
-
- Il primo
comandamento
-
- Celestino era il suo nome, ma solo l'anziano
prete che lo battezzò nella chiesa
dell'antico borgo di Scaricalasino lo sapeva. Per
la gente della Valle di Sàvena si chiamava
Stiancòn, e basta.
- Un soprannome che, tradotto dal colorito
dialetto locale, significa "colui che spacca ogni
cosa". Inverno quell'appellativo gli si addiceva
alla perfezione, anche in virtù della sua
possente struttura fisica: quasi due metri di
altezza, oltre centotrenta centimetri di
circonferenza toracica e un buon quintale di peso
netto, il tutto servito da imponenti masse
muscolari, tali da consentire il sollevamento e
trasporto delle macine di pietra del vecchio mulino
di cui Stiancòn era proprietario.
- Una forza della natura, un colosso, una
cariatide semovente; questo era
Stiancòn.
- Trasportare due sacchi di farina da mezzo
quintale ciascuno, dopo averli ben bene abbrancati
e sistemati sulle anche, era per lui il quotidiano
esercizio del suo lavoro di mugnaio, sotto lo
sguardo attento amorevole della signora
Antenisca.
- A quali argomenti avesse fatto ricorso, quel
bestione di Stiancòn, per impalmare l'esile,
delicata e quasi eterea Antenisca, stimata e
riverita maestra nelle scuole elementari di
Scaricalasino, fu e rimase un mistero.
- Di certo non fu la gentilezza di portamento
a far palpitare d'amore il cuore della dolce
maestrina, dato che Stiancòn, abituato a
manovrare sacchi di farina e macine di mulino con
quelle manacce che parevano badili, aveva la grazia
di un elefante in una cristalleria.
- Nemmeno fu merito di fluida eloquenza,
poiché il vocabolario del gigantesco mugnaio
era assai limitato, e ristretto a pochi lemmi,
espressi per giunta con manifesta
difficoltà, gravati come erano di
strampalati accenti e distorti da una pronuncia
marcatamente dialettale. La consonante 'esse', per
esempio, gli usciva di bocca con suoni così
sibilanti che certe parole parevano emesse
più da una locomotiva a vapore che da un
uomo munito di regolare licenza di scuola
elementare.
- Il vocabolario di Stiancòn, inoltre,
non era molto ricco, essendo ridotto
all'essenziale. In compenso, però, le parole
non erano normalmente pronunciate, ma urlate a gran
voce, a causa dell'abitudine acquisita nel mulino
per soverchiare il fracasso prodotto dalle macine.
Perfino le parole d'amore, che di solito si
sussurrano con toni il più possibile
melodiosi all'orecchio dell'amato bene, risuonavano
come il tuono nella Valle del Sàvena,
talché si diceva in giro che fu più
lo spavento che la passione a convincere la bella e
aggraziata Antenisca a salire con il velo da sposa
e gradini dell'altare.
- Nonostante le apparenze, il matrimonio di
Stiancòn con l'Antenisca durò nel
tempo, malgrado l'assenza di prole. D'altronde
Stiancòn non dava motivi di gelosia alla
gentile sua consorte, impegnato com'era a tempo
pieno nel suo mulino. Quanto alla Signora
Antenisca, svolgeva la sua vita fra la casa annessa
al mulino, la scuola e la chiesa, sempre puntuale
alla messa della domenica, al fianco di suo marito,
docilmente obbediente ai cenni che gli indicavano
il momento di inginocchiarsi e quello di
segnarsi.
- Eppure Stiancòn aveva vissuto il suo
momento di gloria quando, essendo atleta di riserva
nella squadra nazionale di tiro alla fune, in
occasione di un'importante competizione svoltasi in
Giappone, dovette disputare la decisiva gara di
finale, a causa di un improvviso malanno che
capitò ad uno degli atleti titolari, contro
la favorita squadra giapponese, composta di
giganteschi lottatori di 'sumo', uno sport che
vanta in Giappone un'antichissima
tradizione.
- I giornali sportivi dell'epoca riferirono
che le cose si erano messe male per la squadra
italiana, ma per la caparbia ostinazione di
Stiancòn fu possibile aver ragione della
resistenza avversaria. Si raccontò che nel
momento topico della gara Stiancòn
trovò la forza di trascinare per dieci
metri, da solo, una mezza tonnellata di giapponesi
molto arrabbiati e disperatamente attaccati ad una
fune che pareva agganciata ad un rimorchiatore
d'altura.
- Pianse lacrime di strizza, il buon
Stiancòn, quando - passata l'euforia per la
vittoria - apprese che non erano previste medaglie
d'oro per gli atleti di riserva. Dovette
accontentarsi di un acròlito di giada
raffigurante un panciuto Budda solennemente assiso
in atteggiamento estatico e bonariamente
protettivo. Pur essendo un buon cristiano, per lui
quell'idolo divenne il simbolo di un momento di
gloria, l'unico nella sua vita di oscuro mugnaio
della Valle di Sàvena.
- Lo sistemò con cura in una nicchia
ricavata in una trave portante del mulino,
perché gli sembrava di riceverne conforto
allorché, bianco di farina, alzava gli occhi
per distogliersi dalla mediocrità delle sue
crebre giornate.
- Mentre attendeva, in un afoso pomeriggio
estivo, che un po' d'acqua arrivasse per muovere la
grande ruota del mulino, inattivo a causa della
persistente magra del torrente, vide accanto al
Budda sereno e pacioso un Crocefisso di maiolica
che nel viso sofferente di Gesù esprimeva
tutto il dolore del mondo.
- Si adontò fieramente,
Stiancòn, per quella che gli parve
un'indebita intromissione nell'intimità dei
suoi sentimenti, e fu tentato di contestare
aspramente alla rea consorte la violenza ideologica
contro un simbolo per lui evocatore di gloriosi
ricordi; ma si trattenne perché "Alla fine
fine - pensò - non è male avere due
protettori, uno giocando e uno triste. Bene
rappresentano la vita umana fatta di giorni belli e
brutti".
- Decise perciò di far finta di niente
e di attendere la spiegazione che di certo la
Signora Antenisca si sarebbe premurata di fornire.
Passarono i giorni, poi i mesi, e anche qualche
anno. Stiancòn lavorava sempre meno,
perché i vecchi mulini ad acqua erano
emarginati dai moderni impianti molitori che,
indifferenti ai capricci di un corso d'acqua
soggetto a repentine e prolungate magre, meglio
potevano servire la clientela.
- Un brutto giorno di un bruttissimo novembre,
dopo molte ore di pioggia intensa e persistente, il
Sàvena schiumò di collera e assunse
un aspetto terrificante, avventando verso la
pianura un'imponente valanga liquida, tutto
travolgendo e devastando, mentre decine di rii e
centinaia di botri scaricavano nel furibondo flutto
le loro acque piene di fango, di sterpi e di
arbusti divelti. Rami spezzati e anche qualche
grosso tronco ballonzolavano nei gorghi, qua e
là rimbalzando a colpire, a guisa di arieti,
le intrise prode; lunghi tratti di riva erano
ingoiati nella schifosa bòzzima; ogni opera
umana eretta lungo il corso del torrente fu
schiantata: capanne, baracche, passerelle,
steccati, pollai, conigliere, arnie, tutto fu
spazzato via in un attimo; polli, conigli e anche
qualche pecora orrendamente gonfia testimoniavano
che il Sàvena incanaglito aveva preteso un
sacrificale tributo di vite.
- Neppure il vecchio mulino di Stiancòn
poté resistere al liquido assalto: sotto la
spinta della turbinosa corrente la sua grande ruota
cedette; le sue pale furono divelte e trascinate
via come fuscelli; le macine si fermarono. Con il
coraggio della disperazione Stiancòn
tentò di salvare almeno il perno della
ruota: con tutta la sua possanza lo puntellò
contro il lurido fiotto; ma il Sàvena fu
più forte di lui. Il perno si spezzò
e fu ingoiato nella liquida bolgia, mentre
Stiancòn veniva scaraventato contro un
grosso macigno, alla base del quale giacque
esanime.
- Con tre costole rotte, una vasta ferita
sulla fronte e semi sommerso nel furibondo gorgo
melmoso che lo premeva contro il provvidenziale
macigno, Stiancòn era allo stremo.
- Chiunque sarebbe stato sopraffatto in quella
spaventosa situazione. Ma Stiancòn non era
uno chiunque, sebbene un campione mondiale di tiro
alla fune.
- Una fune! Non credeva ai suoi occhi
impiastricciati di fanghiglia quando proprio una
fune, penzolante davanti al suo naso, intravide fra
violenti spruzzi. La impugnò con la stessa
rabbia disperata che gli permise di trionfare nella
memorabile gara di tanti anni addietro, come se un
grappolo di lardosi atleti giapponesi fosse
all'altro capo. C'era invece la Signora Antenisca
che gli faceva cenno di non mollare.
- Stiancòn obbedì, come sempre.
Con le manacce simili a badili, raccogliendo ogni
residua energia, senza far caso al costato che gli
dava fitte dolorose, né al sangue che gli
rigava le guance, Stiancòn aveva artigliato
quella fune, che per lui era la vita.
- Con suo grande stupore si sentì
svellere dalla stretta mortale della corrente e
sollevare di quel tanto che bastava per trarsi
fuori dal gorgo e guadagnare un punto della riva
ove poter svenire in santa pace.
- Quando riprese i sensi nel suo letto,
qualche ora dopo, vide su di sé due volti
noti: quello dell'Antenisca che gli sorrideva, e
quello di Gesù Crocefisso, che pareva
guardarlo con severo cipiglio. Preferì
concentrarsi sul volto di sua moglie, alla quale
domandò dove aveva trovato la forza per
strapparlo al torrente, lei, così minuta e
delicata.
- "Nella preghiera, mio caro Celestino, solo
nella preghiera che una moglie cristiana come me ha
rivolto con fede a Gesù Crocefisso, che
pareva osservarmi dalla sua nicchia.
- È stato Gesù che con il suo
sguardo sofferente mi ha indicato una delle funi in
dotazione all'argano per il sollevamento dei sacchi
di farina. Non ho fatto altro che mettere la fune
alla tua portata e azionare l'argano, senza troppa
fatica. Puoi ben dire, mio caro Celestino, che devi
la tua vita al Crocefisso della nicchia."
- Non ritenne opportuno fare altre domande, il
mugnaio Celestino detto Stiancòn, né
sollevò obiezioni per essere stato trattato
alla stregua di un sacco di farina. Solo dopo
qualche giorno, quando fu completamente
ristabilito, si azzardò a chiedere notizie
del suo Budda di giada.
- "L'ha portato via la piena" - rispose con
gelida calma la Signora Antenisca - "nello stesso
momento che tu fosti travolto e scaraventato in
acqua." Una breve pausa di riflessione, poi: "Forse
il Sàvena ha pensato che stavate bene
assieme, tu e quel Budda, e che meritavate il
paradiso orientale, dove pare che si stia allegri e
felici in buona compagnia."
- Accennò ad un condiscendente sorriso,
Stiancòn, per significare che considerava
chiuso l'argomento, ma la Signora Antenisca aveva
ancora qualcosa da dire: "Devi sapere, mio caro
Celestino, che Gesù, al quale io mi ero
fiduciosamente rivolta, mi ispirò il
pensiero che dovevo scegliere chi salvare: o Budda
o te, mio caro Celestino."
- Fece una pausa per volgere gli occhi al
Crocefisso, ben sistemato al centro della nicchia,
poi riattaccò: "Io sono cristiana, cattolica
e scrupolosa osservante del Decalogo che, per me,
è la pietra d'angolo su cui si deve fondare
la nostra vita terrena.
- Sono tenuta quindi a rispettare il Primo
Comandamento, che tu certamente ricordi."
- Sospirò profondamente, prima di
proseguire: "Potevo scegliere di salvare il Budda,
e di lasciarti morire nel torrente. Ma l'idea di
trascorrere la vedovanza sotto lo sguardo bovino di
quell'idolo con la pancia debordante non mi andava
a genio."
- Piantò due occhi sfolgoranti in
faccia a suo marito, prima di dichiarare, con ferma
inflessione di voce: "Ho quindi affidato il Budda
alle acque del Sàvena per salvare te, che
sei mio sposo nel bene e nel male, che sei carne
della mia carne, come ci disse un giorno un
sacerdote nella casa di Dio".
- Assunse un atteggiamento ispirato prima di
concludere: "Spero di aver fatto la scelta giusta,
sacrificando quel povero Budda."
- Fu così che il mugnaio Celestino,
detto Stiancòn, campione di tiro alla fune,
imparò che il Signore Iddio non ama
né la confusione delle idee, né la
concorrenza.
-
|