Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Vanda Sessa
Ha pubblicato il libro
Vanda Sessa - Bambini in blue-jeans
 
 
 
 
 
 
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi)
 
14x20,5 - pp. 80 - Euro 9,00
 
ISBN 88-6037-029-9
 
 
 
 

 
In copertina e all'interno illustrazioni di Sonia Galli


Pubblicazione realizzata con il contributo de

IL CLUB degli autori in quanto l'autore è finalista

nel concorso letterario "J. Prévert" 2005


Prefazione
Incipit


Prefazione

 

"Bambini in blue jeans" è un appassionato racconto per ragazzi, candidamente e generosamente, offerto da Vanda Sessa al fine di invogliare a ben più attente riflessioni con riguardo alle meraviglie del mondo naturale e alla personale esperienza dei protagonisti della storia narrata. L'intero racconto si basa sulla grande amicizia tra Gianni e Moco e sullo strano potere che sembrano possedere i vecchi jeans dei genitori di Gianni, gelosamente custoditi in una valigia.
Moco è un ragazzo ribelle e disobbediente che è stato in un istituto e poi affidato ai nuovi genitori ma "sa raccontare le cose" ammantandole con un velo di fantasia: a volte però, anche se dice di essere felice, gli capita di piangere di nascosto. Il suo grande amico, Gianni, dopo aver perso i genitori in un tragico incidente, ha una paura tremenda di finire anche lui in un istituto e questa paura lo porta ad avere degli strani incubi, a volte, si sente perfino in preda al panico ma la zia Ester, la sua unica parente, è sempre pronta a stringerlo affettuosamente a sé e tutto passa.
La zia Ester è una donna ancora giovane, con uno spiccato senso pratico e un carattere molto forte. Ogni volta che Gianni combina qualche marachella lo sgrida strillando a più non posso ma in fondo è come una vera madre, buona ed apprensiva, e gli vuole tanto bene.
I genitori di Gianni avevano amato molto i blue jeans e persino il giorno del loro matrimonio si erano presentati in blue jeans e quei famosi pantaloni erano ancora custoditi dalla zia Ester come ricordo.
Capita così che un bel giorno, Gianni indossa i famosi jeans e all'improvviso gli sembra di venire catapultato in un sogno. Hanno inizio una serie di straordinari incontri e di impensabili avventure: l'incontro con uno strano folletto del bosco con la funzione di "controllore dei batteri", fatto di gomma, con la facoltà di comunicare con le forme e i colori e capace di cambiare fisionomia, di restringersi a livelli microscopici per svolgere il suo lavoro sotto le foglie e di accrescersi fino alle dimensioni di un ragazzo; e poi ancora scoprono la possibilità di parlare con le piante, come nel caso della grande quercia e dell'ulivo millenario, e di ascoltare le riflessioni dei vari animali che incontrano nelle loro fantastiche e magiche escursioni.
Gianni e Moco rimangono affascinati da quello strano mondo che permette loro di vivere incredibili avventure, di assistere a stupefacenti avvenimenti naturali che fanno capire ai due ragazzi che, se si osserva con attenzione il ciclo della natura, ci si rende conto di quanto siano importanti anche i più microscopici elementi o i più grandi retroscena del mondo animale e vegetale.
La natura che si rigenera, il suo ciclo che eternamente si ripete, le sue presenze vitali, i suoi colori e le sue meraviglie sono come i sogni: eventi unici ed irripetibili.
Lo strano potere dei jeans dei genitori di Gianni rende ciò che sembra assurdo e strano, una fantastica possibilità di esplorare nuovi mondi dove anche le piante e gli animali possono far capire all'Uomo che non è che un "granello" nell'Universo.
La differenza è che egli può portare con sé una meravigliosa "valigia piena zeppa di sogni".
 
 
 

Massimiliano Del Duca

 


Bambini in blue-jeans

La zia Ester l'aveva aspettato per delle ore. Gianni rincasò tardi, in condizioni pietosissime, con i moccoli al naso, le mani e la faccia sudice, i capelli bagnati di sudore, appiccicati alla testa, pieni di terriccio e per il fetore che emanava, sembrava fosse venuto fuori da un pozzo nero. "Oh mio Dio!!" esclamò la zia vedendolo in quelle condizioni. Così incominciò a strillare come una pazza e tra urla ed imprecazioni, un acuto superiore agli altri tuonò nella piccola cucina, dove i bicchieri messi ben allineati nella credenza, tremarono. Quando vide pure uno strappo nei pantaloni, quasi nuovi, oltre il quale si notava una ferita che sanguinava, la zia fu presa da una vera e propria crisi isterica; non che fosse una ferita profonda, ma alla vista del sangue le si gonfiò la gola come succede ad una rana e contemporaneamente quelle venuzze sulle tempie, che le apparivano e scomparivano a seconda dei casi, le incominciarono a pulsare in maniera esagerata; sembrava che la sua faccia si modificasse assumendo sembianze strane, a Gianni, sua zia le sembrava, in quel momento, il terribile Hulk in gonnella che, al culmine della rabbia, si deformava, si gonfiava, s'ingrandiva sempre di più come se la pelle avesse avuto le stesse proprietà della gomma di un palloncino, il suo viso cambiò colore almeno per quattro volte, in poche manciate di secondi divenne prima rossa, poi violacea, in seguito giallina, infine sbiancò. Faceva fatica a respirare e Gianni temette per lei, per un attimo ebbe paura che cadesse davanti ai suoi piedi svenuta o ancor peggio, morta stecchita e pensò che questa volta l'aveva proprio fatta grossa. Non l'aveva mai vista in quelle condizioni.
Poi la zia improvvisamente smise di strillare, respirò profondamente, si appoggiò con le mani tremanti sui bordi del tavolo della cucina e con un colorito più roseo e una fievole voce gli disse: "Ma devi proprio ridurti sempre in questo modo?" Sembrava che stesse esalando l'ultimo respiro e mentre parlava, stringeva i denti e contorceva la bocca in smorfie di dolore. Dopotutto era costretta a strillare ogni giorno, a causa delle marachelle di quel suo nipotino troppo vivace e, alle volte, per il troppo strillare, diventava quasi afona e quando non riusciva ad emettere la voce, come voleva lei, si stizziva ancora di più, perché non poteva dar libero sfogo alla sua rabbia. Ora Gianni la fissava con i suoi occhietti vispi e non più preoccupati anzi, lui pensava già a quando sarebbe ritornato fuori a giocare con Moco. Il dolore della ferita non lo toccava minimamente, in fondo era una cosa da niente. Lui sapeva di sopportare molto bene il dolore fisico, avrebbe sopportato qualsiasi cosa, dopo ciò che gli era accaduto due anni prima.
 
"E adesso corri, va' a lavarti e poi vieni da me a disinfettarti prima che ti venga un'infezione!" Gli urlò la zia dopo aver fatto una profonda inspirazione, con la quale sembrava aver svuotato tutta l'aria che c'era in cucina.
Gianni non se lo lasciò dire due volte e mentre si recava al bagno pensava che in fondo non voleva dare dei dispiaceri a quella povera donna. Non era cattiva, era solo molto apprensiva; era la sua unica parente, se non ci fosse stata lei sicuramente sarebbe andato a finire in istituto. No! Nell'istituto non ci voleva proprio andare, ne aveva una gran paura, ne aveva sentito parlare veramente male!
Il suo amico Moco c'era stato per cinque anni in istituto, finché poi non fu affidato a dei nuovi genitori che si erano presi cura di lui amorevolmente. Moco con loro si sentiva felice, così diceva lui. Ma spesso Gianni lo vedeva piangere di nascosto e poi asciugarsi le lacrime velocemente e quando lo scorgeva da lontano, lui faceva finta di niente. Quando si avvicinava, Gianni gli osservava gli occhi ancora rossi e gonfi di pianto e non aveva il coraggio di chiedergli spiegazioni, anche se le intuiva. Anche Moco intuiva la curiosità del suo amico che lo guardava con uno sguardo compassionevole; Gianni era per lui un vero amico e sapeva capirlo poiché anche lui da due anni era rimasto senza genitori. "Sempre meglio che stare in istituto; lì nessuno veniva a darmi il bacio della buonanotte, invece la mia nuova mamma sì, lei sì che mi vuole bene, la sera viene a rimboccarmi le coperte e mi dà sempre un bacio con la schiocca sulla fronte." diceva Moco facendosi venire improvvisamente il sorriso sulle labbra.
Spesso Moco raccontava a Gianni di quanto si era sentito solo e incompreso nel periodo trascorso in istituto; non era riuscito a legare con gli altri ragazzi che definiva una "banda di malandrini" perché si divertivano a fargli sempre brutti scherzi. Certo che lui non era uno stinco di santo, aveva un bel caratterino, era disobbediente, ribelle, non accettava le regole ma non se la prendeva mai con i bambini che erano in fondo nelle stesse sue condizioni. Finché un giorno apparvero, come per incanto, i suoi nuovi genitori. A lui sembrarono due angeli che, con la loro spada dorata e le loro grandi e possenti ali bianche, erano scesi dal cielo per portarlo via nel regno incantato dell'amore.
Certo che Moco sapeva raccontare le cose e spesso le condiva con invenzioni e descrizioni di sua fantasia e Gianni lo ascoltava, sempre volentieri.
La paura di entrare in istituto era davvero tanta che Gianni di notte faceva sogni agitati; sognava spesso due brutti omaccioni, grandi come due armadi ma elegantemente vestiti di grigio, con la cravatta e la camicia inamidata che lo strappavano con violenza dalle braccia della zia, e lui gridava, si dimenava, si divincolava come un'anguilla che non vuole essere catturata, fino a che l'angoscia cresceva così tanto che si svegliava strillando, tutto sudato e con il cuoricino che batteva a mille. La zia quando in piena notte lo sentiva urlare, in preda al panico, correva nella sua cameretta e dimenticandosi di tutte le sue corbellerie diurne, s'infilava nel suo lettino e lo stringeva a sé cercando di calmarlo. Stavano stretti, stretti in quel piccolo lettino e tra quelle morbide braccia lui s'acquietava e così si riaddormentava, cullato dal ritmo del respiro profondo della zia. Gianni non si accorgeva che alle volte lei, invece, restava sveglia nel buio a piangere, senza farsi sentire, pensando alla sua povera sorella. Solo una volta se ne accorse, perché sentì sulla sua fronte cadere una calda lacrima: la zia non era riuscita ad asciugarla in tempo e come una goccia di pioggia, che cade dal tetto rotto di una casa, quella lacrima salata gli cadde inaspettatamente sul viso, così Gianni ebbe un moto di affetto per lei e pensò che questa volta doveva essere lui a stringerla a sé per consolarla.
È vero, la zia Ester strillava, strillava, ma in fondo era buona e amava molto quel suo unico nipote che era scampato ad un disastroso incidente, nel quale erano morti i genitori e la sorellina di Gianni.
La zia Ester era una donna ancora giovane, aveva 35 anni, non era una gran bellezza, ma aveva il senso pratico della vita ed un carattere molto forte. Non era ancora riuscita a sposarsi perché, come diceva lei, non aveva ancora incontrato il suo principe azzurro.
Il giorno dopo Gianni fece molta attenzione a non rincasare nelle solite pessime condizioni, perché si era promesso di non far arrabbiare la zia.
La trovò nella sua camera da letto intenta a mettere in ordine l'armadio. Sul letto c'erano buttati lì alla rinfusa, vari capi di abbigliamento di diversi colori. C'erano gonne, maglie, pantaloni e la sua attenzione fu catturata da alcuni jeans blu scuri; gli sembrò strano che fossero lì, dato che la zia non ne indossava mai; lei preferiva vestirsi sempre in maniera stravagante, con grandi camicie o larghi maglioni su gonne sempre molto lunghe e completamente stropicciate. "Ma zia, sei vestita come una befana!" le diceva spesso Gianni "Per forza che nessuno ti si fila! Vestita così, nessun principe azzurro si fermerà mai col suo cavallo a portarti via!" "Pensa per te!" gli rispondeva la zia "Che vai in giro sempre con i pantaloni tutti strappati! Mi costi un occhio della testa solo in vestiti!" "Tanto gli strappi e le toppe sono di moda" gli rispondeva Gianni facendo spallucce.
"Vedi questi vestiti? Devo svelarti un segreto erano dei tuoi genitori. Loro vestivano sempre in jeans. Pensa, addirittura nel giorno del loro matrimonio si presentarono vestiti in jeans!" incominciò a raccontargli la zia
"Perché, non si poteva?"
"Ma sei matto!! I nonni appena li videro stavano lì lì per svenire.
Eravamo nel mese di dicembre e faceva tanto freddo, e loro, i tuoi genitori, ebbero il coraggio di presentarsi alla cerimonia in completino jeans: giacchetta e pantaloni e per di più, si ritrovarono in mezzo ad una sessantina d'invitati tutti elegantemente vestiti: le signore avevano la pelliccia e il cappello e i signori vestito scuro e papillon su camicia bianca inamidata e loro, i tuoi genitori, magri e giovani, come due pulcini spelacchiati, passarono in mezzo a quelle persone vestite in pompa magna, non come due colombi spauriti ma felici e raggianti come un principe e una principessa nel giorno del loro matrimonio."
"E poi, racconta, cosa accadde poi?"
"Niente, accadde che si sposarono, in quella sala del comune gremita di persone che guardavano esterrefatte i due sposini in blue-jeans!"
"Era veramente un fatto insolito?"
"Ma certo, Tu non sei mai stato ad un matrimonio? Quando ne avrai l'occasione ti renderai conto di come ci si veste veramente, quando ci si sposa."
"Ah sì? Forse vuoi dire al tuo matrimonio... con il principe azzurro... sarete come in una favola!... Ah! Ah! Ah!" "Sei sempre pronto a prendermi in giro, tu." Rispose la zia con una voce lagnosa.
Poi Gianni si fece serio tutto ad un tratto e prese in mano quei jeans che la zia aveva posato sul letto e toccandoli delicatamente le chiese: "Sono questi?..." "Sì - rispose la zia diventando all'improvviso pensierosa - "Non ho avuto il coraggio di regalarli a nessuno e neanche di metterli, li tengo qui, per ricordo." e così dicendo incominciò a singhiozzare.
Quella sera, mentre la zia era andata dalla vicina a chiedere il solito prezzemolo che le mancava, Gianni entrò in camera, sapeva che lei si sarebbe persa in chiacchiere con la vicina, il prezzemolo alle volte era una scusa bella e buona per andare a chiacchierare e calcolò che avrebbe avuto di sicuro una buona mezz'ora di tempo per infilarsi quei jeans.
Gli stavano un po' larghi ed erano un palmo più lunghi, così si chinò per fargli un bel risvolto, non c'era bisogno di tagliarli né di cucirli, così messi andavano benissimo, li strinse in vita con una cintura della zia che aveva trovato lì, ecco, adesso erano veramente perfetti. Si guardò nello specchio lungo dell'armadio e osservò che all'altezza del ginocchio destro c'era ricamata una "L", era l'iniziale di Luisa il nome di sua madre. Quel ricamo era bellissimo, fatto con un cotone rosso brillante; la "L" era in corsivo maiuscolo e la linea, alla fine della lettera, s'incurvava dolcemente formando un cuoricino anch'esso tutto rosso, ricamato a punto pieno. Quei jeans erano appartenuti alla sua mamma e per di più li aveva indossati nel giorno in cui sposò suo padre.
 
Improvvisamente la finestra della camera si spalancò e una folata di vento caldo smosse le tende che si sollevarono quasi fino a toccare il soffitto; alcune foglie secche entrarono: si erano alzate a mulinello dal suolo del giardino ed erano penetrate nella camera come tante farfalle impazzite, adesso danzavano sul letto come telecomandate da una forza misteriosa, poi cominciarono a planare dolcemente sul bianco copriletto ricamato. Erano foglie dai colori stupendi: gialle, rosse, marroni e altre con sfumature miste. Gianni vide stupefatto che quelle foglie, che dapprima si adagiavano delicatamente, poi con forza s'imprimevano sul bianco copriletto come se fossero state sempre lì stampate, su quella candida stoffa. Il vento si calmò completamente e le foglie rimasero lì immobili. Gianni fece per prenderle o per spostarle ma non ci riuscì: quelle foglie erano veramente stampate nelle stoffa, indelebilmente. Adesso il copriletto sembrava un grande tappeto autunnale e Gianni istintivamente si tuffò sul letto.

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Ins. 31-01-2006