Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Stefano Masci

Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Club Poeti 2001, sezione narrativa

 
Il coniglietto
 
Marco riagganciò il telefono, ma non al primo colpo, dovette prima riprendere possesso del suo sguardo perso nel vuoto e bloccarlo sull'apparecchio telefonico. Spostò meccanicamente un paio di volte avanti e indietro la cornetta per assicurarsi che i pirolini fossero giù e, più tranquillo, si avviò nuovamente verso il giardino e l'attività che la telefonata aveva interrotto.
 
Marco e Arianna si erano stabiliti solo da pochi mesi a Casal Palocco, un centro residenziale alla periferia di Roma, nella villetta dove abitavano i genitori di Arianna prima della disgrazia. La decisione di abbandonare la piccola ma accogliente casa a Monte Sacro e ritirarsi lontano dalla lotta urbana, non fu facile da prendere, così come non si era dimostrato facile vivere in mezzo a tanti ricordi.
"Chi era al telefono?", urlò dal piando di sopra Arianna.
Marco sollevò la testa recidendo un bocciolo di rosa che avrebbe avuto l'intenzione di sopravvivere, almeno per sfamare qualche apina. "Era mio fratello" rispose tutto d'un colpo.
Cadde il solito silenzio, quello che seguiva a 'era mio fratello'.
Nicola, il fratello maggiore di Marco, era un bravo cristiano, il problema è che aveva una vita tutta sua, con regole ed idee che non era facile da condividere. I ragazzi lo adoravano perché sapevano che trascorrere una serata noiosa con lo zio era quasi impossibile, ma da quando erano morti i genitori di Arianna, avevano passato dei momenti terribili e il loro desiderio era quello di starsene un po' per i fatti loro.
"Che ha detto?", chiese con un po' di titubanza affacciandosi con indifferenza alla finestra, "viene a trovarci?".
"No. Voleva chiederci un piacere", e qui Marco fece una pausa. "Si è scusato che non può restare con noi a cena, viene solo per lasciarci il cane". Si avvicinò alla casa in modo che se la moglie fosse caduta dalla finestra lui era più vicino per prenderla al volo. Ma la testa di Arianna scomparve per riapparire vicino a lui due secondi dopo.
"Lo sai che abbiamo bisogno tutte e due di riposo. Abbiamo lasciato i ragazzi dai tuoi proprio perché così potevano trascorrere questo lungo week end in pace".
"Non potevo dirgli di no, capiscimi! La moglie lo ha appena lasciato. Deve andare fuori per lavoro…".
"A Pasqua? Va fuori per lavoro a Pasqua! Cristo, Marco! Solo tu puoi credergli. Dovrà andare dietro a qualche ventenne … La moglie lo ha lasciato, e ha fatto bene!". Concluse, girandogli le spalle.
Non era il caso di aggiungere nulla. Dopo un po' le sarebbe passato. Dopotutto era solo per quattro giorni e se non ricordava male, Diablo era un cucciolo dalla faccia simpatica, che avrebbe fatto innamorare subito qualsiasi donna.
"Sì ridi. Ridi pure. Ma ti avverto che io ho da fare e non gli starò dietro, te ne occuperai tu! Dal dargli da mangiare a evitare che faccia i suoi bisogni dappertutto".
Annuì e stava per rispondere che per lui andava bene quando risuonò la voce possente ed intimidatoria del Giudice.
"Salve, vicini. Tutto bene?".
"Salve Giudice", rispose Marco agitando una mano. Era lieto che fosse entrato in scena quel rompi coglioni del giudice, loro vicino di casa, sempre presente nei momenti sbagliati e sempre pieno di consigli premurosi e, talvolta, intimidatori: "Le conviene tagliarlo quel ramo, lo dico per leeei, a me non dà mica fastidio aaanzi, mi fa anche ombra, però sa… se dovesse cadere nel mio giardino in testa a me o a mia moglie &endash; magari eh? Eh &endash; lei passerebbe un sacco di guaaaiii…" eh sì, li conosceva quei tipi e li temeva. Gli avvocati lo avevano sempre spaventato, di continuo alla ricerca di cavilli legali per spillarti quattrini, peggio dei medici! Per non parlare dei giudici su cui solo Fabrizio D'André aveva visto giusto.
"Posso?", chiese indicando il cancelletto chiuso.
"Certo che può. Entri pure, non la denuncerò certo per violazione di domicilio", aggiunse Marco, come battuta in suo onore.
"È che non vorrei l'aggravante dell'effrazione!" rispose il Giudice sorridendo e restando immobile con la mano sullo steccato.
Marco non si mosse. Con le sopracciglia aggrottate in una posa interrogativa, guardò la moglie in cerca d'aiuto.
"È chiuso!", disse Arianna al marito avviandosi verso il cancelletto con la chiave in mano.
Il giudice entrò ringraziando con un inchino la donna.
"Vedo che state lavorando ancora sulla casa. Certo i giovani hanno idee diverse dai vecchi. Ma vi rubo solo pochi istanti. Volevo dirvi che domani noi partiamo, andiamo a trovare i miei genitori in Abruzzo. Stiamo fuori solo i giorni di festa e dato che voi non vi muovete, volevamo chiedervi, se non è troppo disturbo, di dare un'occhiata ogni tanto alla casa. Non è solo per i ladri ma anche per Alvin".
"Alvin?", chiesero contemporaneamente.
"Sì, il coniglietto di Ludovica, mia figlia. Sapeeeste come c'è affezionata", disse agitando una mano.
"Ah, sì", fece Arianna annuendo un paio di volte "quel grosso coniglio bianco" aggiunse guardando il marito esplicitamente.
"Sì, un coniglio d'angora che m'è costato una fortuna. Per carità, non è per i soldi, è che Ludovica lo voleva tanto che solo Dio lo sa che cosa ho penato per trovarlo. Pensate che non va nemmeno in bagno se non ha Alvin con sé".
"Davveeero?", fecero entrambi con un entusiasmo che non poteva passare indifferente a chi aveva avuto per anni a che fare con bugiardi professionisti.
"Bene. Allora me ne vado". Il Giudice si rigirò per poi fermarsi di colpo a metà del vialetto.
"Non servirà sicuramente, ma vi lascio il numero del mio cellulare se… dovesse succedere alcunché".
Arianna restò incerta se prendere o meno il foglietto che l'uomo le allungava. Già c'era il cane di Nicola, ci mancava pure il coniglio gigante. "Ma… dobbiamo fare qualcosa? Al coniglietto, intendo?".
Il Giudice scoppiò a ridere: "Ma no, state tranquilli. Sta buono buono nella sua cuccia, gli abbiamo lasciato un bel po' di insalata da mangiare. Giusto se vi capita, buttateci un occhio. Non voglio sembrarvi apprensivo ma se gli dovesse succedere qualcosa, la mia piccola ne soffrirebbe ed io… io… . Ma adesso vi lascio". Salutò, si girò e lasciò aperto il cancello del giardino. Arianna scosse la testa pensando che ci mancava anche il coniglio! e si voltò dalla parte opposta per rientrare in casa a spostare mobili che è meglio.
Salendo le scale altri pensieri scacciarono cani e conigli. Voleva molto bene ai suoi genitori e non era pronta alla separazione. Quel venerdì di quattro mesi prima quando gli avevano comunicato che i suoi genitori erano ricoverati, gravi!, all'ospedale il mondo le cadde addosso con tutto il suo peso. Non morirono subito e se non ci fosse stato Marco a darle, oltre il supporto psicologico, anche l'aiuto pratico indispensabile in queste occasioni, forse non ce l'avrebbe fatta. Sicuramente avrebbe superato il punto del non ritorno dall'esaurimento nervoso.
 
Nicola arrivò come un tornado. Parcheggiò la Volvo station wagon arando la ghiaia del vialetto con una bella frenata alla Blues Brother, aprì il portellone posteriore e si diresse a passi decisi verso la porta finestra del salone. Il cane, dal lato suo, schizzò fuori dall'auto e pisciò sui tre alberi del giardino, prima di mettersi a scavare. Marco accolse il fratello con un abbraccio rammentandosi troppo tardi di quanto fosse rapida la crescita nei pastori tedeschi. Arianna si mise le mani nei capelli vedendo il cane, entrato subito dopo il padrone, mettersi a sedere sul divano di lino chiaro. "È un po' vivace e state attenti ai bambini che gli piacciono molto", disse Nicola senza specificare troppo l'eventuale doppio senso, "e poi, non abbaia quasi mai prima di mordere, scherzo, scherzo, è ben educato, lo rivengo a prendere martedì, ciao, ciao". Stretta di mano al fratello, bacio alla cognata, sgommata e ripartenza.
Non ci volle molto alla coppia per rendersi conto che non sarebbe stata una fine settimana tranquilla ed un sesto senso, che non sapevano di avere, segnalava lampeggiando che quella poteva diventare una Pasqua memorabile. Erano sicuramente stanchi e stressati da tutti i mesi passati prima per ospedali e dopo per notai ed avvocati. La casa nuova aveva poi aggiunto altre preoccupazioni al lutto recente, i vicini e Nicola potevano rappresentare molto più che la goccia per far traboccare il vaso della loro stabilità emotiva.
 
I primi due giorni trascorsero tranquilli, Marco aveva da mettere a posto il giardino, voleva piantare degli alberi da frutto e rinfoltire un po' la siepe, e non solo per motivi estetici. Non gli faceva piacere che il Giudice sbirciasse dentro la loro intimità come se fosse alla ricerca della prova della loro colpevolezza. Il fatto di lavorare in giardino contribuiva a rilassarlo sia perché stava all'aria aperta in una tiepida giornata di inizio primavera, sia perché gli permetteva di tenere sotto controllo Diablo, il quale passava buona parte del suo tempo libero scavando… legato al pino. Arianna invece seguitava a mettere le cose che le ricordavano i genitori dentro scatoloni e poi spostava gli scatoloni nella cantina, così tutto il giorno. Marco si rendeva conto del senso simbolico che tale lavoro rappresentava per lei e così si teneva in disparte inventandosi nuovi rami da potare e bulbi da piantare. Non erano cattolici e così la Pasqua trascorse senza che se ne rendessero troppo conto. Il lunedì, non eccessivamente stanchi per parlare un poco, si ritrovarono in salone di fronte al televisore.
"Beh, abbiamo fatto un buon lavoro, che dici?", chiese Marco sventolando il telecomando in un ampio gesto per abbracciare tutta la casa.
"Sì", gli rispose laconica Arianna "era una cosa che dovevo fare. Mettere via ricordi e scatoloni. Questi mesi sono stati molto duri per me". Si sedette vicino al marito e guardandolo teneramente aggiunse: "non deve essere stato facile nemmeno per te, me ne rendo conto. Devo essere stata una gran rompipalle, noiosa e depressa".
Marco ricambiò lo sguardo colmo di affetto e spense la tivù gettando il telecomando sulla poltrona di fronte.
 
Accese la sigaretta direttamente dal camino. Tossì un paio di volte, dato che non fumava, e la mise tra le labbra della donna che, distesa sul divano, nuda con i vestiti sparsi a terra, sembrava il personaggio di un vero film di James Bond. Lei lo ringraziò con un cenno del capo e si fece piccola per riservare un po' di spazio al marito. Stettero così per un paio di boccate poi lui disse: "Non hai fame?".
"Incredibile!", gli rispose Arianna, "stavo per chiederti la stessa cosa! Lo sai che non mangiamo da stamattina a colazione?".
"È vero, siamo stati così occupati, tu con gli scatoloni ed io con la siepe che… Oh cazzo, Diablo!".
"Oddio, Diablo!".
Passarono da sdraiati a seduti in una frazione di secondo, e non solo perché era venuto in mente di essersi dimenticati di dar da mangiare al cane per tutto il giorno, ma perché era affiorato a livello cosciente un rumore che da un paio di minuti si stava facendo insistente. Come un rumore di ruspa che scava, scava.
Nudo come un verme, Marco si gettò fuori in giardino in tempo per assistere ad una scena del peggior film dell'orrore.
"Arianna, corri, cooorriii".
La moglie afferrò una camicia , tanto per far finta di proteggersi e corsi di fianco al marito. Strabuzzò gli occhi incredula e lanciò un urlo seguito da una imprecazione. Marco afferrò un ramo potato di fresco e lo scagliò nel buio. Inutilmente.
 
Erano riusciti a prendere Diablo e a legarlo alla catena e si ritrovarono di nuovo sul divano abbracciati, ma i singulti che adesso scuotevano Marco non erano di piacere.
"Oddio. Adesso che facciamo? Siamo rovinati. Ci manderà in galera, dovremo venderci tutto per pagare gli avvocati".
"Non possiamo nasconderlo?" chiese Arianna tenendo il marito per una spalla, "possiamo sempre far finta di niente, potrebbe essere stata una volpe, un altro animale…".
"Che dici? Ma che dici? Ma c'hai presente il Giudice quando ti guarda? Lo scopre subito. No, l'unica cosa è confessare". Una parte di sé sapeva, sapeva che Diablo, un cuccioletto di quaranta chili che si nutriva a bistecche più di un vero texano, non poteva stare un'intera giornata legato e senza mangiare! E questo lo rendeva automaticamente complice.
Restarono muti a guardare il fagottino peloso e sporco che stava ai loro piedi.
Marco ripassò gli ultimi minuti, come in un film per individuare meglio il colpevole, anche se in questo caso l'assassino era stato colto in flagranza di reato.
Uscito in giardino vide il cane lupo che stava scavando sotto la siepe con uno straccio in bocca. Uno straccio, dove l'avrà trovato? Pensò Marco, ma poi, mentre il killer usciva fuori completamente dal passaggio che aveva aperto tra la proprietà loro e quella del giudice, e leggendo la colpevolezza nei suoi occhi umidi capì che quello straccio peloso, sporco e, soprattutto privo di vita, era Alvin. Diablo non aveva provato nemmeno a scappare, sapeva di essere stato preso in trappola e si rimetteva alla clemenza della corte che gli avrebbe impartito due giorni ai ferri e a pane secco inzuppato nell'acqua, nell'attesa di rispedirlo a casa non appena Nicola avesse chiesto l'estradizione.
 
Però… un'idea si affacciò ad alta voce nella mente esausta di Marco. "M'è venuta un'idea!". "Come dici?". chiese la moglie rigirandosi di scatto.
Marco sollevò la testa sbattendo le palpebre un paio di volte prima di capire che stava ancora a casa sua e non in carcere. "Forse possiamo comprarne un altro uguale, non se ne accorgeranno. Eh? Del resto la bambina è piccola e possiamo sempre farle credere che…" chiese speranzoso.
"Comprarlo? Stasera? Sotto le feste di Pasqua? Giusto se decidi di andare a caccia di conigli d'angora nella riserva di Casal Palocco del Presidente!".
"Ti prego! Non ho proprio voglia di scherzare!".
"No. Ho un'idea migliore", disse Arianna asciugandosi gli occhi col dorso della mano "adesso lo laviamo, lo ripuliamo, gli curiamo le ferite e lo rimettiamo nella sua gabbietta accogliente, così domani, quando ritorneranno troveranno un bel coniglio morto serenamente nel sonno: di infarto, trombosi o di quello che cazzo muoiono i conigli nel sonno".
Uno spiraglio di salvezza! Marco risentì il sangue fluirgli nelle vene. L'idea era pazza, ma poteva funzionare. Una parte di sé gli diceva di non precipitare nel vortice del crimine, che quello era inquinamento di prove, complicità in coniglicidio e chissà che altro. Tu lo sai come vanno a finire queste cose nei film. Il delitto non paga. Ma zittì subito la vocina. "Va bene. Ti amo", baciò in bocca la moglie, raccolse il fagottino con un po' di schifo ed insieme andarono al piano di sopra.
 
Arianna sollevò con aria trionfante Alvin sopra la testa. "Non è bellissimo?"
Togliergli la terra pelo per pelo fu la parte più difficile. Poi gli pulirono le ferite attaccando con la colla la pelle nei punti dove Diablo aveva affondato i denti. Ma il vero colpo di genio fu quello di lavarlo con shampoo per capelli delicati e balsamo e completare il tutto con phon e spazzola.
"È meglio di prima. Bravissima! Ti amo, se mi scoprono, giurami che verrai a trovarmi tutte le domeniche e che mi aspetterai".
"Te lo giuro e ti porterò anche le arance fresche. Ma ora andiamo".
Entrare nel giardino del Giudice fu facile e anche rimettere Alvin nella sua tana, adagiandolo morbidamente sul pagliericcio di fianco ad un cespo di insalata.
"Sembra che dorma", fece Arianna guardandolo di traverso. Poi scoppiarono a ridere entrambi e scapparono via correndo come due marmocchi riparandosi nelle zone d'ombra.
Si misero a letto e solo quando furono distesi sotto le coperte lasciarono andare rumorosamente il respiro che gli comprimeva il petto. La giornata era stata dura e carica di emozioni, erano stanchi, ma Marco, sentendo il piede gelato della moglie che si faceva strada tra le sue gambe pensò che le emozioni ogni tanto fanno bene ai rapporti e che quel giorno avrebbero recuperato i mesi di distacco sia psicologico che fisico.
 
Era passata ormai quasi una settimana dal fattaccio e il Giudice non si era fatto vedere. Marco era ormai convinto che l'avevano fatta franca, però c'era qualcosa che non andava. Anche Arianna era un po' in tensione forse per la stessa ragione del marito o forse perché, come tutti i criminali, sentiva che tenere in scacco la polizia era più stimolante che essere ignorati. Poi, un bel giorno…
 
"Oh, mi scusi…", il carrello che aveva intruppato il suo era quello di Michela, la moglie del Giudice.
"Ah, salve Michela", aggiunse subito dopo averla riconosciuta, "come state? Tutto bene? È da prima di Pasqua che non ci vediamo! Tutto… bene a casa?". Cazzo, si stava comportando come un delinquente con sensi di colpa. Ma Michela sembrava non aver fatto caso all'imbarazzo evidente di Arianna.
"Beh, bene. Benino. Siamo un po' stanchi".
"Come mai, non sono andate bene le vacanze?", chiese con un largo sorriso. Troppo largo, pensò.
"No. Anzi, le vacanze sono state molto piacevoli, è che al ritorno… abbiamo trovato una… è successa un cosa strana…".
Eccoci. "…strana? Che cosa?".
"Sì, volevamo anche parlarvene. Mio marito più di una volta è stato tentato di venire da voi per parlarvi…"
Arianna non era una professionista del delitto e di questo ne fu immediatamente consapevole: le mani avevano iniziato a tremare e si sentiva un po' malferma sulle gambe. Si appoggiò al carrello e iniziò a spingerlo verso lo scomparto degli yogurt.
"Ma che succede, Michela? Mi sta spaventando. È successo qualcosa di brutto?", chiese simulando distacco.
"Beh, sì. Forse a voi potrà sembrare una sciocchezza, ma noi… sapesse quello che abbiamo passato! Ludovica non si è ancora ripresa. Mio marito prima si è infuriato, voleva chiamare la polizia, i suoi investigatori". Arianna prese un vasetto frutti di bosco con grassi sotto il due percento e si mise a leggere l'etichetta in tedesco.
"Ma che mi dice", fu il massimo che le venne in mente di dire.
"Sì. aveva pensato subito ad uno scherzo macabro, ma poi, dopo che Ludovica…", Michela dovette fermarsi per cercare un fazzoletto nella borsa e soffiarsi il naso, "mi scusi. Sa, sono stati momenti difficili, vede come siamo ridotti. Poi è entrato in depressione, quasi catatonico".
"Chi?", urlò Arianna sgranando gli occhi, "il giudice?".
"Sì", riuscì a confermare tirando su col naso.
"Ma che cosa è successo?", non era più sicura che stessero alludendo alla stessa cosa.
"Si ricorda di Alvin? Il coniglio di nostra figlia?"
Invece sì, era la stessa cosa! "Certo, non l'abbiamo mai visto, però ce ne ha parlato suo marito", bravissima! Una bugia intervallata con una verità. Stava imparando.
"Ecco, poco prima che partissimo per le ferie, è morto. Mio marito lo ha trovato morto nella sua gabbia. Sapesse come era bello. Sereno. Forse un infarto, una trombosi, non sappiamo". Scosse la testa ricorrendo nuovamente al fazzoletto. "Anche mio marito c'era affezionato, gli aveva preparato un bel piede di insalata da lasciargli. Fatto sta che abbiamo deciso di avvertire Ludovica. Non le dico i pianti, non ci voleva credere, voleva molto bene a quel suo amichetto. Pensi che mio marito ha dovuto fare la voce grossa per tranquillizzarla e poi… poi abbiamo deciso di seppellirlo in giardino".
Arianna sentiva un ronzio nelle orecchie e le gambe molli, non riusciva a capire molto quello che la donna le stava raccontando.
"Sa dovevamo partire, per cui ha scavato una buca e ci ha messo dentro il coniglio, promettendo a Ludovica che al ritorno gliene avrebbe comprato un altro. Ma quando siamo ritornati sa cosa abbiamo trovato? Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci".
Lo sapeva! E lei, la pelle d'oca, ce l'aveva già da svariati minuti.
"Alvin, lindo e pinto come se fosse uscito fuori da un auto&endash;lavaggio per conigli. Disteso sul suo lettino come se si fosse appena addormentato".
Arianna fece cadere il vasetto di yogurt e improvvisò due passi di danza per non cadere in terra.
"… e… che avete… che avete pensato…?".
"Le dico, dapprima mio marito ha pensato ad uno scherzo macabro, poi Ludovica ha iniziato ad urlare… sa, lo ha trovato lei, era in piena crisi isterica, piangeva ed urlava. Ce l'aveva col padre!".
"…col padre? Perché, che… c'entra il giudice?", chiese Arianna balbettando mentre tentava di ricostruire una storia incomprensibile.
"Non capisce? Come un film dell'orrore. Urlava che il padre aveva sepolto vivo il coniglio e che questo poi era riuscito ad uscire dal buco per morire in pace nel suo letto. Ed ora dice che il fantasma di Alvin si vuole vendicare e che ci ucciderà tutti. Prima il padre, poi me e… infine porterà lei al cimitero e la seppellirà viva in una tomba…", si soffiò il naso con tanta forza da far girare un paio di commessi. "Non dorme più. Abbiamo chiamato i migliori medici che ci hanno detto…".
Ma Arianna la fine della storia non era proprio riuscita a sentirla, all'idea del coniglio sepolto vivo e della casa del Giudice, infestata da poltergeist leporini era scoppiata in una risata che solo le lacrime copiose erano riuscite a mascherare.

 Classifica Concorso Club poeti 2001 sezione narrativa

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ins.4 maggio 2001