Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Antonio Cau
Con questo racconto ha vinto l'ottavo premio del concorso Marguerite Yourcenar 2002, sezione narrativa
Il volo
Esiste un luogo nel mondo, un angolo di cielo, una parentesi nell'infinità della vita quotidiana, dove il tempo dimentica le sue regole o ne "inventa" di nuove per respirare.
Un luogo dove il mondo si può fermare, accarezzare i suoi figli e dove realmente lo straordinario prende il posto del quotidiano.
Mi chiamo Adelmo, questo è il nome un po' insolito di uno scrittore innamorato.
Quello che sto per raccontarvi non è una leggenda, né le confessioni notturne di un folle, ma bensì solo il ricordo di un fine settimana, un ricordo che nel suo prender forma mi tiene...e mi terrà compagnia per una vita intera.
Come dicevo, esiste un posto, così narrano vecchie leggende Sudamericane, dove il cielo mischia un po' le carte.
In questo luogo, nei giorni con molto vento, nascono gli aironi dalle ali fatate!
Infatti, in uno squarcio di cielo non ben definito, le nuvole regalano al mondo questi splendidi e magici volatili.
Essi raggiungono ogni angolo abitato, ogni cuore solitario, triste o curiosamente sognante.
E poco importa se per arrivare a destinazione dovranno affrontare le peripezie dei venti, dei mari e delle tempeste burrascose, perché mai e poi mai mancheranno il loro vitale appuntamento.
E così, una volta a destinazione, per una parentesi di tempo, una parentesi giusto necessaria per assolvere al proprio dovere, rinunciano ad ali, piume ed ebbrezza del volo, diventando così uomini o donne che hanno perso contro la vita o contro se stessi!
Chi, nella sua vita, non vorrebbe incontrarne uno per almeno cinque minuti, e quale scrittore non vorrebbe essere testimone di un così straordinario evento?
Io ho avuto la fortuna di vivere questa magica esperienza, e adesso ve la racconto dal principio.
Era l'inverno del novanta, ed attraverso un periodo al quanto particolare.
Già parecchi mesi, per non dire qualche anno, non riuscivo a scrivere più niente, tutto ciò che buttavo su carta era noioso e scontato e le poche idee buone non trovavano respiro.
Così decisi di rifugiarmi lontano dalle piazze e dai vicoli stretti, e avute le chiavi di una casa di montagna da vecchi amici di famiglia, mi misi in viaggio alla ricerca "fisica" della mia assopita o perduta vena artistica.
La casa delle "speranze", così lo chiamai per i motivi a voi oramai noti, era esageratamente lontana dal centro abitato, quasi una Rapanuy in piena regione toscana.
Immaginate per tanto strade ripide e non asfaltate, difficili da percorrere e da attraversare, ma un "mondo" talmente bello e silenzioso che ogni metro era fatto di nuove parentesi di mille sorprese.
Ma mentre mi accingevo a "scalare" l'ennesima salita, ecco che la mia Due Cavalli s'azzoppa e termina il suo faticoso viaggiare.
Furiosamente scesi dall'auto bestemmiando quel povero Cristo che tutte le colpe poteva avere tranne quelle di una vecchia auto immobile sulla strada, e con la classica presunzione dell'automobilista, aprii il cofano per tentare di localizzare il danno.
Tentativo vano, ovviamente!
Chiusa violentemente la "bocca" dell'auto affaticata, le mie imprecazioni di cinque minuti, superarono di gran lunga quelle di un'intera vita.
E fu nel mio solitario "vomitare" acidità al mondo e al cielo, che una voce sottile mi ha invitato a placare la mia collera.
Mi voltai...e davanti ai miei occhi una ragazza che la semplice definizione "bella" s'era già persa nei lunghi capelli prima di poterla pensare; figuratevi poi cercare chissà quali aggettivi per tentare di definire la limpidità dei suoi occhi.
Realmente non so cosa "violentò" i miei sensi, forse tanta bellezza o forse tanta semplice grazia.
Si avvicinò a me, tese la sua mano piccola e pronunciò il suo nome: "Irene".
Ricordo che ci misi un bel po' per scandire il mio di nome, anche se corto, e quel suo mezzo sorriso marcava ancora più forte la situazione ridicola e imbarazzante.
Irene aveva una casa poco lontana da quella dei Boaga, proprio dove avrei dovuto trascorrere le mie parentesi di tranquillità e dopo aver rotto il ghiaccio mi invitò a tenerle compagnia nel cammino.
"Che fortuna...soli in montagna, probabilmente persi, il calar del sole che si avvicina, e in tutto questo quadretto incontrate una donna che vi porta fino alla meta, e per giunta bella e di dolce compagnia!" Questa sicuramente è l'affermazione più logica che ognuno di voi dentro di sé sta maturando.
Ma vi assicuro che non si tratta assolutamente né di fortuna né di casualità, ma bensì solo lo strano cammino del destino, che giudicato il momento propizio, inizia ad irrompere le proprie leggi.
Lasciammo la macchina proprio dove morì e ci incamminammo incontro alle nostre case.
La strada da percorrere era tanta, ma il tempo volava tra le nostre parole e gli interminabili discorsi. Ricordo che più volte fermai i fiumi delle mie parole, per rassicurarmi che Irene non si stesse annoiando, ma nei suoi occhi quelle espressioni così attente, mi spingevano a parlare sempre di più. Ovviamente i miei discorsi vertevano più sull'arte e su quella disperata paura, divenuta oramai ossessione, nel non riuscire più a sporcare i fogli.
Mentre Irene... Irene parlava esclusivamente del volo!
Il volo, l'ebbrezza del vento forte sul volto, le improvvise piogge che bagnano le braccia e il calore forte dei primi soli estivi.
Il volo, le gocce salate del mare se plani troppo basso, l'inseguimento curioso ma attento delle navi che solcano gli oceani e il saluto ingenuo dei bambini dal molo.
E lei parlava solo di volare, ne parlava con così tanto entusiasmo, che era lampante il suo stretto legame con l'aria, peccato che non riuscivo assolutamente a capire in che modo, peccato che ad ogni mia domanda più approfondita, lei riusciva ad ipnotizzarmi con la sua carica vitale tanto da non ricordare più la domanda fatta.
Raggiunte dopo un paio di ore le nostre case e vista l'ora tarda e la tanta stanchezza, ci salutammo, ovviamente non prima di averle strappato un arrivederci all'indomani.
Entrato in casa non riuscivo a trattenere un'inspiegabile forza, che sentivo scaturire dalle viscere della mia arte, così tolta penna e fogli dalla borsa ecco che la mia mano inizia la sua folle corsa sul bianco delle pagine immacolate.
Non riuscivo a capire, pensare o parlare, sentivo solamente la mia mano che non più schiava del suo "padrone" e quasi autonoma dal resto del corpo, senza i miei comandi insisteva nel suo "correre".
Ed erano parole, frasi che non riuscivo a leggere, insieme di linee, punti, curve, tratteggi e aree da colorare che non riuscivo a guardare.
Il mio corpo iniziava a non reggere più tanta tensione e quel ritmo così osannato, e mentre sudavo le gambe si piegavano e l'aria si faceva sempre più pesante.
E continuavo a sudare, mentre quella mano non più mia, ma figlia di se stessa o di chissà quale forza, a me estranea e sconosciuta, continuava il suo lungo lavoro.
E si fermò.
Il suo arresto concise con alcuni secondi di smarrimento dovuti alla fatica, e sdraiato a terra in stato confusionale, tentavo di riprendere respiro con l'ansia di osservare il foglio ancora sul tavolo.
Mi rialzai, guardai la pagina non più bianca e davanti ai miei occhi increduli, le linee e le parole si erano intrecciate per dar vita ad un interminabile sequenza di illustrazioni che nell'inseguirsi quasi prendevano vita!
Le sequenze raffiguravano una donna su una rupe, che sopra il mare si accingeva a tuffarsi. Ma il suo planare verso il blu salato non la fece sposare con le onde, in quanto le sue braccia si coprivano di piume, fino a quando da donna divenne airone e poi il volo verso il cielo.
Cosa avrei dato in quel momento per capire che quell'istante e quei disegni, tenevo il foglio fra le dita, lo giravo e lo rigiravo, lo scrutavo sempre più da vicino, per rendermi conto che più lo osservavo e più le illustrazioni si "aprivano" a me, quasi come se ad ogni nuovo colpo d'occhio avessero l'intenzione di svelarmi nuovi segreti.
Ed eccola lì!
Bella come l'avevo conosciuta, bella come miraggio in piena montagna, eccola adesso anche tra i miei disegni!
Mi coricai tentando di spiegare a me stesso che tutto era normale, che probabilmente in stato di troppa stanchezza avevo solo perso un po' di razionalità.
L'indomani mi svegliai piuttosto presto ed uscito fuori in veranda, Irene era già lì con la colazione che mi sorrideva.
Era bellissima e ubriacato dai suoi bellissimi occhi, tentai di non spiegarmi come mai indossava un vestito identico a quello che portava la donna del mio disegno.
Il mistero si faceva sempre più complicato, e più tentavo di far finta di niente, più quel vestito mi sconvolgeva.
Irene parlava ancora del volo, delle sue leggi e del suo mistero, e continuava a parlarne con ancora così tanta enfasi, che la dovetti irrompere per capire meglio quale fosse la connessione fra lei e così tanta conoscenza del cielo.
Lei mi guardò dritto negli occhi, sorrise ed avvicinatasi al mio orecchio mi chiese:
"Hai scritto stanotte poeta...hai sporcato i tuoi fogli tanto bianchi artista?"
Lì la situazione divenne sempre più assurda, ad occhi spalancati osservavo quel fiore di rara bellezza mentre il battito del mio cuore non rispondeva più a nessuna legge umana.
Irene a quel punto si avvicinò alle labbra del mio corpo paralizzato, e dopo aver appena aperto le sue mi baciò.
E quel bacio, quel bacio aveva il sapore dell'eternità e del non terreno, quel bacio aveva tutta quella freschezza che solo il vento e il cantare sapeva imprigionare.
Tentai di muovere le braccia per poterla sfiorare, abbracciare, trattenere con me, ma il mio corpo immobile era paralizzato alla sedia, mentre Irene dopo avermi mostrato i suoi occhi umidi piano andava via.
E io insistevo, tentavo di muovermi sempre più, mentre sentivo le vene irrigidirsi. Con tutte le mie forze cercavo ancora di muovermi, volevo alzarmi, correre per poterla raggiungere, perché un colpo di vento annunciava la sua partenza per sempre. Alla fine, probabilmente qualcuno ha voluto premiare le mie fatiche, riuscii ad alzarmi e a correre.
Correvo...correvo, ma di Irene avevo perso completamente le tracce. Non riuscivo a darmi spiegazioni, tentavo di pensare, mentre correndo chissà dove, non riuscivo a trovarla. Sentii l'odore e il rumore del mare.
Allora corsi ancora più forte, il cielo si aprì ai miei occhi e capii che l'avrei trovata lì.
Ed eccola lì, proprio come in quel disegno, dipinta dal vento e sfiorata alle sue leggi, lì su quella rupe guardando il mare pronta a volar via.
"No, Irene, non andare via" gridavo a squarcia gola mentre tentavo di andarle incontro.
Lei si voltò, per un istante mi fissò negli occhi mentre due lacrime, le sue, piano si spaccavano violentemente nell'infinità del blu salato...e poi si buttò.
Io la segui nella caduta, e raggiunta la afferrai con tanta forza, tanta che lei non poté aprire le braccia.
Dio che botta!!!
Il mare ci avvolse e un poco ci tenne nei suoi fondali prima di restituirci alla riva.
Irene era sdraiata priva di sensi, e io affianco a lei tentavo di farla rinvenire.
E così si svegliò, guardò le sue braccia e niente piume, niente ali, piangendo mi sorrise, mi abbracciò con tutta la forza tanto che quell'abbraccio tuttora mi fa compagnia.
Esiste la vita, fatta di regole e difficoltà, esistono i suoi ritmi e il nostro correre forte, a volte disperato e scoordinato.
Ma esiste anche quell'essenza incredibile fatta di sogno, speranza ed affetti, esiste quell'insaziabile voglia di esserci a qualsiasi costo.
E spesso, anche se è difficile capire, riusciamo a tenere per noi ciò che con tanta intensità abbiamo amato, rivoluzionando e attraversando qualsiasi impedimento.
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Premio Marguerite Yourcenar 2002
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 Ins. 10-10-2002