Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Tiziana Soressi

Con questo racconto ha vinto il nono premio del concorso Città di Orzinuovi 1998, sezione nerrativa

 
Un orto in paradiso
 
La cosa più abbondante che aveva avuto dalla sua vita ottuagenaria era sicuramente il nome: Cleonice. "Pardìgal le lòng cmé un trenu!1" Ma i suoi compaesani le avevano riservato solo l'ultima carrozza di questo treno e per accelerare la chiamavano più rapidamente Nice.
Aveva ormai svezzato da tempo i due figli Vincenzo ed Ivo, che abitavano lontano da lei e si erano fatti le loro famiglie. E spesso diceva che le sarebbe spiaciuto morire per due motivi: per il suo orto, che non sarebbe più servito a nessuno, "l'andarà ànca lü zérbi2", e per la sua vecchia gatta, Malandrina, che nessuno avrebbe più servito degnamente, "lé acsè stciümléna nal mangià3". E diceva stciümléna come se pronunciasse un titolo nobiliare.
Malandrina la tiranneggiava in ogni modo. Aveva ormai tutti gli acciacchi dell'età avanzata: soffriva di reumatismi, di cataratta all'occhio destro e di una probabile arteriosclerosi che aveva peggiorato ulteriormente il suo carattere capriccioso ed il suo comportamento viziato.
Si degnava di cibarsi solo di bocconcini altamente selezionati che il suo naso raffinato si abbassava a fiutare con superiore condiscendenza. Per il riposo notturno si riservava la zona più soffice del letto della Nice e non si dava pensiero di rientrare solo a notte fonda, dopo aver prepotentemente sbatacchiato le tapparelle a suon di zampa.
Allora tra le due iniziavano rimbrotti, litigi e minacce: «"Sò stüfa! S'at mœri, ni ciàp pœ di gat, ricòrdatal bén!4"», finché finivano per addormentarsi l'una fra le zampe dell'altra, inevitabilmente riconciliate fino al prossimo affronto.
Dal mattino alla sera la Nice lavorava nel suo orto, accompagnata oziosamente dalla Malandrina, quando essa lo concedeva per bieco opportunismo.
Il suo orto era l'ultimo in basso prima di Molina5, l'unico ancora coltivato. Più su c'era quello di César, poi quello di Puldèn e di Guidu. A destra c'era quello della Pierina "dal Cafè6", a sinistra quello di Vanôn. Ma era come fare l'appello nell'aldilà. Erano tutti puri spiriti. Anime defunte come i loro terreni, ora infestati da ortiche sovrumane, rovi e gramigne vegliarde. E alla fine della lista dei sempre assenti un piccolo paradiso: l'orto della Nice.
Lì non giungeva quasi nessuno, se non a volte l'intrepido Ginu "ad Boéri, "balzellando sull'unica gamba. L'altra l'aveva lasciata in bocca al Salto del cavallo7.
La Nice arrivava al suo posto di lavoro con il cappello di paglia da vispa Teresa, un esclusivo borsone ricavato dal sacchetto del verderame su cui campeggiava un perentorio Leggere le istruzioni prima dell'uso. Indossava l'immancabile grembiulone scuro, finemente rattoppato a mano con uno stile inconfondibile. Era affezionata al suo abito dei mestieri come ad una gloriosa uniforme di guerra. Una volta irrimediabilmente consunto, sarebbe passato con disinvoltura dritto dritto dal suo corpo allo scheletro dello spaventapasseri.
Curava gli ortaggi quasi fossero gli ultimi beni sulla terra, che poi distribuiva prodiga anche ai suoi compaesani. "Mé sum vêcia, la gàta l'è stciümléna8". Sgridava le cicorie indietro di maturazione e scrollava la testa davanti ai pomodori troppo maturi con la stessa costernata apprensione che si rivolge ai figli scapestrati che frequentano cattive compagnie: prima o poi si guasteranno.
Invece il prezzemolo era bel rigoglioso, impettito come un prode cavaliere coi suoi pennacchi verdi, lucidi di giovinezza. Anche le carote crescevano bene, anche se se ne stavano un po' appartate nelle loro campane di terra.
Ma ciò che scaldava il petto della Nice erano le aiuole di fiori che, come un olezzante girotondo, delimitavano lo spazio dell'orto. Lì, in particolare sotto una macchia di zinnie, la Malandrina &endash; bontà sua &endash; soleva trovare un languido ristoro dalla calura estiva. Noblese oblige.
Poi un giorno la Nice morì e nessuno andò a coltivare il suo orto. Nemmeno Ginu balzellava ormai più là. Gli si stringeva il cuore a vedere quell'ormai totale abbandono, senza che un largo cappello e un grembiulone scuro gli gridassero dal fondo con una voce di vent'anni: «"O Ginu ma vàla9?"».
La Malandrina scomparve del tutto, nessuno la vide più né viva né morta.
Finché, passato un anno, Ginu si decise a ritornare da quelle parti. «"Pôra Nice, s'la savìss cma l'é al so ôrt! Ag sàva acsè câr10!"».
Appoggiò il suo cuore al bastone e si introdusse nella proprietà della Nice, pronto ad ogni squallore. Ma rimase impietrito e sentì, per un attimo, il cuore confondersi con la sua gamba, quando vide quel che vide.
L'orto della Nice era più vivo e vegeto che mai, vestito a festa come suo marito Gigiœon, quando veniva ancora a morosa da lei.
I fiori si ergevano maestosi nel loro cordiale girotondo e le verdure erano cresciute perfettamente sane e copiose.
La notizia si sparse in breve per il paese. Tutti, dalle strade vicine, vennero stupiti ad attingerne a piene mani e portarono un po' della Nice sulle loro tavole.
Sotto una nicchia di zinnie sua maestà Malandrina, regina di tutti i vegetali riuniti, schiacciava indisturbata il suo nobile consueto pisolino.
Quello fu il raccolto più bello e abbondante degli ultimi tempi.
 
Note:
1 «Perdinci, è lungo come un treno!».
2 «Rimarrà incolto».
3 «È così schizzinosa nel mangiare».
4 «Sono stanca! Se muori, non prendo più gatti, ricordatelo bene!».
5 Zona boschiva abitata ai piedi di Vernasca (Piacenza).
6 Riferimento alla sua attività di barista.
7 Vecchia miniera in cui aveva subito un incidente di lavoro.
8 «Io sono vecchia, la gatta è schizzinosa».
9 «O Gino, come va?».
10 «Povera Nice, se sapesse in che stato si trova il suo orto! Le stava così a cuore!».
 
 
 

 

 

Classifica Concorso Città di Orzinuovi 1998 sezione narrativa
 
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inserito il 5 Febbraio 1998

modificato il 9 ottobre 1998