Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti

Paolo Pasi
Con questo racconto si è classificato primo al concorso Marguerite Yourcenar 1999
 
La sirena
 
Avevo giocato a pallone. Buttato sul letto, le ossa rotte, riflettevo sull'incipiente vecchiaia, sulla fatidica soglia dei trent'anni che a molti pare l'iniziazione ufficiale alla decadenza fisica. E, a giudicare dalla mia spossatezza, di riscontri in questo senso ce n'erano in abbondanza. Potevano essere le undici di sera o le due di notte. Mi addormentai lasciando evaporare i pensieri.
Il risveglio fu repentino. Come un ago infilato di prepotenza nelle orecchie, l'urlo accecante di una sirena mi restituì alla coscienza. L'orologio segnava le quattro e mezza.
Impossibile riprendere sonno. La cadenza martellante di un antifurto non lasciava tregua. Mi alzai cercando di studiare un piano. Dalla finestra lo vidi. Il bagliore giallo, ritmico, dell'allarme che assecondava il suono monotono e potente. L'appartamento della palazzina a fianco sembrava disabitato. Chiuso, impermeabile alle proteste che, fiacche, cominciavano ad arrivare da qualche vicino di casa. Volti assonnati, svogliati, gli occhi gonfi e preoccupati per gli impegni del giorno imminente.
Di ipotesi potevano farsene molte. Ladri penetrati nella casa avevano forse attivato la sirena, che ora sembrava riempire ogni spazio del vuoto notturno, con la sua prepotente cantilena. Più probabilmente, al di là di qualunque tentativo di scasso, il fragore impazzito e monocorde era scattato così, per puro caso o per errore. Dall'appartamento non giungevano segni di vita: finestre sigillate, tapparelle ermetiche, solo il movimento rotatorio dell'allarme, compagno indesiderato, con il suo lacerante grido: più forte delle bestemmie, più forte delle proteste, più forte del sonno.
 
***
 
«Non possiamo penetrare nella casa, signora. Si configurerebbe una violazione di domicilio. Occorre attendere il parere del magistrato, non prima di mezzogiorno». La secca risposta burocratica del funzionario di polizia calò gelida sul capannello di pigiami e volti infreddoliti che si erano radunati all'ingresso del palazzo. Quella spiegazione aveva tutta la solennità di una dichiarazione senza appello, e come tale sembrava prefigurare un orrendo destino. Neanche la tanto invocata autorità poteva spezzare, almeno per il momento, l'angosciante convivenza con il cieco furore dell'allarme.
Prima dell'arrivo della polizia, aveva concesso un breve momento di tregua. D'improvviso si era fermato, quasi a chiudere la parentesi molesta di una notte. Una leggera ovazione, delicata e assonnata, aveva salutato l'evento dai balconi. Il ragionier Filetti, intraprendente organizzatore di petizioni, aveva rassicurato: «Vabbé! andiamo a casa» senza badare troppo alla coerenza, visto che aveva assistito alla scena dal suo salotto.
Fu allora che la sirena dispiegò il massimo delle forze e tornò a ritmare il suo canto assordante. Non c'era tregua, l'incubo tornava a prendere la forma gialla e tozza dell'allarme.
 
***
 
Il mattino era sceso gravido e pesante di conseguenze. Non avevo chiuso occhio, come gran parte dei vicini. A differenza di loro, però, potevo trastullarmi all'idea dei giorni di ferie che, quasi profeticamente, avevo deciso di concedermi. La tazza di thè mi ballava tra le mani, calda e amica.
Dalla finestra vidi la triste processione dei condomini diretti al lavoro: stretti nei giacconi e nei cappotti stiracchiati, esibivano occhi stralunati, appesantiti da vistose borse. Le valigette da lavoro, così orrendamente uguali, dondolavano malferme, sorrette a stento da mani ingiallite.
Ad accompagnare il corteo, era una sirena diversa da quelle delle fabbriche. Era l'aggeggio post-industriale brevettato a tutela del patrimonio, che si era incantato, che aveva deciso di propagare le sue onde ostili all'infinito, che nessuna legge sapeva fermare.
Anche i miei nervi erano a pezzi. Avevo deciso di trasferirmi dai miei genitori e l'idea mi aveva ridato slancio. Ma c'erano voluti pochi secondi per ricordare che il loro concomitante trasloco demoliva il mio acuto stratagemma. Insomma, dovevo restare o partire per mete lontane.
«In fondo - pensai - sarà solo questione di ore». La realtà purtroppo non tardò a trafiggere le mie speranze. Il trapano acustico non poteva essere disattivato fino a quando i proprietari non fossero tornati. La polizia, ci spiegò il solerte funzionario (non era lo stesso della notte precedente), stava cercando di rintracciare l'ingegner Pistolfi, che di quell'appartamento risultava il legittimo proprietario, ma il suo soggiorno in Kenya rendeva difficile le operazioni di ricerca.
«Capirà, con quel casino che sta succedendo in Africa, non ci sembra il caso di scomodare l'ambasciata per simili fesserie» aggiunse imprudentemente il funzionario, che solo la divisa riuscì a salvare dal linciaggio.
I pochi sopravvissuti della notte, i volti tirati e stravolti dalla rabbia (una rabbia impotente, che così simili ci rende in mezzo al traffico) decisero di convocare per quella sera una pubblica assemblea, con tanto di inviti alla stampa.
«Lei, che lavora in televisione, chiami i suoi capi e faccia un bel servizio» mi ammonì una signora cinquantenne che mai avevo creduto di conoscere. Accese la miccia, altri si unirono al coro. «Calma - spiegai - nessuno si muove per un antifurto impazzito che suona da poche ore. I giornali si interessano a queste cose almeno dopo una settimana». Ma dagli occhi iniettati di odio e stupore compresi che non era quella la sede ideale per una dissertazione su mass-media e notiziabilità. Dovetti telefonare al caporedattore e subirne il dileggio.
 
***
 
Hai voglia a uscire, a comprare dischi, libri, giornali, pane, latte. Hai voglia a confonderti in mezzo alla folla anonima della città: ma cosa te ne fai dei tuoi acquisti se non hai un luogo dove consumare? Oltre che profondamente molesto, l'allarme sembrava anche irrispettoso delle più elementari leggi di mercato. Erano passati tre giorni, e il suo assordante cantilenare continuava a imperversare, con una ferocia senza pari, impedendo qualunque attività. Tra i privilegiati, quelli con la seconda casa o con le giuste conoscenze per farsi ospitare altrove, il fatalismo era subentrato alla rabbia. Sarebbero tornati a vicenda conclusa: per ora, arrivederci e buona fortuna a chi restava in trincea. In balia del fragore ritmico e pervasivo, rimanevano i più indifesi: donne, anziani, bambini. Un popolo muto e succube, stanco e vinto, persino rinunciatario di fronte all'ennesima petizione promossa dal ragionier Filetti, che nel frattempo era stato colto da collasso e trasportato all'ospedale.
Tre giorni: un'infinità di tempo per le agitate e insonni persone dello stabile, una minuzia per le persone che contano. Erano stati mobilitati agenti, contattati avvocati, avvicinati, per il mio tramite, alcuni giornali. Tutti dispensavano sorrisi malcelati, più di compatimento che di solidarietà.
Occorreva aspettare, l'evento in fondo non era poi così anomalo. «Casi come questi accadono ogni giorno» ripeteva il solerte funzionario, sempre diverso eppure uguale agli altri che si erano succeduti nel fastidioso compito di rappresentare l'autorità. «A vederla bene - aggiungevano altri - la colpa è di quelli che rubano, dell'immigrazione incontrollata». Cavoli a merenda, aveva ribattuto con inaspettata audacia la signorina Rubella, 75 anni, che già nel condominio avevano ribattezzato la 'pasionaria dei timpani'.
Il magistrato competente, il dottor Fratosti si era detto dispiaciuto, ma avrebbe atteso gli sviluppi prima di decidere un intervento. Dell'ingegner Pistolfi nessuna notizia, si stava facendo il possibile per rintracciarlo in Kenya. Alcuni parenti, contattati dalla polizia, avevano spiegato che il professionista, uomo da 300 milioni all'anno, era partito una settimana prima per raggiungere la famiglia, ma nulla era dato sapere sul programmato rientro.
Intanto, la sirena martellava la sua ossessiva cantilena, penetrava nelle menti ottenebrate dalla stanchezza, smorzava qualunque pensiero. «Uiuiuiuiuiuiuiuiui»: potente e inesorabile, fiaccava la già debole volontà di resistenza degli abitanti.
Un comitato per la salvaguardia del benessere acustico si era formato spontaneamente, ma mancava di interlocutori. Una lettera al prefetto era stata spedita senza troppe speranze, dato che la risposta sarebbe arrivata al minimo entro una settimana. La 'barricadera' vecchina, la signorina Rubella, aveva improvvisato un blocco stradale lungo la via adiacente al palazzo. Si era piazzata in mezzo alla carreggiata armata del suo bastone e con addosso due vistosi cartelloni a mo' di sandwich: «Fermate la sirena. Gli abitanti di via... vogliono dormire».
L'unico risultato tangibile, tuttavia, era stato di aumentare il livello di inquinamento acustico, dato che il blocco stradale aveva solo incattivito gli automobilisti e provocato massicce dosi di clacson.
Per conto mio, avevo cercato di persuadere il dottor Airolfi, responsabile dei programmi di Telestar, a diramare un breve comunicato nel corso della trasmissione 'Buongiorno Metropoli'. Mi ero sintonizzato sulla stazione televisiva, quella mattina, anche per approfittare della conduzione soporifera e cercare di prendere sonno. Ero riuscito a dormire solo poche ore nel corso di quei tre giorni e si trattava di un sonno instabile, sempre rotto da quell'urlo insensato. Sognavo di essere nel mezzo di un incendio ed ecco che arrivavano i pompieri a domare le fiamme. Naturalmente a sirene spiegate. Oppure mi trovavo allo stadio e il mio vicino, brandendo una tromba, salutava il gol frantumandomi i timpani. Il risveglio, in tutti i casi, sanciva il passaggio dal sogno all'incubo del presente. Quella maledetta sirena era diventata la nota dominante della mia vita, di tutte le nostre vite.
Del nostro comunicato, durante la trasmissione, non venne fatta alcuna menzione. In compenso il glaciale presentatore, rigido nella sua giacca cammello e impettito dall'alto del suo collo esagerato, dispensò le lodi di un celebre antifurto, sponsor della trasmissione. 'Sireen (pronuncia di un inglese inesistente: sairin) è la migliore garanzia contro i malintenzionati'. Era troppo: lanciai un voluminoso libro contro lo schermo, neppure scalfito. Ero in preda a un travaso di bile, quell'aggeggio infame suonava come la propaggine più aggressiva e arrogante del sacro diritto di proprietà. Inviolabile, intoccabile, inaccessibile, troneggiava dal balcone scandendo la nota del suo trionfo: 'Uiuiuiuiuiuiuiuiuiuiiu...'.
 
***
 
L'azione venne decisa alla 17 del quarto giorno, dopo che tutti i tentativi di sensibilizzazione si erano infranti contro l'ottuso dominio delle regole. Le previsioni più ottimistiche parlavano di una settimana di attesa, tempo minimo concesso all'ingegnere per tornare a casa e spegnere, con le sue legittime mani, l'odiato antifurto. Troppo per la frangia irriducibile dei condomini, una decina di persone in tutto, che optò per una soluzione di forza. Anch'io facevo parte del gruppo, che comprendeva un paio di studenti, l'arzilla signorina Rubella e un commando di pensionati, tra cui un camionista a riposo.
Per prudenza, si decise di somministrare un potente sedativo alla signorina Rubella. Fu vinta dal sonno mentre in vestaglia stava armeggiando con rozze bottiglie molotov, ricavate da contenitori di sughi. I preparativi non furono lunghi: Mario, studente in architettura fuori corso da due anni, si procurò un vistoso piede di porco e nessuno gli chiese spiegazioni.
Alle due di notte, attaccammo l'appartamento dell'ingegnere. La porta blindata fece resistenza, vacillò sotto i colpi del camionista, più che del piede di porco, rimase sospesa sugli stipiti e crollò sotto i calci poderosi del gruppo. Infilammo un corridoio buio e il camionista andò a urtare contro un simil-trofeo di caccia appartato in un angolo della casa.
Quasi a presagire la sua imminente fine, la sirena sembrò urlare con ancora maggior vigore, con rinnovata soperchieria. Il trofeo venne devastato a colpi d'ascia da un pensionato, contadino a tempo perso. Non risparmiammo nulla: suppellettili, quadri, divani, stoffe, tappeti. Il sacro dominio dell'ingegnere subì la cieca determinazione del furore, covato a lungo e a lungo represso.
Fu Osvaldo, anni 33, di professione cameriere e a carico dei genitori, a individuare il comando di disattivazione dell'allarme. Avvicinarsi a esso pareva impossibile: il fragore dell'antifurto era insostenibile, esplodeva nei timpani, si trasfigurava in un'invisibile ma invalicabile barriera fisica. Lo schianto ci colse di sorpresa. Brandendo il suo piede di porco, lo studente Mario infranse in mille pezzi di vetro la campana giallastra dell'allarme. Poi recise i fili con il taglio netto del suo coltellino da ex boy-scout. Fine dell'incubo.
Fu come essere gettati nel vuoto. Del rumore originario, rimaneva una traccia sottile e impalpabile nelle nostre orecchie, un fischio prolungato e flebile, temporanea testimonianza di quell'antifurto messo fuori combattimento.
A ben sentire, tuttavia, non sembrava che la sirena avesse smesso di suonare. Solo era diminuita di intensità e pareva anzi riguadagnare energie con il passare del tempo. Eppure il congegno infernale dell'ingegnere era stato polverizzato. Pazzia? Psicosi collettiva? Ci pensò Mario a restituire lucidità alle nostre combattive menti: «Cazzo, la polizia!»
 
***
Mi trovo in una cella di due metri per tre, insieme al camionista e a un tossico, da ormai due settimane. Il quadro accusatorio si sta definendo. 'Violazione di domicilio e danni per circa 150 milioni' ha sentenziato il magistrato di turno, quando ha convalidato l'arresto. Forse è lo stesso che, con zelo lodevole, ha difeso strenuamente il diritto di proprietà dell'ingegner Pistolfi. O forse no. Commovente la signorina Rubella: mi viene a trovare almeno una volta alla settimana e mi porta delle eccellenti torte. Mi tiene anche informato degli umori di casa. La maggior parte del vicinato si è dissociata dalla nostra iniziativa, non appena tornata dalle vacanze. Gli altri, quanti sono rimasti, hanno organizzato una colletta per gli avvocati.
Per ciò che riguarda le mie ferie, sono state forzosamente allungate. Sono stato sospeso dal lavoro e dall'ordine professionale, dopo solo pochi mesi di militanza. Che altro aggiungere? I legali ci hanno chiesto di scrivere una memoria difensiva, che potrebbe essere decisiva per ottenere le attenuanti. Spero che quanto esposto finora possa bastare.
 
Questo racconto viene pubblicato in una raccolta che l'autore pubblicherà con la Casa Editrice ExCogita  

 

Classifica Concorso Marguerite Yourcenar 1999 sezione narrativa
 
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In serito 5 novembre 1999