Scrittori italiani contemporanei
Sergio Barbieri
Ha pubblicato il libro

Sergio Barbieri, Trittici 1997, Lo stupore del vivere, ed. Montedit, 1998, pp. 80, lit.16.000, ISBN 88-86957-45-9

 

Postfazione

di Olivia Trioschi

 
 
Trittico è parola che viene dal greco e significa, letteralmente, "piegato in tre". Trittici sono, secondo l'uso più comune, le pale d'altare divise in tre pannelli, talvolta richiudibili su quello centrale. Tre è il numero divino intorno al quale Dante ha costruito la Commedia; tre sono le unità filosofiche individuate da Kant in ogni discorso; tre, e qui concludiamo un elenco che potrebbe proseguire per pagine, sono le parti in cui Freud ha scomposto la psiche umana.
La storia del tre racchiude, in qualche modo, la storia dell'uomo: ogni epoca e ogni cultura si è specchiata nella magica cifra, cercando in essa un modo per decodificare il mistero del mondo e dell'esistenza. Ci sembra dunque particolarmente suggestiva e ricca di messaggi la modalità espressiva, enunciata fin dal titolo, scelta da Sergio Barbieri per questa nuova raccolta: trittici. Brevi componimenti a metà strada tra prosa e poesia - come ha opportunamente segnalato Franco Coda nella prefazione - rigorosamente divisi in tre parti; alternati da alcune poesie dalla metrica, diciamo, più tradizionale. Nè ci stupisce la scelta di questa tripartizione del testo in un poeta che già da tempo si misura con il trittico per eccellenza, quello che scandisce le nostre vite: il tempo, articolato sia pure poco rigorosomente in passato, presente, futuro.
Barbieri avanza a passi da gigante sulla strada della ricerca di una propria peculiare cifra stilistica, avverte la necessità improrogabile di far coincidere l'esterno con l'interno, la forma con il contenuto: e per questo sceglie il tre. E attorno a questo motivo di fondo costruisce versi che hanno sapore di aforismi, ma che da questi si distinguono per l'articolazione in fasi successive unite da nessi analogici, per la ricchezza di metafore e similitudini proprie del linguaggio poetico. Il quale, si sa, non si impone per evidenza e chiarezza ma penetra nell'anima per potenza evocativa e ricchezza di significati.
"Il Tempo è qualcosa che riempie gli spazi vuoti - recita il Trittico tre. Le luci di queste notti - sfavillanti stelle - / hanno allontanato i tramonti. / Accendi una candela per rischiarare / il sentiero del vento / - nel tempo dell'innocenza bambina". C'è, in queste strofe, un respiro di universo che si riversa da un periodo all'altro, segnato da immagini chiave: all'enunciazione del primo verso, che si offre al lettore con una sua immediatezza sentenziosa, si affiancano le luci delle stelle che per analogia e corrispondenza metrica illuminano di nuovo significato anche il verso precedente: così come il Tempo riempie gli spazi vuoti, allo stesso modo le stelle riempiono di luce e presenze il vuoto dell'universo, allontanando la malinconica dolcezza del crepuscolo; nella terza strofa, poi, lo sfavillio delle stelle viene come coagulato, rappreso, nella luce di un'unica candela che rischiara (non illumina) il sentiero dell'esistenza all'inizio del cammino.
Tutto giocato su trasferimenti di senso, questo trittico ci pone di fronte una possibile lettura in chiave mistico-esistenziale: il Tempo (la divinità, intesa come pienezza di comprensione del senso della vita) è una luce che si mostra compiutamente solo nel buio della notte (la non esistenza, cioè la morte?), quando ogni riverbero del tramonto, ossia della vita, è scomparso. Pallida eco di questa luce è la fiammella che ogni uomo deve saper risvegliare in se stesso fin da bambino, quando l'innocenza del non sapere accompagna i suoi passi, e mantenere viva su sentieri battuti dal vento. Domina quest'ultima strofa l'imperativo accendi - significativamente posto in inizio di verso - che poco spazio lascia alla scelta: preciso dovere di ogni uomo è cogliere in sè questa scintilla d'infinito, questo presagio d'eternità; imperativo reso ancora più categorico dal subitaneo accostamento dell'alito di vento che, facendo tremare la fiammella, pone in evidenza la difficoltà dell'impegno.
Ci siamo soffermati sul "Trittic o Tre" perché ci è sembrato tra i meglio poeticamente riusciti, per quanto anche altri si potrebbero porre sullo stesso livello di stile e significato (penso al " Trittico Due" e al "Trittico Quattro", che infatti sono contigui), e tra quelli meglio rappresentativi di questa particolare fase della produzione di Barbieri. Una fase in cui la percezione talvolta nitidissima della vitale necessità di respirare in armonia col cosmo, trovando o ritrovando in ciò un senso al proprio esistere, si accompagna alla costante ricerca della sintesi, sia espressiva che di contenuti. Come se l'autore sentisse di non avere più troppo tempo da spendere, e da perdere, con parole e pensieri che non vanno direttamente a toccare il battitto segreto della vita..
C'è insomma la volontà di dire, ancora e ancora, ma solo l'essenziale. L'essenzialità è la misura che Barbieri ha avuto sempre ben presente componendo questi trittici, anche laddove emerge una verve polemica che lo porta a sparare nel mucchio delle ingombranti, fastidiose e rumorose fosforescenze televisive. Non è polemica fine a se stessa: è protesta contro tutto ciò che ha fatto dell'illusione - ma non quella vera, sacra, del sogno ("Non chiudete la mano sulla farfalla / quando vi si posa un attimo sul palmo: / lasciate che il sogno sia colorato / ancora per un istante") - la merce più preziosa e ricercata del nuovo millennio. È sacrosanta ribellione contro il potere occulto che ci ha sottratto la capacità di sognare per spedirci tutti in fila "giù da una verde collina a cercare i biscotti del mulino". È rabbioso rigurgito di amore per la vita, singhiozzo anarchico di individualità compressa in una massa miope, accecata dal riflesso della televisione.
Il poeta si è guardato in giro, e si è reso conto che è molto meglio continuare a scavare in se stessi: per continuare a vivere e sognare, per guardare senza orrore il volto dei vecchi - presagi di quella morte che fa paura solo a chi vive senza domandarsi mai il perché.
 
Olivia Trioschi
Per leggere alcune poesie tratte dal libro

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Inserito il 5 agosto 1998