Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Simona Cavaliere
Con questo racconto ha vinto il quinto premio all'edizione 2006 del Premio La Montagna Valle Spluga.



Cuore di Montagna


Montagna se ne stava, insieme alla sua famiglia e ai suoi amici, ferma ferma, a braccia conserte e con il broncio sul viso, a contemplare la vita scorrere intorno: laghi placidi distesi al sole, torrenti impetuosi cantilenanti tra un balzo e l'altro, i saggi abeti dalle braccia ondeggianti, saldi rifugi di vite diverse, il vivace scoiattolo, gli allegri uccellini, le indaffarate api.
"Tutto si muove intorno a me, persino i pesanti orsi e le astute aquile che mi usano come casa spesso mi lasciano sola e vanno per il mondo, soltanto io non ho piedi per muovermi, per scoprire cosa c'è intorno, non posso conoscere altre montagne che non siano quelle, anche loro immobili, accanto a me, non posso neppure voltarmi indietro, a guardare cosa c'era prima. Forse tutto questo peso che mi porto addosso ha schiacciato i miei piedi e le mie gambe e per questo non posso più muovermi? Forse tutta questa forza racchiusa dentro di me tiene bloccato il mio corpo?"
Così passava i giorni Montagna, brontolando e imbronciandosi sempre di più.
Non potendo muoversi, riusciva a guardare solamente davanti a sé e ogni giorno aveva sotto gli occhi l'indaffarato pullulare della vita che la indispettiva tanto.
Fu così che si accorse che il calore del sole stava sciogliendo la neve, che piano piano lasciava liberi i suoi fianchi e gocciolava in rivoli dai mille colori dalle punte dei rami degli alberi. "Ecco, se già prima non potevo stare tranquilla, adesso che la neve se ne va, figuriamoci che gran confusione!"
Montagna invidiava anche la neve che, nel suo piccolo, era libera di arrivare e scomparire a proprio piacimento, insomma, anche la neve si muoveva, soltanto lei era costretta a rimanere sempre immobile. Montagna su un punto aveva ragione: sapeva per esperienza che, quando la neve si scioglieva, sotto il sole via via sempre più tiepido, un rigoglio di nuova vita e nuove attività esplodeva letteralmente ai suoi piedi e fra le sue braccia.
Come da una tavolozza sfuggita di mano ad un pittore generoso, tutte le tonalità del verde andavano a ricoprire ogni minimo spazio libero e a far da cornice a scintille di bianco, blu, giallo, rosa e rosso. Mille ali ed altrettante zampe si indaffaravano, chi di giorno, chi la notte, in questo mondo incantato e prezioso, in un brulicare di voci, di respiri, di anime. A Montagna tutto questo movimento acuiva, se possibile, ulteriormente il cattivo umore, provocandole una sorta di prurito da cui riusciva a liberarsi soltanto ad autunno inoltrato, quando finalmente, tutto il mondo sembrava quietarsi sotto la severa bacchetta della pioggia.
Montagna non sapeva, o meglio, non si ricordava più, se anche le sue amiche e sorelle montagne provavano gli stessi disagi perché, a causa del suo carattere sempre cupo, nessuno parlava più con lei da molto tempo. Montagna non si ricordava neanche se lei stessa fosse stata sempre così o da quando e perché avesse iniziato a rinchiudersi in se stessa al punto da non amare più il calore del sole, il soffio del vento, l'allegria degli animali, la maestosità degli alberi, il ristoro della pioggia, la delicata carezza della neve.
Forse senza accorgersene non aveva più saputo meravigliarsi per tutto quanto costituiva il suo mondo e aveva cominciato a pensare di voler cercare, e poter trovare, altrove qualcosa che potesse renderla felice; il fatto era che non riusciva più a provare amore, ad essere felice guardando davanti a se.
Anche nella vita quasi eterna di una montagna ogni giorno passato a recriminare piuttosto che a vivere è un giorno sprecato, quindi la Natura, che sulla sua creatura Montagna aveva sempre vegliato fin dalla sua nascita, decise di porre rimedio a questa situazione così triste. Un bel mattino di primavera Montagna, sbattendo svogliatamente gli occhi, notò in una piega del suo duro rivestimento grigio, qualcosa di nuovo e di diverso rispetto al giorno prima: si trattava di una fogliolina tenera tenera, di un verdino chiaro e delicatissimo, che si reggeva su uno stelo corto e sottile.
"Cosa ci farà qui un esserino del genere" - pensò fra sé montagna, che era abituata ai tronchi vigorosi dei pini e ai robusti cespugli di stelle alpine e genziane.
Non si era accorta che un pettirosso, qualche giorno prima, uscendo un attimo dal folto sicuro del bosco, aveva depositato un piccolo seme in un anfratto riparato nel cuore della roccia. Il sottile strato di terra regalato dal vento e la rugiada donata dalla notte avevano avvolto il piccolo seme magico finchè la vita aveva cominciato a pulsare in lui e un piccolo germoglio si era fatto strada attraverso il guscio ed era uscito nel mondo. Giorno dopo giorno il germoglio si irrobustiva e somigliava sempre più ad una pianticella, le foglie lucidissime e verdi come crisoberilli. Quando cominciarono a sbocciare i primi fiori di tutti i colori e profumati come i vestiti leggeri delle fate dei boschi, tutti gli insetti delle radure andarono a danzare intorno alla piantina e a posarsi su quei petali lisci e delicati, luminosi nel sole.
"Che spettacolo!" - esclamò Montagna, che, dal giorno in cui aveva scoperto il piccolo germoglio nella piega del suo petto, ogni mattina si svegliava con la curiosità di scoprire quale novità quel piccolo essere avesse da svelare e ogni nuova giornata era per lei fonte di interesse e di gioia. Adesso accoglieva felice il via vai di insetti e piccoli animali che si avvicendavano intorno alla piantina magica, aveva ricominciato ad amare il sole che con i suoi raggi d'oro rendeva meno grigia la sua scorza di roccia e illuminava la vita intorno a lei, socchiudeva gli occhi deliziata alla carezza del vento che sospirava delicatamente fra i rami degli alberi e scivolava sui suoi fianchi rocciosi.
Montagna, giorno dopo giorno, aveva ricominciato a provare qualcosa all'altezza di dove ricordava esserci stato un tempo lontano il suo cuore, e tutto ciò grazie a quelle foglioline lucenti e a quei petali delicati, che sembravano nutrirsi della linfa che Montagna aveva tenuto in serbo per così tanto tempo nel profondo del suo essere. Anche le montagne vicine avevano notato un cambiamento nell'umore della loro amica, che non era più brontolona e imbronciata ma sempre più allegra e aperta alla vita. Le giornate si susseguivano così luminose e serene, con Montagna che sembrava ripiegarsi su se stessa a proteggere quella fragile creatura che le aveva ridato il sorriso, quando un temporale più intenso degli altri minacciava di piegarne lo stelo, o quando il sole sferzava con un po' troppa veemenza con i suoi raggi appuntiti i petali delicati.
Dopo la primavera e l'estate, che con il loro schiudersi alla vita avevano ridestato anche il cuore non più indurito di Montagna, ecco l'autunno, con il suo preludio al riposo lungo e silenzioso, gli ultimi guizzi di attività e di colori a ricordare alla Natura i suoi impegni prima di riporre la tavolozza sotto una tela bianca.
Montagna accompagnava uno ad uno i suoi amici animali e alberi nelle loro attività: chi preparava il caldo giaciglio, chi rimpinguava le scorte di cibo nella dispensa, chi depositava le ultime foglie ai suoi piedi per riparare le preziose radici. La piantina magica intanto, sotto gli occhi amorevoli e attenti di Montagna, sembrava diventare ogni giorno un po' più piccola, i fiori meno brillanti senza i raggi del sole che ne accendevano i colori. Montagna però non ne era preoccupata, perché ora sapeva. Sapeva che dopo la neve, che arrivò lieve e abbondante a coprire tutto, compresa la piantina magica, adagiata sotto quella coperta come se dormisse, il suo cuore avrebbe battuto ancora, avrebbe germogliato ancora, per sempre. Così anche lei si abbandonò al sonno ristoratore che l'avrebbe accompagnata fino alla primavera, fino a che la piantina magica l'avrebbe svegliata dispiegando nuovamente la sua magia d'amore dalla roccia verso il cielo.

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 Ins. 28-11-2007