Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Roberto Taurino
Con questo racconto ha vinto il sesto premio al concorso
Marguerite Yourcenar 2006, sezione narrativa

«Monologo a due»



Luca entrò nella stanza di suo padre, si guardarono per un istante, il tempo perché Luca distogliesse velocemente il suo sguardo, e lo salutò. Suo padre lo guardò severo e non rispose. Come al solito Luca non si sorprese, ci era abituato, ma non per questo non ne soffrì. Come al solito diede uno sguardo d'insieme alla stanza, e come al solito, una volta esaurito il suo guardarsi intorno, si sedette sulla sedia che era proprio davanti a lui ed emise fuori tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Suo padre non gli aveva ancora rimproverato nulla, e anche questa volta non lo avrebbe fatto. Come al solito poteva stare tranquillo. Allora respirò, respirò lentamente, sempre più lentamente, fino al punto di ricominciare a pensare; lo guardò ancora una volta, così, giusto per accertarsi che fosse ancora lì, per assicurarsi che non gli dicesse niente, che non lo rimproverasse di nulla, che continuasse a tacere e per vedere, purtroppo, se ancora lo guardava.
Non lo sopportava, Luca non sopportava che suo padre lo guardasse e non dicesse nulla. Sempre, lo aveva sempre fatto, e Luca non lo aveva mai sopportato. Più di ogni altra cosa, era l'attesa che non sopportava, l'attendere che suo padre parlasse, quell'attesa che gli consumava l'esistenza e che lo faceva soffrire, l'attesa di quelle parole che nel bene o nel male avrebbero dato significato alla sua esistenza, alla sua e a quella di suo padre. Già, le parole per dare un senso alle loro esistenze, le parole di suo padre per dare un significato all'esistenza di Luca. Finché quelle parole non sarebbero arrivate, Luca non avrebbe saputo, e finché non avrebbe saputo se temere suo padre o gioire insieme a lui, avrebbe riflettuto sulla sua vita, aspettando qualche parola per capire se era bella o se era brutta. Aspettava, come ogni altra volta, e non lo sopportava. Aveva portato con sé un libro, lo sfogliò fino ad arrivare all'ultima pagina letta, la riconobbe subito, era l'ultima di tutte quelle logore, l'ultima che aveva letto, l'ultima, insieme a tutte quelle precedenti, sulla quale si era soffermato a lungo, che aveva letto e riletto, che aveva tenuto per le mani; l'ultima che aveva voltato e sulla quale era poi tornato per accertarsi di aver letto bene tutte le righe, le frasi e i periodi, e che poi aveva voltato di nuovo e che sempre di nuovo aveva riletto, perché da ogni nuovo rigo baluginava qualche incertezza che gli impediva di comprendere fino in fondo le nuove pagine. Se solo suo padre gli avesse spiegato le cose che non aveva capito; se, anziché guardarlo e stare zitto, avesse parlato quando avrebbe dovuto, Luca avrebbe capito, e non sarebbe dovuto tornare indietro sforzandosi di dare un senso al passato per comprendere il presente. Luca era un impiegato, lavorava presso una banca della sua città. Stava bene, il lavoro non era speciale, ma andava bene, non si poteva lamentare. Forse poteva considerarsi addirittura un privilegiato. Forse...
Purtroppo non sapeva, forse avrebbe potuto fare molto di più, della sua vita avrebbe potuto fare molto di più. Se solo qualcuno glielo avesse detto, se qualcuno gli avesse spiegato che aveva la grinta per diventare un avvocato di successo, o la sensibilità per diventare un buon medico, o il coraggio e l'intuito per diventare un bravo imprenditore, lui, forse, lo sarebbe diventato; però, mica lo sapeva, non l'aveva mai saputo, aveva fatto quello che il destino si era preoccupato di fargli trovare, senza spingersi nella sua direzione o senza allontanarsi da esso magari nel coraggioso tentativo di inseguire le proprie inclinazioni. Aveva scelto di fare l'impiegato, niente sfide, niente scommesse, solo quello che c'era. Se solo suo padre avesse parlato, se gli avesse detto almeno una volta che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, lui l'avrebbe fatta qualsiasi cosa. Invece no, suo padre lo aveva guardato e aveva taciuto, come in quel momento. E Luca aveva fatto quello che c'era da fare.
Aveva letto poche righe, voltò pagina tornando a quella precedente, per rileggerla, non aveva capito nulla, se continuava a pensare continuava a non capire nulla di quello che leggeva, ma gli serviva, in ogni caso gli serviva. Sebbene avesse bisogno di leggere le stesse cose più di una volta finendo sempre per non comprendere o di dimenticare completamente il loro significato, doveva comunque leggere poiché solo in quel modo, e solo in quello, arrivava fin dove egli stesso non avrebbe mai voluto arrivare. Non era facile leggere e capire, forse gli riusciva di leggere, ma di capire non se ne parlava proprio. Come poteva fare a dare un senso a quello che leggeva se suo padre continuava a guardarlo? Luca se lo sentiva addosso il suo sguardo, ne avvertiva le vibrazioni sulla pelle, e tutto il suo corpo fremeva nel difficile e per niente sopportabile tentativo di capirne il significato. Quello sguardo gli impediva di leggere, di capire e forse anche di vivere.
Quando Luca aveva informato suo padre dell'intenzione di lasciare l'università per accettare il posto in banca, lui lo aveva guardato, non a lungo come faceva in quel momento, ma di meno, giusto il tempo di assumere una espressione di vaga incertezza che nella mente di Luca era arrivata come: «No, è meglio se continui l'università, sicuramente raggiungerai risultati più soddisfacenti... », oppure: «Non lo so... il posto in banca non è male, almeno è sicuro, l'università è molto incerta...» o ancora: «Sì, accettalo subito quel posto, e non ci pensare proprio all'università, chissà quando finirai!».
Nulla di tutto questo.
Suo padre lo aveva guardato e come al solito non aveva detto nulla; e Luca, facendo della sua vita un impiegato rinunciando con ciò a tutto il resto, di quelle possibilità aveva scelto la terza, quella che aveva ritenuto fosse la più probabile, quella che, secondo lui, suo padre gli avrebbe potuto consigliare senza mentire, quella che faceva di lui una persona mediocre.
Qualche anno prima, al tempo dell'iscrizione alla scuola superiore, era successa la stessa cosa: voleva iscriversi all'Istituto Tecnico Commerciale, gli era sembrata una decisione consona con i per niente eccellenti risultati che aveva ottenuto frequentando le scuole medie, mica avrebbe potuto scegliere una scuola più difficile! Mica lo sapeva, era solo un ragazzo. I professori che ne sapevano, lo avevano soltanto interrogato e corretto i compiti e rimproverato, mica gli avevano mai chiesto come fosse la situazione con la sua famiglia, se stava bene o se stava male. E suo padre? Gli aveva detto centomila cose, ma non con le parole, bensì con lo sguardo, solo guardandolo; e Luca, in quello sguardo, ci aveva messo tutto quello che aveva voluto, senza mai sapere veramente quale scuola suo padre avrebbe preferito per lui. Senza mai sapere che cosa voleva da lui, o che cosa voleva che diventasse. Non gliene era importato nulla.
Senza parlare poi della macchina: aveva desiderato a lungo un'auto sportiva e alla fine, dopo alterne vicende, suo padre gliela aveva comprata, senza nessun tentativo per dissuaderlo, senza sforzarsi mai di dirgli che un auto di quel genere poteva essere pericolosa, che forse sarebbe stato meglio acquistarne una meno veloce, che avrebbe fatto bene a pensarci su. In ogni caso Luca sapeva bene che se anche suo padre avesse tentato di fargli cambiare idea, lui non lo avrebbe ascoltato; però... se glielo avesse detto, forse un po' ci avrebbe pensato e magari dopo, quando a bordo della sua auto sportiva aveva corso veloce lungo le strade sfidando la morte, non avrebbe alimentato i suoi sensi colpa chiedendosi se suo padre si sarebbe ritenuto responsabile se fosse andato a sbattere contro un albero. Luca gli alberi li aveva sempre evitati, e quando dopo poco tempo sostituì la sua fiammante auto sportiva con una sobria utilitaria nazionale, fece fare al suo acquirente un ottimo affare poiché gli consentì di comprare un auto che la paura di morire prima ancora della cura con cui era stata trattata, aveva ben conservato.
E Sandra? La donna che aveva sposato? Era piaciuta a suo padre? Luca ricordò il giorno in cui, dopo diversi anni di fidanzamento, la invitò a casa sua per presentarle i suoi. Straordinariamente quella volta suo padre parlò, parlò tanto, al punto di essere quasi logorroico; ma in pratica non disse nulla. «Quanti anni hai, cosa fai, ti piace il tuo lavoro, dove abiti...» e cazzate di questo tipo.
Non lo aveva nemmeno sfiorato l'idea di chiedere da quanto tempo stavano insieme o, tutt'al più, da quanto tempo si conoscevano. Aveva indirizzato le sue domande stupide a Sandra e per tutto il tempo aveva guardato Luca, come per invitarlo a riflettere su quelle risposte se ancora non lo aveva fatto. Si erano sposati poi, lui e Sandra, e suo padre, il giorno del loro matrimonio, non aveva avuto difficoltà ad impegnarsi a tacere per sempre. In silenzio aveva guardato il sacerdote mentre recitava la consueta formula di rito, e Luca, di spalle, aveva avvertito tutta l'incisività del suo sguardo silenzioso.
Sentiva montare dentro di sé la collera in un crescendo incontrollabile. Sapeva bene che se in quel momento suo padre avesse parlato, lui, come al solito, sarebbe esploso come un vulcano, con la stessa potenza e lucida razionalità distruttiva, con gli stessi effetti devastanti.
Ma suo padre non proferì una sola parola. Avrebbe potuto iniziarlo lui quel dialogo, facendo una qualsiasi considerazione o lanciando la prima provocazione, per trovare in quel modo uno sfogo alla sua rabbia e alla sua tristezza.
Però, se così avesse fatto, avrebbe impresso fin da subito una direzione precisa al dialogo che ne avrebbe potuto conseguire e suo padre, condizionato dal suo attacco e solo per questo coartato nella sua volontà, non avrebbe potuto far altro che scendere sul campo che Luca aveva scelto per lui. Doveva aspettare, doveva essere suo padre a parlare per primo, solo così avrebbe saputo a cosa stava pensando realmente. Ma lui non parlò, lo guardò e tacque.
Non gliene importava nulla, non gliene era mai importato nulla, non aveva mai detto una parola, aveva sempre abbandonato Luca al suo destino e lui, solo, da quel destino si era lasciato trasportare. Si era iscritto all'Istituto per ragionieri, poi aveva comprato la sua auto sportiva; si era iscritto alla facoltà di Economia per poi abbandonarla per il posto in banca. Si era sposato, e adesso Sandra aspettava un figlio.
E suo padre? Cosa aveva fatto ogni volta? Lo aveva guardato e aveva taciuto. Ma... ripensandoci per l'ennesima volta... cosa aveva fatto suo padre? Allora alzò la testa, staccando il suo sguardo dal libro che tentava di leggere. Il passato, Luca continuava a non capirlo, o forse ora sì, ora cominciava a capire. Cosa aveva fatto realmente suo padre? Lo aveva guardato, sì, lo aveva sempre guardato, e lo aveva sempre lasciato fare, concedendogli con il suo silenzio tutta quella sconfinata libertà che Luca non aveva mai compreso fino in fondo; quella incomprensibile libertà che gli aveva consentito di fare della sua vita tutto ciò che aveva voluto e che in pratica altro non era stata se non la più sentita fiducia che un padre avrebbe mai potuto riporre nei confronti del proprio figlio.
Quel silenzio si rivestì allora di nuovi e fino a quel momento impensati significati e Luca, in solo istante, trovando in un momento di tristezza tutto il fulgore della sua esistenza, capì che nonostante il silenzio di suo padre avesse accompagnato ogni momento importante della sua vita, in ogni momento importante suo padre era stato presente e ogni volta, con il suo sguardo, lo aveva tenuto per mano.
Luca allora sorrise, mentre una lacrima gli scendeva lungo il viso. Chiuse il libro il cui pretesto della lettura lo portava ogni giorno lì, e si avvicinò a suo padre che ancora lo guardava in silenzio. Tese la mano toccando a lungo l'immagine di suo padre attaccata alla lapide di marmo scuro, poi se la portò alla bocca e la baciò. In silenzio, anche lui, si allontanò lentamente.


Roberto Taurino


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 Ins. 18-09-2008