Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Simona Taddei
Con questo racconto ha vinto il nono premio del concorso Concorso Letterario Marguerite Yourcenar 2000 sezione narrativa
 
My Little House
 
Ore 12 e 35 minuti, almeno questo è ciò che asserisce il mio consunto swatch. Il sole inizia a scottare e sarebbe opportuno trovare un riparo all'ombra e riposarmi in vista di riprendere il mio viaggio. Viaggio? Fin dove giunge il mio sguardo il paesaggio è arido e desolato. Cammino su questa strada da cinque ore e non ho incontrato nessun essere umano. Le case visitate erano prive di vita. Pensare che in questo momento dovevo trovarmi sul jet decollato da Washington con destinazione Boston per le mie meritate vacanze. Invece mi trovo in un punto imprecisato nello stato dell'Utah. Sembrano passati secoli da quando ero seduto sull'aereo ad ultimare la mia relazione da presentare a Barnes, al contrario tutto risale a due settimane fa. Sono stanco. Lascio la strada perché ho individuato alcuni massi a ridosso di un promontorio, privo di vegetazione ad eccezione di un albero dall'alto fusto e dalle foglie piccole e verdi. Mi siedo e la mia pelle grida di gioia e gratitudine per non dover sopportare quel caldo secco. Dallo zaino estraggo una scatola di biscotti per bambini, un vasetto di vetro contenente tonno sott'olio e una bottiglia di succo d'arancia, derivati dalla mia ultima visita nel negozio di generi alimentari di Little House. Ho molto appetito ma cerco di non abbuffarmi, assaporo il gusto dolce dei biscotti con il pesce.
"Questo è ciò che offre la mensa" asserisco, ma nessuno può apprezzare il mio sarcasmo. "Pagherei per un bagno". Quest'odiosa terra rossa, sospinta dal lieve vento, si appiccica alla pelle ricoperta di sudore. Il promontorio alle mie spalle è alto circa 100 metri rispetto al punto dove sono seduto e da lassù la visione sarebbe maggiore.
"Potrò individuare un hotel cinque stelle con tutte le comodità del caso".
Il mio cervello da razionale agente FBI continua ad analizzare i fatti accaduti negli ultimi cinque giorni.
"Da un altro caso come questo non penso di uscirne" disse Belinda Spark nel suo impeccabile tailleur grigio. Guardandola risposi che aveva ragione. I suoi capelli colore rame, erano raccolti da una crocchia, e questa faceva risaltare gli occhi verde smeraldo, sul piccolo viso dai lineamenti dolci e sensuali. Sulla porta dell'ufficio, che dividevamo da sei anni, esclamò:
"Agente Gravis lei è patetico". Iniziammo a ridere smorzando la tensione accumulata a Chicago.
Belinda era una donna affascinante. Sul piano professionale l'uno compensava l'altro ma su quello personale il suo modo di pensare era completamente opposto al mio e forse è per questo che la nostra relazione era finita. Quando due persone lavorano insieme da molti anni tra di loro s'instaura un rapporto basato sulla reciproca fiducia. Io e Belinda eravamo sballottati di città in città a risolvere casi impossibili. Il tempo che trascorrevamo con le nostre rispettive famiglie era per le ricorrenti feste nel corso dell'anno. Impossibile che tra colleghi si parli solo di lavoro. Ciò che s'instaura in una coppia è amicizia. Il passo tra questo stato e l'amore è molto vicino. Non è facile stare fianco a fianco con una persona di sesso opposto al tuo e ripetersi di tenere a freno i sentimenti. Belinda ripeteva che sarebbe stato più difficile svolgere il nostro lavoro in queste condizioni. Ma entrambi ci abbandonammo alla passione. La rigidità dell'FBI non permetteva ciò. Rischiavamo la sospensione. Entrambi sapevamo che doveva finire. Dopo obbligato congedo, come ricompensa per aver arrestato il colpevole dell'uccisione di un grosso spacciatore trovato ucciso in un vicolo di Seattle, da trascorrere con le nostre famiglie, tutto finì. Senza discussioni e rancore solo un bel ricordo.
"Agente Spark, Agente Gravis complimenti per come avete risolto il caso".
Si congratulò il nostro superiore, Barnes, per la cattura dello strangolatore che per mesi aveva impaurito l'intera città di Chicago con tredici uccisioni di donne.
"Ho ricevuto ordini precisi a proposito di ciò che sto per raccontarvi". Fece una pausa, durante la quale si accese una sigaretta, i suoi occhi celesti furono offuscati da una strana luce. Quel piccolo uomo dalla testa calva che si trovava di fronte a me parlò per più di un'ora, alla fine disse: "Buona fortuna ed occhi aperti".
Fuori di quella stanza, intrisa di mistero, Belinda dichiarò che la madre non l'avrebbe perdonata di mancare al suo compleanno. Gli proposi di regalarle qualcosa tipico dell'Utah.
"Nell'Utah cosa c'è di tipico?" domandò lei con sarcasmo.
"Un pezzo di piombo" la mia battuta non ottenne il risultato desiderato.
Il nostro nuovo caso consisteva nello scoprire le cause della morte di quattro persone, avvenute nella cittadina di Little House. Sull'aereo, che viaggiava per Salt Lake City, io e Belinda consultavamo i dossier consegnati da Peter Barnes. Chiesi alla mia collega che cosa pensasse e lei rispose che l'unico punto di riferimento tra le quattro vittime era che tutte lavoravano nell'industria Phoenix, che si occupava dell'estrazione di piombo. E da lì cominciammo.
La cittadina di Little House distava nove chilometri da Salt Lake City e vi giungemmo in taxi.
"Un luogo molto tranquillo" esclamai guardando quella cittadina dimenticata dal progresso.
Viaggiavamo lungo una strada sterrata, ai cui lati, si ergevano piccole abitazioni di colore bianco tutte delimitate da staccionate.
"Quello deve essere l'ufficio dello sceriffo Patton" Belinda indicò una costruzione piatta con un'enorme vetrata. Davanti la quale era parcheggiata l'inconfondibile auto bianca e blu. Lo Sceriffo Patton resosi disponibile rispose al nostro interrogatorio. Alloggiammo nella pensione Lux e decidemmo di far visita al Signor Phoenix. Dichiarai che, come primo giorno, le indagini erano in alto mare. Mi trovavo nella camera di Belinda per stilare la relazione in base alle informazioni ricevute facendo domande in qua e là tra gli abitanti di Little House.
"Il signor Phoenix era nervoso".
"Lo saresti stata anche tu se due agenti federali piombavano nella tua impresa a fare domande su diversi decessi non accidentali".
"Abbiamo scoperto un altro punto in comune tra le vittime".
Belinda si riferiva ai sintomi che le persone avevano riscontrato prima della morte. Formulammo l'ipotesi che il nostro industriale non estraeva solo piombo. Lo spiegavano anche le ricorrenti analisi cui erano sottoposti gli operai. Raccontai della conversazione che avevo tenuto con lo Sceriffo. Patton mi aveva riferito diverse notizie. Quella che aveva suscitato la mia attenzione riguardava il socio del Signor Phoenix, deceduto due mesi prima in seguito al crollo di una galleria nella miniera. Il giorno successivo andai a far visita alla vedova Smith. Ottenni degli elogi nei confronti del Signor Phoenix per come aveva aiutato lei e i suoi due bambini dopo la sorte inflitta al marito. Belinda era andata nella capitale ad interrogare il medico che aveva effettuato le autopsie.
"Dov'eri finita? Ti stavo aspettando per la cena". Enunciai ad una Belinda affannata.
"Spero tu abbia scoperto qualcosa di buono, io ho fatto un buco nell'acqua".
"Il Dottor Meyer aveva riscontrato la presenza di macchie nere in tutte le vittime prima della loro morte".
"Questo lo sapevamo".
Mi fece cenno di tacere.
"Le macchie erano nei polmoni".
"Vuoi dire...".
"Quelle persone sono morte di cancro polmonare. Ciò che mi ha fatto osservare il Dottore, è la velocità con cui il tumore si è propagato nel corpo umano, e la continua generazione di cellule maligne anche dopo l'avvenuta morte".
"Vuoi affermare che il cancro della pelle si è manifestato dopo a morte?".
"Sì, dall'ultima autopsia abbiamo scoperto la presenza di tumori al fegato ed al cervello".
"Dobbiamo scoprire la verità e penso che il nostro amico Phoenix possa darci una mano".
Uscimmo decisi a far luce su questa piccola e oscura città.
Lo sceriffo Patton ci aveva messo a disposizione una BMW di colore grigio. Imboccammo la strada principale di Little House, in direzione sud rispetto a Salt Lake City. Due chilometri davanti a noi si ergeva la villa di Phoenix; Tutto accadde in un intervallo di pochi minuti. Frammenti di ricordi invadono la mia mente. Quel rumore si avvicina e poi la luce bianca che mi offusca la vista. Perdo il controllo della vettura e andiamo fuori strada. Poi il silenzio. Non riesco a muovermi. Sento delle voci e poi sprofondo nel buio completo.
"Ehi!... svegliati..." una voce lontano e sconosciuta "Sei sveglio... rispondi".
Mi sento intorpidito e ancora quella voce, poi il pensiero di Belinda mi scrolla. Apro gli occhi. Urlando il suo nome. La stanza ha il pavimento in cemento ed io sono sdraiato su un letto fatto di roccia. La luce proviene da un'apertura, delimitata da sbarre di ferro, la quale non mi permette di vedere fuori perché è più alta di me due spanne.
La voce proviene da una feritoia posta in basso.
"Io non penserei a questa Belinda se fossi in te".
Non riesco a pensare. Mi fa male la testa. Questa è fasciata. Chi mi ha portato in questo posto si è curato di me. Dei rumori di serratura provenienti dalla robusta porta. Essa si apre e appare una figura massiccia vestita con una tuta mimetica e passamontagna nero.
"Dove mi trovo? Chi mi ha portato qui? Che cosa avete fatto a Belinda?".
L'uomo mi punta una mitragliatrice contro e mi fa segno di uscire.
Sono sospinto lungo un corridoio fino ad una porta che si apre automaticamente. Entro.
"Sceriffo Patton!".
"Dottor Patton" risponde.
"Dove ci troviamo?".
Iniziò a raccontare. Mi trovavo in un centro di sperimentazione. Io e Belinda avevamo fatto troppe domande. La mia compagna era rimasta uccisa nell'incidente. Non riuscivo a credere a quelle parole.
"Lei è il responsabile della morte di molte persone e dopo la nostra conversazione ucciderà anche me...".
"Agente Gravis io non sono un assassino".
Spiegò che l'industria era una montatura per scegliere i soggetti più sani da sottoporre agli esperimenti. Diversi membri della società di Little House facevano parte dello staff medico nella villa di Phoenix. Tra questi vi era anche Smiths. Voleva ritirarsi e così avrebbe rovinato i piani. Le sperimentazioni consistevano nell'iniettare cellule maligne nel corpo di un essere umano e poi sottoporlo ad un vaccino sperimentale chiamato Life.
"Le quattro vittime non sarebbero state d'accordo sul nome".
"Nella vita ci sono sempre degli imprevisti".
Capii che per Patton era un atto giusto sacrificare quelle persone e non solo lui perché diversi membri del governo avevano appoggiato la causa. Quelle parole sembravano senza senso e contemporaneamente firmarono la mia condanna a morte. Fui bendato e legato dall'uomo che mi aveva scortato nella stanza. Camminavo sentendomi in colpa per la morte di Belinda. Giungemmo all'aperto. Percepii una leggera brezza primaverile. L'uomo incappucciato era il mio boia. Mi tolse la benda. Davanti a me vi era una jeep. Salimmo dirigendoci verso nord. Il guidatore aveva appoggiato l'arma sul cruscotto e fissava la strada tortuosa. Pensai o ora o mai più. Spostai tutto il peso del mio corpo verso il guidatore, il quale perse il controllo dell'auto. Cercò di brandire l'arma ma io gli assestai un colpo alla testa. Esso mi procurò un dolore insopportabile. L'avversario cinse con le mani il mio collo.
La stretta non mi permetteva di respirare. La jeep sbandò ed uscì dalla strada, si rovesciò e le immagini diventarono confuse. Fui sbalzato fuori dell'abitacolo. La massa di ferro continuò la sua corsa pazza. Dopo essersi fermata iniziò a bruciare. Avevo delle escoriazioni in diversi punti del corpo ma niente fratture. Tornai sulla strada e decisi di tornare a Little House. Sapevo di rischiare molto. Zoppicavo, respiravo faticosamente e mi bruciavano gli occhi. La cittadina era completamente deserta.
Il pensiero di Belinda mi riportò indietro da quell'incubo presente. Guardai l'altura alle mie spalle e iniziai la scalata. Un rumore che si avvicinava destò il mio udito. Un elicottero. Iniziai a fare segnalazioni per attirare l'attenzione del pilota. Non pensai che fossero uomini al servizio di Patton. Ero stanco. L'elicottero si abbassò. La mia corsa verso il pilota, dal buffo cappello da aviatore, sembra interminabile. Il vento delle eliche mi colpì in pieno volto. Riferisco all'uomo sulla cinquantina che mi trovo di fronte, che sono un agente Federale e ho bisogno della sua ricetrasmittente.
 
Postfazione
 
È passato un mese dal mio ritorno a Washington. Le ricerche sul caso di Little House sono cessate per mancanza di prove. Gli abitanti sembrano non essere mai esistiti. Ancora oggi mi domando come hanno fatto a sparire più di cento persone, in poche ore e, per di più, senza lasciare ombra di traccia. Dopo il ritrovamento del corpo di Belinda nella tenuta di Phoenix, la sua autopsia rilevò la presenza di tumori in varie parti del corpo. Mi sono concesso una lunga vacanza. Ho giurato, sulla bellissima tomba di marmo bianco con una bellissima foto di Belinda sorridente, che la sua morte non sarà stata vana perché la verità dovrà venire fuori. Patton e i suoi folli esperimenti sacrificando povere vittime, hanno i giorni contati.
 
Concorso Marguerite Yourcenar 2000 a sez. narrativa  
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori, Simona Taddei
Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
 
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agg. 3 novembre 2000