LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Vladimiro Furlan
Ha pubblicato il libro
Vladimiro Furlan - Affinità tradite

 
  
 
 
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
 
15x21 - pp. 324 - Euro 1500
 
ISBN 978-88-6037-6107

 
In copertina fotografia di
Arturo Tremolada
 
 

 
 
Pubblicazione realizzata con il contributo de
IL CLUB degli autori in quanto l'autore è finalista nel concorso
letterario «Il giro d'Italia delle Poesie in cornice» 2004
Prefazione
Incipit

Prefazione
 
 
Le «Affinità tradite» di Vladimiro Furlan è un romanzo che si alimenta, pagina dopo pagina, di atmosfere romantiche e, nella sua scrittura, l'Autore infonde un alone evocativo che impregna i protagonisti fino a insinuarsi nel profondo del loro animo.
Tutto il romanzo vive quasi in uno stato di sospensione nel tempo, di eterno fluttuare tra la concezione dell'amore e il senso della perdita: sicuramente lontano dai luoghi comuni, dalle facili riflessioni o disquisizioni, anzi, Vladimiro Furlan è sempre teso a scandagliare ogni pensiero, ogni movimento, ogni inquietudine.
Ne emerge la considerazione che, davanti ai sentimenti, tutti siamo indifesi, siamo disarmati: e si rivela l'immensa felicità così come può esplodere il conflitto interiore, come può avvenire la caduta nell'abisso.
La storia raccontata viene esaltata dalla bravura dell'Autore, dalla sua capacità narrativa che fissa, con mano sapiente, ciò che deve essere reso nel miglior modo possibile, così come si spinge ad affrontare il lato oscuro dell'essere umano, le sue contraddizioni, le sue scelte inevitabili: a partire dalla protagonista Anna, che fa un voto di castità alla divina provvidenza, mettendo a rischio il rapporto affettivo con il suo ragazzo e poi, dopo la frantumazione e l'amara disperazione, ecco l'incontro con Paolo, un uomo di una forte integrità morale, un uomo di cui lei ha fiducia: "a lei bastava anche dirgli pochi particolari che lui avrebbe certamente capito". Lei, che amava liricizzare ogni argomento, che viveva un'esistenza inquieta e s'era trovata a fare i conti con l'amore deluso che conduce alla disperazione, alla pazzia.
E poi, nella trama del romanzo Vladimiro Furlan, rende dominante la figura del "poeta", un uomo con la passione di scrivere biglietti "in modo romantico" e fissare i migliori momenti della sua vita, quasi un biglietto ogni giorno con frasi sull'amore universale, sulla libertà, sull'amicizia, sull'arte e via dicendo. Un uomo che viveva da solo, che amava viaggiare, che aveva perso sia la moglie che la figlia proprio durante la gravidanza della donna amata. Proprio lui che aveva deciso di non scegliere, di non impegnarsi più, "tradendo l'amore" quasi a finire per dare poca importanza alla vita stessa senza voler più capire né sapere "cosa provano le altre persone".
Proprio lui incontrerà una bellissima vedova che lo troverà quasi moribondo dopo un'aggressione subita e lo salverà e lo curerà amorevolmente: quasi il destino avesse voluto farli incontrare.
Ecco allora farsi chiaro e luminoso l'atto di salvazione dell'Uomo, la presa d'atto finale della rivelazione che l'Uomo può salvarsi solo con l'Amore: non è che una semplice considerazione che ricorda come è fondamentale "amare e basta".
Abbandonando le paure, gli egoismi, il misero tornaconto, le false apparenze: in quel momento e solo in quel momento, saremo davvero noi stessi davanti al nostro specchio, finalmente avremo uno scopo nella vita e il cuore sprigionerà tutta la sua energia. Magari per troppo tempo tenuta soffocata o ancor peggio incatenata.
 
 
 

Massimo Barile

 

 

Affinità tradite
 
"Non è vero che non ti amo.
Se penso a te, cammino per strada a un metro d'altezza.
La voce del vento, tra gli alberi e le spighe, parla del nostro amore.
Quando mi sfiori provo i brividi dell'erba sotto la falce.
Se mi baci mi mescolo al cielo e al mare.
Prima di te la felicità non aveva un nome: e tu osi azzardare che non ti amo abbastanza. Io non so se ti do tanto o poco, mi limito a offrirti il tutto di cui sono capace".
Mentre pronunciava le parole, Anna manteneva gli occhi chiusi a fessura, un po' perché intendeva sottolineare la sua collera, ma perlopiù per cogliere meglio le espressioni del volto del suo fidanzato.
"Lo so che mi ami", insisteva questi, "quello che mi è impossibile comprendere è il fatto che dobbiamo rimanere quaranta giorni senza un solo abbraccio intimo: perché?"
"Ho fatto un voto. Ho domandato un favore alla Divina Provvidenza. Sul piatto della bilancia ho posto un periodo di castità. Non mi interrogare oltre, per favore".
Anna, fin da bambina, prima in casa, poi tutti gli abitanti del villaggio, l'avevano soprannominata "principessa": anche quando era cresciuta avevano mantenuto tale appellativo.
Ma, più che principessa, per il suo compagno era la regina degli esseri umani con i grilli in testa.
Dato che frequentava Anna, la principessa, in paese qualche bontempone aprostrofò l'amato di conseguenza: anch'egli divenne principe.
I primi tempi ritenne il fatto molto irritante; poi si adeguò; alla fine, chi lo chiamava usando il suo nome di battesimo gli causava un lieve disagio.
Egli amava Anna, la adorava. Non era una seduzione conseguente le qualità innate, ne era oltremodo sicuro di questo.
Ardeva per lei, e mai si era interrogato perché le volesse tanto bene; presentiva che ogni cellula del suo organismo aveva scelto lei, e questo gli era più che sufficiente; nondimeno certe volte la biasimava per come si atteggiava nei confronti dell'amore e della loro intesa;
Quando lei si cacciava in testa un'idea, in genere, era tempo sprecato osteggiarla nella speranza di vederla recedere dai suoi disegni.
Era consigliabile smaltire altrove la delusione.
Dal giorno dedicato alla castità, in poi, continuarono a frequentarsi; tuttavia Anna non si lasciava avvicinare per timore di essere contagiata dal desiderio domato del suo uomo.
Onde basse, mosse da una brezza leggera, facevano crespare l'acqua del lago. Nel tiepido pomeriggio egli stava seduto sulla chiglia di una barca rovesciata, adagiata sulla battigia.
Osservava due pescatori intenti a riparare un'imbarcazione, unico bene materiale il quale garantiva loro un po' di indipendenza economica, spesso inizio della libertà oltre che garanzia di precaria sopravvivenza.
Per qualche istante cercò di immedesimarsi in loro. Si chiese cosa avrebbero fatto i pescatori al suo posto, in una situazione del genere, ma non trovò la risposta.
Erano trascorsi parecchi giorni spesi senza carezze e baci languidi; il principe più ci pensava, più considerava matta la propria donna, se non proprio pazza, irrazionale ed egocentrica.
Ma pur di aiutarla a mantenere una promessa scritta nel vento, egli intendeva assumere un dignitoso distacco e gettava continuamente sabbia sul fuoco delle pulsioni quando lei gli si avvicinava.
Al principe non riusciva facile leggere la bontà e malvagità degli uomini perché egli non essendo uno sciagurato non poteva rilevarne i particolari; doveva tuttavia sciogliere la briglia alla propria fantasia e cercare di capire cosa stava accadendo e perché proprio a lui.
L'acqua del lago era accarezzata dalla breva; alcune anatre selvatiche si tuffavano nel canneto per attendere la notte. Le ombre si allungavano, l'aria era un po' umida, ma dolce da sentire sulla pelle. I pescatori avevano terminato la riparazione della barca e riposti gli strumenti di lavoro si avviavano alle loro famiglie soddisfatti, cantando. Fu allora che il principe intese più forte il suo tormento.
Scese dalla chiglia anchilosato e un po' intirizzito; mosse alcuni passi in direzione della sua dimora. Da come rispondevano gli arti inferiori gli pareva di non aver camminato da cento anni, ma erano il cuore e il resto che gli pesavano smisuratamente. Negli ultimi giorni si sentiva molto vecchio, aveva la sensazione di chi si ritiene inutile per sé e agli altri; era una percezione ingiustificata visto che nella sua corte e tra gli amici vi era la vita e il chiasso di sempre.
Non era buio eppure i piedi avevano difficoltà nel riconoscere la strada di casa. Le braccia oscillavano come gli arti di un cieco o di chi annaspa aggrappandosi all'aria dopo una sbronza. Non c'era nulla di così grave per attuare una drammatizzazione del genere; allora perché tanta, pietosa scena?
Mentre le gambe deambulavano insicure, il principe riandava al loro primo incontro: c'era un ventaglio in un caldo pomeriggio e poi cascate di parole in un mare dolce. Rievocava il giro largo oltre un mese per poterle toccare le mani, ricordava quando con la fantasia le accarezzava i seni. Rimembrava che seguirono promesse appese al cielo, volontà dichiarate sulla neve, impegni pronunciati a bassa voce. Il principe bofonchiava per tenersi compagnia, ricordava per darsi coraggio e dignità, per sopportare con meno malessere quella odiosa faccenda.
Sul sentiero ormai non si vedeva più traccia di animale; perfino le formiche, sbarrate le porte dei loro cunicoli, si erano ritirate per godere il meritato riposo mentre la luna stava attuando alcuni tentativi per accendersi. Si ricordò che qualcosa aveva impedito loro di tenersi per mano e di comunicarsi amore sotto la luna, forse il destino aveva deciso che ciò che non era accaduto mai più potesse succedere. Com'era strano, senza rendersi conto i piedi lo avevano portato a casa senza sbagliare neanche i gradini falsi che bisognava salire per raggiungere la stalla.
Non aveva nessuna voglia di vedere persone, perciò, in un angolo, radunò un po' di fieno e di paglia e dopo averla riassettata per bene si coricò sopra.
Appena disteso, l'odore del fieno lo investì e gli fece desiderare di vivere o di morire su un prato verde con piccoli punti colorati seminati dal vento. Non sentiva più le gambe, le braccia divennero pesanti, il respiro non tradiva nessuna emozione. Quando le palpebre si abbassarono comparve il viso della principessa, sul volto gli si accese una specie di smorfia difficile da interpretare e precipitò in un sonno vorticoso.
Il principe per preparare il giaciglio era ricorso al chiarore di una piccola torcia la quale non essendo stata spenta disegnava ombre di personaggi e di battaglie in un angolo della stalla. Il luogo sembrava invaso da fantasmi e da folletti che danzavano e si rincorrevano in uno strano gioco propiziatorio, il rito pareva riguardasse il principe. Mentre dormiva i tratti somatici del suo volto parlavano per lui, raccontavano della sua infanzia, dei giochi, della mamma, della sua amatissima principessa.
La torcia andava via via consumandosi, la sua lunghezza però si riduceva al rallentatore, come non volesse esaurirsi mai. Ad un certo punto la fiamma arrivò a lambire un filo di paglia il quale resistette finché potè, alla fine prese fuoco. Il filo di paglia trasmise il calore a un altro il quale coinvolse due fili di erba secca; in pochi istanti ci fu un coinvolgimento totale con piccole lingue di fuoco che mordevano l'aria in una crudele manifestazione di sfida.
Il principe si svegliò di soprassalto, non si rendeva assolutamente conto di cosa stesse accadendo, né dove fosse; i suoi movimenti concitati avevano un solo obiettivo: salvarsi a dispetto degli eventi. Nel suo scomposto cercare salvezza urtò una catasta di pali di legno i quali gli rovinarono addosso. Un sordo rumore scaturì dall'impatto di un'asta con la sua testa, un odore indefinito e acre si impadronì dei tessuti cavernosi del suo naso; il buio e il freddo gli nacquero tutt'intorno.
Non si sa quanto tempo trascorse. Quando fu dato l'allarme gli addetti alla stalla accorsero ma non si potevano avvicinare a quello che ormai era divenuto un rogo senza speranza di salvare la benché minima cosa. Gli inservienti imprecavano contro la sfortuna, avevano frasi di pietà per gli animali che prigionieri stavano finendo carbonizzati. Nessuno tra i presenti aveva azzardato la domanda su come poteva essere accaduto un disastro del genere, perché si sa come vanno queste cose, uno si apparta, si distrae, ha bevuto un po', magari è in lieta compagnia e tra un sospiro e una carezza ha combinato l'enorme guaio. Inutile indagare tanto non lo si viene mai a sapere.
L'alba cedeva il passo all'aurora quando i primi recipienti colmi d'acqua furono rovesciati su ciò che rimaneva della costruzione. In poco tempo le braccia volenterose sedarono un fuoco ormai pago. Se piccoli sussulti di fiamma comparivano ogni tanto, puntualmente uno scroscio d'acqua reprimeva ogni velleità. Solo quando non rimase che un cumulo rettangolare di travi e tegole fumanti i soccorritori, esausti, rientrarono nelle loro case.
La notizia dell'incendio non si propagò perché avrebbe messo in cattiva luce il governo della casa del principe; guai a far trapelare certi fatti che accadono nelle famiglie o tra i dipendenti. Certe notizie indeboliscono il prestigio e la credibilità agli occhi degli amici e dei nemici. C'è chi in poche parole esprime il concetto: "I panni sporchi meglio lavarli in famiglia".
Erano trascorsi alcuni giorni dall'ultima volta che Anna aveva parlato col suo amato. Giorni di tortura perché sentiva il desiderio di dire in modo convincente e di dimostrare con i fatti il suo infinito amore. Ma il tremendo conflitto interiore, le responsabilità etiche e morali, la questione religiosa, i doveri familiari e un po' di non celato orgoglio imbavagliavano il suo dire e il suo atteggiamento.
Più le ore passavano più si convinceva che si era cacciata in un pasticcio dal quale non vedeva l'ora di uscirne.
Nei giorni appena trascorsi, alla casa del suo amato aveva fatto pervenire alcuni messaggi dove lasciava intendere che la sostanza del suo atteggiamento non era cambiata nonostante il dispiacere e il disagio che creava a entrambi. Ma il loro amore era al riparo dalle insidie, e per quanto la riguardava si convinceva sempre più che non c'era uomo al mondo che avrebbe potuto sostituirlo né ora né mai nel suo cuore.
Benché si fosse esposta, quasi umiliata, non ebbe l'agognato responso. Le sarebbe bastato un messaggio di due parole, oppure un fiore, per capire che dall'altra parte c'era non solo amore, ma tanta comprensione, tolleranza, rispetto e un po' di spirito di sacrificio; invece non veniva alcuna risposta, nessun segnale.
"Il possedere non gratifica" pensava tra sé, "Gli ho dato tutta me stessa, ho messo nelle sue mani il presente e il mio futuro, tutti i sogni e ogni mia speranza, possibile che sia così sordo al grido di aiuto, al mio bisogno di avere conferme sulla sua convinta volontà di dividere con me i suoi giorni?
Non è possibile che il nostro rapporto si sia miseramente frantumato su uno scoglio messo lì non so neanche perché. A pensarci bene sembra una beffa, un gioco perverso e crudele, attuato e condotto da una mente diabolica. Sembra un incubo che riguarda qualcun'altro; pare una storia brutta citata come esempio per migliorare i rapporti tra le persone che si amano, una storia che deve servire da monito per non far commettere leggerezze e stupidità".
Più Anna guardava il proprio atteggiamento con occhio e mente distaccati, più non si riconosceva. Un'altra donna aveva preso il suo posto per guastare la più bella, la più struggente storia d'amore. Non poteva condividere né i pensieri né l'atteggiamento di quella donna, in quanto costei continuava a rodersi dentro e piangersi addosso, ma non faceva nulla di concreto per recuperare quanto prima la situazione.
Se il principe non aveva risposto all'appello era perché, risentito, doveva subire una situazione apparentemente sballata, decisa con leggerezza in maniera univoca. Una prova inutile che non avrebbe dimostrato niente.
Forse nella sofferenza e nello smarrimento si era dato al vino, oppure a cattive compagnie o peggio avrebbe cercato consolazione tra le braccia di qualche dama compiacente. Nella sua condizione sarebbe stata un'eccezione non finire nel letto di qualche fanciulla, visto che il principe era il soggetto sognato da tantissime donne di quella regione. Stato di diritto o di necessità avrebbero senz'altro portato qualsiasi maschio maturo a confrontarsi con il proprio stato di equilibrio. Qualsiasi essere umano in certe situazioni deve fare i conti con le proprie e le altrui pulsioni.
Tutto questo ossessivo rimbalzare di pensieri, di preoccupazioni, di gelosia mista a orgoglio ferito produceva una miscela velenosa per le cellule del suo cervello al punto di non saper più riconoscere amore e antipatia, desiderio represso da liberare e voglia di ferire. Non riusciva più a coordinare con precisione i movimenti del suo corpo, aveva difficoltà nel tenere a bada ciò che le rimaneva dei sentimenti. Forse il suo errore maggiore era di rinchiudersi. Se avesse incontrato persone, si fosse applicata a scrivere oppure colorare qualcosa come fosse un giuoco, avesse attivato il suo dinamismo invece della sua voglia di espiare, forse le avrebbe giovato.
Contava invece quante fossero le ore in compagnia della sua virtuosa solitudine, e magari appena le si fosse presentata l'occasione tale scelta l'avrebbe fatta pesare come positiva.
Fu una sua amica a cercarla e vedendola in quelle condizioni cercò di sapere cosa le stesse accadendo. Sulle prime ci fu una notevole difficoltà a farle dire cosa la tormentava, ci volle molta pazienza e tanta curiosità da parte dell'amica per indurla a rivelare il motivo del suo dispiacere.
Anna aveva una terribile necessità di sfogarsi con qualcuno, ma si tratteneva più che altro per timore di sembrare ridicola. C'era in tutto quello che stava accadendo un vago sapore di partita beffarda innescato con poca convinzione che rivelava il suo effetto pernicioso.
Le due amiche stavano sedute l'una di fronte all'altra; Anna aveva una strana smorfia che le disegnava il viso. I suoi capelli, piccola meraviglia luminosa di cui parlava il villaggio, avevano un aspetto senza nerbo e il colore si stava disperdendo. Eppure l'aria era quella di sempre, perché su Anna agiva come fosse carta vetrata? non solo per i capelli.
L'amica si fece più vicina fino a sfiorarle la mano. Anna ebbe un piccolo sussulto come fosse stata svegliata all'improvviso nella notte. Voleva ritrarre la mano perché sentiva un po' d'imbarazzo, non riusciva a decifrare se il contatto con l'altra persona fosse piacevole o sgradito. Stare a contatto epidermico con un altro essere umano era ciò di cui sentiva bisogno, ma non era un'amica ciò che rivendicava il suo corpo, tutta la sua mente. In un momento diverso tenere la mano nella mano dell'amica avrebbe significato amicizia, solidarietà e fraterno affetto; perché ora sentisse quasi disagio apparentemente non se lo sapeva spiegare.
Era strano constatare che un gesto di calore umano potesse essere male interpretato dal suo istinto. Eppure conosceva da molti anni l'amica, non c'erano mai stati fraintendimenti, perché allora quel gesto di selvatica ritrosia, possibile che non fosse in grado di gestire il suo comportamento?
L'assistenza dell'amica si stava trasformando in qualcosa di tenero, rilassante; quella mano tesa dopo un po' le ispirò calore e fiducia, amicizia e un lieve ottimismo. Le sembrava che la presenza fisica dell'amica fosse la testimonianza tangibile del mondo esterno che pulsava nonostante tutto, del mondo trapunto dei suoi piccoli, caleidoscopici gesti di lavoro e d'amore.
Impercepibili segni di gratitudine si potevano leggere negli occhi supplichevoli della principessa. Più che una principessa sembrava un'anatroccola con le giovani piume incollate alla pelle dopo aver subito un tremendo temporale.
Eppure Anna, nonostante fosse giovane, aveva avuto tantissimi giorni felici, spensierati; già conosceva tanti paesi multicolori, era salita su tantissime carrozze e imbarcazioni, aveva goduto dei piatti semplici ed era approdata ai cibi più sofisticati, possedeva non si sa quanti cavalli, vestiti costosi e palazzi. Poeti e musicisti le dedicavano di frequente le loro creazioni migliori, ricchi e inventori avevano dichiarato che sarebbero stati felici per tutta la vita se ella avesse concesso loro un solo ballo. Principi veri non temevano di esporsi al ridicolo pur di farla sorridere, pur di destare un solo minuto d'interesse. Perché allora l'ingiustificata sensazione di povertà e di inutilità? La odiosa, dolce sofferenza?
"Gli uomini, così forti e potenti, sono come neonati disarmati davanti alle difficoltà di rapportarsi ai sentimenti?
Perché tanta, incomprensibile rapacità nel cercare il possesso a tutti i costi? perché per conquistare le cosiddette posizioni si ricorre a bugie, trucchi ed espedienti? perché talvolta non si escludono nemmeno le estreme conseguenze come l'infamia e il delitto se ci sono ostacoli tra noi e i nostri obiettivi?
Perché tutto ciò, e altro ancora, se alla fine non si trova la felicità dentro e intorno a noi? A cosa serve essere forti se gli altri ci temono? Che gioia è la propria se perlopiù dispensiamo infelicità o intolleranza?" Con la mano nella mano, Anna faceva queste velocissime considerazioni.
L'amica era in pena perché non capiva cosa stesse accadendo, non riusciva a intravedere se era una malattia oppure un grave dispiacere.
Mano nella mano il tempo passava; ognuna per conto proprio, le due amiche avevano l'una viaggiato l'altra vagato.
Anna aveva un nodo alla gola talmente grande che se non rivelava all'amica anche solo un pezzo di ciò che accadeva sarebbe senz'altro soffocata.
Avrebbe voluto esordire con un sorriso, con parole sicure e precise, ma aveva la morte nel cuore. Si fece forza e senza spiegare l'antefatto rivelò all'amica che con il principe da oltre un mese c'era un piccolo conflitto; era preoccupata in quanto da alcuni giorni non riusciva ad avere notizie di lui. Era scomparso alla sua vista.
Se gli mandava un messaggio si negava e non rispondeva. Gli inservienti, tutti d'accordo, dicevano di non sapere dove fosse. Sostenevano che bisognava stare tranquilli perché era capitato altre volte che il principe si allontanasse da casa senza preavviso. Battute di caccia con amici, piccoli viaggi, rimpatriate con compagni di scuola o avventure da due soldi, era un'abitudine quasi consolidata nel tempo.
Anna sosteneva di non essere serena perché qualsiasi cosa capitasse, o cercasse il suo uomo in quei giorni, la riguardava direttamente; soffriva di ripetuti attacchi di gelosia alternati a sensi di colpa.
L'amica con tutta calma soppesò la rivelazione e trovò che non ci fosse niente di strano, niente di originale, nulla per cui preoccuparsi. Semmai ci sarebbe di che agitarsi se il proprio amore si appiattisse su giorni tutti uguali, privi di sorprese, senza piccoli, struggenti batticuori.
Più Anna affermava di avere la sensazione che qualcosa di insolito era accaduto o stava per accadere, più l'amica la rimproverava, la induceva a pensieri alternativi, ma senza successo. Anzi, più la pregava di distrarsi dai cattivi pensieri più Anna con spirito di contraddizione o di trasgressione si immergeva in un pozzo buio e profondo.
L'amica fin dall'inizio della visita intuì che Anna era afflitta da una malattia o da un grande dispiacere; aveva ora la conferma che i guai li aveva entrambi. Anna era decisa a pagare un prezzo troppo alto sovraccaricando emotivamente un fatto che in sé era banale, forse il problema non esisteva, e se esisteva in cosa consisteva? A pensarci bene c'era da diventare matti. Non era sufficiente affermare che il gatto si stava mordendo la coda procurandosi molto dolore, bisognava in questo caso cercare di capire e rimuovere il motivo per cui il gatto si feriva con tanta, apparente, ingiustificata determinazione.
L'amica era affranta, dolorante e disarmata innanzi alla malattia di Anna; appellarsi alla ragione era inutile perché quando uno è in quello stato dalla ragione è già uscito. Tra sé si riprometteva di trovare la maniera e le parole per far rientrare Anna nel raziocinio, per ricondurla a giorni saturi di entusiasmo e di sorrisi come quando tutte le sue cellule cantavano sonore, ma sapeva che non sarebbe stato facile.
L'amica aveva molte conoscenze e cospicui mezzi, con tutte le forze intendeva aiutarla. L'intuito e la psicologia femminile sarebbero stati i due principali strumenti da utilizzare, ma serviva stabilire un piano d'azione per conoscere meglio i fatti.
Anna si era rivelata. Aveva raccontato gli effetti più che le cause del suo dolore. Lì per lì non considerava tale dolore frutto delle fantasie dell'amica, era convinta che le cause apparentemente di poco conto nascondessero una situazione molto più intricata di ciò che la stessa Anna potesse supporre.
Anna nella sua esposizione aveva manifestato il proprio stato d'animo non molto lucido e parecchio sofferente. Servivano invece indizi concreti di come, per capire il perché si era arrivati a tanto. Era necessario stabilire un punto di partenza, e un percorso tale da riuscire a catturare almeno un filo della matassa per risalire al bandolo senza per questo avere la presunzione di dipanare il groviglio di nodi che si era formato.
Avesse chiesto maggiori particolari all'amica sicuramente non avrebbe avuto informazioni attendibili in quanto sarebbero state suggerite da una mente in confusione, da un cuore in stato di sofferenza, perciò sentiva tutto il peso su di sé.
L'amica di Anna era decisa a fare qualcosa ma un dubbio la pervase. Attuare un piano era indispensabile, ma sarebbe stato meglio esporlo oppure era più prudente mantenerlo segreto a chiunque? Era senz'altro più giusto e onesto rivelare ad Anna come intendeva muoversi, ma l'avesse fatto probabilmente Anna avrebbe condizionato lo svolgimento dell'indagine che intendeva promuovere.
L'amica mai si sarebbe posta volontariamente in una situazione così delicata, mai avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe impegnata a indagare a freddo sull'uomo e sull'umano comportamento...

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Ins. 26-10-2008