-
- Solo
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- Brezza del mattino, ma qui, in questa baracca,
è sempre brezza della notte: di quella passata
e di quella che verrà.
- Ci s'accorge del giorno per quel bel ramo
giallo che osculta lembi d'inaridite persiane gialle,
rugose e inferme al primo alito spaesato
d'aria.
- Sbreccia pure vetri antichi che rifrangono
impazziti innumerevoli nuove foglie di fuoco qua e
là a rimescolare polvere: povera polvere
incallita dal tempo eppur lucente, sfibrata da
chissà quali tessuti pregiati, frammista a
stolti brandelli d'inutilità.
- Qui il letto si fa di giorno in giorno
più pesante, nel bel mezzo di questo immenso
monolocale coperte rabberciate e livide ascoltando
l'avanzare del sole e me ne rendono parte stupefatte
anch'esse.
- Nulla mi resta da fare se non sprofondarvi,
mentre questo letto racconta di tutti i passi, di
tutte le fatiche che è costato arrivare fino
quassù e ancor di più, riuscire a
rimanervi.
- Ebbi un amico giù sulla terra e tuttora
lo è, anche se certo pensa ch'io sia morto, con
tutte le solo mie reali fantasie d'uomo che ha girato
il mondo piccolo, che ha annusato albe ben più
virili di questa.
- Certo che era un buon amico, ma avrebbe
anch'egli sottinteso parole e risa di chi con me non
ebbe mai nulla da spartire.
- Ricordo ancora la notte di Barcellona e le sue
grida, profonde e sterminate grida di vita incapsulate
in un bicchiere vuoto qualunque, mentre io stavo
lì fermo e zitto a guardare dal di fuori quel
che ad altri stava accadendo. Ero sempre stato bravo
ad abbeverare e far ubriacare gli altri d'intorno per
il gusto d'assistere immoto a quelle folle di gesti
inconsulti e miopi, per assaporare la vittoria tutta
mattutina delle grida soffocate nel primo bicchiere e
nell'ultimo.
- Quella era stata notte, notte in cui si riesce
a stramazzare stanchi ed assopiti a testa in
giù, tra le cosce livide d'una bella o d'un
brutta donna, ma... che importa?
- Mi sono a lungo nutrito delle stesse parti di
me in certe vistose notti ed ora poco ancora rimane di
quell'essere passato tra le cianfrusaglie di una
miglior vita.
- Lo guardavo da sopra la tavola, da sopra
l'ultima testa di donna che s'affaccendava al
capezzale, lo stordivo a poco a poco d'una presenza
neppur mia, ma solo eterea visione d'anima, appesa
all'aria appena più greve, delle orribili cose
che possono accadere alle spalle d'un uomo che pensa
d'esser solo.
- Gli avevo permesso di vedere il volto mio
pallido riflesso all'incontrario sul retro d'una
fiches lanciata con disperazione ultima, di carpire
dalle labbra chiuse la preghiera del giocatore
rassegnato e in una parola gli avevo concesso
ciò che ormai nessuno rincorre:
l'amicizia.
- Eppure la mattina presto, quando fuori c'era
ancora il buio e i grandi cammion raccattavano in
parte anche i residui delle nostre sbornie, le ultime
puttane raggiravano l'ostacolo dell'ora in cui
cambiano le ombre, e l'ultima sigaretta precipitava da
un balcone mai assolato dell'hotel, mi sorprendevo a
rimanere a guardarlo nel suo letto e con sospetto ne
tracciavo il profilo di ciò che avrebbe pensato
di me al di fuori di quei camion, di quelle puttane e
di quel mozzicone che, tra un pensiero e l'altro
ancora precipitava a valle.
- Non potevo affidarmi compiutamente e ancora non
potevo basare una vita su ciò che altri
avrebbero potuto fare di me.
- La nostra, in generale, era una bella fuga
dorata dall'ardore di una gioventù che mai
avrebbe desiderato esser tale e la mia una fuga nella
fuga.
- Intanto, all'improvviso, un gatto saliva sulla
schiena della scena mentre io restavo immoto a
guardarlo finché si degnava di occupare il mio
ampio spazio visivo.
- Era sempre un gatto, di molti colori, di molte
movenze prive d'indecisione, ma pur sempre un
gatto!
- Arrivava all'improvviso, raccattava qualcosa
dall'asfalto asciutto, forse lo stesso vomito di un
ultimo ubriaco, arrotolava abilmente la lingua sui
baffi appuntiti tronfio d'essere arrivato primo
sull'ambita preda e poi, senza sapere d'essere
osservato, o forse ben conscio dei miei occhi su di
lui, raggiungeva saltellando l'angolo che già
avevo battezzato "del nulla", perché, sebbene
alla luce ne conoscevo a memoria la destinazione, le
mie notti, rendevano cangianti direzioni e motivazioni
per quanto fossi instabile e variabile.
- E mentre di giorno il Corso sempre affollato
della stessa gente puntava diretto all'occhio d'una
città rabbrividente, la notte, al buio, perdeva
non tanto quella medesima gente e l'anima di quella
medesima gente, ma la collocazione stessa all'interno
di un sistema di coordinate ben preciso.
- Quante volte ho raccontato di quell'angolo e
quel gatto e quanta sofferenza c'era in quei
racconti!
- Dietro l'angolo la porta roteava sempre per il
medesimo verso e le cannonate per ridestarmi dai
sogni, l'indomani mattina avrebbero dovuto sparare ben
alto.
- Una notte, afflitta d'un irresistibile profumo
d'acqua, e pioveva, rimasi appeso al cornicione per
meglio infettarmi degli scarichi d'un cielo incazzato
e per meglio pensare, dal momento che, come i sogni
più neri, anche i pensieri vanno innaffiati
come i fiori per sbocciare sereni.
- Da lì a poco m'avrebbe colto il solito
cruccio: come avrei potuto chiamarlo?
- Avrebbe calpestato le mie scarpe, succhiato
ogni briciola di femminile dentro l'anima e con le
mani aperte verso il mio volto attento m'avrebbe
detto: "sì, ora puoi morire!".
- L'intuisco adesso che ho rinunciato, correre
nel giardino curato mietendo margherite e ginestre in
fiore, gridare forte di quanto è invincibile e
tutte quelle altre idee che già erano state
mie.
- Ho annusato l'aria di questa mia baracca mille
volte prima di scendere dal letto e il raggio di sole
che prima accorreva timido ormai illumina a forza
un'ombra che rassomiglia a una piccola testa da
accogliere tra le braccia e baciare, e un viso dai
rari contorni familiari.
- È ora di scendere e accarezzare, parlare
d'amore con le solite cose e delle solite cose fare un
braciere su cui archiviare le mie estremità: da
tempo coperta e lenzuolo cenciano in basso ripiegate
tra me e il pavimento.
- Ma quante volte stamane ho già
appoggiato i piedi senza avvertire il freddo del
coccio, senza assaggiare la polvere cotta dal tempo e
da questa solita umidità che aleggia discreta
su tutto ciò che stanco, circonda.
- Quel fiocco afferrato alla parete ha il sentore
del nodo al fazzoletto, dell'idea assaporata e riposta
senza pietà, quasi abbandonata, abbacinata e
dondola al vento di una fessura tra vetro e legno arso
della finestra: da sempre avrei voluto porre un
rimedio, ma per quanto sia sforzato a procurare gli
attrezzi, a cercare nella volontà l'appiglio
per servire una causa e una causa qualunque, ogni
mattina mi tocca di vedere ancora quel fiocco
dondolare beato.
- Non m'è concesso oggi, di riabilitare
ancora i soliti pensieri, i soliti sospetti: m'accade
sempre per caso, in preda alle solite routines, e come
il cameriere che ogni giorno apparecchia la tavola e
mai s'azzarderebbe a scambiare il coltello al
cucchiaio o il bicchiere da vino a quello da acqua, io
apparecchio i pensieri lasciando scivolare almeno una
volta il tovagliolo bianco di lino fin giù
verso lo sguardo di chi pensava a morire.
- Anche oggi lascerò ancora una volta la
bocca spalancata a qualcuno che ridendo volgerà
lo sguardo stupito verso di me, la mia baracca e le
povere cose di cui ora dispongo.
- Di più lo turberò di quelle
misere immagini che gli raggiungeranno il cervello e
gli penetreranno la memoria. Non sono eremita per
sfida o per disgusto, ma sopporto null'altro se non la
compagnia del mio odio per me, per tutto ciò
che mai ho fatto, e per la nostalgia di un attimo in
cui avrei potuto farla finita.
- Tic tac, e c'è la luna dietro
l'orologio, m'è tornato alla mente tutto quel
colore dissipato su montagne di mura bianche di calce
secca, irrorata del sudore di mille uomini e donne che
prima di me hanno oltrepassato la soglia
dimenticata.
- Ho arrotolato l'ultima sigaretta altre volte e
questa volta dovrebbe essere l'ultima in cui potrei
attribuire un "Ti amo" a chiunque attraversasse d'un
tratto la povera linea unta al pavimento, al passaggio
incostante della solita cigolante porta.
- L'ultima sigaretta quest'oggi l'accendo dal
letto, quando l'occhio volge al seguito di ogni
avventura senza affannarsi a inseguirla e domani,
l'ultima sigaretta porterà il suo fumo negli
occhi di chi amerei intravedere sull'uscio.
- Ho scosso molti cavalli da che ho raggiunto il
mio eremo, ho assaggiato decine e decine di fresche
brine del mattino e del sonno, ho appeso e infisso
avvisi a passanti che ancor non conosco, che ancor non
ho veduto arrampicarsi quassù, ho spalmato sul
pane raffermo atomi di frutta raccolta sulla somma di
alberi rossi.
- Da quando vivo in baracca ho assecondato il
passaggio del tempo sperando in un passaggio veloce e
spontaneo: non vivo più il consueto trascorrere
vigile, ma la dimensione più scaltra della
vecchiaia.
- I ricordi hanno ormai attraversato i binari e
se la festa c'è stata, beh, l'invito è
volato via scorrendo rapido verso un altro indirizzo:
non c'è da stupirsi!
- Un tempo viaggiavo pericolosamente arroccandomi
spesso a rigidi parapetti ad evitare la fine di
discorsi che a sciami percorrevano la mente
affollata.
- Stridevo contro improbabili guard-rail prima
ancora del paraurti dell'auto e i bollini a colori che
vedevo rifrangersi nel parabrezza erano solo paure
d'evitare le punizione cui ambivo.
- C'era l'erba ogni volta che precipitando,
ascoltavo il sibilo dell'aria assordante che contro di
me trovava le corde a cantare spontanea.
- E c'era la strana sensazione di ostruire gonne
di donne abbandonate come cani ai lati sporchi della
strada più frequentata, mentre irrequieti
mostri accordavano sillabe di piacere fittizio e
ancora più redditizio.
- M'è sempre piaciuto vivere il ciglio
della strada, cogliere fiori spontanei e imboccarli
dei propri sentieri invano percorsi come da sempre e
per sempre obliati.
- Ho ascoltato l'acqua friggere nelle buche
più cupe del lago e spumare sui letti dei fiumi
più arditi, a pari del letto che oggi
più, non riesco a scalare.
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