Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Raffaella Poletti
Con questo racconto ha vinto il decimo premio al concorso
Città di Melegnano 2003, sezione narrativa

Colpisci le stelle
 
Niente sarebbe più stato come prima.
Mai più avrebbero passeggiato in piena notte per le stradine del paese addormentato.
Mai più sarebbero tornati a casa sfiniti dopo aver ingerito montagne di patatine ricoperte di maionese e ketchup.
Mai più lei avrebbe sentito bussare alla porta della sua stanza con tre colpetti, segno che il caffè forte che lui da sempre le preparava era pronto.
Mai più.
Sedeva in riva al lago. Le stelle illuminavano la notte e si riflettevano nell'acqua immobile e scura.
Sedeva lì, ma non lo sapeva.
Fredde lacrime scorrevano lungo le sue guance pallide ed eteree, ma non se ne accorgeva. Sedeva lì con i lunghi capelli sciolti, immobili e scuri.
Il caldo umido della notte inzuppava il vestitino di cotone bianco, ma lei non lo avvertiva.
Sentiva il gelo dentro.
"E' morto". Questo ripeteva in continuazione da ore.
Era fuggita da casa lasciando gli altri al loro dolore, risentita, infuriata, perché quello non era vero dolore. Il suo lo era e lo sarebbe stato per sempre, si sarebbe portata dentro quel gelo per tutta la vita e per l'eternità. La sua anima avrebbe vagato piangente per l'eternità.
Non credeva che esistesse un luogo in cui le anime si potessero ritrovare dopo la morte del corpo. Non ci credeva, e ciò non faceva che aumentare l'angoscia profonda , senza fine, il tormento insaziabile della sua anima.
Nemmeno la morte l'avrebbe consolata.
Né vivere né morire la interessavano più.
Immobile ascoltava in sé la voce di lui. Lo sentiva ridere, parlare al telefono ed accordarsi per uscire. Lo sentiva gridare da un lato all'altro della casa "Prendo la tua macchina! Farò tardi, non preoccuparti".
Malediva quella voce mentre ancora una volta riviveva la scena.
Si rivedeva stesa sul letto, il Walkman nelle orecchie. Ma non ascoltava. Mandava in continuazione la cassetta avanti ed indietro, presa da una strana frenesia, da un'inquietudine data da un presentimento che si ostinava a negare.
Sentiva il cuore accelerare i battiti e le lacrime scivolare sul viso senza nessun apparente motivo.
Sentiva il din don ovattato del campanello suonare.
Tolse il Walkman dalle orecchie, ma non lo spense. Ascoltò il ronzio del nastro che girava. Si alzò e rimase dritta al centro della stanza senza muovere un solo muscolo, gli occhi spalancati, le palpebre cristallizzate, la gola arida. I lunghi capelli sciolti, immobili e scuri.
Sentiva voci prima concitate poi disperate venire dal piano di sotto.
Sentiva qualcuno salire a grandi passi le scale ed aprire la porta della sua stanza.
Sentiva una voce incredula dire "E' morto...è morto".
Sentiva la stessa voce mormorare che non era possibile, che sicuramente si erano sbagliati. Guardava il volto e le labbra da cui usciva quella voce e vide suo padre, sconvolto, annientato.
Ma lei sapeva, lo sapeva che non si erano sbagliati, lo avvertiva nel suo cuore, nella sua anima, percepiva la morte scorrere con il suo sangue.
Restò immobile con il Walkman tra le mani per un tempo infinito, dritta in piedi al centro della stanza, la pelle eterea, quasi trasparente, gli occhi spenti, i lunghi capelli sciolti, immobili e scuri.
Poi scese le scale.
Sentiva i suoi genitori, le loro voci lontane ed estranee, le loro mani che la cercavano.
Tutto era ovattato, sfuocato e sbiadito.
Non seppe mai dire quanto tempo passò seduta al tavolo della cucina con le mani appoggiate sulle ginocchia.
La casa era invasa da un continuo via vai di amici, parenti e conoscenti. Tutti le si avvicinavano, con le lacrime agli occhi mormoravano parole che lei non udiva. Non sollevava lo sguardo verso nessuno.
Fissava la porta dell'ingresso aperta, come se qualcuno dovesse sempre entrare...o uscire...
Si alzò ed uscì. Forse nessuno se ne accorse.
Camminò fino al lago immobile e scuro e lì nel buio si sedette, il vestitino bianco, i lunghi capelli sciolti, immobili e scuri.
Con le orecchie di qualcun altro udì dei passi e con gli occhi di qualcun altro vide avvicinarsi un'ombra nella notte.
Sedette in silenzio accanto a lei, la guardò con i suoi occhi neri e lucidi.
Lei disse: "Niente sarà più come prima, né la vita né la morte...niente ha più importanza ora".
Lui non rispose, continuò ad osservarla, bella, eterea, trasparente con i lunghi capelli sciolti, immobili e scuri. Improvvisamente si alzò, prese un sassolino e lo lanciò. I capelli argentei che riflettevano la luce delle stelle.
"Colpisci le stelle" disse.
Lei udì quelle parole con le sue orecchie e lo guardò con i suoi occhi.
"Le stelle non si possono colpire...sono irraggiungibili".
Lui continuò a fissare il cielo, allora lei si avvicinò e posò la mano delicata sulla sua spalla.
"Nonno..."
"Colpisci le stelle, bambina" e le mise un sassolino tra le mani gelate.
Rimasero lì in silenzio, lui fissava il cielo, lei stringeva tra le mani il sassolino.
Rimasero lì a lungo, immobili e vicini.
Poi lei si alzò e scagliò verso il cielo il sassolino. Non lo sentirono ricadere nell'acqua né videro i cerchi formarsi sulla superficie del lago.
Rimasero lì a lungo, lei con i lunghi capelli sciolti, immobili e scuri, lui con i capelli argentei e gli occhi scintillanti.
Lei con il volto di suo fratello negli occhi, lui con il volto che rifletteva il dolore di lei.
Rimasero lì e videro spegnersi le stelle, percepirono l'intensità del buio che li avvolgeva, li circondava e penetrava il loro essere.
Il lago era immobile e sempre più scuro.
Sedeva con il volto che spiccava candido nel buio, i lunghi capelli sciolti, immobili e sempre più scuri.
Sentì la voce di suo nonno bucare il buio.
"Hai colpito le stelle, si sono spente".
Rimasero ancora lì con i vestiti appiccicati ai loro corpi, vicini, senza toccarsi.
"Ora devi solo riaccenderle".

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Città di Melegnano 2003

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 Ins. 20-01-2004