Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Saverio Cardini
Con questo racconto ha vinto il quarto premio al concorso
Città di Melegnano 2003, sezione narrativa

Il Grande Slam
 
La grande giornata era giunta al momento culminante, anche se a testimoniarlo non era la lucentezza del sole, tanto più brillante tre ore prima. Ma certo l'astro non poteva fermare i suoi meccanismi naturali per un incontro di tennis, per quanto importante. Anche le espressioni sui visi dei giocatori coinvolti non erano quelle delle grandi occasioni: sembravano due persone andate a letto molto tardi la notte prima, stanche e ubriache, che si fossero appena risvegliate dentro un bagno turco. Eppure all'inizio erano così ben pettinati e puliti, quasi più pronti al sorriso che allo smash!
Niente da fare, il momento culminante era quello, lo dicevano le migliaia di occhi febbrili puntate sul campo, il tono fra l'incerto e il preoccupato del giudice di sedia nell'annunciare: "Seven six, Newman to serve.", l'intraprendenza logorroica dei commentatori televisivi che bisbigliavano nei microfoni in un vomito continuo: "Dopo tre ore di gioco Newman può servire la palla del Grande Slam!"
"Che partita... che partita! Cinque set e non è ancora finita! Tutto, tutto potrebbe ribaltarsi..."
"Confesso che la novità del tie-break al quinto set in un torneo come Wimbledon mi aveva fatto storcere la bocca. Ma di fronte alle emozioni che insieme a voi, cari telespettatori, sto vivendo, mi devo ricredere..."
"Match point! Match point! E se Newman serve come sa, il Grande Slam è suo!"
Come sapeva servire Newman? Lui stesso non lo aveva mai capito. Sapeva solo che il servizio era considerato la sua arma vincente, ma per lui non si trattava che di una faccenda burocratica: doveva compilare una domanda in carta bollata di direzione e forza del tiro, fare un po' di quel particolare tipo di sala di attesa che è la concentrazione, consegnare la sua domanda ad un ufficio del suo cervello e disinteressarsi del tutto della questione. Da quel momento tutto si sarebbe svolto automaticamente, in maniera per lui misteriosa e di solito favorevole. D'altronde, soprattutto per un punto così importante, non si poteva certo concedere il lusso di pensare mentre metteva in gioco la palla: i suoi nervi sarebbero crollati sotto il peso di Wimbledon, del Grande Slam, del mondo intero che lo guardava dalle poltrone, della storia dello sport che lo chiamava a gran voce. Non gli sarebbe rimasta neanche la lucidità per lanciare la palla con le mani, figuriamoci con una racchetta, e come sapeva far lui. Svolse quindi le pratiche mentali necessarie e, facendo rimbalzare la palla sull'erba ormai disfatta dal pesticciare dei piedi dei migliori tennisti del mondo, si sforzò di pensare a quanto era stato buono il caffè preso quella mattina.
Dall'altro lato del campo c'era un giovanotto alquanto innervosito, per non dire incavolato come un bufalo, dal fatto di non essere riuscito a diventare un protagonista nemmeno entrando in finale a Wimbledon. Per che cosa aveva sputato sangue sui campi da tennis più scalcinati della natia Argentina? Per che cosa aveva passato la giovinezza diviso tra la paura di non riuscire e restare senza niente in mano e quella, forse più grande, di riuscire e non saper cavalcare qualcosa di più grande di lui? Ecco per cosa: per rappresentare l'ultimo stupido ostacolo sulla strada di uno yankee con un fulmine di battuta ed un gran dritto, già abbastanza coperto di gloria da esserne infastidito e che tuttavia se ne andava a cercare altra e di maggior livello, quasi solo per forza d'inerzia. Povero Paco Rosas, fosse arrivato in finale l'anno prima, o quello successivo, sarebbe stato uno dei due finalisti, ed anche perdendo avrebbe avuto comunque una parte di occhi su di lui, ad indagare come si sente chi cade ad un metro dall'arrivo. Avrebbe suscitato pensieri ed emozioni, insomma, e al diavolo la coppa, ce n'è sempre un'altra in palio. Ed eccolo invece degradato al rango di seccatura, ma che vuol vincere questo, come si permette di tentare di privarci di un Grande Slam? E tutti gli occhi su Newman, come quando si scaccia la mosca con una mano: si guarda sempre la mano, mai la mosca. Ebbene, se mosca doveva essere, tse-tse sarebbe stato. Forza con la battuta, bisteccone biondo, che nella risposta Paco ci avrebbe messo l'anima, oltre a tutta la tecnica che aveva imparato. E se fosse andata bene sarebbero stati di nuovo pari, la mosca avrebbe potuto mordere ancora.
La palla partì come qualcuno che porta la madre all'ospedale, l'ospedale è lontano e la madre sta male, ma Paco la vide, la capì e caricò una risposta perfetta. Ma fra la battuta perfetta e la risposta perfetta c'era un rimbalzo, e l'erba, che è fra le cose più imperfette del mondo, alzò la palla della frazione di grado bastante a trasformare la risposta perfetta in una stecca clamorosa: la palla si innalzò come un missile quasi verticalmente ed il pubblico, conscio dell'errore madornale, decise di dimostrare quanto forte sapeva urlare ed esultare, se ci si metteva d'impegno.
Il giudice arbitro fu quasi stupito dal chiasso: allora era finita? Guardò un secondo gli immobili ed altrettanto sorpresi giudici di linea e ben contento si liberò del peso: "Game, set, match, Newman wins 6-4 3-6 6-2 3-6 7-6. Newman is the new champion of Wimbledon." Era andata anche questa, meno male, nessuna contestazione troppo violenta, nessun problema pericoloso, una buona partita ben arbitrata, lui se ne andava a casa solamente un po' dimagrito.
In campo stava succedendo il pandemonio: sciami di giornalisti tentavano di bloccare un appena premiato Newman, riuscendo più che altro a far confusione. Da parte sua il campione non creava difficoltà a farsi intervistare: era stanco, ma conosceva il suo dovere verso il pubblico, non voleva certo passare da antipatico. Quanto avrebbe invece voluto essere antipatico Paco Rosas, che invece riusciva solo ad essere ignorato, come d'altra parte aveva previsto. Mestamente si avviò verso gli spogliatoi non accorgendosi, fortunatamente, di Newman che lo cercava per fare la foto di prammatica accanto allo sfortunato sconfitto. Anche l'uomo più calmo del mondo può commettere un omicidio, se spinto al limite, e Rosas non era l'uomo più calmo del mondo.
Mentre la stella polare Newman convogliava su di sé l'attenzione dei giornalisti, molte cose succedevano sullo sfondo: due ragazzini raccattapalle parlavano concitatamente a bassa voce. Avvicinandosi un po' a questi insignificanti personaggi si sarebbe sentito l'uno che accusava l'altro: "L'hai presa tu! Eravamo d'accordo che a me ne spettavano due, perché una l'ho promessa a mio fratello!" "No ti giuro! Che ne avrei fatto?" "Non lo so, ma questa me la paghi."
Un giudice di linea vagava pensieroso all'estremo limite del campo, guardando per terra. A un certo punto si riscosse e, scorgendo un collega, gli si avvicinò apostrofandolo: "Bella cavolata hai fatto nel quarto set, stavi guardando qualche donna?". I due si allontanarono scherzando sui reciproci errori.
Nelle tribune un signore tirava verso l'uscita il probabile figlio assorto nella contemplazione di un piccione che svolazzava al di sopra col sistema nervoso in pezzi. Prima di scomparire nel tunnel il figlio cominciò: "Papà, ma non mi avevi detto che..." ...le solite domande dei ragazzini.
 
La notte era calata, né più in fretta né più lentamente del solito, ed aveva portato con se la tranquillità che solo lei sa donare, spargendola a piene mani sul campo centrale di Wimbledon. Sul campo, a far compagnia alle zanzare, era rimasto solo un uomo, un po' panciuto, con una gran barba e, dopo l'insignificante intervallo di uno scorcio di faccia, un enorme berretto della vigilanza. Patrick O'Leary era decisamente preoccupato: conosceva i maniaci dello sport ed era sicuro che quella notte qualcuno sarebbe venuto a portarsi via un pezzo di storia, racchiuso in qualche zolla d'erba di Wimbledon. Lui naturalmente era là per evitarlo, ma non sapeva se le troppe ore di tranquillo ufficio degli ultimi tempi gli avrebbero permesso di svolgere il suo compito. L'effetto calmante della notte agì però anche su di lui, e lentamente si lasciò andare a pensieri più piacevoli, come per esempio i ricordi della partita che poche ore prima si era conclusa su quel campo. Distese le labbra in un sorriso sempre più ampio, passeggiando per il campo buio, ma d'improvviso si fermò come contro un muro. Qualcosa non era andata per il verso giusto. Qualcosa nell'ultima palla giocata. Rivedeva la scena come aveva fatto dai bordi del campo nel pomeriggio... e si convinceva sempre di più di un errore, un errore di fondo. Trotterellò verso il punto in cui Newman aveva effettuato la battuta, e mimò un po' goffamente quel gesto atletico; poi velocemente si spostò dall'altra parte del campo e tirò un'ideale risposta. Fatto questo si fermò a riflettere sempre più corrucciato. Mentre era lì a far la statua al suo orecchio arrivò un suono proveniente dall'altra parte del campo. Il tonfo fu seguito da altri simili, sempre più frequenti e più lievi, e Patrick si riscosse per andare a vedere cosa succedeva. La risposta la trovò al centro dell'altra metà del campo, nell'oggetto di una comune palla da tennis che stava finendo in quel momento di rotolare. Con gli occhi sbarrati si chinò a prenderla e cominciò ad osservare alternativamente lei ed il cielo dal quale pareva esser venuta. Nel frattempo capì quel che gli aveva dato tanto da pensare: non aveva visto ricadere la palla dopo la risposta di Rosas, e dentro di sé, dalla fine della partita, aveva continuato a chiedersi dove diavolo fosse finita quella palla. Possibile che fosse quella che aveva in mano? Fisicamente no, eppure... possibile che...? Guardò verso le stelle che gli sembrarono brillare un po' di più del solito, ad intermittenza, come in una chiocciante risatina. Era possibile: anche un dio, ogni tanto, può aver voglia di fare uno scherzo. Guardò ancora la palla decretando: "Sette pari, alla battuta Newman.", poi rivolse un'occhiata di rimprovero al cielo, mormorando: "Bricconcello...". Le stelle brillarono più forte ed anche lui cominciò a sghignazzare, tenendosi la pancia.
Solo un dio burlone, un vigilante panciuto ed un centinaio di zanzare sapevano che Newman non aveva ancora conquistato il Grande Slam.

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Città di Melegnano 2003

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