Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Vittorio Novelli
Con questo racconto ha vinto il decimo premio del concorso Concorso Letterario Marguerite Yourcenar 2000 sezione narrativa
 
Solo
 
Brezza del mattino, ma qui, in questa baracca, è sempre brezza della notte: di quella passata e di quella che verrà.
Ci s'accorge del giorno per quel bel ramo giallo che osculta lembi d'inaridite persiane gialle, rugose e inferme al primo alito spaesato d'aria.
Sbreccia pure vetri antichi che rifrangono impazziti innumerevoli nuove foglie di fuoco qua e là a rimescolare polvere: povera polvere incallita dal tempo eppur lucente, sfibrata da chissà quali tessuti pregiati, frammista a stolti brandelli d'inutilità.
Qui il letto si fa di giorno in giorno più pesante, nel bel mezzo di questo immenso monolocale coperte rabberciate e livide ascoltando l'avanzare del sole e me ne rendono parte stupefatte anch'esse.
Nulla mi resta da fare se non sprofondarvi, mentre questo letto racconta di tutti i passi, di tutte le fatiche che è costato arrivare fino quassù e ancor di più, riuscire a rimanervi.
Ebbi un amico giù sulla terra e tuttora lo è, anche se certo pensa ch'io sia morto, con tutte le solo mie reali fantasie d'uomo che ha girato il mondo piccolo, che ha annusato albe ben più virili di questa.
Certo che era un buon amico, ma avrebbe anch'egli sottinteso parole e risa di chi con me non ebbe mai nulla da spartire.
Ricordo ancora la notte di Barcellona e le sue grida, profonde e sterminate grida di vita incapsulate in un bicchiere vuoto qualunque, mentre io stavo lì fermo e zitto a guardare dal di fuori quel che ad altri stava accadendo. Ero sempre stato bravo ad abbeverare e far ubriacare gli altri d'intorno per il gusto d'assistere immoto a quelle folle di gesti inconsulti e miopi, per assaporare la vittoria tutta mattutina delle grida soffocate nel primo bicchiere e nell'ultimo.
Quella era stata notte, notte in cui si riesce a stramazzare stanchi ed assopiti a testa in giù, tra le cosce livide d'una bella o d'un brutta donna, ma... che importa?
Mi sono a lungo nutrito delle stesse parti di me in certe vistose notti ed ora poco ancora rimane di quell'essere passato tra le cianfrusaglie di una miglior vita.
Lo guardavo da sopra la tavola, da sopra l'ultima testa di donna che s'affaccendava al capezzale, lo stordivo a poco a poco d'una presenza neppur mia, ma solo eterea visione d'anima, appesa all'aria appena più greve, delle orribili cose che possono accadere alle spalle d'un uomo che pensa d'esser solo.
Gli avevo permesso di vedere il volto mio pallido riflesso all'incontrario sul retro d'una fiches lanciata con disperazione ultima, di carpire dalle labbra chiuse la preghiera del giocatore rassegnato e in una parola gli avevo concesso ciò che ormai nessuno rincorre: l'amicizia.
Eppure la mattina presto, quando fuori c'era ancora il buio e i grandi cammion raccattavano in parte anche i residui delle nostre sbornie, le ultime puttane raggiravano l'ostacolo dell'ora in cui cambiano le ombre, e l'ultima sigaretta precipitava da un balcone mai assolato dell'hotel, mi sorprendevo a rimanere a guardarlo nel suo letto e con sospetto ne tracciavo il profilo di ciò che avrebbe pensato di me al di fuori di quei camion, di quelle puttane e di quel mozzicone che, tra un pensiero e l'altro ancora precipitava a valle.
Non potevo affidarmi compiutamente e ancora non potevo basare una vita su ciò che altri avrebbero potuto fare di me.
La nostra, in generale, era una bella fuga dorata dall'ardore di una gioventù che mai avrebbe desiderato esser tale e la mia una fuga nella fuga.
Intanto, all'improvviso, un gatto saliva sulla schiena della scena mentre io restavo immoto a guardarlo finché si degnava di occupare il mio ampio spazio visivo.
Era sempre un gatto, di molti colori, di molte movenze prive d'indecisione, ma pur sempre un gatto!
Arrivava all'improvviso, raccattava qualcosa dall'asfalto asciutto, forse lo stesso vomito di un ultimo ubriaco, arrotolava abilmente la lingua sui baffi appuntiti tronfio d'essere arrivato primo sull'ambita preda e poi, senza sapere d'essere osservato, o forse ben conscio dei miei occhi su di lui, raggiungeva saltellando l'angolo che già avevo battezzato "del nulla", perché, sebbene alla luce ne conoscevo a memoria la destinazione, le mie notti, rendevano cangianti direzioni e motivazioni per quanto fossi instabile e variabile.
E mentre di giorno il Corso sempre affollato della stessa gente puntava diretto all'occhio d'una città rabbrividente, la notte, al buio, perdeva non tanto quella medesima gente e l'anima di quella medesima gente, ma la collocazione stessa all'interno di un sistema di coordinate ben preciso.
Quante volte ho raccontato di quell'angolo e quel gatto e quanta sofferenza c'era in quei racconti!
Dietro l'angolo la porta roteava sempre per il medesimo verso e le cannonate per ridestarmi dai sogni, l'indomani mattina avrebbero dovuto sparare ben alto.
Una notte, afflitta d'un irresistibile profumo d'acqua, e pioveva, rimasi appeso al cornicione per meglio infettarmi degli scarichi d'un cielo incazzato e per meglio pensare, dal momento che, come i sogni più neri, anche i pensieri vanno innaffiati come i fiori per sbocciare sereni.
Da lì a poco m'avrebbe colto il solito cruccio: come avrei potuto chiamarlo?
Avrebbe calpestato le mie scarpe, succhiato ogni briciola di femminile dentro l'anima e con le mani aperte verso il mio volto attento m'avrebbe detto: "sì, ora puoi morire!".
L'intuisco adesso che ho rinunciato, correre nel giardino curato mietendo margherite e ginestre in fiore, gridare forte di quanto è invincibile e tutte quelle altre idee che già erano state mie.
Ho annusato l'aria di questa mia baracca mille volte prima di scendere dal letto e il raggio di sole che prima accorreva timido ormai illumina a forza un'ombra che rassomiglia a una piccola testa da accogliere tra le braccia e baciare, e un viso dai rari contorni familiari.
È ora di scendere e accarezzare, parlare d'amore con le solite cose e delle solite cose fare un braciere su cui archiviare le mie estremità: da tempo coperta e lenzuolo cenciano in basso ripiegate tra me e il pavimento.
Ma quante volte stamane ho già appoggiato i piedi senza avvertire il freddo del coccio, senza assaggiare la polvere cotta dal tempo e da questa solita umidità che aleggia discreta su tutto ciò che stanco, circonda.
Quel fiocco afferrato alla parete ha il sentore del nodo al fazzoletto, dell'idea assaporata e riposta senza pietà, quasi abbandonata, abbacinata e dondola al vento di una fessura tra vetro e legno arso della finestra: da sempre avrei voluto porre un rimedio, ma per quanto sia sforzato a procurare gli attrezzi, a cercare nella volontà l'appiglio per servire una causa e una causa qualunque, ogni mattina mi tocca di vedere ancora quel fiocco dondolare beato.
Non m'è concesso oggi, di riabilitare ancora i soliti pensieri, i soliti sospetti: m'accade sempre per caso, in preda alle solite routines, e come il cameriere che ogni giorno apparecchia la tavola e mai s'azzarderebbe a scambiare il coltello al cucchiaio o il bicchiere da vino a quello da acqua, io apparecchio i pensieri lasciando scivolare almeno una volta il tovagliolo bianco di lino fin giù verso lo sguardo di chi pensava a morire.
Anche oggi lascerò ancora una volta la bocca spalancata a qualcuno che ridendo volgerà lo sguardo stupito verso di me, la mia baracca e le povere cose di cui ora dispongo.
Di più lo turberò di quelle misere immagini che gli raggiungeranno il cervello e gli penetreranno la memoria. Non sono eremita per sfida o per disgusto, ma sopporto null'altro se non la compagnia del mio odio per me, per tutto ciò che mai ho fatto, e per la nostalgia di un attimo in cui avrei potuto farla finita.
Tic tac, e c'è la luna dietro l'orologio, m'è tornato alla mente tutto quel colore dissipato su montagne di mura bianche di calce secca, irrorata del sudore di mille uomini e donne che prima di me hanno oltrepassato la soglia dimenticata.
Ho arrotolato l'ultima sigaretta altre volte e questa volta dovrebbe essere l'ultima in cui potrei attribuire un "Ti amo" a chiunque attraversasse d'un tratto la povera linea unta al pavimento, al passaggio incostante della solita cigolante porta.
L'ultima sigaretta quest'oggi l'accendo dal letto, quando l'occhio volge al seguito di ogni avventura senza affannarsi a inseguirla e domani, l'ultima sigaretta porterà il suo fumo negli occhi di chi amerei intravedere sull'uscio.
Ho scosso molti cavalli da che ho raggiunto il mio eremo, ho assaggiato decine e decine di fresche brine del mattino e del sonno, ho appeso e infisso avvisi a passanti che ancor non conosco, che ancor non ho veduto arrampicarsi quassù, ho spalmato sul pane raffermo atomi di frutta raccolta sulla somma di alberi rossi.
Da quando vivo in baracca ho assecondato il passaggio del tempo sperando in un passaggio veloce e spontaneo: non vivo più il consueto trascorrere vigile, ma la dimensione più scaltra della vecchiaia.
I ricordi hanno ormai attraversato i binari e se la festa c'è stata, beh, l'invito è volato via scorrendo rapido verso un altro indirizzo: non c'è da stupirsi!
Un tempo viaggiavo pericolosamente arroccandomi spesso a rigidi parapetti ad evitare la fine di discorsi che a sciami percorrevano la mente affollata.
Stridevo contro improbabili guard-rail prima ancora del paraurti dell'auto e i bollini a colori che vedevo rifrangersi nel parabrezza erano solo paure d'evitare le punizione cui ambivo.
C'era l'erba ogni volta che precipitando, ascoltavo il sibilo dell'aria assordante che contro di me trovava le corde a cantare spontanea.
E c'era la strana sensazione di ostruire gonne di donne abbandonate come cani ai lati sporchi della strada più frequentata, mentre irrequieti mostri accordavano sillabe di piacere fittizio e ancora più redditizio.
M'è sempre piaciuto vivere il ciglio della strada, cogliere fiori spontanei e imboccarli dei propri sentieri invano percorsi come da sempre e per sempre obliati.
Ho ascoltato l'acqua friggere nelle buche più cupe del lago e spumare sui letti dei fiumi più arditi, a pari del letto che oggi più, non riesco a scalare.
 
Concorso Marguerite Yourcenar 2000 a sez. narrativa  
 
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©2000 Il club degli autori, Vittorio Novelli
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agg. 3 novembre 2000