È uscito il n° 132-133
Agosto-Settembre 2003
dell'edizione cartacea de Il Club degli autori
è stata spedita ai soci del Club degli autori il giorno 15 settembre 2003
 
In vendita nelle seguenti librerie
 
 

I grandi Scrittori del Novecento
Testi di Aldo Palazzeschi


Testi tratti da «L'Incendiario», Arnoldo Mondadori Editore, 2001


 
L'Incendiario
 
A F.T. Marinetti
anima della nostra fiamma.
 
 
In mezzo alla piazza centrale
del paese,
è stata posta la gabbia di ferro
con l'incendiario.
Vi rimarrà tre giorni
perché tutti lo possano vedere.
Tutti si aggirano torno torno
all'enorme gabbione,
durante tutto il giorno,
centinaia di persone.
 
- Guarda un pochino dove l'ànno messo!
- Sembra un pappagallo carbonaio.
- Dove lo dovevano mettere?
- In prigione addirittura.
- Gli sta bene di far questa bella figura!
- Perché non gli avete preparato
un appartamento di lusso,
così bruciava anche quello!
- Ma nemmeno tenerlo in questa gabbia!
- Lo faranno morire dalla rabbia!
- Morire! È uno che se la piglia!
- È più tranquillo di noi!
- Io dico che ci si diverte.
- Ma la sua famiglia?
- Chi sa da che parte di mondo è venuto!
- Questa robaccia non à mica famiglia!
- Sicuro, è roba allo sbaraglio!
- Se venisse dall'inferno?
- Povero diavolaccio!
- Avreste anche compassione?
Se v'avesse bruciata la casa
non direste così.
- La vostra l'à bruciata?
- Se non l'à bruciata
poco c'è corso.
À bruciato mezzo mondo
questo birbaccione!
- Almeno, vigliacchi, non gli sputate addosso,
infine è una creatura!
- Ma come se ne sta tranquillo!
- Non à mica paura!
- Io morirei dalla vergogna!
- Star lì in mezzo alla berlina!
- Per tre giorni!
- Che gogna!
- Dio mio che faccia bieca!
- Che guardatura da brigante!
- Se non ci fosse la gabbia
io non ci starei!
- Se a un tratto si vedesse scappare?
- Ma come deve fare?
- Sarà forte quella gabbia?
- Non avesse da fuggire!
- Dai vani dei ferri non potrà passare?
Questi birbanti si sanno ripiegare
in tutte le maniere!
- Che bel colpo oggi la polizia!
- Se non facevan presto a accaparrarlo,
ci mandava tutti in fumo!
- Si meriterebbe altro che berlina!
- Quando l'ànno interrogato,
à risposto ridendo
che brucia per divertimento.
- Dio mio che sfacciato!
- Ma che sorta di gente!
- Io lo farei volentieri a pezzetti.
- Buttatelo nel fosso!
- Io gli voglio sputare
un'altra volta addosso!
- Se bruciassero un po' lui
perché ridesse meglio!
- Sarebbe la fine che si merita!
- Quando sarà in prigione scapperà,
è talmente pieno di scaltrezza!
- Peggio d'una faina!
- Non vedete che occhi che à?
- Perché non lo buttano in un pozzo?
- Nel cisternone del comune!
- E ci sono di quelli
che avrebbero pietà!
- Bisogna esser roba poco pulita
per aver compassione
di questa sorta di persone!
 
Largo! Largo! Largo!
Ciarpame! Piccoli esseri
dall'esalazione di lezzo,
fetido bestiame!
Ringollatevi tutti
il vostro sconcio pettegolezzo,
e che vi strozzi nella gola!
Largo! Sono il poeta!
Io vengo di lontano,
il mondo ò traversato,
per venire a trovare
la mia creatura da cantare!
Inginocchiatevi marmaglia!
Uomini che avete orrore del fuoco,
poveri esseri di paglia!
Inginocchiatevi tutti!
Io sono il sacerdote,
questa gabbia è l'altare,
quell'uomo è il Signore!
 
Il Signore tu sei,
al quale rivolgo,
con tutta la devozione
del mio cuore,
la più soave orazione.
A te, soave creatura,
giungo ansante, affannato,
ò traversato rupi di spine,
ò scavalcato alte mura!
Io ti libererò!
Fermi tutti, v'ò detto!
Tenete la testa bassa,
picchiatevi forte nel petto,
è il confiteor questo,
della mia messa!
T'ànno coperto d'insulti
e di sputacchi,
quello sciame insidioso
di piccoli vigliacchi.
Ed è naturale che da loro
tu ti sia fatto allacciare:
quegl'insetti immondi e poltroni,
sono lividi di malefica astuzia,
circola per le loro vene
il sangue verde velenoso.
E tu grande anima
non potevi pensare
al piccolo pozzo che t'avevan preparato,
ci dovevi cascare.
Io ti son venuto a liberare!
Fermi tutti!
Ti guardo dentro gli occhi
per sentirmi riscaldare.
 
Rannicchiato sotto il tuo mantello
tu sei senza parole,
come la fiamma: colore, e calore!
E quel mantello nero
te l'àn gettato addosso
gli stolidi uomini vero,
perché non si veda che sei tutto rosso?
Oppure te lo sei gettato da te,
per ricuoprire un poco
l'anima tua di fuoco?
Che guardi all'orizzonte?
Se s'alza una favilla?
Dimmi, non sei riuscito a trafugare
l'ultimo zolfino?
Ti si legge negli occhi!
Ma ti saltan dagli occhi le faville,
a cento, a cento, a mille!
Tu puoi cogli occhi
bruciare il mondo!
T'à creato il sole,
che bruci al sol guardarti?
 
Quando tu bruci
tu non sei più l'uomo,
il Dio tu sei!
Mi sento correr per le vene un brivido.
Ti vorrei vedere quando abbruci,
quando guardi le tue fiamme;
tutte quelle bocche,
tutte quelle labbra,
tutte quelle lingue,
non vengono a baciarti tutte?
Non sono le tue spose
voluttuose?
Bello, bello, bello.... e Santo!
Santo! Santo!
Santo quando pensi di bruciare,
Santo quando abbruci,
Santo quando le guardi
le tue fiamme sante!
 
E voi, rimasti pietrificati dall'orrore,
pregate, pregate a bassa voce,
orazioni segrete.
Anch'io sai, sono un incendiario,
un povero incendiario che non può bruciare,
e sono come te in prigione.
Sono un poeta che ti rende omaggio,
da povero incendiario mancato,
incendiario da poesia.
Ogni verso che scrivo è un incendio.
Oh! Tu vedessi quando scrivo!
Mi par di vederle le fiamme,
e sento le vampe, bollenti
carezze al mio viso.
Incendio non vero
è quello ch'io scrivo,
non vero seppure è per dolo.
Àn tutte le cose la polizia,
anche la poesia.
 
Là sopra il mio banco ove nacque,
il mio libro, come per benedizione
io brucio il primo esemplare,
e guardo avido quella fiamma,
e godo, e mi ravvivo,
e sento salirmi il calore alla testa
come se bruciasse il mio cervello.
Come mi sento vile innanzi a te!
Come mi sento meschino!
Vorrei scrivere soltanto per bruciare!
 
Nel segreto delle mie stanze
passeggio vestito di rosso,
e mi guardo in un vecchio specchio,
pieno di ebbrezza,
come fossi una fiamma,
una povera fiamma che aspetta....
il tuo riflesso!
Fuori vado vestito di grigio,
ovvero di nessun colore,
c'è anche per le vesti una polizia,
come per le parole.
E quella per il fuoco
è tremenda, accanita,
gli uomini ànno orrore delle fiamme,
gli uomini ser î,
per questo ànno inventato i pompieri.
 
Tu mi guardi, senza parlare,
tu non parli,
e i tuoi occhi mi dicono:
uomo, poco farai tu che ciarli.
Ma fido in te!
T'apro la gabbia và!
Guardali, guardali, come fuggono!
Sono forsennati dall'orrore,
la paura gli à tutti impazziti.
Potete andare, fuggite, fuggite,
egli vi raggiungerà!
E una di queste mattine,
uscendo dalla mia casa,
fra le consuete catapecchie,
non vedrò più le vecchie
reliquie tarlite,
così gelosamente custodite
da tanto tempo!
Non le vedrò più!
Avrò un urlo di gioia!
Ci sei passato tu!
E dopo mi sentirò lambire le vesti,
le fiamme arderanno
sotto la mia casa....
griderò, esulterò,
m'avrai data la vita!
Io sono una fiamma che aspetta!
Và, passa fratello, corri, a riscaldare
la gelida carcassa
di questo vecchio mondo!
 

 
La fiera dei morti
 
I poeti cantano
malinconicamente
questa fiera;
tutti alla stessa maniera,
questa giornata grigia o nera.
(Ma si può benissimo cantare
anche in un'altra maniera).
Dice che sempre piove
un'acquerugiola trita,
che tutto fiorisce nel fango
in una primavera di pillacchere.
Le solite antiche fole
della solita antica gente!
Oggi invece non piove,
splende un magnifico sole;
il tempo ci porta le sue cose nuove.
Avete dei pensieri neri?
Veniteli a svagare
dentro i cimiteri.
 
Potete entrare, avanti,
fatevi tutti avanti,
sono spalancate le porte,
anche per chi non c'à persone morte!
Tutti possono andare,
girare a proprio piacimento;
anche un poeta ci si può benissimo intruffolare
per suo divertimento.
Le solite baracche dei saltimbanchi
fuori dei cancelli;
quella classe sociale che à per mira
di far conoscere agli uomini,
meglio assai degli astronomi,
che il mondo gira.
Scimmie vestite da ballerina,
oppure alla militare;
una se ne va di braccetto
con un sergentino,
un'altra cerca di trascinare
un caporale dietro in una stanza;
una vestita da serva
è tutta affaccendata per spazzare,
un capitano dà uno schiaffo
a un'ordinanza pietrificata.
Donne che gridano a squarciagola
di alcuni miracoli scientifici,
l'ultima portata della scienza
alla portata di qualunque sapienza,
strane fisiche psicologiche deformità!
E i buoni festaioli
se ne stanno davanti in perplessità.
Trombe tamburi piatti,
tutti gridan come matti:
è la fiera dei morti!
I dolci fatti lì, immancabili dolci,
che tutti stanno ad aspettare,
le calde arroste
che non riparano a castrare.
 
Nelle osterie si suonano chitarre,
si cantano canzonette paesane,
gli ultimi stornelli popolari,
o romanze napolitane.
 
Dai beccai pendono sanguinanti,
fenomenali, i primi ottimi porci,
quelli d'ognissanti,
che àn già sentito il primo freddo dei morti.
E sui banchi, ammassata,
oppure tortuosamente attaccata,
chilometri di salsiccia,
che sembra l'ammasso degli intestini malati
di tutti i morti.
I salumai ànno appesi
i salamini nuovi, cotechini,
zamponi, mortadelle;
e viene fino sulla strada
un odore stuzzicante
di lepre e di pappardelle.
Tutti si riversano a mangiare
a crepapelle.
 
I carabinieri a cavallo
coi loro pennacchioni rossi,
si fanno posto trionfanti
nella calca stordita dei festanti.
 
Ai cimiteri ci si può andare
coi fiori, e senza i fiori,
ma anche il più insopportabile,
lontanissimo parente,
si può aspettare quel giorno un fiore
dalla sua antica gente.
 
I morti non sono uguali,
come credono tutti,
e sopratutto, non sono muti,
quelli almeno dei cimiteri
sono indecentemente ciarlieri.
Sulla pelle della loro faccia marmifica,
meglio assai che sui vivi,
si qualifica la fisionomia
caratteristica.
«Qui riposa
«l'uomo dalle rare virtù:
«Telemaco Pessuto
«d'anni cinquantatre,
«padre e marito esemplare.»
Se t'avessimo incontrato vivo,
che l'avrebbe saputo?
Tutti gironzan leggendo
più o meno speditamente,
alcuni sillabando.
Ma non sapete che quelle parole
che voi leggete con indifferenza,
sono la faccia dei morti?
Tutte quelle espressioni di dolcezze,
sono l'espressione delle loro fattezze?
 
Oh! Curiosa combinazione!
«Celestina Verità
«d'anni novantasette
e accanto:
«Peppino
«d'anni tre
«dei coniugi Del Re.»
Strana combinazione!
Quale fu, di voi due, la vostra mèta?
Dovevate ognuno campare cent'anni,
oppure, Peppino Del Re,
Celestina Verità,
faceste involontariamente
della vostra vita
una così parziale società?
Fu Peppino che ti giunse, o Celestina,
e ti trasse inaspettatamente
tre anni dalla vita?
O tu, Peppino, nascendo,
trovasti i tuoi anni
quasi tutti consumati
dalla Celestina?
Uno di voi fu il parassita
dell'altro.
 
Che poco posto occupano i morti,
meno assai del naturale.
E qualcuno di voi fu padrone
da solo d'un podere,
che sempre gli sembrò tanto piccino!
Quelle alte pareti
con tutte quelle teste fitte fitte,
nell'immobilità,
sembrano quelle di un loggione
per una straordinaria rappresentazione.
E tutti gironzano indifferenti,
sgusciando calde arroste,
succiando confetti, o i duri di menta,
leggiucchiando senza fede
le ciarle di quei poveretti.
Gli uomini accorti,
che passeggiano sempre fra i vivi,
non vedono il momento
di passeggiare fra i morti.
I vivi àn delle facce,
che per quanto espressive, sono mute,
e una faccia per bene
la possono avere anche i mascalzoni,
invece le facce dei morti
sono piene d'ottime informazioni.
Se incontrate per via un giovine pensoso,
come potete sapere se sia virtuoso?
 
In cima al camposanto,
sopra un grande palcone
improvvisato per l'occasione,
si mettono i teschî all'incanto.
Lo circondano pigiate
centinaia di persone,
fissano l'atletico allottatore
che grida fiocamente a squarciagola.
Intorno è pieno di carabinieri,
- Quattro!
- Cinque!
- Otto!
- Dieci!
- Quindici soldi!
I primi vanno a ruba!
- Si delibera signori!
I più frettolosi pagano i teschî
anche più d'una lira.
Molti aspettano che la gara cessi
e il prezzo ribassi.
- Quattro!
- Sei!
- Otto!
Una giovine sposa
si stringe al braccio del suo sposo
tutta piagnucolosa:
- Comprami quel teschio.
- Stai zitta! - Le dice il giovinotto
- Comprami quel teschio,
- Stai zitta grulla,
verso sera gli daran via per nulla.
- Dieci!
- Undici!
- Dodici!
- Si delibera signori!
- Comprami quel teschio.
- Stai zitta t'ò detto,
non vedi ch'è un teschiaccio vecchio?
- Comprami quel teschio.
- Se non stai zitta ti porto via;
- Potrebbe essere il teschio della mamma mia.
- Ma che mamma mia!
- Cosa c'è stato laggiù, lontano?
- Corrono i carabinieri!
- Dove corre tutta quella gente?
- Ànno arrestato quel nano
che vendeva i teschi di seconda mano.
E per le vie polverose,
per le serpeggianti vie campagnole,
in un bel tramonto pieno di vapori
di fiamme e di viole,
la gente se ne torna
dai camposanti allegramente.
E ogni buon diavolaccio
se ne viene col suo teschio sotto il braccio.
 

 
Le Beghine
 
Frammenti di penne di struzzo,
tentennanti
polverose, intignate,
su piccoli cestini
in forma di nido d'uccello;
questa è a un dispresso
la forma del loro cappello.
Roselline consumate, scolorite,
indecifrabili tinte,
stinte e ritinte;
fiorellini impossibili,
a ciuffettini a mazzettini,
velettine come ragnatele,
tutte bucherellate,
su sulla fronte rialzate
e molto tirate;
di dietro un nodino
col suo ciondolino.
O cappelli in forma
di piatto regolare,
proprio nel mezzo
un pennacchio strano,
la punta d'una vecchia
penna di fagiano
messa tutta per ritto.
Pennine di galline,
di tacchino, di galletto,
di cappone, tutto tutto sta bene
sopra i cappelli delle beghine.
Mantiglie di vecchio pizzo,
con guarnizioni di gè,
di tibet, a sproni di velluto,
a guaine, con galicine
di piccole trine.
Giacchetti pieni di fianchette,
e con gala alla vita,
sul petto, e sopra le spalle,
sottane con crespe,
avanzi di cerchi qua e là,
rimasugli di tornù,
tutte bellissime cose
che non si vedono più
che alle beghine.
Alcuna, per suprema dedizione,
veste alla foggia dei preti,
col suo bravo collare;
qualcuna con compassata
serietà monacale.
 
Ma tutte, tutte
siete un pochino studiate.
Come mi piace di guardarvi!
Vi aggirate, vi aggirate
piene di compunzione,
d'importanza e di pratica,
piene di etichetta,
per la vostra reggia prediletta.
Fra gli ori, fra i damaschi,
i pizzi degli altari,
i doppieri i candelabri,
andate e venite
come in casa vostra.
Inchini secchi
di gambe irrigidite.
Mi sembra di sognare
alle decrepite reggie
di spodestati re centenari,
che tutto crepita crepita.
V'alzate, andate, venite,
v'inchinate, v'inchinate,
vi ringinocchiate.
 
Le vostra facce
sono pugni di rughe,
i vostri colli sbucano,
si muovono fra i cenci,
come colli di tartarughe.
I vostri occhi quilquiano
dalle infossature,
con fare di puntiglio,
di sussiego, di piccosità,
di superficialità,
per la vostra interiore
grande sicurità.
 
Dite, nella purità
siete così avvizzite,
o nel vizio?
Come riconoscere
dai vostri avanzi?
Eppure siete ancora civette!
Vi ungete, vi tingete malamente
gli ultimi capelli,
portate finte trecce,
riccioli finti, tinti
d'un altro colore;
avete il vestito per le feste,
e le feste siete meste,
meste e cocciute;
la gente che riempie
la chiesa di colori
vi urta, vi dà noia,
non è più la vostra casa
dove dovete regnare,
la vostra reggia,
perché in ognuna di voi
c'è un fondo di regalità grottesca.
Camminate a saltelli,
o nella massima compostezza,
taluna stampellando per la gotta,
talaltra con un far da piruette,
con mosse paralitiche del capo.
 
Cosa foste? Cosa siete?
Vecchie cameriere pensionate?
Dame decadute?
Taluna di voi non fu ballerina,
taluna coccotte?
Ballerina, coccotte!
Come siete ridotte!
V'intanaste nell'ostinazione
della purità, o nessuno vi volle?
O conosceste bene l'amore?
Ecco il mistero
che m'interessa in voi.
L'amore! Voi!
Quanti anni sono ormai?
Io penso a denudarvi,
cavarvi i vecchi giacchetti sbiaditi;
i sudici panciotti
che v'ammassate addosso
per la paura delle polmoniti,
spogliarvi, spogliarvi
di quel sudicio fasciume,
e avervi nude dinanzi.
Gobbe, torte, mostruose,
farvi rinascere per un istante solo
un brivido del più orribile desiderio,
vedervi ballettare dinanzi sconciamente,
stampellare ridendo aizzate,
le più vergini vorrei,
magari quella
che non fu toccata mai,
e darvi i miei vent'anni!
Sentirvi sotto cigolare,
stridere, cricchiolare;
schiacciarvi, pestarvi,
darvi la più orribile gioia,
il più feroce martirio!
(Le vostre bocche
sdentate, sinuose,
mi fanno vedere
libidini mostruose.)
Contaminarvi tutte,
tutte, darvi odio amore scherno,
perdervi, gettare in un sol pugno,
al vento, tutte le vostre preghiere,
eppoi lasciarvi ridendo!
Via! Via! Via!
Cosa vedo dinanzi? Chi?
Nuda dinanzi a me,
la madre di mia madre,
la vecchia....
No! lo giuro!
Non le ò mai toccate, le beghine,
mi piace solamente di guardarle.
 

 
E lasciatemi divertire!

(Canzonetta)

 
Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
 
Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!
Cosa sono queste indecenze,
queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche!
Sono la mia passione
 
Farafarafarafa,
Tarataratarata,
Paraparaparapa,
Laralaralarala!
Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie.
 
Bubububu,
Fufufufu,
Friu!
Friu!
Ma se d'un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?
 
Bilobilobilobilobilo,
blum!
Filofilofilofilofilo,
flum!
Bilolù. Filolù.
U.
Non è vero che non voglion dire,
voglion dire qualcosa.
Voglion dire....
come quando uno
si mette a cantare
senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.
 
Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!
Ma giovinotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?
 
Huisc.... Huiusc....
Sciu sciu sciu,
koku koku koku.
Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.
 
Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.
Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro,
gli daranno del somaro
 
Labala
Falala
Falala
eppoi lala
Lalala lalala.
Certo è un azzardo un po' forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì
a tutte le porte.
 
Ahahahahahahah
Ahahahahahahah
Ahahahahahahah.
Infine io ò pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!
 

 
Ginnasia e Guglielmina (*)
 
Ginnasia e Guglielmina
sono due belle cenerine,
le mie care sorelline.
Una persona in voga come me,
non può far senza
delle sorelline,
ce ne vogliono almeno due o tre.
Pio Decimo à le sue,
come ogni buon uomo alla moda,
due ottime sorelline
colle quali andare a spasso per la mano
nei giardini del Vaticano.
Giovanni Pascoli,
ch'è il primo poeta d'Italia,
à anche lui la sorellina,
ne à una, ma che ne vale due.
Le belle cenerine
sono le mie sorelline.
 
Pire pire pire pire pire!
Eccole come corrono
le mie pirine,
le due ragazzine civette,
come corrono, le mie belle sculette!
Come siete carine
con tutte le vostre
pennine cenerine.
Uh! Se siete ingrassate,
brutte mangione, che non sapete far altro
delle vostre giornate.
Venite belle cocche,
venite pirine dal vostro Bubù,
dal vostro gallettino rosso.
Vi metterò il fioccone,
il fioccone rosso,
del colore del vostro padrone,
che fa pandà col bel crestone,
che sembra un cappellino di Parigi
d'ultima moda,
le mie civettone.
 
Non fate che lisciarvi e carezzarvi
le pennine,
proprio come due sorelline
ch'àn da trovar marito.
Sono io il vostro gallettino,
il vostro Bubù;
non mi volete più?
Brutte sgualdrine!
Come vi voglio bene,
come ci sto volentieri
insieme con voi!
Siete due sorelle deliziose,
con tutte le grullerie,
le stupidaggini di due ragazzine,
ma che non ànno lingua
altro che per dare
una grande consolazione
al loro caro fratellone.
Oh! Io non sto più in me
quando sento:
cococococococococodè
cococococococococodè
cocodè cocodè.
E la gioia che provo
quando vengo a prendermi
quel bell'uovo!
Il vostro bel regalo, sorelline garbate
Il cibo miracoloso per la mia salute.
L'uovo fresco delle cenerine
il mio cibo prediletto.
 

(*) Nell'intimità: Stellina e Cometuzza.

 

 
Il pranzo
 
E anche i pranzi e le cene
devono essere numeri del programma
della gente perbene.
Si pranza così felicemente da per sè,
nella più completa libertà,
ma bisogna sottostare,
come si fa?
Un pranzo di etichetta
in tutta la stagione,
qualche pranzo famigliare,
e per non crepare di noia, ogni tanto faccio
una cenetta alla Boccaccio.
Io prendo posto al centro della tavola,
alla mia destra Ginnasia,
a sinistra Guglielmina,
in fronte Cherubina
come padrona di casa.
 
Io che faccio le mie cene
con un uovo, o con due frittelline,
e me ne avanza,
che disgusto provo
al passare d'ogni nuova pietanza,
che mi conviene un po' assaggiare
per la buona creanza.
La cena procede con brio,
con molta eleganza.
Chi si diverte meno sono io.
Se non fosse Stellina,
se non fosse Cometuzza!
Ogni tanto vengono a beccare nel mio piatto,
io rido come un matto.
Oppure saltano in mezzo al tavolo,
e si mettono a beccare i fiori del bocchè
come se fosse un cavolo!
Che gioia per me!
Se non fosse Cherubina
con qualche sua smorfiettina
piena di simpatia!
Dà uno scappellotto
al servo che le porge il vassoio,
si prende un mezzo pollastro
tutto per sè!
Si leva qualche cosa
dalla sacca della gola
e la mette nel piatto del vicino.
Caccia un osso dentro una bottiglia
eppoi ci va a guardare piena di meraviglia.
Mangia un pochino troppo colle mani,
buffa, buffa!
(Qualche invitato forse sbuffa).
Che cosa ci posso fare
se la padrona di casa
è una birichina?
Alle volte perfino
si mette col suo culo sul suo piatto!
(Mi par che gl'invitati si scandalizzino!)
Io divento matto!
E Cherubina lo rifà.
Ma queste sono vere indecenze,
è troppo, sono veri orrori!
(Qualcuno deve gridare!)
Infine Cherubina à ragione,
io vi ò invitato ad una cena boccaccesca,
miei nobili signori!
 
E alla meglio,
anche i pranzi e le cene passano,
e la quiete desiderata
ritorna nel mio bel castello.
 
 

Aldo Palazzeschi


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I grandi scrittori del Novecento: Aldo Palazzeschi un saltimbanco tra fantasia e divertissement
di
Massimo Barile

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