Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Roberto Taurino
Con questo racconto ha vinto il dodicesimo premio al concorso
Marguerite Yourcenar 2005, sezione narrativa

«Una storia lunga un attimo»


«Perché non rispondi?» recitò dietro di me una voce stridula dalla quale trasparì il tono minaccioso di un ordine. Intanto contemplavo il telefono, lo guardavo, e mi sentivo stordito e assorto tra gli squilli che si alternavano ai miei pensieri. Fissai allora il mio interlocutore e tornai indietro con la memoria.
Era una splendida giornata di primavera, soleggiata e calma. Io e Fabrizio eravamo in macchina: lui, perfettamente rasato, per impedire che la barba gli imprimesse più anni di quanti in realtà ne aveva; io, invece, la esibivo con orgoglio, proprio per agguantare quegl'anni che Fabrizio allontanava da sé.
Come al solito guidava lui, sicuro di dare una direzione alla sua vita nei meandri della realtà così come dava una direzione alla sua macchina nei vicoli della città. Io gli sedevo a fianco e, al contrario di Fabrizio, non mi sarei distratto dall'inseguire la realtà concentrandomi nella guida. Sembrava che in quelle lamiere, impregnate dall'odore dei prodotti della terra coltivati con amorevole cura dai seguaci di Morfeo, ci stesse sfuggendo lo scorrere della vita, anche se eravamo certi del contrario.
E forse fu così.
Più la realtà correva veloce davanti a noi, più Fabrizio lanciava la sua auto, e quanto più accelerava tanto più la vita ci investiva e ci attraversava completamente, facendoci vibrare per un breve istante per svanire poi, veloce e silente. Tra di noi, interminabili pause di silenzio che, pesanti come macigni, gravavano sulle nostre teste facendoci sprofondare nei sedili. In quella violenta battaglia eravamo entrambi impegnati a reprimere i mostri da noi stessi creati e che ora, avidi e ingordi, ci divoravano senza pietà.
Fabrizio, ogni tanto, mosso più dal desiderio di rompere quel silenzio che dall'intenzione di comunicarmi qualcosa, se ne usciva con la promessa di chissà quali nobili azioni o con il giuramento di compiere atroci vendette. Purezza d'animo e diabolica perversione, entrambe espressioni di chi non possiede né l'una né l'altra.
Era da anni che lo guardavo, almeno così mi pareva, impegnandomi a sentirlo e sforzandomi di non ascoltarlo, finché ad un certo punto, in mezzo alle sfumate immagini che scorrevano veloci al di là del finestrino, vidi Laura. La sua immagine leggera si stagliò con violenza nel buio della mia mente lambendo i luoghi più reconditi di essa, come in un cielo plumbeo squarciato da un fulmine improvviso le cui ramificazioni, affascinanti e terrificanti, si propagano per ogni dove. Era sola, a piedi, correva quasi come stesse fuggendo da un nemico invisibile. Invitai Fabrizio ad avvicinarlesi, aprii il finestrino e la salutai con grande entusiasmo nonostante erano anni che non la vedessi e nonostante il nostro rapporto non fosse stato mai così intimo. Così, mentre formulavo queste osservazioni, sentivo su di me un tenue brivido che, improvviso nel suo nascere e lento nel suo persistere, mi attraeva e mi sconcertava facendomi errare in un limbo di nuove e vecchie emozioni. «Ciao Laura», esordii con decisione dissipando ogni parvenza di smarrimento. «Ciao» fu la sua risposta, accompagnata da un meraviglioso sorriso, più brillante del sole di primavera di quel giorno. Allora tornai alla carica più deciso che mai, incoraggiato dal persistente sorriso di quell'angelo ferito che, dopo essersi spezzata un'ala in volo, era stato costretto a scendere sulla Terra. E sulla Terra io l'avevo incontrato.
«Lo vorresti un passaggio? Vedo che vai di fretta! Non ti fare problemi, sali, sarà un piacere accompagnarti».
«D'accordo!» rispose lei e si accinse a salire in macchina.
Nel frattempo avevo già aperto la portiera e certo che avrebbe accettato le dissi:
«Perché non sali avanti? Qui, a fianco a me, c'è tanto spazio, guarda».
Le feci posto sul mio sedile, troppo stretto per due, ma del resto, perché l'avevo invitata a salire avanti? Fu così che per stare più comodi le passai il mio braccio intorno, tanto per usare un eufemismo, in pratica la abbracciai quasi fossimo stati una coppia.
Un'immagine confusa, scaltra come un turbine, balenò improvvisamente nella mia mente facendomi vedere me stesso in un naturale e vissuto frammento di vita.
«Come stai Laura? È da tanto che non ci si vede».
«Ma cosa dici. Guarda che non è da tanto che non ci vediamo!» rispose lei con un'espressione accigliata di sincera meraviglia, accompagnata da un leggero movimento delle sue labbra, sufficiente a conferirle un'autentica bellezza.
Non capii perché negasse che fosse passato del tempo dall'ultima volta che ci eravamo incontrati e forse non lo capirò mai. Allora feci finta di niente e la assecondai confermando che ci eravamo sempre tenuti in contatto.
Arrivati ad un certo punto, l'auto non poteva proseguire o non doveva e da lì mancavano pochi metri per raggiungere casa di Laura. Allora, da buon cavaliere, mi offrii di accompagnarla, sarebbe stato un piacere e camminare un po' sarebbe stato anche salutare.
«Ma quanto sei ipocrita!» pensai che mi avrebbe detto, come se avesse avuto la capacità di scrutare i miei pensieri, invece Laura fu entusiasta della mia idea. «Sei davvero bravo,» mi disse, e insieme ci incamminammo lungo la strada. Mi accorsi che il suo sorriso era ormai velato da un pallido alone di tristezza.
Intorno a lei, gli inesorabili segni del tempo maturati in pochi istanti, sembravano scalfire l'aurea perfezione del suo corpo, geloso custode di un animo tormentato. Le labbra erano sempre le stesse, rosse e tirate come nello splendido sorriso che mi aveva concesso non appena l'avevo incontrata.
Sì, era come pensavo. L'impressione che ebbi subito dopo che lei mi fu a fianco si palesò in un'appena percepibile costernazione. I suoi occhi questa volta erano diversi, era da essi che la tristezza, velatamente nascosta, sfuggiva al controllo di Laura. Conoscevo le ragioni di quel doloroso penare e, nonostante ciò, feci finta di non sapere, attratto dal sottile piacere che ci procurano le tragedie degli altri.
«Cos'hai Laura? Ti vedo un po' triste» sarei sembrato quasi un ipocrita ma era una domanda doverosa, e dimostrava almeno un po' di tatto.
Non volevo esserle ostile, anzi, intendevo esserle vicino, desideravo ascoltare le sue inquietudini e dato che le conoscevo già, volevo farle proprie, intendevo dimostrarle insomma che potevo essere una di quelle persone con le quali ci si poteva confidare per essere aiutati, grazie alle loro parole dolci e amiche, ad uscire dalle proprie paure. Nient'altro, solo questo.
Nel frattempo Fabrizio era sparito chissà dove ed io e Laura, più vicini di quanto non lo fossimo mai stati, stretti l'uno all'altra, ci ritrovammo veramente soli in mezzo a tanta gente che non ci conosceva. Così, fu quella insana intimità a spingere Laura ad escludere il resto del mondo e a guardare dentro se stessa per svelare la sua anima. Ormai era stanca di fuggire dai suoi ricordi e sebbene rappresentassero ancora ferite sanguinanti aveva deciso di affrontarli. Il suo desiderio di parlare esplose come un improvviso temporale estivo:
«Il mio ragazzo mi ha lasciata!...»
«Scagliò quelle parole con tristezza e determinazione ma mi colpirono con inquietudine e profonda confusione. Sorpresa, smarrimento, confusione, paura, terrore e angoscia attraversarono l'intimo del mio animo scuotendolo con violenza anche se nulla di quel fremito apparve ai suoi occhi, e lei, incerta, formulava chissà quali pensieri di cui non osavo nemmeno chiedermi l'origine».
«Non mi ha nemmeno dato una spiegazione.
Non una parola, niente! Come posso accettarlo. Come posso continuare a vivere senza quella parte del mio cuore che è rimasta dentro di lui. Non potrà ridarmela, né tanto meno potrò riprendermela.
Come farò?»
Laura era triste, tristissima, e più continuava a parlare tanto più le sue parole mi ferivano, più di quanto poteva immaginare, più di quanto io stesso avrei mai potuto pensare. Non era normale che soffrissi così tanto. E allora, perché tanta ansietà? Nel dubbio mi feci forza e, facendomi apparire sicuro di me, la incoraggiai ad essere comunque contenta poiché la vita è così, misteriosa e sempre nuova, e come tale andava goduta.
Il suo ex l'aveva lasciata, le cose vanno così, non doveva essere una tragedia.
Al contrario doveva essere solo un fatto naturale, anche se un po' triste, dell'evolversi della vita. Due persone vanno d'accordo e si mettono insieme.
Quando l'armonia non c'è più si lasciano, l'ordine naturale delle cose, niente di più logico...
Mi resi conto però, anche se di questo non feci menzione, che qualsiasi parola avessi detto, avrei semplicemente lambito il problema. Usavo infatti gli strumenti della ragione per spiegare le emozioni del cuore e solo ora mi accorgo di quanto il mio tentativo fosse vano.
Il mio intento era quello di donarle un po' di gioia e sebbene non vi riuscissi, cercavo comunque di essere gentile. Lei mi guardava meditabonda ma in cuor suo sorrideva, le mie parole erano verità, dure come cristalli gelidi di ghiaccio, ma allo stesso tempo tanto dolci da accarezzarle il cuore.
Parole e pensieri. Erano questi i punti sui quali l'intero mondo pareva si fosse adagiato. La realtà tutta, attraverso il filtro delle argomentazioni logiche, era confluita in quei concetti. La piccolezza dell'uomo, la cui misura è l'incapacità di risolvere gli stupidi e noiosi problemi pratici, si eleva alla falsa consapevolezza di raggiungere regole generali che governano l'universo. E nel mezzo, la vera mediocrità: l'uomo, piccolo e finito facente parte della realtà che lo trascende. I pensieri, è in questi che la realtà veramente vive e prende forma. Le parole, comunicazione all'esterno della realtà necessariamente travisata. Pensieri e parole, gli uni negazione delle altre, e, in mezzo a questi, i sogni, affascinanti frammenti di realtà interiori. Ma se la realtà si concretizza nei pensieri poiché solo pensandola e avendone coscienza una cosa esiste, e le parole ne sono la sua meschina cor-ruzione, la realtà e forse nel mezzo? Quanta parte di realtà c'è nei sogni? Quanti sogni ci sono nella realtà? Il dubbio è la vera certezza, l'inseguire quel dubbio la vera gioia. Parole, pensieri, sogni, verità e realtà tutti raccolti in un coacervo di indistinti il cui anello di congiunzione è lo stesso vivere, così semplice e genuino e poiché tale reso complesso e irraggiungibile dall'uomo che, semplice per natura, ricerca la complessità nelle cose semplici.
Intanto, come per magia, arrivammo davanti a casa sua e nonostante ciò proseguimmo ancora per pochi metri. Sapevo benissimo dove abitava ed anche lei sapeva che casa sua per me non era una novità, però non dissi nulla, e mentre ancora mi chiedevo come mai avessimo proseguito, lei mi tirò a sé e mi baciò. Dolcezza e voluttà si fusero in un leggero contatto delle nostre lingue, le toccai il cuore e lei il mio.
Con quel sorriso che solo lei sapeva concedere, si allontanò da me e, fissandomi, pronunciò qualche parola di cui però non riuscii ad afferrare il significato tanto ero sorpreso da quell'inaspettato e desiderato piacere.
Correvo felice lontano da lei ormai in casa per raggiungere il mio mondo, correvo, e più correvo più mi inebriavo di quel vento che mi faceva sentire sempre più vivo il sapore del suo rossetto, di lei. Mi fermai, mi ripulii le labbra con un fazzoletto e pensai a lei, al suo sorriso così dolce e tenue che traspariva più dagl'occhi che dalle labbra, ancora intente ad assaporare il gusto della sua nuova esperienza. Quanto bene le avevano fatto le mie parole, quanto piacere mi aveva procurato il suo bacio, quanta gioia le aveva dato il mio amore, era tutto ciò che voleva, era tutto ciò che desideravo. Dentro di lei c'ero io, in me c'era il suo cuore, due corpi tanto vicini, due anime avvinghiate in un solo respiro, attorno ad un'unica gioia, un'unica tristezza, di un'unica vita.
* * * Bianco!
Ricordo che vedevo tutto bianco, offuscato. Avevo gli occhi sgranati e nonostante ciò non distinguevo nulla. Il mio sguardo andava lontano, penetrava quel bagliore ma la mia vista si fer-mava lì. Percepivo attorno a me uno strano silenzio rotto solo da un miscuglio ovattato di suoni che mi pareva di conoscere ma che di sicuro non riuscivo a distinguere. Poi quella melodia lontana, la conoscevo già e sulle sue note ondeggiavo piano. Un vorticoso turbinio di emozioni attraversò il mio corpo facendomi trasalire e di colpo tutto svanì in una fresca ombra mattutina per poi ricomparire, pochi istanti dopo, in tutta la sua normalità.
Ormai ero sveglio!
Fissavo il nudo soffitto della stanza con il corpo e la mente ancora intorpiditi dalla notte appena trascorsa e della quale mi portavo ancora dietro i subdoli residui. Ero così contento, così sereno, così pronto alla vita, inebriato dall'ancora fresco ricordo di lei e della serata trascorsa poche ore prima.
Poi il dubbio!
Forse era stato un sogno. Forse quella serata non c'era mai stata, forse... lei non esisteva! Ero triste, contento, agitato e calmo al contempo. Si trattava dei postumi di un bel sogno o di un ricordo di un evento realmente accaduto? Mi alzai, mi girai intorno e cominciai a cercare qualche riferimento preciso.
Niente!
Tutto era così indeterminato, complesso, difficile da definirsi. L'aria stantia e la luce fosca contribuivano a rendere ancora più spettrale quel luogo che presagiva morte e solitudine. Confuso guardai il mio corpo disteso sul letto, mi avvicinai e con un fazzoletto ripulii le gocce scure e ormai stanche del mio sangue che riposavano sugli angoli della bocca.
Dipartendo da quella liturgia, uscii piano dal sepolcro, chiusi la porta alle mie spalle, mi ci appoggiai contro e mi fermai a riflettere per un minuto. Tra mille pensieri l'unica certezza che avevo era quella di aver amato almeno per un istante. Mi mordicchiai le labbra sentendo ancora il sapore del suo rossetto e, imboccando il lungo corridoio che avevo davanti a me, mi allontanai silenzioso. Ricordo, che quando mi svegliai quella mattina, ero particolarmente agitato e arrotolato tra le lenzuola intrise del mio sudore. Avevo in mente solo quel corridoio lungo e buio e ricordavo perfettamente il rumore dei miei passi che rimbalzavano da un muro all'altro colpendomi con violenza. Poi il ricordo di un rossetto, di quelle belle labbra, poi lei, e infine, come una valanga, il resto di quel sogno straordinario. Ricaddi sul letto cercando di trattenere quei ricordi che, come la neve in corsa, fuggivano ormai giù per il pendio. Mi mordicchiai le labbra cercando di sentire il sapore del suo rossetto.
Niente!
Sembrava lavato dal sudore di quella notte, tanto lunga quanto breve, tanto intensa quanto vana. Lentamente cominciai a sentire risuonare il telefono, uno squillo, due, poi tre... Fu allora che capii cosa mi avesse detto Laura dopo il nostro bacio e prima che ci lasciassimo. Intanto il quarto squillo del telefono, ero ritornato alla realtà, poi il quinto, aveva promesso di chiamarmi, poi il sesto, lo sapevo, era Laura.

Roberto Taurino


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