Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Sergio Scisciot
Con questo racconto ha vinto il quarto premio del concorso Angela Starace 2003, sezione narrativa

Il miracolo vero
 
Da molti anni Marcella era costretta sulla sedia a rotelle da una paralisi dei muscoli delle gambe, lei che aveva corso sulle piste degli stadi, bella, elastica, più veloce dei colombi che allo sparo dello starter partivano in volo davanti a lei.
Ora Marcella era un fiore stroncato nel rigoglio d'una primavera gremita di sogni proprio sulla soglia d'una vita che sembrava promettergli gioia e salute.
Per lei pregava Ruben, un ragazzo che l'aveva amata nei giorni della bellezza spensierata, delle vittorie, delle medaglie e ancora profondamente l'amava e molto pregava Consuelo, una giovane suora filippina.
Pregavano con la disperante speranza che si abbatteva su di loro, ogni giorno senza che mai ci fosse il segno che la preghiera fosse in parte ascoltata.
"Perché è così difficile mantenere la passione per Dio? - chiedeva Ruben a Consuelo - molte volte mi sembra che Dio sia morto. E allora dov'è Dio nella vita, dov'è visibile, perché non muove un dito per Marcella? Eppure ho pregato tanto, suora Consuelo, da anni!"
Passò ancora del tempo e Ruben continuò a pregare e ad offrire azioni buone per la guarigione di Marcella, ma pure talvolta a imprecare: "Dove sei, Dio, nella mia vita, nella vita di Marcella?"
Viaggio molto, più per allontanarsi da una condizione che non sapeva accettare che per vedere e conoscere paesi nuovi. Volle assaporare il miele delle contrade esotiche; il fascino sontuoso dell'Oriente gli apparve un paesaggio intenso dell'anima prima ancora che un luogo. In India si mescolò ai formicai umani di Bombay e di Calcutta, si immerse nello splendore dei templi e nel rito mistico delle abluzioni nel Gange a Benares. Ma toccò con mano anche la desolata rassegnazione dei miseri, una condizione di vita minima che mai prima aveva conosciuto.
Una notte, lontano dalle megalopoli sostò sotto un cielo che brulicava di stelle e lì respirò il fondo della spiritualità indiana. Guardò l'universo, anzi lo seppe immaginare oltre quello che la sua vista poteva percepire e gli apparve una macchia nerastra che oltrepassava continuamente il suo bordo e dentro questa, che poteva essere una nube o una palude, un rigurgito insostenibile di pianeti, soli, nubi stellari, schiume di galassie che formavano firmamenti sperduti.
A quello sgomento seppe allora associare solamente la consapevolezza del dolore infinito che tutto quello poteva significare per l'uomo della Terra e non era la presenza alla mente di un dolore particolare come il suo per la malattia di Marcella, non il ricordo di eventi storici atroci, era piuttosto la capacità terribile di conoscere visceralmente il senso puro del mistero più grande che abbai esistenza nell'universo, quello del dolore.
Scrisse a Consuelo che aveva provato il nirvana, ma un nirvana alla rovescia.
Cristiano qual era, ripensando molte volte a quella notte, s'avvide che la sua religione sapeva come nessun'altra dissodare questa landa immensa di dolore; respirare quell'alito amaro e capovolgerlo non in un nirvana spersonalizzante ma in un impegno personale di carità.
Tornò alla opulenta e scettica sua Europa per impegnarsi in opere alacri di volontariato e riprese a sperare per Marcella e s'accorse che una minima grazia già avveniva: quella che lui ci credesse e che lei accettasse la sua speranza.
Marcella intanto si faceva più bella nei tratti del viso, bella di quel fascino disteso e radioso che hanno coloro che vivono paralizzati. Un dono gli appariva, un "compenso" come lo chiamava quando si sentiva povero di spirito.
Un giorno Marcella gli chiese se volesse accompagnarla a Lourdes.
"Là potresti vivere il mistero del dolore dei poveracci di tutto il mondo, tu che lo hai conosciuto quella volta in India; sei maturo per un'esperienza del genere, particolarissima. Non andarci però per chiedere a tutti i costi il miracolo, non devi portarti nella valigia questa esigenza. Non avrai da esigere nulla".
A Lourdes, nella marea di malati, di sofferenti, di paralitici, Ruben scorse la carrozzella di una giovane malata che veniva assistita da una deforme mongoloide vestita con la divisa dell'Unitalsi.
Rimase folgorato alla vista di quell'esistenza condannata dalla natura matrigna che era capace di uscire dalla sua cornice di pochezza e di strazio per donare quel poco che aveva a un'altra esistenza più negletta e dolorante.
Comprese che cosa mai fosse la carità, quella che come volontario aveva imparato a chiamare soltanto solidarietà e in quell'istante che si dilatava capì che le sue cure, le premure per Marcella, le sue preghiere e le opere che lui credeva "buone" erano a quel confronto solo una parvenza.
Si sentì svuotato e rimase rigido come se una paralisi interiore lo avesse avvinghiato...
Nella lunga fila di barelle e carrozzine schierate davanti al Santuario Marcella gli faceva segno, strani segni, balbettando mezze parole, frasi strozzate dall'emozione: "Sento le gambe, Ruben! Ruben hai capito? Posso quasi distenderle... Le muovo, le muovo!"
 
"Perché, Consuelo, sono passati anni da quando Marcella si paralizzò? Se Dio l'aveva destinata alla guarigione completa perché ha atteso poi tanto?"
"Bisognava che Egli attendesse qualcosa, o meglio qualcuno, Ruben".
"Qualcuno? Chi mai, Consuelo?"
"Nulla avviene per caso al mondo - riprese Consuelo - ricordi Ruben quando mi raccontasti di quei pioppi che vedevi muoversi nel vento del meriggio? Ciascuno, mi dicevi, sembrava accordare il suo piegarsi al piegarsi degli altri. Mi raccontasti che nel loro movimento lento e uniforme ti sembrava ci fosse l'armonia di una danza ben coordinata; E quel faggio gigantesco, mi dicevi, che diffondeva attorno i suoi rami? Ti era chiaro che ogni ramo, ogni foglia anzi partecipava al moto degli altri rami e che anzi tutto il bosco era pervaso da un unico movimento concorde.
Tutto s'accorda al tutto, Ruben."
E Ruben che aveva ascoltato in profondo silenzio: "Tu parli per metafore, sorella, così mentre mi rispondi sembri allontanarti dalla risposta che mi punge dentro."
Sul volto bruno e composto della suora spiccavano occhi luminosi nei quali avresti potuto cogliere lampi di viva intelligenza; ella abbassò per qualche istante lo sguardo verso le mani che teneva congiunte in grembo come per dare più forza e misura al suo pensiero; poi disse: "È vero, fratello, che ho parlato per segni e metafore, ma la parabola, il segno sanno indicare assai apertamente quelle cose che la logica, la ragione, la scienza spiegano e lungamente dimostrano, ma poi lasciano freddi.
C'è una sottile e forse poco visibile intesa fra le cose - continuava con la misura di chi vuole indurre a riflettere - e nulla accade come cosa sé stante, come un caso isolato che come tale non avrebbe senso. Il mondo è pieno di senso - scandì con un tono leggermente più forte - lo sa chi ti parla perché lo ha scoperto nella sua sofferta esperienza di missionaria. Questo legame universale che ci ostiniamo a negare da una trama, un ordito alla nostra esistenza; ci sembra di consumare la vita percorrendo soltanto il nostro sentiero e invece tanti sentieri si intrecciano, ma l'ordito ci appare confuso come il rovescio di un tappeto; ma quanto ordinato e ben disegnato apparirebbe se lo guardassimo dal verso giusto". Alzò il viso e guardò Ruben diritto negli occhi: "Dio attendeva non perché Marcella soffrisse necessariamente, ma perché attendeva te e nell'attesa Egli soffriva. Attendeva quando smettesti di pregare, quando ti desti a una vita poco morale, quando viaggiasti. Attese quella tua notte in India e ascoltò le parole dei bramini e dei santoni coi quali ti intrattenevi e quelle parole stavano preparando quello che poi ti sarebbe accaduto.
Nessun miracolo, fratello, avviene senza un altro miracolo.
Tra quello donato a Marcella e quello donato a te, il più bello, ti sembrerà strano che io lo dica, ma lo dico con fede consapevole, Ruben, è quello tuo!
Miracolo, suggestione, scoperta di forze nascoste che possediamo? Sai, anche io spesso me lo chiedo. Comunque non è facile catturare le energie dell'amore che dallo Spirito si effondono nel cosmo. Questo fuoco vivo tu lo hai catturato, è passato in te e da te e da me a Marcella. Vedi? È come se voi aveste scoperto per la prima volta il fuoco".
E lo diceva con un tono di sicurezza discreta e tranquilla, come fosse cosa di poco momento, senza che il suo sguardo si esaltasse.

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 Ins. 09-12-2003