Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Rosa Romano Bettini
Ha pubblicato il libro

Rosa Romano Bettini - Accento di libertà


 

 

Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 12x17 - pp. 36 - Euro 4,20 - ISBN 88-8356-369-7

 
 
 

Questo libro è stato pubblicato quale opera 3a classificata nel concorso Letterario «F. Ivaldi 2002» indetto dal comune di Gadesco Pieve Delmona (Cr)

 

 

Motivazione
Postfazione

Incipit

Motivazione della Giuria
Il racconto di formazione realistico e simbolico allo stesso tempo, narra la presa di coscienza di una fanciulla nel cui nome è contenuta l'eredità ideologica e morale del nonno antifascista.
La narrazione è basata su una rievocazione fedele e dettagliata della cultura popolare dsella bassa mantovana ottenuta con testimonianza diretta.
Lo stile convincente evidenzia un equilibrio pregevole tra tono epico e andamento fiabesco.
 

La giuria del premio «Filippo Ivaldi» 2002

Postfazione
 
Forse solo Aironella è nome di fantasia. Il paesaggio no, è reale. E anche il racconto è reale, dietro la fantasia lirica di Rosa Romano Bettini. Non è avvenuto in nessun luogo, da nessuna parte, ma potrebbe essere accaduto in ogni villaggio, in un'epoca precisa della nostra storia, in un momento esatto sotto una dittatura, in un ambiente di povertà irrimediabile, in una pianura nebbiosa e gelida d'inverno o arroventata d'estate, che potrebbe anche essere un aspro paesaggio di montagna. Un racconto che ha sullo sfondo gli echi del Mulino del Po di Riccardo Bacchelli, ma anche, forse, i luoghi di Ignazio Silone o Francesco Jovine.
Questo è un villaggio lambito dal Po dove una volta sulle acque girava un mulino, dove con i giunchi palustri si fanno scope da vendere casa per casa. Dove la miseria è lì da toccare dove l'unico «padrone» esistente esercita la sua miserabile prepotenza, il suo paternalismo insolente. Naturalmente vestendo la divisa del tiranno cui presta la sua violenza e dal quale riceve la sua immunità.
I due protagonisti del racconto sono figli di quel tempo, avvolti nella loro dignitosa povertà, vittime di una storia ingiusta e tuttavia consapevoli, non per sole sensazioni, di non essere i perdenti in quella storia. La figura del nonno è quella di un uomo che ha saputo trovare la strada della propria emancipazione con la rivolta non sempre silenziosa ma cosciente, con l'umanesimo dei sentimenti contro l'impero della violenza politica e sociale. Come uno dei tanti indomabili dell'epoca trova, sulla strada della ribellione, il carcere dove si incontra e assapora, proprio lì, dietro le sbarre, il piacere dello studio che lo apre anche ai processi dialettici della critica. E proprio il senso consapevole di quella scienza appresa «nel camerone» - ha scritto una vittima-protagonista - «dove le lezioni si tenevano a gruppi di sei - tre di fronte ad altri tre seduti sulle due bramde vicine», il nonno lascia in eredità alla nipote in una lettera in cui rivela il suo passato di uomo non piegato dalla dittatura e passato attraverso «l'università del carcere».
Il racconto è incentrato su questo incontro di generazioni. L'una trasmette all'altra - il nonno alla nipote - l'idea della libertà. Un'idea di libertà concreta, in cui l'uomo possa tornare a centro del cosmo e smentisca Schiller: «la libertà è solo nel regno dei sogni».
Il senso della libertà, qui nelle parole semplici del racconto, si trasfonde nella più giovane, dopo la morte del nonno, anch'essa segno della ingiustizia e della violenza che non uccidono l'idea, il sentimento incorrotto della dignità umana.
Ora la giovane nipote diventa la protagonista assoluta della storia. È Berta, che il nonno voleva chiamare Libertà, parola ostica a tutti i regimi, nell'atto di nascita. Dovette cancellare l'acento e Liberta divenne Berta per tutti. La stessa vita di stenti di tutti gli altri, con la stessa povertà, nello stesso modo.
Berta ha però la coscienza del suo nome, imparata dal nonno. E nella donna maturata precocemente, significato del nome, concetto profondo del messaggio ereditato, si intrecciano e si fondono, nell'ultimo atto, nel momento dell'epilogo, drammatico e fiabesco insieme, lontana reminescenza del finale di «Miracolo a Milano».
Accade là sul ponte dove è riuscita a trascinare il suo carretto di scope, quando i contadini accorsi chiedono il suo nome ed essa in un flebile soffio lo pronuncia. Libertà.
Come nei versi di Paul Eluard, anche grande significativo poeta civile:
 
J'écrit ton nom
......
Liberté
 
Scrivo il tuo nome / Libertà
 

Adolfo Scalpelli

 

 
 
Accento di libertà
 Aironella è un piccolo paese della bassa padana, così piccolo che neppure le carte più dettagliate lo indicano; forse non è neppure un paese, ma un agglomerato di case, incollate, per disperazione o per gioco, sulla sponda sinistra del Po, proprio dove il fiume forma la sua ansa più grande.
Per secoli è stata località di confine: durante il Rinascimento confine di ducato, sotto il dominio austriaco confine di stato e con l'unificazione del Regno d'Italia confine di provincia; al contrario delle zone circostanti non ha mai goduto di particolari risorse agricole, così che la sua gente, inquieta, ribelle, sanguigna e istintiva, in passato, ha fatto di tutto fuorché il contadino. Gli uomini, ma non mancava anche qualche donna, esercitavano mestieri che li costringeva a spostarsi, ad andare in altri paesi dove acquisivano di volta in volta nuove conoscenze e abitudini. Diversi anche nell'aspetto dai campagnoli vicini, tutti ancorati alla casa, alle bestie, alla terra, avevano trasformato Aironella in un crocevia di esperienze e mestieri. Per rendersene conto bastava camminare per strada, o meglio ancora sull'argine: cacciatori, pescatori, navigatori fluviali, contrabbandieri, giocolieri, burattinai, ambulanti, artigiani, si confrontavano in un fitto via vai di scambi e negozi regolati e mediati dal fiume. Che era il vero signore, generoso e tiranno.
 
"Una volta sì ch'era bello e la festa si sentiva davvero.." novellava Alfio alla nipote Berta intanto che si vestiva di tutto punto. "Altri tempi, altra gente, altra vita...Alla tua età io... " sospirava, e con le mani aggrinzite si abbottonava la camicia, ne stirava le pieghe, si accomodava il colletto.
Berta gli era vicino lo ascoltava, affascinata sia dal modo con cui narrava il passato sia dalle storie che rievocava. Seguendolo passo passo lo serviva nel rituale della vestizione con gli occhi sgranati, senza perdere una battuta, così che Alfio, lusingato da tanto interesse, si caricava ancora di più e parlava, parlava...
"...abitavo con mio nonno, che sarebbe il tuo trisnonno Licinio, al mulino. Avevamo un mulino sul fiume, là, dove ora c'è il ponte di barche.
Tu sai com'è fatto un mulino ad acqua? No, sei troppo giovane, non puoi saperlo.
Immagina due grossi barconi di legno affiancati, distanti una decina di metri, saldamente uniti da alcune travi . Fra essi una ruota a pale, mossa dalla corrente del fiume, che dà la spinta alle macine... sulla chiatta una casetta di legno - era la casa del nonno- con le pareti abbellite da intarsi ed il tetto ricoperto da stuoie e da erbe palustri. Attorno era un continuo fermento di ambulanti, contadini, facchini, carrettieri...
Un andirivieni, un vociare, dovevi sentire, litigando e scherzando, contrattavano, facevano affari, e tutto nel vero dialetto, non quello di adesso, sbiascicato, italianizzato, che fa male al cuore a sentirlo parlare. E gli uomini, che uomini!, forti, coraggiosi, muscolosi, mica come quelli oggi, tutti lì da "sopiàr vìa..." che subiscono, tacciono, sanno dire soltanto 'sì signore' a testa bassa e senza fiatare...
Era più loquace del solito, Alfio, quasi eccitato. Ma quel giorno era la festa di Sant'Antonio Abate, patrono di Aironella, e lui, una frizzante luce negli occhi, la schiena improvvisamente diritta, addosso il vestito buono ed in mano la candela votiva, nonostante gli anni e i dolori, si preparava per andare alla funzione solenne: come ogni anno ci sarebbe stata prima la benedizione delle bestie, poi la processione per le vie del paese e per finire il brindisi in grande stile all'osteria di Virgilio.
"...quando c'era la sagra, noi uomini cavalcavamo per le vie del paese prima di arrivare al sagrato; lì il parroco dava la benedizione agli animali e poi ci esibiva, soprattutto noi giovani, perché la gente scegliesse quelli che avevano cavalcato meglio degli altri.
Per tre anni di seguito mi sono preso gli applausi e le grida delle ragazze di Aironella..."
Ateo per tradizione e ragionamento, Alfio, come molti in paese, faceva eccezione per Sant'Antonio, nei confronti del quale nutriva una devozione assoluta.
"Sant'Antonio è un'altra cosa" diceva a chi lo punzecchiava e con questa risposta chiudeva lo spinoso argomento. Non aveva torto, perché le occasioni importanti, quelle che fanno cambiare la vita, erano arrivate sempre il giorno di Sant'Antonio.
Cinquanta anni prima, infatti, proprio in quella ricorrenza, dopo aver scambiato alcune parole con Beppe, un navigatore fluviale incontrato per caso, aveva deciso di abbandonare il mulino del nonno e correre in lungo e in largo sul fiume.
Qualche anno dopo, sempre durante la sagra, aveva visto Ave, la dolcissima Ave, figlia di un giocoliere, arrivato per allietare la festa, e se n'era invaghito al punto che in poco tempo l'aveva sposata.
Ed era stato il giorno di Sant'Antonio che era nata sua nipote Berta, l'unica femmina della famiglia.
Se l'era ritrovata in casa, quel fagottino piagnucolante, perché Mario, suo figlio, rimasto senza lavoro, era partito per la Germania poco prima che Iole, la moglie, partorisse.
E così lui, Alfio, che pure aveva altri figli e nipoti ma mai si era occupato di loro, aveva smesso di correre il fiume.
A parziale giustificazione aveva addotto motivi diversi, una volta erano i dolori, un'altra volta lo scarso lavoro, e poi ancora la salute di Ave, ma la verità era in quella bambina, che senza parlare l'aveva stregato.
Per sopravvivere si era messo a fare prima gli zolfini e successivamente le scope, attività a cui da tempo si era convertita parecchia gente di Aironella, ridotta in miseria e senza lavoro, dato che l'elettricità aveva decretato la chiusura dell'ultimo mulino ad acqua, le restrizioni e le dure norme avevano reso il contrabbando un mestiere estremamente pericoloso e i ponti stabili di barche avevano ridotto il lavoro ai navigatori fluviali.
 
Iole bussò in quel momento alla porta.
"Papà" disse rivolgendosi ad Alfio. "Ho da finire le scope che domani Marcello le porta a Mantova, non posso venire alla festa".
Poi, guardò Berta, "Vai tu col nonno. Se vuoi metti il mio vestito marrone e lo scialle celeste della nonna Ave..."
Berta restò lì, sorpresa della disponibilità di sua madre, ma quel giorno compiva quindici anni e per Iole era già in età da marito.
"Eh le scope, le scope..." brontolò Alfio...
"Che volete", rispose Iole "sempre meglio degli zolfini che con quell'odore impestavano tutta la casa..."
Iole uscì e Berta si precipitò dietro il paravento per vestirsi. L'idea di andare alla sagra col nonno la eccitava e la rendeva felice.
Alfio, intanto, rimirandosi davanti allo specchio, si impomatava ad uno ad uno i pochi capelli rimasti.
"Eh! sì, ha ragione Iole, le scope non fanno odore...gli zolfini invece...
"Lo sai come li facevamo gli zolfini?... Raccoglievamo i canuli della canapa, unica risorsa oltre al fiume, e li facevano seccare al sole. Una volta seccati, li spezzavamo per il lungo, in tre o quattro stecchi e, raggruppati in mazzetti, li immergevamo in una latta di ferro dove c'era dello zolfo fuso, e poi di nuovo a seccare. Lavoravamo tutti in famiglia, d'estate in cortile, nella stalla d'inverno, e lì la tua nonna Ave, pace all'anima sua, raccontava di quando con suo padre, ch'era un po' mago e un po' acrobata, girava per i paesi facendo spettacoli. Ascoltarla era un vero piacere, si lavorava più in fretta e sembrava di avere meno freddo.
Una volta seccati e raccolti in mazzetti, caricavo gli zolfini sul carretto e andavo a venderli nei paesi vicini. Stavo via diversi giorni, dormivo dove capitava, nei prati, da qualche contadino che mi offriva il fienile, alcune volta anche nelle osterie e tornavo solo quando li avevo venduti tutti. Era diverso da quando navigavo sul fiume, però mi piaceva...
Poi abbiamo smesso, che coi fiammiferi gli zolfini non li compravano più, e ci siamo messi a fabbricare le scope...
Come sto? Dì la verità, tuo nonno è ancora un bell'uomo, vero?" domandò, pavoneggiandosi davanti allo specchio. Il fluire dei ricordi s'era all'improvviso interrotto, e lui Alfio sessantotto anni compiuti, si compiaceva come quando era ragazzo.
"Si nonno, siete proprio bello" rispose Berta, nascosta dal paravento.
A sentire la voce della nipote Alfio ebbe un leggero sussulto, come se questa gli avesse smosso i pensieri.
Si guardò attorno e con il fare di chi non vuol farsi notare, aprì piano piano il primo cassetto del comò. Rovistò in una scatola, che teneva nascosta sul fondo, ed estrasse una busta. Sempre guardandosi attorno la mise in tasca, dopo di che, si sistemò con indifferenza la giacca e incominciò a fischiare l'Aida. Segno che lui era pronto ad uscire.
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