Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Riccardo Racis

Con questo racconto ha vinto il nono premio p.m. del concorso Marguerite Yourcenar 1998 sezione narrativa

 
 
Una scelta di vita
 
Nel silenzio del tramonto, quando il cielo era porpora oltre le colline e gli uccelli del giorno smettevano uno ad uno di cantare, nel timore delle tenebre striscianti mentre l'oriente si colorava di un blu sempre più scuro, in tutto questo un nuovo sole brillò nel cielo, dove il sole non era mai , mai stato prima. Per un momento la luce non fu altro che un lampo accecante, poi si spostò sopra la terra, squarciando l'aria con un tale fragore da far vibrare le rocce più piccole.
I pochi che non si erano nascosti negli anfratti, o che non stavano affondando il volto nella sabbia proteggendosi la testa con le mani, poterono vedere la luce allontanarsi verso la pianura, sempre più in basso, sempre più in basso. Finché, in prossimità dell'orizzonte, quando orami era difficile distinguerla per dimensioni da una stella, non sembrò ingrandirsi improvvisamente, e farsi più rossa, per poi dissiparsi tutto intorno sollevando un gran fumo. Poco dopo si sentì il boato, e la terra tremò. Allora anche i pochi che erano rimasti a guardare corsero a rifugiarsi nelle grotte. Finirono tutti lì, tutti sani e salvi e tutti insieme ad aspettare che le cose tornassero al loro posto.
Tutti meno uno. Si accorsero della sua assenza quando il caos fu passato, e poterono nuovamente uscire allo scoperto. Non si trovava con nessun gruppo. Videro allora che il soffitto di una delle caverne era crollato durante il gran movimento della terra. Strano, avevano sempre creduto che non esistesse luogo più sicuro. Si disperarono e cominciarono a rimuovere i detriti, per vedere se qualcosa si poteva ancora fare o, almeno, per non lasciare il loro compagno a marcire così. Il giorno dopo avrebbero trovato, scavando pietre, nient'altro che altre pietre. Ma questo l'avrebbero scoperto solo il giorno dopo. In quel momento, fruttando gli ultimi raggi del sole prima di doversi ritirare per non offrire troppo facile preda alle belve, scavarono quanto più velocemente poterono, ferendosi le dita e piangendo di impotenza. Nessuno di loro prestò attenzione alla luce rossastra in prossimità dell'orizzonte o alla colonna di fumo che ne saliva. Se l'avessero fatto avrebbero scoperto il fuoco con un po' di anticipo.
Nessuno prestò attenzione all'incendio vicino all'orizzonte, né a una figura umana, sempre più piccola, nella pianura. Una figura umana che correva, per arrivare alla strana luce prima che i sole morisse, e che le belve uscissero dalle loro tane.
 
C'era calore nell'aria, lì vicino alla strana luce. La luce fatta come di migliaia di fili d'erba scintillanti, che nascevano, danzavano, morivano, e ogni filo sembrava indifferente agli altri, saliva nell'aria e si contorceva per i fatti suoi. E in tutto questo la luce era tuttavia un oggetto unico, che cambiava di forma a seconda delle folate del vento.
C'era calore nell'aria, e la notte no era mai stata così comoda e bella, ma l'uomo sentiva come qual cos'altro. Freddo. Freddo dentro. Lontano dalla comunità, di notte, solo con la sua strana e calda luce, che pur essendo la cosa più affascinante che avesse mai visto (sarebbe potuto stare un giorno intero ad osservarla) gli sembrava ora più piccola di quand'era arrivato. Lo sfolgorio di luci arretrava sempre di più, per lasciare il posto a una polvere grigia e impalpabile. Cos'aveva ottenuto, in fondo? Non aveva ancora visto predatori lì intorno, come se temessero la gran luce. Ma se era vero che la luce andava diminuendo, presto o tardi sarebbe stato solo nel buio.
Ma c'era un'altra cosa che gli faceva sentire freddo. Se n'era andato senza dare spiegazioni, senza avvertire nessuno, attratto dalla novità a tal punto da non volerla condividere con gli altri. Essere arrivato per primo era una cosa che lo rendeva orgoglioso e che contemporaneamente gli comprimeva lo stomaco. L'uomo cercava dentro di sé una parola per definire quello che aveva fatto, ma aveva l'impressione di aver generato qualcosa di nuovo. Per sé e per tutti gli altri. E se ne stava così, seduto dinanzi all'incendio, stringendosi le gambe al petto, col mento appoggiato sulle ginocchia, dondolando lentamente, alla ricerca di una definizione per quella sgradevole stretta allo stomaco. Quello che aveva fatto era… era…
«…sbagliato?» sorrise una voce da dentro la strana luce, concludendo il suo pensiero. Veniva proprio da lì. Aveva pronunciato una sola parole, una che egli non aveva mai sentito prima, ma che tuttavia gli parve perfetta a descrivere l'atto, una peretta parola della sua lingua. Per qualche ragione sconosciuta l'uomo non era saltato in piedi correndo via urlando. Era rimasto a sedere, a guardare la luce e a pensare quanto suonasse bene la parola. E, che strano, la stretta allo stomaco si era allentata adesso.
«Sbagliato, sì» rispose a fatica l'uomo.
«Esatto. Ma non preoccuparti, è tutto a posto. Va benne così.
«Cos'è?» e indicò la luce.
«Fuoco.
«Fuoco?».
«Non lo conosci, vero? Avete tutti molta strada d fare ancora. &endash; La voce tacque per un istante, &endash; Tu però sei più avanti, a quanto sembra. Sei diverso».
L'uomo si guardò.
«No, non nel corpo! &endash; rise la voce. Era una risata calda e divertita. &endash; Nella mente. Pensaci. Hai qualcosa in più rispetto ai tuoi simili. Intanto stai parlando con me. E non solo parli. Parli da pari a pari. Gli altri si inginocchierebbero , pregherebbero. Ma guarda! Una mente scientifica!».
Altra parola nuova. Scientifica. Avrebbe voluto saperne il significato, poi una curiosità più forte gli fece chiedere: «Ma chi sei?».
«Ah. Giusto. Aspetta». E nel fuoco si mosse qualcosa. All'uomo parve un corpo. L'avrebbe detto umano, senonché ciò che intravedeva era straordinariamente snello e aggraziato. Molto più di ogni donna di cui avesse memoria. Mentre la voce era quella di un uomo. Ed era strano. forse era a causa della luce del fuoco, ma sembrava… bianco.
Un piede uscì dal fuoco, e dietro il piede una gamba, poi l'altra, e con essa il resto della figura. L'uomo doveva essersi sbagliato, perché colui che aveva davanti non era diverso da chiunque altro avesse conosciuto: non aveva niente della creatura che gli era parso di vedere poco prima. No, ciò che era uscito dal fuoco era né più né meno che un normalissimo uomo. Che come tale, dopo aver fatto qualche passo, piegò le gambe e si sedette accanto a lui.
«Chi sei?» ripeté l'uomo, ora più che mai desideroso di sapere.
«Io… &endash; L'altro sorrise abbassando la testa, come chi è imbarazzato a rivelare un proprio talento. &endash; Io porto la luce. &endash; E rise apertamente. &endash; Ah, so che non ha senso per te!».
L'uomo provò una gran simpatia per lui. Era affabile e accattivante.
«Ma… da dove vieni?».
«Ah, il mio scienziato… Da lontano, amico mio! Da un posto lontano che non te l'immagini».
«Io ho… visto… qualcosa, prima. Nel… fuoco?».
«Sì, fuoco, esatto. La parole è quella».
«Ma cos'era? Chi era?».
Lo straniero non rispose. Lo guardava dritto negli occhi. Aspettava un'altra domanda. O una risposta.
«Eri… tu?».
Lo sconosciuto non si mosse. Si limitò a stiracchiare un sorriso. L'uomo sentì freddo. Si voltò: il fuoco ora era ridotto a un piccolo falò. Ci si potevano vedere le colline attraverso. Le colline e nient'altro.
«Eri tu?» incredulo.
«Io. &endash; E gli fece abbassare il braccio. &endash; Adesso mi vedi così perché in questo modo è… &endash; Fece una breve pausa. &endash; …più facile».
«Più facile?». L'uomo non capiva.
«Per te. Identificazione. Psicologia. Imparerai anche questo.
L'uomo era rimasto a guardare il terreno. Avrebbe voluto porre ancora domande, ma erano così tante da non essere più nessuna. Si accavallavano e si confondevano.
«Guarda &endash; fece l'altro con ostentata flemma. &endash; Mi sa che il fuoco sta per spegnersi»».
L'uomo rialzò lo sguardo. Era vero!
«E quando sarà spento, amico mio &endash; continuò l'altro &endash; non ci sarà più niente a trattenere i predatori notturni».
L'uomo lo guardò atterrito. «Cosa facciamo? Cosa facciamo?». E si chiese come l'altro potesse restare tanto calmo.
«Niente paura. Come ti ho già detto, è tutto a posto. Vedi, c'è un modo anche per combattere le belve. Devi solo fare in modo di colpire loro prima che loro possano colpire te. Mi segui?».
L'uomo lo guardava a bocca aperta. Non capiva. Assolutamente non capiva. Provò a balbettare qualcosa.
«Calma. Basta che tu prenda un bastone bello dritto, vedi? Come questo. E bello lungo. Se è appuntito, bene. Se no… non devi fare altro che metterci in cima qualcosa di appuntito. E può essere una pietra, come questa qui: la batti contro un'altra per renderla affilata, così, e poi la metti sul bastone. Poi li tieni insieme con qualcosa come, ad esempio… lo stelo di una pianta flessibile… o un ciuffo abbastanza lungo del pelo di un animale. Vedi com'è facile?».
E, mentre parlava, le sue mani avevano lavorato in un modo così veloce e preciso e sapiente che l'uomo si era sentito un perfetto idiota. Anche se, persino adesso, non aveva idea dello scopo della cosa che lo straniero aveva costruito per lui.
«Ecco qui una lancia».
«Lancia» ripeté meccanicamente l'uomo. Fece per appoggiarvisi, stringendo saldamente la lama di selce, e così facendo si tagliò. Gridò, pestò ritmicamente un piede per terra e gettò via la lancia.
«Beh, pressappoco, la funzione è questa. Ora smetti di lamentarti, o attirerai quanto qui intorno abbia orecchie».
L'uomo si zittì all'istante. Seguitò a reggersi la mano ferita come fosse un animale morto.
«Adesso immagina se al posto della tua mano ci fosse stata una tigre, o un lupo».
«Arrivarci, alla tigre e al lupo!».
«Guarda». Impugnò l'oggetto e lo sollevò la testa. Lo soppesò, facendolo muovere un po' avanti e indietro. E poi lo scagliò nella pianura. La lancia fendette l'aria con un sibilo, dritta davanti a sé, compì la sua traiettoria e si conficco in terra. «Ecco come arrivi alla tigre e al lupo!» concluse lo straniero andandola a riprendere.
«Io non avrei mai creduto che… &endash; balbettò l'uomo, estasiato. &endash; …che si potesse… fare questo con le cose! È incredibile!».
«Già, incredibile».
«Insegnami ancora &endash; lo supplicò, &endash; ti prego. Tu conosci il fuoco, e la lancia, e…».
«…e molte altre cose. E, credi a me, si può dire che non c'è limite a ciò che si può fare con tutte queste cose. Ad esempio, dimmi: c'è qualche cosa che desideri? Che avresti sempre voluto ma che non hai mai potuto avere?».
L'uomo si trovò in un attimo di smarrimento. Una cosa che… Ma certo che c'era. l'adoravano tutti nella comunità. Era l'unica cosa che portava un po' di luce nella notte, che vegliava sugli uomini come un grande occhio. L'uomo alzò il braccio a indicare uno splendente ultimo quarto.
«E così l'uomo vuole la luna. Va bene, te lo prometto: l'uomo avrà la luna. Magari non sarai proprio tu, ma prima o poi ti garantisco che, se mi darete retta, l'uomo se la prenderà, la luna. Ti va?».
L'uomo annuì freneticamente.
«Naturalmente, se mi darete retta. Tu e tutti gli altri. Io avrò il vostro amore e voi avrete il mio. &endash; Gli posò una mano sulla spalla e l'abbracciò. &endash; Per sempre insieme, nei secoli dei secoli». Le ultime fiamme si spensero crepitando, e lasciarono di sé nient'altro che fumo e oscurità.
L'uomo sorrise nel buio, levò lo sguardo alla luna e innalzò la lancia. «Nei secoli dei secoli!». Rise con quanto fiato aveva in gola. I predatori non erano più un gran problema.
 
Qualche milione di anni dopo, a Firenze.
Beeep!
IMPOSSIBILE ESEGUIRE CORRETTAMENTE. ERRORE DI SCRITTURA SUL DRIVE A:
ANNULLA, RIPROVA, TRALASCIA? (a/r/t)
«Maledizione! &endash; disse Riccardo battendo il pugno su tappetino del mouse. &endash; Ma come errore di scrittura? Devi installare, perdìo, installare! Da A: a C:. È così che funzione. Capito?».
«Scusa, Riccardo, non è che stai parlando col computer, vero?» disse sua madre facendo capolino nel vano della porta.
«Eh? Io? &endash; Guardò lo schermo e annuì: &endash; Ebbene, sì. Ma renditi conto! È incredibile!».
«Cos'è incredibile?».
«Questo Cristo di programma. Dico io, Mina: un programma che sta in quattro, dico quattro Cd&emdash;Rom si lascia installare come niente fosse, mentre una merdina da UN floppy mi fa tutte queste storie: prima vuole che gli prepari la sua directory sul disco fisso, poi ha bisogno che il floppy non sia protetto, perché in virtù di uno sfizio del programmatore deve aggiornare i suoi stessi files. E poi, dulcis in fundo, NON RIESCE ad aggiornarli. Eco qua: "errore di scrittura". Come può accadere che una cosa sia fatta tanto male?».
Mina si strinse nelle spalle. «Uh! Misteri della tecnologia, suppongo».
«Aha. &endash; guardando sconsolato lo schermo. &endash; Pazienza. Del resto è risaputo, no?»
«Cosa?».
«Ma che la tecnologia &endash; e sospirò &endash; è uno strumento del Demonio».
 
Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 1998 sezione narrativa
 
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inserito il 10 novembre 1998