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                  Solo  Brezza del mattino, ma qui, in questa baracca,
               è sempre brezza della notte: di quella passata
               e di quella che verrà.Ci s'accorge del giorno per quel bel ramo
               giallo che osculta lembi d'inaridite persiane gialle,
               rugose e inferme al primo alito spaesato
               d'aria.Sbreccia pure vetri antichi che rifrangono
               impazziti innumerevoli nuove foglie di fuoco qua e
               là a rimescolare polvere: povera polvere
               incallita dal tempo eppur lucente, sfibrata da
               chissà quali tessuti pregiati, frammista a
               stolti brandelli d'inutilità.Qui il letto si fa di giorno in giorno
               più pesante, nel bel mezzo di questo immenso
               monolocale coperte rabberciate e livide ascoltando
               l'avanzare del sole e me ne rendono parte stupefatte
               anch'esse.Nulla mi resta da fare se non sprofondarvi,
               mentre questo letto racconta di tutti i passi, di
               tutte le fatiche che è costato arrivare fino
               quassù e ancor di più, riuscire a
               rimanervi.Ebbi un amico giù sulla terra e tuttora
               lo è, anche se certo pensa ch'io sia morto, con
               tutte le solo mie reali fantasie d'uomo che ha girato
               il mondo piccolo, che ha annusato albe ben più
               virili di questa.Certo che era un buon amico, ma avrebbe
               anch'egli sottinteso parole e risa di chi con me non
               ebbe mai nulla da spartire.Ricordo ancora la notte di Barcellona e le sue
               grida, profonde e sterminate grida di vita incapsulate
               in un bicchiere vuoto qualunque, mentre io stavo
               lì fermo e zitto a guardare dal di fuori quel
               che ad altri stava accadendo. Ero sempre stato bravo
               ad abbeverare e far ubriacare gli altri d'intorno per
               il gusto d'assistere immoto a quelle folle di gesti
               inconsulti e miopi, per assaporare la vittoria tutta
               mattutina delle grida soffocate nel primo bicchiere e
               nell'ultimo.Quella era stata notte, notte in cui si riesce
               a stramazzare stanchi ed assopiti a testa in
               giù, tra le cosce livide d'una bella o d'un
               brutta donna, ma... che importa?Mi sono a lungo nutrito delle stesse parti di
               me in certe vistose notti ed ora poco ancora rimane di
               quell'essere passato tra le cianfrusaglie di una
               miglior vita.Lo guardavo da sopra la tavola, da sopra
               l'ultima testa di donna che s'affaccendava al
               capezzale, lo stordivo a poco a poco d'una presenza
               neppur mia, ma solo eterea visione d'anima, appesa
               all'aria appena più greve, delle orribili cose
               che possono accadere alle spalle d'un uomo che pensa
               d'esser solo.Gli avevo permesso di vedere il volto mio
               pallido riflesso all'incontrario sul retro d'una
               fiches lanciata con disperazione ultima, di carpire
               dalle labbra chiuse la preghiera del giocatore
               rassegnato e in una parola gli avevo concesso
               ciò che ormai nessuno rincorre:
               l'amicizia.Eppure la mattina presto, quando fuori c'era
               ancora il buio e i grandi cammion raccattavano in
               parte anche i residui delle nostre sbornie, le ultime
               puttane raggiravano l'ostacolo dell'ora in cui
               cambiano le ombre, e l'ultima sigaretta precipitava da
               un balcone mai assolato dell'hotel, mi sorprendevo a
               rimanere a guardarlo nel suo letto e con sospetto ne
               tracciavo il profilo di ciò che avrebbe pensato
               di me al di fuori di quei camion, di quelle puttane e
               di quel mozzicone che, tra un pensiero e l'altro
               ancora precipitava a valle.Non potevo affidarmi compiutamente e ancora non
               potevo basare una vita su ciò che altri
               avrebbero potuto fare di me.La nostra, in generale, era una bella fuga
               dorata dall'ardore di una gioventù che mai
               avrebbe desiderato esser tale e la mia una fuga nella
               fuga.Intanto, all'improvviso, un gatto saliva sulla
               schiena della scena mentre io restavo immoto a
               guardarlo finché si degnava di occupare il mio
               ampio spazio visivo.Era sempre un gatto, di molti colori, di molte
               movenze prive d'indecisione, ma pur sempre un
               gatto!Arrivava all'improvviso, raccattava qualcosa
               dall'asfalto asciutto, forse lo stesso vomito di un
               ultimo ubriaco, arrotolava abilmente la lingua sui
               baffi appuntiti tronfio d'essere arrivato primo
               sull'ambita preda e poi, senza sapere d'essere
               osservato, o forse ben conscio dei miei occhi su di
               lui, raggiungeva saltellando l'angolo che già
               avevo battezzato "del nulla", perché, sebbene
               alla luce ne conoscevo a memoria la destinazione, le
               mie notti, rendevano cangianti direzioni e motivazioni
               per quanto fossi instabile e variabile.E mentre di giorno il Corso sempre affollato
               della stessa gente puntava diretto all'occhio d'una
               città rabbrividente, la notte, al buio, perdeva
               non tanto quella medesima gente e l'anima di quella
               medesima gente, ma la collocazione stessa all'interno
               di un sistema di coordinate ben preciso.Quante volte ho raccontato di quell'angolo e
               quel gatto e quanta sofferenza c'era in quei
               racconti!Dietro l'angolo la porta roteava sempre per il
               medesimo verso e le cannonate per ridestarmi dai
               sogni, l'indomani mattina avrebbero dovuto sparare ben
               alto.Una notte, afflitta d'un irresistibile profumo
               d'acqua, e pioveva, rimasi appeso al cornicione per
               meglio infettarmi degli scarichi d'un cielo incazzato
               e per meglio pensare, dal momento che, come i sogni
               più neri, anche i pensieri vanno innaffiati
               come i fiori per sbocciare sereni.Da lì a poco m'avrebbe colto il solito
               cruccio: come avrei potuto chiamarlo?Avrebbe calpestato le mie scarpe, succhiato
               ogni briciola di femminile dentro l'anima e con le
               mani aperte verso il mio volto attento m'avrebbe
               detto: "sì, ora puoi morire!".L'intuisco adesso che ho rinunciato, correre
               nel giardino curato mietendo margherite e ginestre in
               fiore, gridare forte di quanto è invincibile e
               tutte quelle altre idee che già erano state
               mie.Ho annusato l'aria di questa mia baracca mille
               volte prima di scendere dal letto e il raggio di sole
               che prima accorreva timido ormai illumina a forza
               un'ombra che rassomiglia a una piccola testa da
               accogliere tra le braccia e baciare, e un viso dai
               rari contorni familiari.È ora di scendere e accarezzare, parlare
               d'amore con le solite cose e delle solite cose fare un
               braciere su cui archiviare le mie estremità: da
               tempo coperta e lenzuolo cenciano in basso ripiegate
               tra me e il pavimento.Ma quante volte stamane ho già
               appoggiato i piedi senza avvertire il freddo del
               coccio, senza assaggiare la polvere cotta dal tempo e
               da questa solita umidità che aleggia discreta
               su tutto ciò che stanco, circonda.Quel fiocco afferrato alla parete ha il sentore
               del nodo al fazzoletto, dell'idea assaporata e riposta
               senza pietà, quasi abbandonata, abbacinata e
               dondola al vento di una fessura tra vetro e legno arso
               della finestra: da sempre avrei voluto porre un
               rimedio, ma per quanto sia sforzato a procurare gli
               attrezzi, a cercare nella volontà l'appiglio
               per servire una causa e una causa qualunque, ogni
               mattina mi tocca di vedere ancora quel fiocco
               dondolare beato.Non m'è concesso oggi, di riabilitare
               ancora i soliti pensieri, i soliti sospetti: m'accade
               sempre per caso, in preda alle solite routines, e come
               il cameriere che ogni giorno apparecchia la tavola e
               mai s'azzarderebbe a scambiare il coltello al
               cucchiaio o il bicchiere da vino a quello da acqua, io
               apparecchio i pensieri lasciando scivolare almeno una
               volta il tovagliolo bianco di lino fin giù
               verso lo sguardo di chi pensava a morire.Anche oggi lascerò ancora una volta la
               bocca spalancata a qualcuno che ridendo volgerà
               lo sguardo stupito verso di me, la mia baracca e le
               povere cose di cui ora dispongo.Di più lo turberò di quelle
               misere immagini che gli raggiungeranno il cervello e
               gli penetreranno la memoria. Non sono eremita per
               sfida o per disgusto, ma sopporto null'altro se non la
               compagnia del mio odio per me, per tutto ciò
               che mai ho fatto, e per la nostalgia di un attimo in
               cui avrei potuto farla finita.Tic tac, e c'è la luna dietro
               l'orologio, m'è tornato alla mente tutto quel
               colore dissipato su montagne di mura bianche di calce
               secca, irrorata del sudore di mille uomini e donne che
               prima di me hanno oltrepassato la soglia
               dimenticata.Ho arrotolato l'ultima sigaretta altre volte e
               questa volta dovrebbe essere l'ultima in cui potrei
               attribuire un "Ti amo" a chiunque attraversasse d'un
               tratto la povera linea unta al pavimento, al passaggio
               incostante della solita cigolante porta.L'ultima sigaretta quest'oggi l'accendo dal
               letto, quando l'occhio volge al seguito di ogni
               avventura senza affannarsi a inseguirla e domani,
               l'ultima sigaretta porterà il suo fumo negli
               occhi di chi amerei intravedere sull'uscio.Ho scosso molti cavalli da che ho raggiunto il
               mio eremo, ho assaggiato decine e decine di fresche
               brine del mattino e del sonno, ho appeso e infisso
               avvisi a passanti che ancor non conosco, che ancor non
               ho veduto arrampicarsi quassù, ho spalmato sul
               pane raffermo atomi di frutta raccolta sulla somma di
               alberi rossi.Da quando vivo in baracca ho assecondato il
               passaggio del tempo sperando in un passaggio veloce e
               spontaneo: non vivo più il consueto trascorrere
               vigile, ma la dimensione più scaltra della
               vecchiaia.I ricordi hanno ormai attraversato i binari e
               se la festa c'è stata, beh, l'invito è
               volato via scorrendo rapido verso un altro indirizzo:
               non c'è da stupirsi!Un tempo viaggiavo pericolosamente arroccandomi
               spesso a rigidi parapetti ad evitare la fine di
               discorsi che a sciami percorrevano la mente
               affollata.Stridevo contro improbabili guard-rail prima
               ancora del paraurti dell'auto e i bollini a colori che
               vedevo rifrangersi nel parabrezza erano solo paure
               d'evitare le punizione cui ambivo.C'era l'erba ogni volta che precipitando,
               ascoltavo il sibilo dell'aria assordante che contro di
               me trovava le corde a cantare spontanea.E c'era la strana sensazione di ostruire gonne
               di donne abbandonate come cani ai lati sporchi della
               strada più frequentata, mentre irrequieti
               mostri accordavano sillabe di piacere fittizio e
               ancora più redditizio.M'è sempre piaciuto vivere il ciglio
               della strada, cogliere fiori spontanei e imboccarli
               dei propri sentieri invano percorsi come da sempre e
               per sempre obliati.Ho ascoltato l'acqua friggere nelle buche
               più cupe del lago e spumare sui letti dei fiumi
               più arditi, a pari del letto che oggi
               più, non riesco a scalare.  |