Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Vincenzo Napolitano
Con questo racconto ha vinto il primo premio del concorso Angela Starace 2003, sezione narrativa

SiSal
 
Le nuvole si rincorrevano buffamente nel cielo di un celeste eccessivo e prendevano forme e sembianze che di volta in volta alimentavano le fantasie dei ragazzi che, dal piazzale antistante alla scuola, le fissavano.
- I cirri! I cirri!
Con una voce gracchiante improvvisamente uno di loro rifece il verso all'insegnante di scienze e tutti si ritrovarono a sghignazzare.
Era indubbia la volontà di esorcizzare quella tensione che li accomunava nell'attesa dei risultati scolastici
Da lì a poco, con la meticolosa liturgia che gli era abituale e fissandoli con bullette riciclate, il bidello avrebbe reso pubblici i vari tabulati affiancandoli nelle bacheche.
Si erano diffuse le solite anticipazioni (all'arrivo delle quali si erano già consumate le patologiche scene isteriche) ma quei momenti trascorsi tra le "voci" e l'affissione dei "quadri" alimentavano ancora residui di speranze.
Silvia e Salvatore, detti anche SiSal perché sin dalla prima media erano inseparabili (lì s'incontrava sempre mano nella mano, quasi in simbiosi...) seduti sul prato, avevano abbandonato la presa ed abbrancate le ginocchia vi avevano poggiato il capo pensieroso.
Per loro, infatti, sussisteva anche un ulteriore problema: quello di coppia.
Nello stesso banco da cinque anni ora un risultato ineguale avrebbe cumulato punizione a sofferenza.
Per allentare l'ansia crescente e quasi in un rito propiziatorio Andrea continuava nervosamente a lanciare sassi su di un barattolo di latta.
Affidava alla percentuale di centri effettuati una premonizione sul suo destino scolastico.
Elisabetta, da sempre ritardataria per l'assoluta necessità di affidare ad un impeccabile aspetto esteriore l'antidoto ad insicurezze ataviche, oggi si ritrovava puntualissima nell'attesa e, seduta sulla panchina e sulle sue mani, dondolava le gambe lasciando una doppia traccia sul pietrisco sottostante.
Il pennarello di Piero con una lunga militanza nell'aggressione di muri, pareti e banchi continuava nella sua opera schizofrenica sulla colonna del porticato ma la lucidità e la genialità dei suoi tipici graffiti si erano disciolte in una stucchevole sequela: "Piero- Piero - Piero -...".
- Da chi l'aveva saputo Gaetano che c'erano cinque respinti?
Gino ruppe il silenzio ma la risposta tardava ad arrivare.
- Siete diventati tutti muti?.
- Ha dichiarato che non lo poteva dire... Che gli era impossibile far nomi per non compromettere l'informatore.
Paolo, che aveva telefonicamente allarmato i compagni, avvertiva la scarsa salivazione e la necessità di ridurre al minimo la conversazione.
Il sentore (qualcosa in più di un presentimento) di essere nella cinquina gli faceva intravedere un futuro al fianco del padre tra mortadelle e formaggi giusta la minaccia che da sempre gli era piovuta addosso ad ogni insufficienza.
Il suo aereo (aveva da sempre sognato di diventare pilota) s'inabissava, fatalmente, in un vassoio d'insalata russa da cui il decollo si sarebbe rivelato molto improbabile.
Un calpestio nell'atrio della scuola fece lo stesso effetto della pistola di uno starter.
Dodici sprinter si catapultarono verso l'entrata ancora sbarrata dell'edificio.
La figura ieratica di don Mimì si aggirava con grossi fogli in mano dirigendosi verso la parete, completamente coperta da bacheche, che si trovava sulla destra della scala.
Dodici visi spiaccicati sul vetro del portone...
I moduli da esporre erano poggiati sul tavolo ed iniziava una meticolosa opera di rimozione di circolari, avvisi e foglietti con il susseguente recupero di puntine da disegno.
Avrebbero voluto rumoreggiare per farsi aprire ma sapevano tutti che, per nulla al mondo, il bidello anziano Domenico Izzo avrebbe rinunciato alla sua tradizionale esercitazione di sadismo.
"Cambio la mia bici seminuova e la collezione di Tex Willer con motorino anche usato.":
Giorgi vedeva il suo annuncio seguire gli altri nel cestino.
Un'improvvisa folata di vento portò sui ventiquattro polpacci il brecciolino più minuto senza provocare apprezzabili segni di reazione.
La prima tabella, intanto, era stata fissata sulla parte sinistra della bacheca in modo tale che proprio la colonna con la sintesi di quelle precedenti venisse in gran parte nascosta dal legno sporgente.
- Non mi sembra di vedere linee rosse...
- Guarda che due anni fa le linee rosse non c'erano!
- No, no... RESPINTO, lo scrivono sempre in rosso!
I visi schiacciati sul cristallo, le mani arcuate sugli occhi nel maldestro tentativo di evitare il riflesso che il sole provocava sul vetro della porta d'ingresso, per carpire e quindi anticipare un verdetto che campeggiava a quindici metri di distanza.
Un gruppo di ragazzi con i muscoli tesi ed il cuore in tumulto...
 
- Come sempre, non hai capito niente!
Glielo aveva quasi gridato sul viso in fondo alle scale, Silvia, dopo quella festicciola da ballo in famiglia e lui l'aveva guardata con stupore senza neanche accennare ad un tentativo di risposta.
Dopo la fine di quel loro flirt adolescenziale e la bocciatura di Salvatore si erano quasi persi di vista e solo da un paio d'anni, frequentando la stessa combriccola, s'incontravano più spesso.
In Silvia si era risvegliato un certo interesse nei confronti di Salvatore e col tempo era maturato un sentimento più profondo.
Dopo i diversi segnali che lei gli aveva lanciato in quei mesi e che lui non aveva colto, dopo vari tentativi andati inspiegabilmente a vuoto, aveva deciso che era giunto il momento di giocarsi tutte le sue carte quel pomeriggio.
La combriccola si era ritrovata nel pomeriggio a casa di Maria e Si erano ritrC'era stata la solita riunione domenicale Erano in programma i soliti quattro salti con ritmi Durante il ballo, al suo invito, non aveva atteso che le cingesse la schiena con un braccio e le stringesse, con la mano libera, la sua e gli si era avvinghiata abbracciandolo strettamente.
Aveva sperato che le braccia di Salvatore avessero seguito quella sfacciata indicazione ed era rimasta nell'attesa di sentire la loro calda pressione sulla schiena e sui fianchi ma inutilmente; il tocco invece era stato come sempre pudico ed anonimo ed il suo esplicito messaggio era rimasto senza risposta.
Quell'amore, l'immenso amore che attendeva di riversare su di lui, le era rimasto nel cuore a tormentarla a lungo ed a rendere meno credibili le sue successive esperienze sentimentali.
Era, infatti, sicura, sicurissima, di avvertire anche in lui una predisposizione, un amore che oltrepassava i margini di quello che era stato, tra loro, prima un flirt e poi una lunga amicizia.
Sentiva che avevano perso una grand'occasione per indirizzare la loro vita su di un percorso non anonimo come quelli che invece, entrambi, si erano poi trovati a percorrere.
Delusa e colpita nell'orgoglio lo aveva successivamente evitato con cura e dopo due anni aveva risposto di sì alla proposta di fidanzamento che le era venuta da Piero, il fratello della sua più cara amica, cercando inutilmente di sopire, in quel nuovo rapporto, il rimpianto che portava dentro.
Di solito gli amori finiscono, anche traumaticamente, quando si prende atto che, sul proprio o sull'altro fronte, quel fuoco iniziale si è ridotto a pochi tizzoni, che lentamente si trasformano in cenere, ma nel suo caso questa controprova non c'era mai stata.
Era tutto rimasto nel vago, nel limbo dei dubbi, ed aveva acquistato la concretezza di un'occasione perduta.
Piero, pur con tutta la disponibilità e l'affetto con cui la circondava, non era riuscito ad evitarle di portarsi dietro quel rammarico che le aveva, di fatto, impoverito la vita anche se, nonostante ci fossero tutte le premesse, Silvia non era stata capace di trasformare quell'amore mancato in rancore.
Una domenica di maggio, dopo che per trent'anni si erano totalmente persi di vista, Silvia se lo ritrovò davanti, all'uscita della chiesa, in abito grigio che attendeva, insieme agli altri invitati, l'uscita della propria figlia andata in sposa.
I loro sguardi si erano incontrati attraverso la pioggia di riso che, beneaugurante, cadeva sulla coppia novella e molto naturalmente si erano sorrisi.
Non aveva alcun nesso logico quel sorriso ma aveva messo in moto un carosello di profonde e piacevoli sensazioni in contrasto con una realtà che avrebbe preteso scintille.
- Ciao.
- Ciao. E' tua figlia?
- Si. La maggiore.
- Auguri.
- Grazie.
Banalità assolute, espressioni ipocrite, con la fortuna che la situazione non concedesse altri spazi.
Poco prima di arrivare alla località delle Grazie, dalla piazzola situata nella curva a gomito da cui si poteva ammirare il paesino e l'imponente fortezza, utilizzata ora come caserma della Marina Militare, c'è un ripido viottolo che porta sugli scogli e Salvatore, pescatore molto dilettante, vi si recava almeno due volte la settimana per rinnovare i suoi tentativi di pesca.
Non gli era andata mai troppo bene (qualche bavosa, una triglietta ed alcuni pesci arlecchino) ma quell'attesa solitaria sullo scoglio lambito dal leggero sciabordio dell'acqua gli serviva a scaricare le tensioni: un effetto terapeutico rilassante.
Quella mattina aveva lanciato l'amo con l'esca il più lontano possibile e poi, nell'attesa, si era immerso nella lettura del quotidiano.
Improvvisamente la canna si era flessa in avanti verso il pelo dell'acqua ed aveva incominciato a vibrare freneticamente ed allora lui si era catapultato su di essa impugnandola ed azionando, eccitato, il mulinello per recuperare la preda nel più breve tempo possibile.
La lenza si avvicinava sempre più rapidamente allo scoglio mentre la punta della canna guizzava nell'aria con scatti bruschi.
E' in quei momenti che la pesca vive i suoi attimi più intensi: la preda che si dibatte e che tenta di sottrarsi ed il pescatore che adotta tutte le precauzioni perché questo non avvenga.
Aveva imparato che il filo avrebbe dovuto essere sempre in tensione, per non poter permettere al pesce il salto in avanti che gli avrebbe consentito di staccarsi dall'amo, e quindi riavvolgeva la lenza intorno alla bobina più in fretta che potesse.
Nell'acqua il filo di nailon, trainato dal pesce, tracciava dei semicerchi sempre più veloci e, quando ormai si cominciava a distinguere la sagoma argentata della preda, Salvatore si rese conto di aver finalmente pescato un'orata di proporzioni insolite rispetto a quelle che gli erano abituali.
Ora poteva ammirarla da vicino, a pochi metri dallo scoglio, e già pregustava la soddisfazione di tirarla su e poterla poi mostrare agli scettici che avevano salutato sempre ironicamente il suo rientro con pescato irrilevante.
- Ti aiuto io! Dove l'hai il retino a sacco?
Si girò di scatto ed alle sue spalle un ragazzo fremente si avvicinava a grandi salti sugli scogli finendogli infine al fianco.
- Dove l'hai il retino a sacco?
- Non l'ho il retino.
- In che modo la tiri su?
- Ora vediamo...
- Hmmm...
Gli si era messo accovacciato poco lontano mentre la canna, completamente arcuata, segnalava con scatti sempre più ravvicinati gli strattoni disperati del pesce e lui faticava a dare gli ultimi giri di manopola al mulinello.
Ad un ulteriore strappo la lotta s'interruppe di colpo: il filo di nailon pencolò malinconicamente dalla cima della canna che si era raddrizzata di scatto anche se poi continuava a flettersi per inerzia, liberando la residua energia accumulata.
L'orata aveva vinto la sua battaglia approfittando dell'inesperienza di Salvatore.
- Peccato. Avessi avuto il retino...
E' in questi momenti che è pericoloso stare accanto ad un pescatore; pronunciare poi una frase che metta in evidenza la sua inettitudine potrebbe rivelarsi addirittura azzardato e Salvatore si rivolse, infatti, all'intruso con uno sguardo furente.
- Mimmo, Mimmo, dove sei?
- Sono quaggiù, mamma.
Dalla sommità del pendio si sporse una donna affannata.
- Che cosa fai laggiù? Vieni immediatamente che perdiamo l'autobus.
- Volevo aiutare il signore... Aveva pescato un'orata.
- Silvia!
La donna si portò una mano sul viso per fronteggiare i raggi di sole che le impedivano di mettere a fuoco l'uomo e poi, sorpresa ed imbarazzata, rispose: "Ah, sei tu, Salvatore..."
- Vi conoscete?
- Si, io e tua madre frequentavamo la stessa scuola...
- Mimmo, vieni, subito! Porca miseria!
- Cosa c'è, mamma?
- E' passato l'autobus.
-Silvia, non ti preoccupare vi do io un passaggio. Solo un attimo che raccolgo le mie cianfrusaglie.
- Non ti disturbare. Fra un quarto d'ora ne passa un'altro; continua pure a pescare.
- Per oggi basta, e poi non ho neanche il retino ad imbuto come dice Mimmo...
- Dai mamma, andiamo a casa in macchina...
L'auto procedeva lentamente su quel tratto tutto curve verso La Spezia con il mare a strapiombo sulla destra attraversando quelle tipiche borgate liguri, con le case, ravvivate dai colori che si alternavano dai toni chiari e sfumati a quelli accesi, avvinghiate come molluschi alla collina digradante a mare.
Mimmo era incontenibile: aveva preso la parola e si lasciava andare ai commenti più disparati, sulla pesca, su quel mare e sulla sua vacanza...
Approfittando di una pausa Salvatore s'insinuò in quel monologo:
- Come mai siete da queste parti?
- Un fratello di Piero presta servizio in Marina e siamo suoi ospiti per una quindicina di giorni. E tu?
- Io lavoro e vivo qui da vent'anni.
Sarà stata colpa di quella storia che non era mai ricominciata, sarà stata colpa del tempo che era trascorso implacabilmente ma che non era riuscito a suturare le ferite, ma il fatto innegabile è che non riuscirono a riannodare nessun filo che li potesse unire.
Solo due frasi ed un disagio che acuiva il desiderio del termine del tragitto in comune.
- Grazie, ciao.
- Di nulla, ciao Mimmo.
Salvatore rincasò di malumore: quell'incontro l'aveva turbato.
Era da molti anni che non pensava a Silvia; c'era stato un periodo in cui l'aveva ricordata con insistenza ed aveva provato ad immaginare come sarebbe stata la sua esistenza con lei, aveva fantasticato e ne era venuto fuori con melanconia.
Era evidente che questo rinvangare ricordi e coltivare rimpianti coincideva con il periodo negativo del suo rapporto matrimoniale logorato da troppe incomprensioni e da differenze che emergevano sin troppo evidenti nel momento in cui la passione avrebbe dovuto lasciar il passo ad un amore più consapevole.
Per tanti anni non si erano incrociati ed ora, invece, due incontri ravvicinati nel tempo con una strana casualità.
- No, niente, non sono nervoso. Solo un po' seccato per un'orata che mi è scappata.
Le mani appoggiate al lavandino, il capo proteso in avanti a scrutarsi nello specchio nel tentativo di ritrovare chissà cosa e poi il chinarsi su quel getto d'acqua per un risciacquo rigeneratore.
Era passato un paio di volte con l'auto in viale Italia, laddove aveva accompagnato Silvia e Mimmo, non sapendo nemmeno lui se augurarsi di incontrarla, ma poi aveva desistito; era tutto così vago, così improponibile quell'andirivieni di moti istintivi...
Nel suo girovagare per l'Italia per motivi d'ufficio non gli era mai capitato di essere assegnato in una località meridionale.
Aveva espresso più volte, nelle sedi competenti, il suo desiderio di essere trasferito in una città campana ma con la motivazione di generiche esigenze di servizio e di gestione del personale non era stato mai accontentato.
Ora, dopo venticinque anni e per un periodo limitato di sei mesi, gli era stata richiesta una missione a Caserta a turare una falla procurata da un dirigente che aveva anticipato il collocamento a riposo.
Era stato tentato di rifiutare perché questo significava rinunciare per tanto tempo alle sue abitudini consolidate, al proprio giro d'amicizie e d'interessi extra ufficio, alla presenza in famiglia ormai consolidatasi nel territorio ma poi accettò soprattutto spinto dal desiderio d'interrompere quel tran quotidiano cui si era forzatamente adeguato.
In effetti, effettuò un bel salto all'indietro nel tempo incontrando più frequentemente parenti, ritrovando gli amici della sua giovinezza con le interminabili partite a tressette e si confrontò con i pettegolezzi tipici del Circolo Sociale.
Un sabato mattina, libero da impegni d'ufficio, gironzolava nel mercato ortofrutticolo divertito dai pittoreschi inviti degli erbivendoli, conditi da espliciti e coloriti doppi senso, quando inciampò in un qualcosa che rotolava per terra.
Si dirigevano verso di lui, favorite dal pavimento in leggera pendenza, un consistente quantitativo d'arance che qualcuno evidentemente perdeva da una borsa.
Si chinò a raccoglierle guardandosi in giro per ritrovarne il legittimo proprietario.
Accovacciato per terra ne aveva raccolte ormai una dozzina, che stringeva a fatica tra le braccia, quando percepì un vociare che si avvicinava e si ritrovò di fronte ad una signora che, anch'essa curva in terra, raccattava affannata i frutti che le erano scivolati via dalla borsa squarciata dal peso eccessivo.
- Silvia!
Alzando gli occhi se l'era ritrovata davanti china, in difficoltà con tutti quei pomi che le sfuggivano da tutte le parti.
- Salvatore!
Rannicchiati per terra, in equilibrio precario sospinti e strattonati com'erano dalla calca, si sorrisero impacciati e poi esplosero in una risata irrefrenabile.
- Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?....
Aveva preso in prestito le parole di Mogol, Salvatore, reso euforico da quell'incontro stravagante ed inatteso ma era stata questione d'attimi: l'imbarazzo aveva ripreso il sopravvento e per esorcizzarlo finsero un interesse predominante per le arance che ricollocavano nella borsa.
- Grazie, Salvatore.
- Figurati.
Mentre si allontanava tra la folla, con quel suo tipico passo elastico, ristette a guardarla.
Alla fine del rettilineo mentre stava per voltare a destra, Silvia si girò ed i loro occhi si incontrarono.
Gli parve che sorridesse e lui rispose al sorriso.
Quando qualche giorno dopo un fattorino recapitò a Silvia un cestino di lillà bianchi, al cui centro spiccava una magnifica rosa rossa, accompagnati da un bigliettino anonimo su cui era scritto: "Perdonami di non aver capito.", non ebbe il minimo dubbio e le si imporporarono le gote.
Mentre sfaccendava in cucina continuava razionalmente a chiedersi perché non avesse istintivamente rimandato indietro quei fiori senza darsene una spiegazione plausibile ma rimanendo profondamente felice di non averlo fatto.
Quell'attimo magico rimase tale senza che ci fossero ulteriori sollecitazioni e, per circa un paio d'anni, non s'incrociarono.
Il treno procedeva a rilento, quasi sbuffando, obbligato a fermate sempre più ravvicinate dal suo dovere di treno locale, e dopo una lunga sosta, non proporzionata al tempo che ci sarebbe voluto per permettere l'accesso allo sparuto numero di passeggeri, si rimetteva in moto quasi goffamente.
Silvia distolse lo sguardo dal finestrino per scrutare il passeggero che tentava, aprendo la porta con fatica, di entrare nello scompartimento dove, in quel primo tratto, aveva viaggiato da sola.
S'irrigidì di scatto mentre l'altro, intento a sistemare un borsone ed il cappotto sulla reticella, le voltava le spalle.
Quando l'uomo finì di mettere a posto il bagaglio ed incrociò il suo sguardo trasalì ed ebbe un attimo di smarrimento.
- Silvia!
- Salvatore...
Il treno trotterellava tra le campagne ancora immerse nella nebbiolina autunnale e Salvatore le si sedette di fronte, accanto al finestrino, incapace come lei di dare inizio alla conversazione.
- Caffè, aranciate, panini imbottiti!...
La porta si era spalancata ed il chiassoso invito dell'ambulante aveva fatto irruzione nello scompartimento rompendo un silenzio anomalo, attraversato com'era da messaggi criptati.
- Vuoi un caffè?
- No, grazie.
- Niente, non vogliamo niente.
Nuovamente lo sferragliare prese il sopravvento.
- Come stai?
- Bene, e tu?
- Insomma...
Si, trent'anni l'avevano segnata con qualche ruga ma il viso, quel volto radioso, era sempre li...
- Dove vai, ora?
- A Cassino, l'azienda per la quale lavoro ha un cantiere aperto in quella città e porto dei documenti. E tu?
- A Sora. Un tuffo nei ricordi infantili. Durante la guerra eravamo sfollati lì e mi è venuta voglia di rivedere quei luoghi che appartengono alle nitide e dolorose memorie che conservo.
- Biglietti, per favore, signori.
Non c'era alcun dubbio che le interruzioni repentine che accadevano facessero fatica ad intromettersi in quell'atmosfera, allo stesso tempo di disagio e di tenerezza, che si era venuta a creare e che aveva ancora bisogno di pause e silenzi per prendere quota.
In lontananza spiccava bianca e maestosa l'abbazia di Montecassino mentre un pallido sole squarciava le nubi compatte.
I loro sguardi erano apparentemente fissi sul panorama che scorreva ma, in effetti, non si perdevano di vista attenti ambedue a carpire le immagini, l'uno dell'altro, che il vetro del finestrino specularmente rifletteva.
- Alla prossima devo scendere.
- Che peccato... Hai molto da fare?
- No, devo solo consegnare questi fogli in Municipio.
- Che ne dici se pranzassimo insieme?
- Ma non dovevi andare a Sora?
- Sarà per un'altra volta. Ora mi piacerebbe tanto rimanere ancora un po' con te. Se sei d'accordo, naturalmente.
- Si, certo, l'idea non mi dispiace.
Le diede la mano aiutandola nello scendere e lei non gliela lasciò mentre andavano verso il sottopassaggio.
Il ristorantino che gli avevano consigliato aveva un'enorme camino che occupava l'angolo estremo della sala ma che emanava un sano calore sufficiente per tutto il vano.
Si sedettero ad un tavolino situato accanto ad una finestra molto ampia da cui s'intravedeva una piccola cascatella provocata dal torrente che scorreva intorno al fabbricato.
La campagna autunnale dai toni rossicci, carica d'umidità, si estendeva a perdita d'occhio e rendeva particolarmente gradevole quel tepore che nell'ambiente si assaporava.
- I signori desiderano?
- Per quanto mi riguarda mi rimetto a voi ed alle specialità della casa. Per te, Silvia?
- Va bene anche per me anche se, mi raccomando, le porzioni non devono essere abbondanti.
- Vino della casa?
- Silvia?
- Si, va bene.
I grissini integrali erano troppo allettanti per non subire un immediato assalto ed il rumore dello sgranocchiamento entrò in gara con lo scoppiettio della brace.
- Mi sento proprio bene, Silvia, stando qui con te.
- Anch'io, Salvatore. Ma facciamo un patto.
- Che patto?
- Lasciamo fuori di quella porta quello che siamo e che siamo stati, i nostri errori, i nostri rimpianti. Siamo qui, entrambi contenti di esserci. Apriamo una parentesi e godiamocela.
- Va bene. Sono d'accordo. Mi getto a capofitto nella parentesi. Anche se, con questa pancetta, ci entro a malapena.
- L'hai avuta buona! Sai le diete che avresti dovuto sorbirti!
E riesplose come d'incanto quella complicità d'un tempo; risero di gusto, parlottarono sottovoce, più di una volta si strizzarono l'occhio ammiccando.
Le avevano tentate tutte per allungare quella opportunità incantata ma dopo tre ore si dovettero piegare all'esigenza dell'orario ferroviario e si alzarono da tavola.
Dopo che Salvatore l'aveva aiutata ad infilarsi il cappotto Silvia gli passò le mani dietro la schiena e l'abbracciò teneramente.
Salvatore freneticamente la strinse con tutte le forze appoggiando poi il viso sulla sua testa.
- Non è mai troppo tardi. Questa volta hai capito!
Le passò delicatamente la mano sotto il mento e le alzò il viso fissandola con tenerezza negli occhi.
Il bacio cui si abbandonarono era scritto che fosse inevitabile e li lasciò carichi di desiderio mentre si allontanavano con le mani che cingevano i fianchi verso la stazione ferroviaria.
Il vagone stavolta era affollato e, mentre Silvia aveva rimediato un posticino, Salvatore le stava, in piedi, accanto.
Questa volta il treno sembrava volesse sbarazzarsi al più presto di un carico imbarazzante ed in meno di mezz'ora s'intravide in lontananza il maestoso palazzo reale.
A Caserta sarebbero scesi quasi tutti ed incominciarono a prepararsi.
- Siamo arrivati... Peccato... Silvia, che incantevole giornata!
- Si, Salvatore, hai ragione. Proprio bella.
- Potremo rivederci?
- No, Salvatore, no. Alla stazione c'è Piero che mi aspetta. Ora la parentesi si chiude. Non potevamo sperare che rimanesse aperta in eterno. Il destino di una parentesi è quello di chiudersi e non possiamo costringerla ad essere anomala. E' stato bello proprio perché rimane tutto così. Alla nostra età e nella nostra condizione non possiamo permetterci di essere ridicoli. Rincorrere i diciott'anni... Quella rosa che mi hai regalato, perché era come se lo avessi firmato quel bigliettino, quella rosa è meglio che rimanga solo uno splendido fiore. In fondo è soltanto una rosa e non puoi caricarla di responsabilità che non potrebbe reggere. Anche se devo riconoscere che è stato proprio splendido incontrarti cosi... Ciao, Salvatore.
- Ciao, Silvia. Buona fortuna.

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 Ins. 09-12-2003