occhi.
Dopo un mese sono iniziati i guai. I silenzi, le telefonate più rade, il magnetico richiamo verso altri lidi.
Matteo ha avuto una storiella con una ragazza di vent'anni più giovane di me e si è stufato subito. Dai confronti con me lei ne era uscita male. Mi ha raccontato tutto, il tenero Matteo.
Abbiamo ripreso a frequentarci. Andavamo a cena al ristorante messicano o a pattinare al parco "Caterina Percoto", cucinavamo sfarzose pastasciutte, dormivamo insieme.
Una mattina di aprile ho capito che la nostra storia era finita. Parabole di vita diverse... un passato tutto da inventare.
Ci siamo lasciati senza addii lacrimosi, senza rinfacciamenti, senza litigi.


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Ins. 10-03-2003