Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Valter Malenotti
Con questo racconto ha vinto il terzo premio del concorso Concorso Letterario Fonopoli 1999 sezione narrativa
 
Per leggere l'opera inserito nell'antologia Il Club degli autori 1999-2000.
 
La scogliera
 
Era lì, sul ciglio del baratro, con l'aria di chi volesse interrogare il mare. Almeno quattrocento metri di precipizio lo dividevano dalle onde che s'infrangevano sugli scogli aguzzi con il fragore di un terremoto. Il sole, di un rosso carico, veniva bevuto lentamente da un oceano grigio, spietato, ma pur sempre meraviglioso nella sua immensità. Il vento, che arrivava dal mare, soffiava con forza e senza un attimo di tregua, quasi da tagliare il respiro, ed egli per sentire la sua stessa voce dovette gridare: "Prendi anche me Oceano! Lambisci tra i tuoi flutti questi miei poveri resti. Poiché non vale la pena continuare a vivere senza avere la possibilità di cambiare la propria esistenza".
Fece un saltello in avanti sporgendosi per metà nel vuoto, quando lo raggiunse una voce: "Fermati pazzo! Non è certo il modo di lasciare quella valle di letame per uno come te!".
Egli con un balzetto si voltò di scatto e con enorme sorpresa si trovò di fronte un mastodontico toro dal mantello fulvo che lo fissava continuando a ruminare.
Si guardò ancora attorno, attentamente, poi disse: "Per un attimo ho creduto di sentire una voce. O era la mia coscienza?".
"Non mi sembra proprio che tu abbia una coscienza, nanerottolo!".
"Ma allora mi sta dando di volta il cervello. Mi è parso di sentir parlare un toro!".
"Che tu ti sia bevuto il cervello, non è certo un mistero - sbuffò spazientito il toto - lo dimostra il fatto che stavi per eseguire quel gesto così assurdo".
"Ma cosa mi tocca sentire. Un toro parlante e pure aspirante buon samaritano. Ascoltami bene, mangiatore d'erbacce: se ho voglia di farla finita sono solo ed esclusivamente fattacci miei, e se tu avessi solo un briciolo di consapevolezza in quella tua testaccia cornuta, seguiresti il mio esempio senza battere ciglio".
Il toro sbatté la zampa anteriore nervosamente sul terreno, poi espirò con violenza dal naso inanellato e muggì:
"Se tu fossi ai miei livelli, piccolo insolente, ti fare assaggiare la punta delle mie corna. Ma siccome non sei nemmeno all'altezza dei miei escrementi ti voglio dire solo tre cose. Primo: non mi frega assolutamente niente del fatto che ti vuoi suicidare e specialmente in quel modo ridicolo. Secondo: come può venirti in mente di abbandonare il mondo senza apprezzare appieno le meraviglie che ti offre? Come puoi non rimanere estasiato dall'immensità del cielo, del mare; dalla forza del vento e dalla luminosità del sole, delle stelle e dal mistero profondo della notte? Come puoi non commuoverti davanti ad una vita che nasce; non bearti del canto degli uccelli e non contemplare la bellezza dei fiori? Terzo: al pari di tanti tuoi simili avrai sicuramente una moglie e dei figli. Come puoi avere il coraggio di lasciarli soli in balia degli eventi senza appoggio e protezione alcuna, solo per coronare un tuo desiderio inconsulto?
Egli non si scompose, con un balzo volò sulla schiena del toro ed indicando lontano disse: "Le vedi quelle case là in fondo oltre i pascoli, oltre il fiume? - il toro fece cenno di sì - Le vedi quelle barche di pescatori che issano le reti là al largo oltre gli scogli? Le vedi quelle automobili là sulla strada che corre al pari del fiume? E là ancora - continuò - sui tetti delle case, le vedi quelle antenne? Bene, vogliono dire che all'interno delle stesse vi è la televisione; poi vi sono anche dei letti caldi e morbidi, una cucina ben fornita ed un milione di altre cose fantastiche!".
"E allora?" chiese il toro sbattendo inquieto la coda.
"E allora: il pazzo sei tu! - gridò egli balzando giù dalla groppa - Tu, e purtroppo ahimè, io stesso, non potremmo mai e poi mai lanciarci in una folle corsa a duecento all'ora sull'autostrada, non riusciremmo mai a guardare quegli splendidi programmi alla tivù, a dormire tra lenzuola che odorano di bucato al calduccio sotto a delle coperte di flanella. Mai, potremmo gustare pranzetti succulenti, bistecche spesse tre dita ricoperte da una montagna di patatine fritte (tu, al massimo potresti diventare una bistecca). Ed io dovrò sempre faticare per riuscire a catturare un pescetto, mentre quelli là in fondo sul peschereccio devono solo sollevare una rete per averne a centinaia".
Il toro parve pensarci su un momento, poi dondolando il testone sentenziò: "Guai, all'invidia! Le medaglie hanno sempre due facce".
"Sarà, però in questo caso si tratta sempre di una "medaglia d'oro"" rispose l'altro con un pizzico d'ironia.
"È proprio questo il punto - continuò il bovide - un'esistenza dorata che non ti puoi più permettere d'abbandonare. Il senso del possesso rende schiavi. Si vive solo per mantenerlo ed aumentarlo. Si vive in funzione di esso. In pratica, è una non vita.
Parole vane. Tra la saggia disquisizione e quello che avvenne dopo, il toro poté solo aggiungere un "porca vacca!", perché l'altro si era già tuffato a capofitto giù dal burrone.
All'inizio chiuse gli occhi, poi, come se fosse passato un tempo immemorabile li riaprì, e si accorse che aveva percorso solo pochi metri dal ciglio della scogliera. Cercò di assumere una posizione il più aerodinamica possibile in modo da rendere più veloce quella terribile agonia. Ma tutti i suoi sforzi parvero inutili, la natura stessa lo stava torturando per quel suo gesto insano. Una forte corrente ascensionale che arrivava dal mare sottostante vanificava quello che la forza di gravità reclamava come suo insindacabile diritto e lo faceva galleggiare proprio come quei pescherecci sull'acqua che s'intravedevano al largo. Poi d'un tratto, il vuoto improvviso. Un buco nell'aria, quasi fosse un pozzo nelle cui profondità le tenebre ingoiano tutto quanto. Però in fondo non v'erano tenebre, ma solo gli spruzzi celesti dell'acqua che si sfracellava sugli scogli, squassandosi in meravigliose esplosioni di candida schiuma ribollente, che si faceva così vicina, pericolosamente vicina, attimo dopo attimo.
Ora, velocizzata la caduta, per qualche misterioso meccanismo primordiale di sopravvivenza, gli si velocizzò incredibilmente anche la capacità di pensare. Come a voler annullare il tempo e lo spazio, gli si materializzò davanti agli occhi tutta quanta la sua vita. Riuscì ad emettere pensieri e considerazioni quanto mai era riuscito a fare in tutta la sua esistenza. E cadeva, cadeva? E mentre cadeva e pensava, vedeva le decine e decine di nidi aggrappati alle ripide pareti rocciose. Vedeva i gabbiani che volavano giocosi attorno a lui, esibendosi felici in evoluzioni spettacolari. Vedeva quel che restava del sole che affondava, splendido, in quel mare sorgente di vita di cui sentiva l'odore, sempre più forte, sempre più penetrante. Sempre più vicino.
Ancora pochi metri e poi, più nulla. Gli scogli taglienti come spade lo avrebbero fatto a pezzi se, all'ultimo istante egli non avesse aperto le ali frenando la caduta. Ad una spanna dalla morte certa, con un paio di battiti d'ala in una nuvola di piume, egli si librò in alto gridando di gioia, come il gabbiano più felice del mondo.
La moglie, vedendolo, disse alla gabbiana vicina di nido: "Sempre la stessa storia: tutte le sere al calar del sole, la solita sceneggiata. E c'è anche chi, è disposto ad ascoltarlo!

 

Concorso Letterario Fonopoli 1999 a sez. narrativa
 
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agg. 27 ottobre 2000