Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Speranza Porcheddu
Con questo racconto ha vinto il dodicesimo premio del concorso Marguerite Yourcenar 2002, sezione narrativa
 
Bianca Creatura
Ha nell'idea una bianca creatura che lentamente evade... la afferra, ma è polvere fra i denti, è solo un vento orientale e dietro quel viso... un velo pallido di sorriso...
E così Armando si ritrovò, in un giorno come tanti della sua vita, in un luogo che aveva visto tante volte. Per lavoro, ma non solo per quello, la fotografia era l'esternazione del suo pensiero, della sua forza interiore.
Ma la sensazione che niente accade se non nell'istante che si è protagonisti dell'emozione che porta, lo accompagnava dall'inizio del viaggio, lo faceva vagare, come se l'incompletezza lo avvolgesse e per raggiungere la pienezza del giorno, dovesse cercare ancora per chissà quanti angoli nascosti.
Tu, anonima apparenza tra le mura di pietra secolare dove la tua mente evade in chissà quali dita, in chissà quali occhi senza identità, labbra di incanto schiuse a un sogno. E danze tra le pareti di cristallo antico, ma dov'è quella parola che si sente ma che non si conosce, a piedi nudi, quei piccoli piedi di prigioniere inconsapevoli, tra le musiche etniche. Dalle sue mani nasceva come una sorgente quel sorriso, tra i confini di pietra e in un istante era la sua figura leggiadra che l'avvolgeva e non lui. I suoi fianchi sinuosi in una danza lo circondavano con movimenti frenetici.
E così seduto su sedili di pietra di quel paese arabo, l'aveva vista attraversare in fretta quella strada buia, con in mano e stretta fra le braccia, pareva avesse la luna tanto era pallida. Poco più di una bambina, come ali che schiuse al sole a un palpito di vento si rinchiudono in sé, per stringere al tempo quello che agli occhi cela ciò che celato si svela, quel velo nascondeva un sorriso, un pianto, un assenso di speranza o chissà quali apparenze irreali di sé in quella donna.
Certo era che si stagliava nel pallore candido il suo sguardo, a passi lenti, con il viso dietro angoli abbandonati.
Armando, al passaggio di lei tese la sua mano e le afferrò il braccio, ma lievemente la sfiorò, quando i suoi occhi lo fissarono in uno stupore attonito e per lo scorrere di interminabili parentesi vi lesse di maree ancora da esistere e tutto quello che era stato, che era e che sarebbe stato si fusero con l'animo di lei: "Sono qui, parentesi di nuvole appaiono e scompaiono; sono sullo sfondo di questo silenzio illimitato e chiamo ancora una cacciatrice fragile eppure non scomparsa e tu, come se un fantasma buttasse via una seta, cammini lungo i muri sui quali petali raccolti in un sorriso nascondi, dietro quel velo che per sempre eternerà in te questo passaggio".
Con lo sguardo cancellò le distanze e i capelli di lei, raccolti in una nera treccia, sparse alla leggera brezza che spirava sulla notte. Con le sue, la bella araba, sfiorò le labbra di Armando e in quel bacio tutta la fragranza di un'essenza orientale si attardò in lui. Forse in quel luogo gli anni avevano dimenticato di essere anni e come germogli mai nati nel gelo, non avevano schiuso il loro scorrere in avanti? Forse che quella bianca creatura avvolta dal chiarore lunare, era rimasta per secoli, scolpita in quel cammino tra lo spazio e il tempo, sospesa tra passato e futuro con il viso rivolto a chissà quali sogni? Su questi interrogativi si risvegliò dal torpore che l'aveva assalito. Quanto aveva dormito? Si rese conto di aver sognato un sogno talmente reale che la bianca creatura ancora aleggiava nei suoi sensi. Il viaggio era lungo e Armando fissava la strada. Il cielo era limpido, di un colore diafano costellato di nuvole, era solcato di tanto in tanto da striature arancio. Era il tramonto. Come era silenzioso e desolato quel paesaggio serale. Egli si dirigeva da Medina a Dariyah. Come era povera l'agricoltura in quegli spazi. Ogni tanto scorgeva delle greggi appartenenti a tribù nomadi. Si chiese cosa era avvenuto. Il gran caldo gli doveva avere offuscato la mente. Chiese subito informazioni in lingua araba al conducente e apprese che non mancava molto. Pensò alla bianca creatura sognata e sorrise tra sé e sé tutto il tempo, fino a destinazione. Ancora una volta in quel paese dalle mille e una notte, per lui era un lungo viaggio di immagini e non lavorare, fotografare gli attimi più importanti, frammenti di paesaggi, storie di vita da far vivere a chi non era stato in quegli orizzonti. Una piccola dimora a Dariyah che fungeva da ritrovo per i viaggiatori, lo accolse quella notte. Il giorno, all'alba si recò per perlustrare il luogo. Camminava senza meta per raccogliere istanti di un'esistenza nascosta. Il sole era alto, quando voci di giovani mercanti si confusero con i profumi delle pietanze tradizionali. Quel piccolo mercato si nascondeva all'ombra d'un nugolo di case che, nel ritratto d'un Oriente tra il narrato e il sentito, cingeva da un luminoso mattino, le fragranze dai magici filtri e nell'aria le pesanti stoffe imprigionavano le giovani donne del richiamo d'antiche vesti, che infondevano in lui, nei volti ancora avvinti della notte, il richiamo di lei: "Mio signore, una stoffa per vestirmi, una tunica, una miscela d'erbe per truccarmi il viso, gioielli nascosti tra le apparenze. Il mondo luccica di stelle senza quelle perle finte".
E quando il mondo avanza e quando il mondo scende, il sipario schiuso non traspare mai che nelle notti bianche, nessuna intonazione scivola oltre quelle strade orientali, nessun velo ricopre le illusioni inventate. E come se una mano misteriosa lo trascinasse via, si voltò, poiché quel pallore lunare che aveva raccolto in sogno tutto il suo sentire, attraversò quel luminoso mattino e ad un tratto la vide attraversare a piccoli passi il buio. E i sedili di pietra che incorniciavano la sua memoria, dalla luna si lasciavano cullare ancor al passaggio della bianca creatura. Come era reale quell'incertezza astrale. Come le bianche vesti disegnavano l'esile corpo e com'era irreale quella realtà ideale. Scomparvero in lui le sfumature del giorno e la sua mano tese ad afferrare il braccio della bella araba. Ma fu solo un istante. Il giorno combatté la sua lunga guerra con la notte e in quella cornice dove le linee di terra, mare, cielo si confondono, sentì di non poter più amare se non in quell'istante. Ma della visione sfumarono i contorni e già le voci dei giovani mercanti sprofondarono nella luce solare. Si rese conto che per interminabili attimi era rimasto a fissare dentro di sé, il desiderio d'un ritorno ormai svanito. Riprese a osservare quel piccolo mondo carico di storia e a cercare un'immagine da portare con sé, quando da chissà quale angolo, il canto d'una dolcezza infinita, diffondendosi intorno, regalò del fascino da non poter nascondere il viso al quale apparteneva. Su sedili di pietra, seduta con le mani incrociate nel grembo, una giovane donna, dai bei capelli d'una notte fonda, imprigionati ancora da una luminosità soffusa, attendeva di un'attesa lontana. La sua veste pallida lasciava intravedere la sua esile corporatura e lo sguardo sorrideva d'una fragile età allo stupore di lui. Mai uno sguardo s'attardò così infinito, d'un sorriso nel suo essere e quando la melodia si spense, Armando sentì venire mene la volontà, come se Ulisse in lui venisse finalmente ammaliato dal cantico delle Sirene. Non poteva credere d'essere sveglio, se non quando avvertì di quel suono la sua lenta agonia e finalmente svanì per lui, l'ultimo respiro. Quale sorgente faceva nascere quell'emozione che dissetava tutta la sua vitalità? Quel canto aveva risvegliato i ricordi d'una speranza nascosta e ora la bella araba lo guardava come conoscesse in lui un'attesa ormai conclusa. Armando avanzò verso di lei come una risposta alle sue domande, ma le parole non avevano spessore in quella dimensione. O in quella dimensione il silenzio era molto più del detto. Ora, le delicate mani, dal grembo si levarono verso di lui alludendo a un'occasione di contatto. Lo guardava con aria di familiarità. Sorpreso da quella sottile allusione, avvertì in sé l'intravedere il dubbio e ci fu un attimo in cui le due presenze, ancorate allo spazio che le allontanava, riconobbero nell'espressione dell'altro parvenze di baci ideali, che trapassato il confine tra veglia e risveglio, ancora addormentavano il tempo in quel lontano sfiorarsi. S'accorsero allora, che immagini riflesse come sprofondarsi di specchi l'un nell'altro, affondavano gli sguardi l'un con l'altro. La bianca creatura riconobbe nell'uomo lo scorrere di interminabili parentesi, di maree ancora da esistere e fu tutt'uno con lo stupore attonito di lui, che riconobbe nella bella araba, la figura leggiadra tra i confini di pietra. Tutto il pallore delle più pallide notti, attraversò l'animo d'Armando e ritornarono insieme in quella strada buia, dove finalmente la luna tra le braccia di lei, splendeva ancora d'incerto. Com'era immobile il tempo. Durò un attimo quell'abbraccio perfetto, perché un richiamo ruppe l'incanto: "Amira..."
La giovane donna sussultò risvegliandosi da quel viaggio infinito. Un ragazzo la chiamava da una porta lontana.
Amira si levò, ma i suoi occhi ridenti gli rivelarono che per sempre sarebbe stata in loro la magia d'un amore. Durò un attimo e fu per sempre. Ancora sulla porta la giovane si voltò e prima di svanire nel vuoto che la inghiottiva, un triste sorriso velato d'un nostalgico passato la attraversò nello sguardo. Durò un attimo e fu per sempre. La porta si richiuse e lei scomparve. Fu allora che Armando si rese conto di quale realtà lo aveva circondato, perché dormendo in sogno e passeggiando in una notte lunare, una bianca creatura aveva disegnato il suo desiderio d'insperato. Quel nostalgico sorriso, quante storie aveva raccontato, aveva intessuto per lui i giochi più incredibili, aveva fatto nascere in lui, una volta per tutte, la speranza d'un dialogo inesauribile. E così la sua sete d'assoluto parlò: "Se questo è tutto quello che mi dai, bianca creatura, accetta in cambio tutto il mio vissuto, non sarai una parvenza, ma nelle tristi notti, una sera d'estate fra mille stelle, arriverà su noi. Quanto è freddo quest'inverno ideale, quanto è fredda questa notte solare. Ma arriverà una sera d'estate per me e per te. Bianca creatura che lentamente evadi, solo un vento orientale dietro quel viso... un velo pallido di sorriso. Tu, anonima apparenza, serba per me tutta l'essenza di questi istanti fissati nel sempre, solo per noi".
E quando il mondo avanza e quando il mondo scende, il sipario schiuso non traspare mai che nelle notti bianche, nessuna intonazione scivola oltre quelle strade orientali, nessun velo ricopre le illusioni inventate.
Ma le illusioni a volte diventano realtà, sfioriscono all'età ma germogliano dentro. Forse che il tempo può nascondere al cuore l'apparenza d'un sogno nascosto?
Non c'è età che cancelli la speranza, non c'è luogo dove non si incontrino ancora e per sempre, i solitari desideri di due amanti di ogni libero sogno.
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 Agg. 02-12-2002