Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Patrizia Ferrante
Con questo racconto ha vinto il quinto premio del concorso Club Poeti 2000, sezione nerrativa
 
A Negativo
 
Quel venerdì in casa nostra sembrava festa! Mi alzai a tarda ora e mentre mamma trafficava in cucina, mi venne voglia di guardare le nostre vecchie fotografie, aprii il cassetto che le conteneva e iniziai a sfogliarle, erano inserite in ordine sparso dentro una cartellina anch'essa molto vecchia dove si trovavano documenti di ogni natura.
Fra tante immagini notai un foglio ingiallito dal tempo. Era uno stato di famiglia dall'aspetto arcaico, per curiosità andai a verificarne la data, risaliva a vent'anni prima, notai anche che erano trascritti solo i dati dei coniugi. Mi alzai e col documento in mano andai in cucina:
- Mamma, io non facevo parte della vostra famiglia nel 1977? - Era un quesito formulato con simpatia, senza alcuna accusa in merito a quanto elencava quell'atto.
Con molto imbarazzo mi rivolse il suo sguardo e con altrettanta cattiveria mi strappò il documento dalle mani. La sua reazione mi parve eccessiva, non avevo mai visto mia madre alterata per una situazione così banale. Mi parve ancora più strano l'intervento repentino di papà che dal divano corse in cucina per schierarsi dalla parte della mamma:
- la devi finire di sentirti libera di poter toccare tutto, anche le cose che non ti appartengono! - Ero allibita, uno scompiglio generale per uno stupido documento!
Restai ritta nella stessa posizione mentre i miei genitori non trovano pace, continuavano a muoversi con frenesia compiendo gesti inutili:
- Forse ho il diritto di sapere cosa vi sta succedendo - dissi con voce fievole ma decisa.
Dopo un perseverante silenzio papà si lasciò cadere sulla sedia accanto al tavolo mentre la mamma guardava fissa lo scarico della vasca del lavandino.
- Monica, ora sei grande non possiamo pensare di morire portandoci nella tomba questo fardello, ora ascoltami, senza interrompermi perché ciò che sto per dirti mi farà invecchiare di cento anni. Io e mamma ti abbiamo adottato quando avevi tre anni è per questo che non sei sullo stato di famiglia -
Mamma esplose in un pianto dirotto e corse a chiudersi in camera da letto ed io rimasi nella stessa posizione pietrificata dal dolore.
- Appena sposati vivevano in una casa di ringhiera nella vecchia Milano. La nostra vicina di casa era una ragazza madre con dei grossi problemi, nessuno sapeva che lavoro facesse, era la tua vera mamma Monica! - Papà stava male ma cercando di non farsi sopraffare dall'emozione continuò - Manuela ti sentiva sempre piangere e si chiedeva perché tua mamma non riuscisse a consolarti, un giorno la vide uscire di casa e sentì il tuo solito pianto, aveva la sensazione che ti avesse lasciata sola in casa, per qualche ora visse con quel dubbio ma ad un certo punto non poté fare a meno di andare a verificare suonando il campanello della vicina. Nessuno rispose, sentiva solo il tuo pianto disperato, non poteva rimanere inerte di fronte a quella drammatica e pericolosa situazione. Decise di chiamare un assistente sociale che dopo aver ascoltato la vicenda decise di intervenire prontamente. Lui stesso chiamò i vigili del fuoco i quali buttarono giù la porta per liberarti. Manuela non si allontanò mai, quando riuscirono ad entrare ti trovarono chiusa nella camera da letto, dentro il tuo lettino, da sola, piangente, bagnata e sporca. Appena Manuela si avvicinò tu le porgesti le braccia per abbracciarla e ti lasciasti consolare fino a sera, nell'ospedale dove ti ricoverarono per accertamenti sulla tua salute. Ti dichiararono adottabile perché configurarono una vera propria situazione di abbandono che poteva costituire un rischio gravissimo per la tua salute e per la tua evoluzione - Papà abbassò il capo e lo strinse fra le sua grandi mani con disperazione, la mia stasi mi impediva alcuna reazione, vidi mia madre avvicinarsi con un foglietto che mi mise fra le mani:
- Ecco, questo è il nome di tua madre! -
Lo lessi con la stessa apprensione di un malato terminale che legge il suo referto medico. Ornella Parini era mia madre e le sue generalità mi erano completamente estranee... L'acqua della pasta continuava a bollire ormai consumata nella pentola, la tavola apparecchiata ospitava cibi che non sarebbero più stati mangiati, presi la borsetta e mi precipitai in macchina, arrivai in comune e chiesi un atto qualsiasi che potesse contenere informazioni su mia madre. L'impiegato, un attimo dopo mi consegnò il foglio che riportava i dati anagrafici di Ornella Parini con accanto la scritta: deceduta il 14 luglio 1979. Era un semplice venerdì, la gente lavorava, ognuno conviveva con i propri drammi, piccoli o grandi che fossero, io sentivo di non poter coesistere con il dolore di non essere arrivata in tempo, l'ansia che imperversava nel mio piccolo petto mi stata soffocando, tornai nella mia macchina e mi diressi come un automa verso la provincia di Pavia dove arrivai a pomeriggio inoltrato. Mi avvicinai al ponte che incoronava il fiume coperto da alghe verdognole e con grande magnetismo lo osservai per non so quanto tempo.
- Come ti chiami bambina triste? - La voce mi giungeva ovattata, era il rumore del mondo che penetrava nelle mie orecchie incapaci di respingere quelle parole invadenti che mi giungevano pungenti, infrangendo la sfera del mio oblio. Non sapevo chi stesse parlando e neanche mi interessava saperlo, continuai a fissare il fiume che scorreva senza pietà, portando con se i detriti che aveva raccolto durante il suo corso. Il mio sguardo rapito dall'acqua si stava appannando per le calde lacrime che mi pungevano gli occhi.
- Io conosco la natura dei tuoi pensieri, questo ponte è la mia casa, tutti coloro che si fermano nelle fredde serate, a fissare il fiume, hanno delle brutte intenzioni. Tu sei così giovane bambina mia, guarda questo barbone e raccontagli la tua sofferenza. - Un tremito mi percorse l'intero corpo, portai le mani che stringevano il nome di mia madre al riparo, nelle tasche del mio caldo cappotto, il timbro della voce sconosciuta mi impauriva e mi privava della libertà di decidere del mio destino.
Non desideravo essere rassicurata, non volevo parlare con nessuno tranne che con me stessa. Nonostante ciò, girai lentamente il viso nella direzione dalla quale proveniva il monologo, non scorsi nessuno.
- Sono qui, seduto per terra, bambina mia! - Lo osservai velocemente, pareva un grottesco personaggio surreale... D'improvviso scappai, per paura, per disperazione...
I miei passi veloci rimbombavano nel silenzio assoluto di quell'immenso spazio che mi circondava, scadendo un rumore secco costante. Il ponte era lungo, poco più in là mi avrebbe offerto un'altra opportunità. Ripresi il folle viaggio, le immagini della mia vita scorrevano nella mente, cercavo disperatamente di ricostruire attraverso i ricordi, il mio passato, ma il fascino della corrente del fiume mi chiamava invitante per chiudere definitivamente il capitolo della mia esistenza.
- Sono trentacinque anni che vivo su questo ponte - la stessa voce roca mi scosse.
- Sono povero, affamato e solo, tanto solo, ma non sono un vigliacco! Volevano portarmi all'ospedale, dove avrei trovato cure ed assistenza ma ho preferito il ponte al manicomio. Ricordati bambina mia che mai nella vita ho pensato al suicidio. -
Mi giungeva la voce di un vecchio triste, curvo su se stesso. Per pietà mi sottomisi alla sua insistente intrusione e mossa dalla curiosità gli chiesi:
- Dove raccogli la forza per vivere? - Il vecchio prese a tossire, poi passò la manica sporca e sgualcita del giaccone che indossava sulla bocca, per asciugare la saliva che bagnava le sue labbra. Poteva avere sessanta anni, la folta barba nascondeva i lineamenti del viso, si appoggiò con i gomiti alla balaustra del suo ponte e sorridendomi mi mostrò una dentatura incompleta e malsana. Il cappello di lana cotta calato sulla fronte faceva intravedere gli occhi scuri che fissai attratta dall'intensità del suo sguardo; stavo aspettando una risposta. Con fierezza disse:
- Forse la mia dose di pazzia, forse perché ogni giorno, quando sorge il sole, penso che lo faccia per me, per regalarmi calore, energia. Io vivo con il sole e con la luna che accoglie il mio sonno. Sono un uomo solo, non ho mai avuto un amore per paura di soffrire, ho bruciato tutto il timore per perdere tutto. Ora accetto il mio destino, sto raccogliendo ciò che ho seminato, vivo di nulla perché non ho costruito nulla e quindi l'unico mio tesoro è la vita alla quale non posso rinunciare perché è tutto ciò che mi resta. - Il silenzio cadde fra noi, avrei voluto abbracciare quel povero vecchio per consolarlo, ma una sorta di disgusto mi impediva di avvicinarlo.
- Io mi chiamo Monica e stasera mi sento stanca di tutto persino della vita, ho vissuto per ventuno anni con dei genitori che realmente non lo erano. Mi hanno adottato quando avevo tre anni e casualmente oggi l'ho scoperto. Non posso perdonarli per avermi taciuto la verità e non posso perdonarmi per non essere riuscita a conoscere la mia vera madre. - Così dicendo scoppiai in un pianto liberatorio, lui incurante del ribrezzo che provavo nei suoi riguardi mi strinse a sé con forza e questa dimostrazione di solidarietà mi fece intensificare il mio sfogo, le lacrime scorrevano sulle guance fredde proprio come l'acqua del fiume che non aveva voluto accogliermi. Mi abbandonai fra le braccia maleodoranti di un barbone solo al mondo che mi stava consolando per aver ricevuto tanto amore da persone non legittimate ad offrirlo.
- Bambina mia, l'amore è amore in qualsiasi forma venga donato al di là delle situazione e dei ruoli. I tuoi genitori adottivi hanno sicuramente sbagliato ma tu cerca di perdonarli, se sei pulita, ben vestita, colta sicuramente è merito loro. Non sentirti tradita da persone che ti hanno accolto con amore per regalarti una vita dignitosa, non ripagare tanto coraggio con la vendetta. Di che cosa li vuoi punire? - Mi asciugai il viso con la manica del cappotto, proprio come aveva fatto lui poco prima, sfilai le mani dalle tasche per stringere le sue mani dure ma tanto calde, guardai per l'ultima volta quello sguardo fiero e gli dissi:
- Grazie amico mio, non ti dimenticherò mai! -
Lui si sedette sul marciapiede accendendosi una sigaretta consumata ed io mi affacciai ancora una volta sul fiume, afferrai delle tasche il biglietto ormai sgualcito e lo buttai con rassegnazione nell'acqua corrente. Lasciai il ponte alle mie spalle e, guardando all'orizzonte il cielo purpureo mi incamminai verso casa; la mia famiglia mi stava aspettando.

 

Classifica Concorso Club Poeti 2000 sez. narrativa
 
PER COMUNICARE CON L'AUTORE speditegli una lettera presso «Il Club degli autori, cas.post. 68, 20077 MELEGNANO (Mi)». Allegate Lit. 3.000 in francobolli per contributo spese postali e di segreteria provvederemo a inoltrargliela.
Non chiedeteci indirizzi dei soci: per disposizione di legge non possiamo darli.
©2000 Il club degli autori Patrizia Ferrante
Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
Se hai un inedito da pubblicare rivolgiti con fiducia a Montedit
 

IL SERVER PIÚ UTILE PER POETI E SCRITTORI ESORDIENTI ED EMERGENTI
Home club | Bandi concorsi (elenco dei mesi) | I Concorsi del Club | Risultati di concorsi |Poeti e scrittori (elenco generale degli autori presenti sul web) | Consigli editoriali | Indice server | Antologia dei Poeti contemporanei | Scrittori | Racconti | Arts club | Photo Club | InternetBookShop |
 

inserito il 5 Febbraio 1998

modificato il 9 ottobre 1998